Confindustria Anie: missione Sudafrica

 

Sono volati a Johannesburg fino al prossimo 25 ottobre gli imprenditori di Confindustria Anie: le aziende italiane di elettrotecnica ed elettronica sono infatti in corsa per aggiudicarsi commesse del valore pari a  30 miliardi nel settore energetico e di altri 26 miliardi nel settore dei trasporti nella capitale sudafricana.

Le imprese che hanno aderito alla missione sudafricana sono in totale 10 e in questi giorni incontreranno oltre 100 uomini d’affari e vertici delle aziende locali, che operano nel campo dell’energia, dell’automazione, dei trasporti ferroviari e della sicurezza, per fare il punto su investimenti e  nuove risorse.

Il futuro fa bene sperare, se si pensa che secondo i dati aggiornati al 2011, l’Italia ha realizzato in Sud Africa investimenti diretti esteri pari a 500 milioni di euro, mentre il numero di imprese made in Italy operanti in Sud Africa sono circa 50, che coprono una quota sul totale degli investimenti diretti esteri implementati nel Paese pari al 3%.

Ma quali sono i settori dell’industria che coinvolgono da vicino gli imprenditori italiani all’altro capo del Continente Nero? Meccanica strumentale al primo posto, seguita dalla componentistica, mezzi di trasporto, settore chimico ed naturalmente il tessile  e l’abbigliamento.

Nel dettaglio, nel 2011, il Bel Paese è decimo nella graduatoria dei principali Paesi fornitori del Sud Africa, con una quota di mercato pari al 2,7%, in crescita del 33% rispetto al 2010; l’export destinato al Sud Africa ha superato quota 1,7 miliardi di euro.

Ma quali sono le previsioni per il 2012? I pronostici stimano un rialzo intorno ai 10% del giro d’affari rispetto al 2011; in particolare l’export, nei primi mesi dell’anno,  ha inciso per il 9% sul totale esportato dalle nostre imprese, con particolare riferimento ai mercati dell’elettrotecnica e dell’elettronica . Se a fine 2011 le esportazioni italiane di tecnologie elettrotecniche ed elettroniche verso il Sud Africa ammontavano a 156 milioni di euro, solo nel primo semestre del 2012 le esportazioni  hanno raggiunto quota 75,4 milioni di euro.

Alessia CASIRAGHI

In arrivo per le pmi un platfond da 300 milioni per gli investimenti all’estero

Soldi freschi sono in arrivo per le piccole e medie imprese italiane che investono in progetti di sviluppo delle proprie attività all’estero. Unicredit e Sace infatti hanno firmato un accordo per il sostegno di tali investimenti. L’intesa prevede lo stanziamento di un platfond da 300 milioni di euro per linee di credito a medio e lungo termine.

I finanziamenti, per importi compresi tra 100 mila e 5 milioni di euro e con durate tra 3 e 5 anni, beneficeranno della garanzia di Sace fino al 70% e saranno erogati da Unicredit in forma di mutuo chirografario. Le imprese che potranno accedere ai finanziamenti saranno per metà pmi e per la parte rimanente aziende con fatturato annuo inferiore a 250 milioni. Tutte dovranno avere significative attività estere e realizzare almeno il 10 per cento del fatturato al di fuori del nostro Paese pur mantenendo sede, direzione, ricerca e parte preponderante della produzione in Italia.

“L’insufficienza del credito è tra i nodi più pressanti da sciogliere per consentire alle imprese di tornare su un percorso di crescita e richiede azioni di risposta concertate tra più soggetti -ha spiegato Raoul Ascari, chief operating officer di Sace-. L’accordo di oggi rafforza la collaborazione di Sace con il sistema bancario italiano, un’esperienza positiva che ci permette di sostenere progetti di sviluppo di un bacino sempre più ampio di pmi”. Soddisfatto anche Gabriele Piccini, country chairman Italia di Unicredit. “Grazie a questo accordo con Sace possiamo incrementare ulteriormente il nostro supporto finanziario al necessario processo di irrobustimento della presenza delle imprese italiane all’estero”.

