Adeguamento indennità di accompagnamento 2022 dell’INPS

L’INPS con la circolare 197 del 23 dicembre 2021 ha provveduto all’adeguamento dell’indennità di accompagnamento 2022 riconosciuta a coloro che hanno un’invalidità del 100% e, di conseguenza, non essendo autonomi hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro prestando assistenza continua.

Adeguamento indennità di accompagnamento all’inflazione

L’INPS nella circolare rende noto che, al fine di consentire agli aventi diritto di percepire già dal mese di gennaio importi adeguati all’inflazione, ha ritenuto di dover procedere in anticipo avendo in considerazione l’indice di perequazione disponibile al 15 ottobre 2021. In quel periodo lo stesso corrispondeva all’1,6%. L’INPS però sottolinea che nel corso del primo trimestre dell’anno 2022 provvederà ad adeguare nuovamente gli importi attraverso un indice di perequazione aggiornato.

L’assegno di accompagnamento previsto per il 2021 era di 522,10 euro mensili e passa nel 2022 a 528,94 euro al mese. Si tratta quindi di un aumento di poco più di 6 euro.

Assegno di accompagnamento per ciechi totali

Diverso è il caso dell’assegno riconosciuto ai ciechi totali (ex articolo 1 della legge 406/1968), per loro l’assegno di accompagnamento per il 2021 era di 938,35 euro mensili e nel 2022 l’importo viene aumentato a 954,30 euro mensili .

Ultime informazioni sull’indennità di accompagnamento 2022

Ricordiamo che l’INPS eroga l’assegno di accompagnamento, a differenza di altri assegni, ad esempio quello di invalidità civile e i trattamenti pensionistici, per 12 mensilità e non 13 mensilità.

Non percepiscono l’indennità di accompagnamento coloro si trovano in condizione di ricovero gratuito presso strutture per periodi superiori a 30 giorni. Inoltre non percepiscono tale assegno coloro che hanno il riconoscimento di indennità analoghe di accompagnamento, come nel caso di invalidità a causa di guerra, ragioni di servizio o lavoro. In questo caso il soggetto può optare per il servizio economicamente più conveniente. L’assegno di accompagnamento è inoltre cumulabile con assegno di invalidità civile, inabilità e altri trattamenti pensionistici, ad esempio la pensione di vecchiaia o pensioni indirette, ad esempio la pensione superstiti.

Assegno invalidità dopo lo stop Inps a svolgere un lavoro, si attendono nuovi limiti reddituali

Si attende lo stop alla stretta degli assegni di invalidità dopo il messaggio Inps numero 3495 del 2021. A intervenire nella giornata del 3 novembre è stato il ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha illustrato, nel question time del Parlamento, i passaggi fondamentali per risolvere la questione degli assegni di invalidità. L’intervento atteso sulle invalidità potrebbe essere contenuto già durante la conversione in legge del decreto fiscale. Il provvedimento, attualmente, è in discussione nelle Commissioni Finanze e Lavoro del Senato.

Assegno di invalidità, il messaggio Inps numero 3495 del 2021 che ha sollevato la questione

La questione di chi percepisce un assegno di invalidità e svolga un’attività di lavoro è stata sollevata dal messaggio dell’Inps numero 3495 del 14 ottobre 2021. Nella nota, si legge, “la Corte di Cassazione, con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, numero 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, numero 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio”.

Invalidità, cosa dice la Giurisprudenza sulla possibilità di lavorare?

Pertanto, la Giurisprudenza di legittimità ritiene che lo svolgimento di un’attività lavoratori, a prescindere dal reddito che ne consegue, preclude il diritto al beneficio dell’assegno di invalidità. L’Inps termina il messaggio disponendo che l’assegno mensile di invalidità “sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”.

Chi percepisce un assegno di invalidità può lavorare?

Il che significa, come nella domanda posta dall’onorevole Stefano Lepri del Partito democratico nel question time del 3 novembre 2021, che l’assegno sarà corrisposto da ora in avanti solo a fronte di una totale inattività da parte del beneficiario. Fino al messaggio dell’Inps, al beneficiario dell’assegno con una percentuale di invalidità tra il 74% e il 95% e con un reddito di 4.931 euro all’anno è stato concesso di lavorare in quanto si tratterebbe di un reddito non rilevante.

Attività lavorativa come mezzo di inclusione nella società di chi percepisce l’assegno di invalidità

“Il messaggio dell’Inps – conclude Lepri – è un passo indietro perché si disincentiva la persona con invalidità ad attivarsi, a darsi da fare e a non ripiegarsi nella sua condizione di invalidità. La seconda ragione è che in questo modo si mortifica la grande attività di associazioni ed enti che hanno provato con successo in molti casi a inserire gli invalidi nel mondo del lavoro”.

Posizione ministero del Lavoro dopo messaggio Inps sui percettori di assegno di invalidità

Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando sul punto ha fornito risposta. “La questione è oggetto in questi giorni di grande attenzione da parte delle associazioni di settore e dal Parlamento stesso – ha informato Orlando – La tutela degli invalidi civili che hanno diritto al riconoscimento di determinate prestazioni economiche richiede con urgenza una soluzione efficace a una questione che investe la situazione di persone e di famiglie in condizioni di fragilità e difficoltà.

