Il mercato immobiliare rialza la china

Le compravendite immobiliari ed i mutui in Italia nel secondo trimestre del 2010 continuano la loro risalita. Secondo i dati diffusi dall’Istat lo scorso 16 novembre nel trimestre in esame le convenzioni relative a compravendite di unità immobiliari si sono attestate a 227.140 unità, registrando una crescita del 2,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. Un dato che conferma la ripresa del mercato immobiliare, iniziata nel trimestre precedente. Tuttavia è da tenere presente che questo andamento positivo rilevato nel periodo gennaio-giugno 2010 non riporta il volume delle transazioni ai valori del 2006, prima della crisi del settore. Nel primo semestre dell’anno sono state infatti realizzate 417.868 compravendite (564.685 nel primo semestre 2006, -26%). Considerando la tipologia di utilizzo, la crescita tendenziale è nel trimestre dovuta unicamente alle compravendite di case (+2,6%), mentre quelle di immobili come investimento continuano frenare (4,8%). Geograficamente parlando le transazioni sono aumentate maggiormente al Sud (+7,4%) e al Centro (+5,9%). Nelle Isole la crescita è stata pari allo 0,8%, mentre nel Nord-Ovest e nel Nord-Est la contrazione è stata dello 0,5%. Ma la ripresa non riguarda solo le compravendite, ma anche il numero totale dei mutui, saliti nel trimestre del 4%.

fonte: Ansa

Crescono le esportazioni per le imprese italiane

A settembre le esportazioni italiane sono cresciute del 3% rispetto ad agosto e del 16,4% su base annua.

Secondo i dati Istat le importazioni sono rimaste pressoché invariate (+0,1%) su base mensile, mentre sono cresciute del 23,9% su base annua.

Il disavanzo commerciale risulta pari a 3,2 miliardi di euro, un valore più che triplo (meno 1 mld di euro) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Inoltre il deficit commerciale nei primi nove mesi dell’anno (-19,2 mld di euro) è quasi quintuplicato rispetto al 2009 (-4,1 mld di euro), mentre al netto di petrolio greggio e gas naturale si registra un avanzo di 19,3 mld di euro contro quello di 26,5 mld di euro dei primi nove mesi del 2009.

fonte: Ansa

Agriturismo: nel 2009 l’istat ha registrato un incremento del 2,9%. La Toscana è reggina

Secondo un’indagine Istat, risulterebbe che nel 2009 c’è stato un importante incremento di strutture agrituristiche. Le aziende agricole autorizzate all’esercizio dell’agriturismo censite nel 2009 sarebbero 19.019 cioè 539 in più (+2,9%) rispetto all’anno precedente. Gli incrementi più significativi riguardano la ristorazione e l’alloggio, che crescono, rispettivamente, di 407 e 347 unità. Oltre la metà delle aziende si trova in collina, più di un terzo in montagna e solo il 14,8% in pianura.

L’attività agrituristica è relativamente più concentrata nel Nord del Paese, dove si rilevano il 45,1% delle aziende, seguono il Centro con il 34,4% e il Mezzogiorno per il restante 20,5%. Gli agriturismi aumentano soprattutto nel Mezzogiorno. Le aziende con ristorazione sono prevalentemente localizzate nelle regioni settentrionali e nel Mezzogiorno (rispettivamente il 44,8% e il 32,1% del totale); circa l’80% degli alloggi agrituristici e’ equamente ripartito tra Nord e Centro.

Ma quali sono le regioni con il maggior numero di agriturismi? Toscana e Alto Adige, 4.046 aziende agrituristiche la prima, 2.863 aziende la seconda, sono le regioni in cui l’agriturismo risulta storicamente più radicato. L’attività agrituristica è significativa anche in Veneto, Lombardia e Umbria (con oltre mille aziende), Piemonte, Emilia-Romagna, Campania, Sardegna, Marche e Lazio (con oltre 700 aziende). Più di un’azienda agrituristica su tre è a conduzione femminile; è in Toscana che la presenza di donne alla guida di un agriturismo raggiunge la massima concentrazione, pari a circa un quarto del totale nazionale. Nel corso del 2009, sono 1.336 le nuove aziende autorizzate all’attività agrituristica e 797 quelle cessate; rispetto al 2008, risultano in aumento sia le nuove autorizzazioni (+143 unità) sia le cessazioni (+364 unità).

Devo scegliere il codice Ateco 2007 che identifica la mia attività: come faccio?