Professionisti, ecco la ricetta anticrisi

La pioggia di tasse, gli investimenti in calo e la troppa burocrazia. La libera professione in Italia sembra essere diventata un privilegio per pochi. E per chi ha scelto di mettersi in proprio, le difficoltà  non si contano. E’ di qualche giorno fa la notizia secondo la quale, in base al nuovo ddl sulla spending review, anche i liberi professionisti potranno compensare i crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione con le eventuali posizioni debitorie nei confronti del Fisco.

Ma che cosa potrebbe fare concretamente il Governo per favorire la crescita e lo sviluppo della libera professione in Italia? Lo abbiamo chiesto a tre professionisti: un agente immobiliare, un pubblicitario e un commercialista. Per capire qual è la temperatura che si respira nel settore della compravendita di immobili, nel mondo della comunicazione e nella selva intricata di chi ogni giorno ha a che fare con tasse e fisco. E scoprire qual è la loro ricetta anticrisi. Ecco il video.

Alessia CASIRAGHI

Modena: contributi alle imprese commerciali e artigianali

Contributi alle imprese commerciali e artigianali e ai pubblici esercizi di Modena per investimenti.

Li mette a disposizione il progetto “Azione credito 2012″ grazie alla convenzione stipulata dal Comune con i Consorzi fidi che, attraverso un primo fondo di 35 mila euro dell’assessorato alle Politiche economiche, deliberato ieri dalla giunta, permette un abbattimento del tasso di interesse sulle richieste di finanziamento alle banche da parte delle imprese.

Possono beneficiare dei contributi, per nuove aperture o per interventi di riqualificazione, le attivita’ commerciali, quelle artigianali con produzione e vendita al pubblico e gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, ma anche le imprese produttive con qualifica artigiana o industriale fino a un massimo di 20 addetti. Tutte le imprese interessate devono avere sede sul territorio comunale. Per le riqualificazioni e per l’apertura di nuove attivita’ l’abbattimento degli interessi sara’ del 2,5% su un importo massimo di 50 mila euro, indipendentemente dall’entita’ del finanziamento concesso.

Fonte: linformazione.com

Un antidoto alla crisi? Investire nell’ICT

di Manuele MORO

Mentre l’Italia attraversa una delle peggiori crisi economiche di tutti i tempi, i maggiori luminari del settore si interrogano su quali misure adottare per riuscire nell’ardua impresa di ridurre il sempre più preoccupante debito pubblico accumulato e, al tempo stesso, incentivare la crescita.

Ecco, una piccola risposta in questo senso, sicuramente parziale ma non per questo meno significativa, arriva dal convegno Crisi finanziaria e rilancio dell’economia: quello che l’Ict può fare, organizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano insieme a Cefriel, con il patrocinio di Assinform, Aused e ClubTI.

Come chiaramente evidenziato dal titolo, scopo dell’iniziativa era fornire dati attendibili a sostegno di quella tesi ampiamente condivisa, ma mai supportata da numeri chiari e inequivocabili, che vede nella capillare diffusione delle tecnologie digitali in ambito business una delle chiavi per il rilancio delle imprese e dell’economia nel suo complesso.

E i risultati dell’indagine, presentati lo scorso 30 novembre al Politecnico di Milano, parlano chiaro:   maggiori investimenti nell’ICT renderebbero possibile non solo un incremento del PIL tra lo 0,4 e lo 0,9%, ma anche un notevole risparmio di risorse, fino a 43 miliardi di euro all’anno. E tutto questo solo nella Pubblica Amministrazione.

L’eProcurement, ad esempio, consentirebbe di ridurre la spesa che la PA sostiene annualmente per gli acquisti di ben 4 miliardi di euro, mentre con la digitalizzazione di alcuni processi burocratici e la semplificazione delle procedure di pagamento si recupererebbero addirittura 24 miliardi di euro. Allo stesso tempo, la maggiore produttività del personale permetterebbe di liberare altri 15 miliardi.