Assegno di invalidità, sulla possibilità di lavorare si attende una proposta emendativa per attività entro certi limiti di reddito

Il ministro Orlando ha concluso il suo intervento in Parlamento con parole di rassicurazione: “Dopo un confronto con l’Inps, il ministero del Lavoro sta producendo una proposta emendativa che permetta di risolvere il problema per consentire la prestazione lavorativa entro certi limiti reddituali a prescindere dalla natura del reddito. La proposta – ha continuato l’onorevole Andrea Orlando – sarà inserita nel veicolo normativo più opportuno tra quelli in discussione in Parlamento ed è molto probabile che arrivi già durante la conversione in legge del decreto fiscale, ora in discussione in Senato, al fine di giungere a una celere soluzione della questione per assicurare un sostegno economico agli invalidi civili parziali”.

INPS: gli invalidi che hanno un reddito perdono l’assegno di invalidità

Con un messaggio scarno l’INPS ha fatto sapere che a decorrere dalla data del 14 ottobre 2021 non sarà più erogato l’assegno mensile di assistenza previsto dall’articolo 13 della legge 30 marzo 1971 n°118 a coloro che hanno un reddito. Naturalmente sono molti gli invalidi che mostrano una certa preoccupazione di fronte a questo importante cambiamento. Ecco la nuova normativa.

L’assegno mensile di assistenza/invalidità

Per capire bene di cosa ci occupiamo è bene delimitare prima il campo. L’articolo 13 della legge 30 marzo 1971 prevede l’erogazione in favore di coloro a cui viene riconosciuta una percentuale di disabilità compresa tra il 74% e il 99% di un assegno mensile di assistenza per 13 mensilità.

Oltre a tali requisiti (disabilità) è necessario avere un’età compresa tra i 18 e i 65 anni di età e percepire un reddito annuo personale inferiore a 4.931,29 euro.

Sono destinatari dell’assegno di invalidità i cittadini italiani o cittadini di altri paesi dell’Unione Europea che però siano residenti in Italia, inoltre si riconosce tale diritto anche ai cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno e soggiornanti di lungo periodo. L’assegno è incompatibile con altre pensioni erogate da INPS, INAIL o altri enti.

L’ammontare dell’assegno di assistenza è nel 2021 di 287,09 euro mensili ed è oggetto di rivalutazione di anno in anno in base all’inflazione. Al compimento del sessantesimo anno di età si trasforma in assegno sociale.

Cosa dice il Messaggio INPS 3495 del 14 ottobre 2021?

Questa è appunto la disciplina generale. Su essa nel tempo vanno a incidere delle sentenze della Corte di Cassazione e nel messaggio 3495 del 14 ottobre 2021 dell’INPS si sottolinea proprio che ci sono molte sentenze che confermano che il requisito economico previsto dalla disciplina della legge non debba essere considerato una “mera condizione di erogabilità” ma un elemento costitutivo del diritto a percepire l’assegno mensile di assistenza. Di conseguenza, secondo l’INPS, nel rispetto delle diverse sentenze dei tribunali italiani, è necessario affermare che lo svolgimento di un’attività lavorativa “a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio”. La scrivente ha preferito citare alla lettera le parole del messaggio perché esse non lasciano spazio ad alcun dubbio.

Resta, infine, da ricordare che il Messaggio INPS 3495 del 14 ottobre 2021 non si riferisce a coloro che hanno il riconoscimento dell’invalidità al 100%.

Appare in tutta evidenza che con questo messaggio si modifica una parte importante delle disposizioni prima vigenti, cioè quella che prevede la possibilità di mantenere l’assegno mensile di assistenza nel caso in cui il reddito sia inferiore a 4.931 euro annuali.

Naturalmente non sono mancate prese di posizione contrastanti con questo messaggio, infatti, pensare che un disabile possa essere autonomo economicamente con una blanda misura di 287 euro mensili è assurdo. Di conseguenza per lui cercare un lavoro, magari da casa, in smart working, un leggero part time, è essenziale . E’ però altrettanto vero che le entrate di tali lavori sono comunque basse e da sole non possono dare indipendenza economica mentre con il piccolo aiuto dell’assegno di invalidità sicuramente vi può essere una maggiore disponibilità economica, anche tenendo in considerazione le esigenze peculiari di chi è diversamente abile.

Come ha reagito la politica alla decisione dell’INPS di sospendere l’erogazione dell’assegno di invalidità?

A far scudo contro questa decisione ci sono volti importanti, ad esempio Iacopo Melio, free lance e ora consigliere nella regione Toscana che sottolinea come per un disabile sia difficile accedere a posizioni lavorative stabili e soddisfacenti dal punto di vista economico (anche a causa dei limiti alla mobilità) e, di conseguenza, tagliare l’assegno mensile di assistenza a fronte di erogazioni spesso precarie, rappresenta una forte ingiustizia. In effetti come dargli torto? Una condizione lavorativa anche precaria può essere un forte sostegno anche dal punto di vista psicologico perché lavorare può offrire stimoli importanti, ma se il prezzo da pagare è perdere l’assegno di assistenza, molti si troveranno a dover rinunciare anche a piccoli incarichi e collaborazioni da free lance.