Seconda tappa del viaggio di Luigi P. nel mondo delle partite IVA. Oggi Luigi si trova a dover scegliere la classificazione della propria attività economica. Infoiva, grazie al contributo della dott.ssa Ippolita Pellegrini, gli spiega come fare.

Chi intraprende un’attività economica, sia di tipo imprenditoriale sia di tipo autonomo, deve segnalarla all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dall’inizio dell’attività o dalla costituzione della società. Per l’avvio dell’attività viene utilizzata la Comunicazione unica che si presenta all’ufficio del Registro delle imprese e che comprende anche i modelli di inizio attività.

  

E’ necessario individuare bene la tipologia di attività svolta dall’operatore, in modo da classificarsi correttamente e conoscere gli adempimenti fiscali da osservare.

La procedura di codificazione ATECO 2007 è l’unica regola adottata per la classificazione delle attività economiche, in sostituzione della tabella ATECOFIN 2004, in vigore fino al 31 dicembre 2007. Per la prima volta il mondo della statistica ufficiale, il mondo fiscale e quello camerale adottano la stessa classificazione delle attività economiche. Ciò consente di disporre di un criterio identico di individuazione delle imprese, le quali possono così entrare in contatto con le pubbliche istituzioni, dialogando tra loro e realizzando sinergie a favore sia dei contribuenti che delle istituzioni. 

Dott.ssa Ippolita PELLEGRINI | i.pellegrini[at]infoiva.it | (+39) 346.5278117 | Bisceglie
Laureata in Economia e Commercio presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bari nel 1995, la Dott.ssa Pellegrini è esperta in gestione aziendale e da 12 anni è Responsabile Contabilità e Bilancio di un gruppo di società di capitali, titolari di numerosi marchi, dedite alla produzione e alla commercializzazione di abbigliamento in Italia e all’estero. Iscritta all’Albo dei Dottori Commercialisti di Trani dal 2006, segue l’approfondimento della materia fiscale e tributaria e studia la fattibilità e la convenienza di operazioni aziendali particolari.

Leggi gli articoli già pubblicati dal Professionista.

Ho deciso di aprire la Partita Iva, come devo fare?

Prima tappa del viaggio di Luigi P. nel mondo delle partite IVA. Oggi Luigi deve compiere il passo iniziale: aprire una partita IVA. Infoiva, grazie al contributo della dott.ssa Ippolita Pellegrini, gli spiega come fare.

Se devi aprire una partita IVA significa che hai deciso di esercitare in modo abituale, organizzato e continuativo una qualsiasi attività di impresa, che deve essere presumibilmente remunerativa e che ti permetta di affrontare sia i costi tipici dell’attività di impresa che quelli connessi agli obblighi fiscali vari.

In passato, per aprire un’impresa era necessario rivolgersi a diversi uffici: Camera di Commercio, Inps, Inail, Agenzia delle Entrate.

Dal 1° Aprile 2010 la Comunicazione Unica è l’unica modalità possibile per creare una nuova impresa o comunicare variazioni di imprese già esistenti. Attraverso il collegamento via internet al sito del registro imprese è possibile effettuare la compilazione di tutte le schede necessarie per attivare l’impresa.

Per gli adempimenti relativi alle imprese individuali è possibile svolgere tutte le operazioni di compilazione e spedizione della pratica unicamente tramite il software Comunica Unica Impresa, senza necessità di utilizzare ulteriori strumenti.

 

Per gli adempimenti delle società è necessario utilizzare il software Fedra Plus  per compilare la modulistica e Comunica Impresa per completare e spedire la pratica. Anche le imprese individuali possono utilizzare questa modalità se la preferiscono a quella semplificata.

Prima di aprire la Partita Iva, dovrai scegliere il tuo codice attività, cioè il codice Ateco 2007 che identifica la tua attività. Per agevolarti nella ricerca del codice più adeguato, consulta il sito internet dell’Istat nella pagina relativa alla classificazione delle attività economiche Ateco 2007 e inserisci nel motore di ricerca una parola chiave che identifichi l’attività che andrai a svolgere. Il sistema ti segnalerà il codice più adeguato alla tua attività.

 

Dott.ssa Ippolita PELLEGRINI | i.pellegrini[at]infoiva.it |   (+39) 346.5278117 |  Bisceglie
Laureata in Economia e Commercio presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bari nel 1995, la Dott.ssa Pellegrini è esperta in gestione aziendale e da 12 anni è Responsabile Contabilità e Bilancio di un gruppo di società di capitali, titolari di numerosi marchi, dedite alla produzione e alla commercializzazione di abbigliamento in Italia e all’estero. Iscritta all’Albo dei Dottori Commercialisti di Trani dal 2006, segue l’approfondimento della materia fiscale e tributaria e studia la fattibilità e la convenienza di operazioni aziendali particolari.