A stupire è soprattutto la (relativa) esiguità degli investimenti necessari nell’immediato per ottenere risultati di questa portata: poco meno di 3 miliardi di euro, da indirizzare soprattutto allo sviluppo della banda larga e ultralarga, ma anche al finanziamento delle start-up più promettenti in ambito hi-tech.

Fin qui, tutto bene. Ma i soggetti direttamente interessati, ossia le imprese italiane, sono davvero consapevoli dell’importanza strategica delle nuove tecnologie digitali? Non a sufficienza purtroppo, perlomeno a giudicare dalle risposte raccolte dai ricercatori della School of Management su un campione di oltre 170 aziende: nel 2012, infatti, la maggioranza è intenzionata a mantenere invariato il budget ICT, che viene però in larga parte assorbito dai costi di gestione.

La parte più consistente di questi fondi, in ogni caso, sarà destinata alla razionalizzazione dei sistemi informativi (sviluppo dei data center e delle soluzioni cloud) e alla digitalizzazione dei processi aziendali: una decisione che, secondo Mariano Corso, responsabile scientifico della ricerca, è indice del tentativo da parte delle divisioni ICT di “autofinanziare l’innovazione attraverso il recupero di risorse”.

d.S.

Un nuovo codice tributo per aiutare le imprese siciliane

di Vera MORETTI

Il frutto della convenzione siglata tra Agenzia delle Entrate e Regione Sicilia nel novembre 2010 e istituito con risoluzione 118/E del 9 dicembre è il codice tributo 3897, che permette alle imprese siciliane che operano nei settori estrattivo, manifatturiero, del turismo, dei servizi e anche le artigiane, di usufruire del credito d’imposta concesso dalla propria Amministrazione regionale, con legge 11/2009, utilizzandolo in compensazione con il modello F24.

Tali settori imprenditoriali, dunque, potranno usufruire di un credito d’imposta solo se effettueranno nuovi investimenti entro il 31 dicembre 2013, per incentivare la crescita e lo sviluppo dell’economia dell’isola.

Gli importi saranno diversi a seconda della misura delle aziende. Ad esempio, le aziende che si occupano di turismo si aggiudicheranno il contributo solo se i costi degli investimenti saranno almeno pari a 100mila euro ma non superiori a 4 milioni, mentre i limiti per le microimprese vanno da un minimo di 50mila a un massimo di 500mila euro, per le piccole da 100mila a un milione, per le medie e le grandi imprese, invece, da 500mila a 4 milioni di euro.

Si legge nell’articolo 6 della legge regionale: “Il credito d’imposta, determinato con riguardo ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d’imposta, va indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di maturazione ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modifiche ed integrazioni, a decorrere dalla data di sostenimento dei costi”.

Nell’F24, il tributo con codice 3897, identificato con la dicitura “Credito d’imposta per nuovi investimenti e per la crescita dimensionale delle imprese-Regione Siciliana – L.R. n. 11/2009”, si trova nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “Importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente deve riversare il credito, in quella “Importi a debito versati”, e sarà operativo dal prossimo 15 dicembre.

La stretta via per la banda larga

Ormai è un dato di fatto: Internet è un motore economico di straordinaria potenza, capace di creare posti di lavoro e ricchezza. Attraverso il web qualsiasi impresa può aprirsi a nuovi mercati, altrimenti inaccessibili, e recuperare così competitività. Certo, questo richiede uno sforzo di modernizzazione considerevole, ma il gioco vale sicuramente la candela.

Fin qui, tutti d’accordo. Ma esattamente quanto incide Internet sulla crescita economica di un Paese? Oggi, grazie ad un recente studio condotto dal colosso svedese Ericsson, in collaborazione con la società di consulenza Arthur D. Little e la Chalmers University of Technology, abbiamo numeri e dati certi a nostra disposizione.

Nello specifico, l’indagine in questione ha misurato il rapporto tra la velocità di connessione a banda larga e il PIL in 33 paesi dell’OCSE, tra cui l’Italia: secondo quanto emerso, a un raddoppio della velocità online corrisponde un aumento del Prodotto Interno Lordo pari allo 0,3%, oltre un settimo del tasso annuale di crescita medio fatto registrare dagli stati membri dell’organizzazione nell’ultimo decennio.