Intanto qualcosa inizia a muoversi sul fronte politico, infatti dal dicastero del Ministro del Lavoro, Orlando, emerge che la questione è all’esame degli uffici competenti, mentre l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) ha fatto sapere che c’è l’intenzione di presentare un emendamento fiscale che possa far superare gli ostacoli posti dall’INPS.

Nel frattempo i delegati delle due assiciazioni maggiormente impegnate sul fronte dalla tutela dei diritti dei disabili, Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) e Federazione tra le associazione nazionali delle persone con disabilità (Fand) hanno incontrato il ministro per la Disabilità Erika Stefani che ha confermato l’interesse a porre fine alla questione e a tutelare i disabili. Le associazioni propongono una radicale modifica della legge 118 in modo che non vi possano essere difficoltà interpretative e che sia concessa ai disabili la possibilità di lavorare senza perdere l’assegno di assistenza.

Se vuoi saperne di più sull’assunzione di soggetti disabili, leggi la guida: Assunzione come categoria protetta: caratteristiche e informazioni

QR-Code INPS per invalidi: cos’è e come funziona

Nelle precedenti guide più volte abbiamo visto che per poter accedere a benefici per invalidi è necessario mostrare non semplicemente il certificato di invalidità, ma anche il verbale di invalidità in modo da determinare se si può avere accesso a determinate agevolazioni. Ora questa procedura è molto più semplice grazie al QR-Code INPS per invalidi.

Cos’è il QR-Code INPS per invalidi

Il QR-Code è un codice a matrice, ormai abbiamo tutti imparato a capire come è fatto, che memorizza dei dati leggibili attraverso  l’uso di un lettore di QR-Code ormai disponibile e scaricabile su tutti i dispositivi mobili. In questo caso memorizza i dati inerenti l’invalidità civile. I dati sono costantemente aggiornati con eventuali aggravamenti, revisioni, verifiche straordinarie, proprio per questo il servizio risulta essere molto efficiente.

Come ottenere il QR-Code INPS per invalidi

Per ottenere il QR Code INPS per invalidi è necessario collegarsi al sito INPS e accedere con le proprie credenziali. Deve essere ricordato che dal 1° ottobre sono dismessi tutti i codici PIN e di conseguenza è necessario utilizzare uno SPID, oppure la Carta di Identità Elettronica o la Carta Nazionale Servizi associata alla propria tessera sanitaria. La strada più semplice per i possessori di CIE è proprio questa, visto che consente l’accesso a tutti i servizi PA.

Se vuoi scoprire come utilizzare la CIE per l’accesso ai servizi INPS, leggi l’articolo: Carta di Identità Elettronica per accesso ai servizi PA senza SPID: guida

Una volta effettuato l’accesso, occorre andare alla voce “generazione QR-Code Invalidi Civili per attestazione status” . Da qui è possibile scaricare il QR-Code sul proprio smartphone per poi mostrarlo in caso di richiesta.

Il QR-Code viene generato in formato PDF e di conseguenza può anche essere stampato e mostrato in cartaceo, può essere salvato su computer o altro dispositivo mobile e inviato da un dispositivo all’altro, ad esempio lo si scarica su uno smartphone e lo si invia a un altro nel caso in cui si sia in possesso di due smartphone, può essere salvato in Cloud e comunque recuperato in ogni momento.

L’INPS precisa che il QR-Code può essere utilizzato sia nei confronti di soggetti pubblici, ad esempio Agenzia delle Entrate se si devono ottenere agevolazioni fiscali, sia nei confronti di privati, ad esempio nel caso in cui si voglia acquistare l’auto o un altro dispositivo con le agevolazioni previste dalla legge 104.

Come si usa il QR-Code

I soggetti nei cui confronti si usa, possono controllare il QR-Code con un’applicazione specifica per la lettura dei codici e inserendo il codice fiscale del cittadino invalido, naturalmente il codice fiscale deve consegnarlo tale soggetto al momento della richiesta di accesso al beneficio. Il QR-Code ha due livelli. Il livello primario in cui semplicemente viene confermato che il soggetto ha l’invalidità civile, mentre il secondo livello consente di accedere a informazioni più dettagliate.

Sappiamo tutti che vi sono delle prestazioni a cui si accede solo a determinate condizioni o al raggiungimento di una particolare percentuale di invalidità. Queste informazioni, che possono essere definite dati sensibili o supersensibili, sono accessibili con un’autorizzazione di secondo livello. Di conseguenza, il soggetto invalido mostra il QR-Code e il codice fiscale a chi deve eseguire il controllo, questo si autentica al servizio con le proprie credenziali, quindi il soggetto interessato riceve sullo smartphone un codice OTP che in seguito deve consegnare al gestore del servizio in modo che possa completare l’autenticazione di secondo livello.