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Aumenta l’offerta di lavoro nelle piccole imprese.

Secondo una recente rilevazione Istat, sembrerebbe in aumento l’offerta di posti di lavoro nelle imprese con almeno 10 dipendenti di industria e servizi privati. Nel secondo trimestre di quest’anno il tasso di posti vacanti sul totale dell’industria e dei servizi risulta pari allo 0,7% con un incremento di 0,2 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2009. Dai dati sono esclusi i servizi sociali e personali.

Se si punta sui prodotti a marchio commerciale si risparmia ed aumenta il potere d’acquisto.

Secondo una recente indagine svolta da Altroconsumo su 62 città italiane, fare la spesa costa in media 6.300 euro all’anno. Una cifra che potrebbe essere tranquillamente dimezzata facendo scelte oculate.

Con il potere d’acquisto per le famiglie ridotto secondo l’Istat del 2,6% nell’ultimo anno, scegliere dove fare la spesa e di conseguenza puntare sulla convenienza diventa cruciale, cosicché puntare sui prodotti in offerta consente di ottenere un risparmio medio del 21% che diventa in un anno una bella somma pari a circa 1.300 euro. Scegliere prodotti a marchio commerciale (quindi quello col logo dell’insegna sulla confezione) porta a un risparmio del 41%, pari a 2.500 euro in un anno. Se si acquistano i prodotti primo prezzo lo scontrino si dimezza, con un risparmio di 3.000 euro di media all’anno.

Export, notizie incoraggianti. Nel primo semestre +12,6%

Nel primo semestre di quest’anno l’export ha segnato un rialzo del 12,6%, rispetto allo stesso periodo del 2009. Questo è quanto quanto emerge dai dati dell’Istat sulle esportazioni delle Regioni italiane, che evidenziano ”aumenti particolarmente rilevanti per l’Italia insulare (+49,2%), dovuti al forte incremento del valore delle vendite all’estero di prodotti petroliferi raffinati.

Anche l’Italia meridionale e quella centrale – aggiunge l’Istituto – registrano incrementi superiori alla media nazionale, pari, rispettivamente, a più 15,3% e più 14%”.

In aumento i contratti di lavoro a chiamata. Ecco quando può essere stipulato.

Il lavoro a chiamata è uno speciale contratto di lavoro subordinato e può essere stipulato con obbligo di risposta alla chiamata e quindi con riconoscimento di un’indennità di disponibilità oppure senza obbligo di disponibilità alla chiamata e quindi senza nessuna indennità. Questo particolare tipo di contratto per lavoro a chiamata può essere stipulato sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato, senza che si applichi, in questo ultimo caso, la disciplina dei contratti a termine di cui al D.Lgs. n. 368/2001. Ciò significa che per l’instaurazione del contratto a chiamata a termine non devono ricorrere le causali oggettive previste da citato decreto, né devono applicarsi le altre regole, come, ad esempio, il rispetto di alcuni limiti nel caso di proroga o di un intervallo temporale minimo nel caso di reiterazione di contratti.

Lo stesso lavoratore può stipulare:

  • più contratti di lavoro a chiamata con più datori di lavoro;
  • un contratto di lavoro a chiamata in contemporanea con altre tipologie contrattuali

Il contratto di lavoro a chiamata non è compatibile:

  • con il part-time;
  • con l’apprendistato e il contratto di inserimento in quanto sono entrambi contratti che prevedono l’obbligo formativo;
  • con il lavoro a domicilio in quanto la retribuzione è proporzionata alle ore effettivamente lavorate e non alle tariffe di cottimo;

Il contratto di lavoro a chiamata può essere stipulato in qualsiasi settore, ma soltanto nel rispetto di determinati requisiti oggettivi e soggettivi:

  1. per lo svolgimento di attività discontinue o intermittenti (requisiti oggettivi):
    • individuate dai C.C.N.L. o, in attesa che i contratti disciplinino le attività per le quali è consentito il ricorso al lavoro a chiamata, dal Ministero del lavoro con rinvio alla tabella delle occupazioni discontinue annessa al R.D. n. 2657/1923;
    • per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese e dell’anno, che il Ministero ha così definito
    – week-end: periodo che va dal venerdì pomeriggio, dopo le 13,00, fino alle ore 6,00 del lunedì mattina;
    – vacanze natalizie: dal 1° dicembre al 10 gennaio;
    – vacanze pasquali: periodo che va dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell’Angelo;
    – ferie estive: i giorni compresi nel periodo 1° giugno – 30 settembre.
  2. in ogni caso, per prestazioni rese da lavoratori (requisiti soggettivi):
    • con meno di 25 anni di età (24 anni e 364 giorni);
    • con più di 45 anni di età (45 anni e 1 giorno), anche pensionati.