Gli effetti economici positivi che Internet è in grado di produrre sono stati suddivisi in tre gruppi: diretti, ossia nel breve termine (per esempio, nuovi posti di lavoro per realizzare le necessarie infrastrutture); indiretti, quando l’orizzonte temporale si dilata (maggiore efficienza complessiva a livello produttivo); indotti, derivanti cioè dall’introduzione di servizi di pubblica utilità d’avanguardia e modelli di business innovativi (telelavoro).

L’Italia purtroppo non brilla in nessuna di queste tre categorie. Anzi, da questo punto di vista, la situazione negli ultimi anni è andata progressivamente peggiorando.

Secondo un rapporto redatto dalla società di consulenza McKinsey in occasione del G8 dello scorso maggio, infatti, il digital divide che ci separa dalle maggiori potenze mondiali è preoccupante: solo per fare un esempio, negli ultimi quindici anni i posti di lavoro creati da Internet nel nostro paese sono stati 700mila, contro 1 milione e 200mila in Francia. Anche per quanto riguarda la penetrazione della fibra ottica i dati non sono incoraggianti: alla fine del 2010 con 348mila abbonati l’Italia figurava al penultimo posto nella classifica europea, davanti solo alla Turchia.

Nonostante i numerosi appelli alle istituzioni, gli investimenti nella banda larga sono stati finora insufficienti. L’ultima doccia fredda è arrivata con la nuova bozza della legge di Stabilità: i 770 milioni derivanti dall’asta per le frequenze 4G, che originariamente sarebbero dovuti andare alle telecomunicazioni, sono stati invece dirottati verso la Pubblica Istruzione e il Tesoro.

Senza una decisa inversione di tendenza, l’Italia rischia di restare al palo. E con l’attuale congiuntura economica sfavorevole, nessuno può permettersi di tenere spento un motore economico potente come Internet.

Manuele Moro

Modena: Pmi dimezzano investimenti seguendo il trend nazionale

Ipso per Intesa San Paolo ha verificato tramite sondaggio nazionale le previsioni di investimento delle Pmi nel futuro. Il quadro non è dei migliori. Anche le associazioni di categoria di Modena confermano la tendenza nazionale. Nel primo trimestre del 2011, le imprese modenesi hanno effettuato la metà degli investimenti che effettuavano al quarto trimestre del 2008. Anche gli investimenti in immobilizzazioni materiali sono scesi precipitosamente da 86.8 al quarto trimestre 2008, ad un 56.6 per il primo trimestre 2011.

Luigi Mai, presidente provinciale di Cna commenta: “La mancanza di fiducia è palpabile tra i piccoli imprenditori modenesi. Per questo se ne esce solo se saranno adottate le riforme – come Fisco e burocrazia – in grado di darci una prospettiva. Gli scenari economici non oltrepassano i tre mesi e diventa difficile scommettere sul futuro con politiche di investimento aggressive“.

Massimo Fogliani, direttore di Confapi pmi Modena, afferma: “Ciò che emerge dallo studio è sostanzialmente confermato anche a livello delle pmi modenesi. Una corrispondenza è riscontrabile, ad esempio, in ciò che riguarda i timori connessi all’alto costo del lavoro“.

Erio Luigi Munari, presidente di Lapam aggiunge: “In momenti come questi – aggiunge – l’incertezza fa da padrona. Ma guarderei i dati valutando il rovescio della medaglia, guardando con orgoglio a quel quarto di imprese che ancora oggi ci crede e decide di investire. Una fetta che potrebbe aumentare con strumenti indispensabili come finora è stato ad esempio Unifidi. Ma non solo. Ci sono riforme legislative che potrebbero essere attuate a costo zero, ma non vengono messe in atto, mentre si ha bisogno di flessibilità per mantenere un territorio impostato sulla manifattura“.

Ricerca e innovazione Italia: il report

Un report su ricerca e innovazione in Italia è stato commissionato dal prestigioso Nature Publishing Group.