Pensione di invalidità civile e pensione di vecchiaia: spettano entrambe?

La pensione di invalidità civile e la pensione di vecchiaia spettano entrambe? Per rispondere a questa domanda è necessario chiarire che entrambe possono essere godute da un contribuente, ma le due misure di pensione non sono cumulabili. Ovvero non possono essere percepite entrambe nello stesso momento. Per arrivare a questa conclusione è necessario verificare quando decorra la pensione di invalidità civile e quando quella di vecchiaia, con subentro di quest’ultima alla maturazione dei relativi requisiti.

Che cos’è la pensione di invalidità civile?

La pensione di invalidità (o di inabilità) civile è una prestazione riconosciuta e pagata dall’Inps per le persone in stato di bisogno. Rientrano nello stato di bisogno i soggetti che hanno un’invalidità civile riconosciuta nella misura pari al 100%. Tuttavia, l’Inps riconosce lo stato di necessità se il richiedente non supera anche determinati tetti di reddito.

A chi spetta la pensione di invalidità civile?

La pensione di invalidità civile spetta ai cittadini che:

  • hanno un’età compresa tra i 18 e i 67 anni;
  • sono stati riconosciuti con una riduzione della capacità di lavorare nella misura del 100%;
  • sono cittadini italiani, europei o extracomunitari (è necessario il permesso di soggiorno da minimo un anno);
  • risiedono stabilmente e continuativamente in Italia;
  • hanno un reddito che non supera i 16.982,49 euro all’anno, per il 2020 e il 2021.

Quanto si prende di pensione di invalidità civile?

Per l’anno 2021, l’importo della pensione di invalidità civile è pari a 287,09 euro. La rata mensile è uguale a tutti gli invalidi civili, sia totali che parziali. Tuttavia, per gli invalidi civili totali la rata può essere ulteriormente aumentata grazie alle recenti novità normative che hanno disposto per i maggiorenni l’incremento al milione. Ciò significa che gli invalidi civili totali di almeno 18 anni, con redditi annui non superiori a 8.476,26 euro, possono ottenere l’aumento sino a 651,51 euro al mese. Il limite di reddito aumenta a 14.459,90 euro per il 2021 se l’invalido risulta coniugato. Chi, invece, riceve ha un reddito annuo tra 8.476,26 e 16.982,49 euro continua a percepire la pensione di inabilità di 287,09 euro.

Chi prende la pensione di invalidità può avere anche la pensione di vecchiaia?

Il soggetto che percepisce già la pensione di invalidità civile non può prendere, contemporaneamente, anche la pensione di vecchiaia. La motivazione risiede nel fatto che l’assegno di invalidità che si percepisce si trasforma d’ufficio in pensione di vecchiaia alla maturazione dei requisiti anagrafici previsti dalla legge Fornero per le pensioni di vecchiaia. Tale principio tutela chi percepisce la pensione di invalidità civile. Infatti, il soggetto beneficiario non può vedersi revocato l’assegno mensile per il venir meno del requisito sanitario connesso alla prestazione.

Pensioni, come avviene il passaggio dall’invalidità civile alla vecchiaia?

La trasformazione dell’assegno di invalidità civile in pensione di vecchiaia avviene in maniera automatica. Ad agire è proprio l’Inps senza che il beneficiario debba presentare alcuna domanda. L’Istituto previdenziale, al compimento dell’età pensionabile fissata attualmente a 67 anni, unitamente alla verifica dei contributi minimi (20 anni), provvede alla trasformazione dell’assegno mensile.

Quali vantaggi nascono dalla trasformazione della pensione di invalidità civile in vecchiaia?

Alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia, che per il 2021 e il 2022 decorre dai 67 anni, la trasformazione della pensione di invalidità civile comporta due vantaggi. Il primo riguarda la possibilità, per il pensionato, di cumulare senza limiti la pensione con eventuali altri redditi da lavoro. Tali redditi potranno maturare sia in un rapporto di lavoro da dipendente, che da lavoratore autonomo. Con la prestazione di pensione di invalidità civile, invece, la cumulabilità dell’indennità con redditi da lavoro può essere solo parziale per la decurtazione dell’indennità stessa.

Reversibilità della pensione di vecchiaia e dell’invalidità civile

Il secondo vantaggio della trasformazione dell’indennità di invalidità civile in pensione di vecchiaia risiede nel fatto che, in caso di decesso del pensionato, gli eredi possono godere della pensione di reversibilità. L’assegno di invalidità civile, invece, non è reversibile verso gli eredi. Gli stessi, in caso di morte del lavoratore titolare di un’assicurazione obbligatoria, dovranno verificare la sussistenza di requisiti contributivi ai fini della pensione indiretta.

Contributi ai fini della pensione di vecchiaia

I periodi nei quali il percettore dell’invalidità civile ha ottenuto l’assegno e non ha lavorato, sono utili ai fini del perfezionamento del diritto a maturare la pensione di vecchiaia, ma non sono decisivi per la determinazione della misura della pensione stessa. Dunque, se un soggetto ha ricevuto l’assegno di invalidità con quindici anni di contributi, e per dieci lo ha ricevuto senza svolgere alcuna attività lavorativa, l’Inps accrediterà i 25 anni di contribuzione ai fini dei 20 anni minimi richiesti a 67 anni per la pensione di vecchiaia. Ma la misura dell’assegno mensile di pensione sarà determinato solo sui 15 anni di contributi effettivamente versati. Verranno pertanto esclusi i 10 anni in cui il lavoratore non ha effettuato versamenti.

Invalidità civile e pensione anticipata

La trasformazione dell’assegno di invalidità civile può avvenire solo con i requisiti della pensione di vecchiaia dei 67 anni. Lo stesso non può dirsi per la trasformazione in pensione anticipata. Pertanto, se il lavoratore invalido dovesse raggiungere i 42 anni e dieci mesi richiesti per la pensione anticipata, continuerà a percepire l’indennità di invalidità fino alla maturazione dei 67 anni della pensione di vecchiaia.

Quando può essere anticipata l’età dei 67 anni della pensione di vecchiaia per un invalido civile?

L’unico caso in cui il lavoratore invalido può anticipare la pensione di vecchiaia dei 67 anni è quello disciplinato dal comma 8, dell’articolo 1 del decreto legislativo numero 503 del 1992. Secondo quanto prescrive la norma, infatti, l’età per la pensione di vecchiaia può essere ridotta a 61 anni per gli uomini e a 56 per le donne che hanno un’invalidità pari o superiore all’80%. È utile ricordare che la norma riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato. Inoltre,  alla maturazione dei requisiti, l’invalido deve attendere i 12 mesi di finestra mobile.

Pensione quota 41: perché non spetta con assegno ordinario di invalidità?

Può un contribuente con pensione di invalidità ordinaria (AIO) presentare domanda per la quota 41 dei lavoratori precoci? La risposta è negativa, innanzitutto perché la legge non lo consente. In secondo luogo, nel campo delle ipotesi, sarebbe necessario analizzare anche l’opportunità del passaggio dall’AIO alla pensione dei precoci.

Per chi ha l’assegno di invalidità ordinario niente domanda di pensione con quota 41

La domanda potrebbe interessare i contribuenti che abbiano intorno ai quattro decenni di versamenti e un’invalidità, ad esempio, dell’80% che permette già di avere la prestazione di invalidità. Le pensioni anticipate con la quota 41 dei precoci sono incompatibili con gli assegni di invalidità ordinari perché i due trattamenti sono alternativi. E, dunque, il contribuente, finché percepisce l’assegno di invalidità ordinario non potrà presentare domanda della prestazione prevista per i precoci con 41 anni di contributi.

Pensione di invalidità e quota 41 precoci: quali differenze?

La natura delle due prestazioni pensionistiche è, inoltre, diversa. L’assegno ordinario di invalidità rappresenta una prestazione economica pur sempre calcolata sui contributi versati e, dunque, sottostante alle medesime regole ai fini della misura. Tuttavia l’invalidità è regolata da requisiti sottoposti ad accertamenti dopo la presentazione della domanda che solo in parte potrebbero soddisfare quelli della pensione con quota 41.

Requisiti richiesti dall’Inps per la domanda di assegno di invalidità ordinario

Pur non essendo prevista la cessazione dell’attività lavorativa, chi presenta domanda di pensione di invalidità deve aver subito la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo a causa dell’infermità fisica o mentale. Inoltre, per ottenere l’assegno di invalidità, è necessaria una contribuzione di almeno 260 settimane, pari a 5 anni di contribuzione e di assicurazione, delle quali 156 settimane, pari a 3 anni di contribuzione e di assicurazione, devono rientrare nei cinque anni che precedono la data di presentazione della domanda.

Riduzione della capacità lavorativa nell’invalidità e nella pensione con quota 41

Un punto importante da tener presente sia nell’assegno di invalidità che nella pensione con quota 41 è la riduzione della capacità lavorativa. Infatti, mentre l’Inps per la domanda di invalidità parla di una riduzione a “meno di un terzo della capacità lavorativa”, per la quota 41 dei precoci la riduzione accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile deve essere superiore o per lo meno uguale al 74%.

Quando la ridotta capacità lavorativa va bene per l’invalidità ma non per la quota 41?

C’è una zona grigia nella quale l’invalidità dell’una non è sufficiente per i requisiti richiesti dall’altra misura di pensione. Ciò significa che una ridotta capacità lavorativa al 30% soddisferebbe il requisito per la pensione di invalidità ma non quello della quota 41 dei precoci. È facile intuire che per quest’ultima misura la ridotta capacità al 30% rappresenterebbe una condizione non sufficiente (una delle quattro situazioni nelle quali può trovarsi un lavoratore per chiedere la quota 41 insieme alla condizione di disoccupazione, all’assistenza di persone non autosufficienti o allo svolgimento di mansioni usuranti o gravose) per presentare la domanda.