Il curatore, David King, ha calcolato l’impatto scientifico delle nazioni e individuato la comunità scientifica italiana come una delle più brave al mondo, in proporzione.
Il richiamo alle proporzioni è necessario perché in Italia i ricercatori sono 96 mila, meno della metà di francesi e tedeschi e meno anche dei 131 mila spagnoli.

Con 19 miliardi di dollari l’anno spesi in ricerca e sviluppo (appena l’1,1% della ricchezza nazionale), l’Italia è dodicesima al mondo nella classifica degli investimenti, decisamente dietro ai partner del G8 ma anche alle potenze emergenti e alla Corea del Sud.
La grande industria brilla per la sua assenza: meno del 40% dei ricercatori lavora nelle imprese contro il 70-80 di Francia e Germania.
La maggioranza dei ricercatori italiani lavora nelle università, quindi in condizioni quasi sempre penalizzanti.

Ultimo mese per usufruire delle agevolazioni della Tremonti-ter.

Il D.L. 78/2009 ha introdotto la cosiddetta Tremonti-ter, un’agevolazione che consente agli imprenditori di fruire di un risparmio fiscale pari al 50% degli investimenti effettuati nell’acquisto di macchinari e impianti rientranti nella divisione 28 della tabella Ateco 2007.

Per poter usufruire dello sgravio è necessario aver effettuato investimenti, mediante l’acquisto di nuovi macchinari e apparecchiature, nel periodo compreso tra il 1 luglio 2009 e il 30 giugno 2010.

Per capire la convenienza di questo incentivo è necessario spiegare in cosa esso effettivamente consista: al sussistere delle condizioni sopradette, si applica uno sconto fiscale sul reddito d’impresa pari al 50% del valore degli investimenti effettuati. Ciò significa che vi è un abbattimento del 50% direttamente sul reddito d’impresa, sul quale poi verrà calcolata l’imposta.

È utile segnalare che possono usufruire del regime anche le imprese che nell’anno hanno realizzato una perdita d’esercizio: in questo caso pertanto non vi sarà una riduzione del reddito, ma un incremento della perdita, pari al 50% del valore degli investimenti effettuati. Ovviamente, mentre coloro che rientrano nel regime della contabilità ordinaria hanno la possibilità di riportare la perdita realizzata negli esercizi successivi, non oltre il quarto, coloro che adottano il regime della contabilità semplificata non hanno questa facoltà e pertanto perderanno del tutto lo sconto fiscale.

Per calcolare il valore degli investimenti, sul quale poi verrà quantificato il risparmio d’imposta, è necessario tener presente che esso è dato dal costo sostenuto per l’acquisto dei nuovi macchinari e attrezzature, comprensivo dell’iva indetraibile e di tutti i costi accessori di diretta imputazione. Non devono invece essere inclusi i costi relativi alle spese generali e agli interessi passivi. Questi ultimi, tuttavia, devono essere considerati se capitalizzabili.

È possibile servirsi dell’agevolazione anche nei seguenti casi:

  • beni utilizzati in virtù di un contratto di leasing (possono godere del beneficio solo i soggetti utilizzatori),
  • investimento effettuato mediante contratto di appalto,
  • beni realizzati in economia,
  • acquisti di beni effettuati con patto di riservato dominio.

Gli imprenditori che usufruiscono dell’agevolazione Tremonti-ter per il periodo d’imposta 2009, sono tenuti alla compilazione dei seguenti righi della dichiarazione dei redditi, al fine di evidenziare la quota di incentivo fiscale da dedurre dal reddito complessivo d’impresa.

Il rigo RS 23 deve essere compilato nel seguente modo:

  • in corrispondenza della colonna 1 va indicato l’ammontare complessivo degli investimenti effettuati;
  • in corrispondenza della colonna 2 va indicato il 50% del valore riportato nella colonna 1.

L’ammontare indicato nella colonna 2 del Rigo RS 23 deve essere riportato anche nei seguenti righi: RF 47 colonna 1, RG 22 colonna 1, RD 12, RJ 12 colonna 1.