I requisiti dei contributi richiesti per le pensioni con quota 41

È altrettanto vero che la pensione con la quota 41 richiede ulteriori requisiti per la presentazione della domanda. In merito al versamento dei 41 anni di contributi, infatti, la legge richiede che almeno 12 mesi siano stati versati, anche in maniera non continuativa, prima dei 19 anni di età del contribuente. Pertanto, l’ipotetica richiesta del passaggio dall’assegno di invalidità alla pensione con quota 41 necessiterebbe di una verifica:

  • sia del montante dei contributi versati, con traguardo dei 41 anni di versamenti a qualsiasi età venga raggiunto;
  • che dell’inizio della prima attività lavorativa in età adolescenziale.

Trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia a 67 anni

Tornando nel campo di applicazione delle norme previdenziali, chi percepisce una pensione di invalidità ordinaria deve aspettare la maturazione della pensione di vecchiaia per vedersi trasformato l’assegno di invalidità in, appunto, pensione di vecchiaia. Questo passaggio avviene al compimento dei 67 anni di età. Pertanto, il contribuente già titolare di assegno di invalidità definitivo ha come obiettivo del suo trattamento solo quello della trasformazione in pensione di vecchiaia. Risulta pertanto incompatibile il passaggio a una formula di pensione anticipata come la quota 41 dei precoci.

 

Assunzione come categoria protetta: caratteristiche e informazioni

L’assunzione come categoria protetta riguarda soggetti che manifestano una riduzione della capacità lavorativa e per questo motivo hanno diritto ad agevolazioni attraverso il  diritto al collocamento obbligatorio.

Legge 68 del 1999

L’assunzione come categoria protetta è prevista nella legge 68 del 1999 (mentre il DPR 333 del 2000 contiene norme di attuazione), questa norma ha l’obiettivo di dare sostegno a coloro che sono svantaggiati nell’inserimento nel mondo del lavoro e prevede l’obbligo per le aziende che hanno più di 15 dipendenti di avere una quota di riserva: questa corrisponde al collocamento obbligatorio o mirato.

Chi ha diritto all’assunzione come categoria protetta

L’articolo 1 della legge 68 del 1999 indica chi sono i beneficiari dell’assunzione come categoria protetta:

  • persone che hanno un’età compresa tra i 18 e i 67 anni di età;
  • Invalidità certificata dall’INAIL almeno del 33%;
  • Minorazioni sensoriali, psichiche o fisiche;
  • Portatori di handicap intellettivo;
  • Riduzione dell’abilità lavorative superiore al 45%;
  • Sordità;
  • Cecità con un residuo visivo non superiore a 1/10 su entrambi gli occhi;
  • Invalidi di guerra;
  • Riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità civile.

Abbiamo viso i casi di persone che hanno dei problemi di “salute”, o meglio disabilità, che vanno a compromettere le normali capacità lavorative e di conseguenza hanno diritto ad avere un lavoro che sia compatibile con le condizioni di salute e capacità residue. Deve però essere sottolineato che le categorie protette non sono solo queste, infatti la legge prevede il diritto all’assunzione come categoria protetta anche i:

  • Familiari delle vittime della criminalità;
  • coniugi e figli di soggetti che sono deceduti sul lavoro o per causa del lavoro, servizio o guerra o le cui condizioni di salute, compromesse per causa di lavoro, servizio o guerra si siano aggravate (art 18 comma 2);
  • rimpatriati riconosciuti ai sensi della legge n. 763/81

Condizioni per l’iscrizione nelle liste di collocamento mirato

Per poter essere iscritti nelle liste di collocamento obbligatorio o mirato è necessario essere disoccupati o non occupati, vi sono però delle eccezioni. Si può accedere all’iscrizione nelle liste di collocamento mirato anche quando non si è disoccupati, ovviamente vi sono limiti, in particolare possono essere iscritti coloro che:

  • hanno un contratto di lavoro subordinato o parasubordinato con un reddito annuo lordo non superiore a 8.000 euro;
  • contratto di lavoro autonomo, anche occasionale, con reddito annuo inferiore a 4800 euro;
  • lavoro a progetto;
  • contratto di lavoro subordinato per un periodo inferiore a 6 mesi.

Coloro che si trovano nella situazione indicata devono richiedere l’iscrizione nelle categorie protette presso il Centro per l’Impiego competente per territorio, deve però essere ricordato che tale iscrizione deve essere confermata ogni 12 mesi, se non si procede si viene cancellati dalle liste di collocamento previste dalla legge 68. Si parla anche di conferma della disponibilità immediata al lavoro (conferma Did).

Obblighi per le aziende

Le aziende con più di 15 dipendenti hanno l’obbligo di assunzione categorie protette, vi sono però dei limiti, infatti:

  • se i dipendenti non superano le 35 unità vi è obbligo di inserire un solo lavoratore iscritto nel collocamento mirato;
  • per le aziende che occupano dai 36 ai 50 dipendenti vi è obbligo di assumere 2 persone;
  • per le aziende con più di 51 dipendenti, i lavoratori iscritti nelle liste di collocamento mirato devono rappresentare il 7% degli assunti.

Per quanto riguarda i lavoratori tutelati ma non disabili, l’obbligo è previsto solo per le aziende con almeno 50 dipendenti; se i dipendenti non superano i 150, vi è obbligo di assumere un solo lavoratore in tale condizione, per le aziende che superano i 150 dipendenti la quota è dell’1%.

Procedura per assunzone come categoria protetta

Le aziende entro il 31 gennaio di ogni anno devono far pervenire il prospetto informativo ai centri per l’impiego, farlo è molto semplice infatti basta collegarsi al sito Cliclavoro, scegliere la sezione “Imprese, Adempimenti” e infine “Prospetto Informativo“, indicare la regione in cui è ubicata l’azienda e inoltrare il prospetto. In questo deve essere indicato il numero di dipendenti e il numero di coloro che sono nel collocamento mirato.

Le aziende possono optare per l’assunzione nominale di invalidi, oppure accedere alle liste di collocamento e utilizzare le graduatorie.

Assunzione categorie protette Pubblica amministrazione 2021-06-01

Naturalmente anche le Pubbliche Amministrazioni hanno l’obbligo di assumere le persone presenti nelle categorie protette; possono farlo attraverso:

  •  bandi di concorso specifici;
  • richiesta di avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento presso il centro per l’impiego di riferimento;
  • convenzione.

Esonero assunzione categorie protette

Vi sono aziende che sebbene abbiano più di 15 dipendenti possono essere esonerate dagli obblighi assunzionali visti, si tratta di attività imprenditoriali che operano in settori in cui sono richieste abilità specifiche, ad esempio imprese edili, trasporto pubblico, polizia e protezione civile. Negli ultimi due casi è possibile assumere con il collocamento obbligatorio solo per i ruoli amministrativi.

Al di là di questi casi specifici le imprese ed enti pubblici possono chiedere l’esonero indicando i motivi per i quali non è possibile coprire per intero la quota riservata al collocamento obbligatorio. I casi in cui è possibile sono limitati, in particolare possono richiedere l’esonero parziale le aziende che dimostrino che le attività da svolgere in azienda siano particolarmente faticose, pericolose, richiedano particolari modalità di svolgimento. Un caso particolare riguarda le aziende che sono tenute al versamento di un tasso di premio INAIL superiore al 60 per mille.

Patologie legge 104 del 1992: quali sono riconosciute?

Le patologie che danno diritto a usufruire della legge 104 del 1992 sono davvero numerose e riguardano tutti gli apparati dell’organismo umano. In seguito ci sarà una disamina che ha come punto di riferimento le tabelle ministeriali.

Patologie legge 104 del 1992

Deve essere premesso che il campo della legge 104 del 1992 è davvero vasto, quindi per ulteriori approfondimenti si rimanda ad altri articoli specifici, mentre in questa sede ci occuperemo solo delle patologie che consentono di ottenere una percentuale di invalidità tale da ottenere i benefici della legge 104 del 1992.

Patologie dell’apparato circolatorio

Tra le patologie che frequentemente danno diritto al riconoscimento dei benefici della legge 104 ci sono quelle dell’apparato cardiocircolatorio. Può trattarsi di :

  • aritmie: possono essere classificate gravi o gravissime e per loro è prevista una percentuale di invalidità che va da 71% al 100%;
  • coronopatie, anche in questo caso di diversa entità, con riconoscimento della condizione di gravità elevata in caso di allettamento. La percentuale di invalidità anche in questo caso va dal 71% al 100%;
  •  miocardiopatie che possono portare al riconoscimento dal 71% al 100% di invalidità;
  • trapianto cardiaco complicato con riconoscimento della percentuale di invalidità dal 61% al 100%;
  • valvulopatie, aneurisma, arteriopatia ostruttiva cronica, pericardite cronica o esiti di pericardite cronica, pervietà del dotto arterioso, difetto interatriale, tutte queste patologie in base alla gravità possono portare al riconoscimento di una percentuale di invalidità dal 71% al 100%.

Patologie legge 104 del 1992: apparato respiratorio

Le patologie dell’apparato respiratorio che possono portare al riconoscimento dell’invalidità sono altrettanto numerose, si tratta di: BPC (Broncopneumopatie)  asmatiche gravi e severe, BPC ostruttive e BPC restrittive, interstiziopatie gravi e severe. Anche per le patologie dell’apparato respiratorio menzionate le percentuali di invalidità che si possono ottenere variano dal 71% al 100%. Alle altre patologie di tale apparato vengono riconosciute percentuali di invalidità che non consentono di ottenere i benefici della legge 104 del 1992.

Patologie dell’apparato digerente

Tra le patologie che danno diritto al riconoscimento dei benefici della legge 104 ci sono quelle dell’apparato digerente, in particolare la stenosi esofagea con disfagia o ostruzione, si tratta di una patologia che rende difficile, o impossibile, deglutire e in base alla gravità l’invalidità riconosciuta varia  dal 71% al 100%.

La cirrosi epatica classe B porta a un riconoscimento di invalidità dal 61% all’80%, mentre in classe C dall’81% al 100%. Trapianto di fegato e trapianto di intestino comportano il riconoscimento di una percentuale che varia dal 61% all’80%;

In base alle tabelle ministeriali la sindrome da malassorbimento enterogeno da patologia pancreatica o intestinale stenotica e/o infiammatoria e/o da resezione causa un’invalidità dal 61% all’80%. Il range è invece più ampio nel caso in cui si soffra di malattie infiammatorie croniche intestinali, infatti varia dal 61% al 100%.

L’insufficienza renale cronica, terminale o in emodialisi porta ad un riconoscimento dal 61% al 100%, mentre il trapianto renale porta al riconoscimento di una percentuale che varia dal 51% al 100%.

Patologie legge 104 del 1992: apparato osteoarticolare

Hanno come conseguenza un’elevata percentuale di invalidità anche le patologie che interessano l’apparato osteoarticolare, ad esempio l’amputazione di un arto porta al riconoscimento di una percentuale di invalidità al 100%; l’amputazione o perdita delle due mani con protesi funzionale, invece comporta un’invalidità all’80%; l’amputazione bilaterale della coscia protesizzabile prevede il riconosicmento dell’80% di invalidità, mentre se non è possibile avere le protesi l’invalidità è al 100%.

Apparato neurologico

Anche di fronte a patologie che riguardano l’apparato neurologico vi è il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge 104, in questo caso però molto dipende dallo stadio in cui si trova la patologia. Ad esempio il morbo di Alzheimer può portare al riconoscimento dall’ 81% al 100% dell’invalidità. Lo stesso discorso può essere fatto con la demenza vascolare riconosciuta dal grado lieve con l’81% di invalidità fino al grado grave. Per la sclerosi si applica una scala di gravità che va da 0 a 10, al livello 4 viene assegnato un punteggio del 61%, naturalmente aumentando la gravità aumenta anche la percentuale di invalidità. Per il Parkinson la percentuale è pari al 71% in caso di malattia bilaterale di entità lieve o moderata, naturalmente all’aumentare della gravità, aumenta la percentuale.

Discorso in parte diverso viene fatto per l’epilessia, in questo caso contano le crisi settimanali, se la frequenza è plurisettimanale la percentuale va dal 71% al 90%, se gli episodi sono più frequenti aumenta la percentuale.  Particolare potere invalidante viene poi riconosciuto alle paresi che portano a un’invalidità dal 71% al 100%, la paraplegia e la distrofia di Duchenne invece portano al riconoscimento del 100% di invalidità, mentre l’atassia  viene valutata in base alla gravità dal 71% al 100%. Il mielomeningocele viene valutato in base alla gravità dal 71% al 100%, le miopatie e la sindrome della cauda equina sono valutate dal 71% al 100%.

Patologie psichiche

Possono portare al riconoscimento dell’invalidità anche le patologie psichiche, anche in questo caso molto dipende dalla gravità dei sintomi che il paziente palesa, infatti si può ottenere il riconoscimento della legge 104 con la schizofrenia, disturbo bipolare, depressione, paranoia, anoressia, ritardo mentale, depressione.

Patologie apparato uditivo, visivo, fonatorio

Per quanto riguarda l’udito viene riconosciuto  l’80% di invalidità nel caso in cui si verifichi una perdita di udito grave bilaterale con conseguenti difficoltà fonatorie dovute alla sordità. Per la vista, il riconoscimento dell’invalidità da legge 104 si ha in caso di una ipovisione grave con campo visivo residuo tra il 29% e il 10%, in questo caso l’invalidità è al 60%. Naturalmente la percentuale aumenta nel momento in cui il residuo visivo sia più basso e si parla di cecità parziale o cecità totale. Si deve infine parlare delle patologie dell’apparato fonatorio, in questo caso la percentuale di invalidità è del 70% in caso di laringectomia totale e dell’80% se questa è accompagnata da tracheostomia.

Altre patologie legge 104 del 1992

Sono riconosciute le patologie congenite, ad esempio la sindome down, patau (trisomia 13), di edward, trisomia 9, monosomia 5p o sindrome del “cri du chat”,  oloprosencefalia alobare o semilobar che danno il riconoscimento del 100% di invalidità.

L’artrite reumatoide in base alla gravità porta ad un’invalidità dal 21% al 100%. Le neoplasie, le infezioni da HIV, la talassemia hanno una percentuale di invalidità dal 21% al 100%. Tra le patologie invalidanti c’è l’artrosi che ha un range davvero molto ampio, cioè dal 5% al 100%. Il diabete mellito porta al riconoscimento di invalidità se è  accompagnato da complicanze di grado moderato e la percentuale minima è il 61% per arrivare al 100% nei casi più gravi. Portano al riconoscimento della legge 104 del 1992 anche la acromegalia e la sindrome di cushing.

Occorre ricordare che quando sono presenti più patologie  i punteggi delle stesse non vengono sommati, ma si procede ad una valutazione complessiva della situazione del paziente avendo come punto di riferimento la reale menomazione delle capacità della persona e applicando una formula specifica.