I requisiti soggettivi sono alternativi rispetto ai requisiti oggettivi sopra descritti e in questa ipotesi non devono essere verificate le condizioni oggettive.
Il lavoratore intermittente o a chiamata non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello e a parità di mansioni svolte.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale è proporzionato alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita, come pure tutti gli istituti contrattuali (13.ma e 14,ma mensilità, ferie, permessi, ex festività e Tfr).
Il ricorso al lavoro a chiamata è vietato:

  • per sostituire lavoratori i sciopero;
  • presso unità produttive nelle quali, nei 6 mesi precedenti, si sia proceduto a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata, ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione di orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata;
  • da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

Secondo una recente rilevazione Istat, nel 2009 le posizioni lavorative a chiamata hanno raggiunto le 111 mila unità in media annua facendo registrare un incremento del 75 per cento circa rispetto al 2007. Il dettaglio per attività economica mostra che nel settore degli alberghi e ristoranti si concentra circa il 60 per cento del totale dei lavoratori intermittenti. La restante quota è occupata prevalentemente nei settori dell’istruzione, sanità, servizi sociali e personali (12 per cento circa) e del commercio (circa il 10 per cento). Il job-on-call non risulta affatto utilizzato, invece, nel settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria.

Le imprese ricorrono al contratto di lavoro intermittente quasi esclusivamente per coprire posizioni lavorative con qualifica operaia, che rappresentano il 90 per cento circa del totale, rileva ancora l’Istat, con un massimo di oltre il 98 per cento nel settore degli alberghi e ristoranti. I dipendenti a chiamata inquadrati come impiegati costituiscono una quota significativa solo nel settore del commercio (36 per cento circa nel 2007 e 30 per cento nel 2009). La regione in cui viene fatto maggiore uso del lavoro a chiamata è il Veneto.

Italiani sempre più ecosostenibili

Gli italiani si confermano un popolo sempre più “green“, cioè attento all’ambiente, e sempre più virtuoso sul fronte della ecosostenibilità.

E’ l’ISTAT a tracciare un dato poi diffuso da un’indagine sugli indicatori ambientali urbani relativi al 2009, il quale, insieme agli Uffici di statistica comunali, ha coinvolto altri Organismi operanti sul territorio.

I dati emersi sono relativi a 116 capoluoghi di provincia oggetto di studio in cui risiede il 29,8% della popolazione totale del Paese, circa 18 milioni di persone, e che coprono il 6,8% della superficie italiana.

La maggiore sensibilità sulle tematiche ambientali ed energetiche dei comuni capoluogo, spiega l’Istituto di statistica, è evidenziata dal fatto che, nel 2009, 28 comuni (erano 8 nel 2000), hanno fatto ricorso al teleriscaldamento.

Inoltre, sugli edifici pubblici sono stati installati pannelli solari termici in 59 comuni (contro i 3 del 2000) e pannelli fotovoltaici in ben 69 comuni, quando nel 2000 solo Palermo adottava tale soluzione.

Secondo ISTAT, poi, in Italia, nel 2009, sono calati nell’ordine inquinamento, rifiuti e consumi d’acqua. Stabili invece i consumi domestici di energia elettrica e gas, nonché la densità di verde nelle città di un Paese che mira ad essere sempre più “Bel”.

Tornando alla ricerca ISTAT, nell’ultimo anno è stato anche registrato un calo di pressione delle attività antropiche nelle città italiane.

Peccato che le “performance green made in Italy” non coprano tutti i settori: rimangono stabili i valori dei consumi domestici di energia elettrica e gas, la densità di verde nelle nostre città mentre, sul fronte del trasporto, si registra un aumento di motocicli (+3,9%) e del tasso di motorizzazione (+0,4%). Si riduce, inoltre, la domanda di trasporto pubblico.

Ecco qualche dato in più (dati ISTAT nel 2009):

– il numero medio di superamenti del valore limite del PM10 (particolato con diametro minore di 10 micron) per la protezione della salute umana è stato -5,1% rispetto al 2008;
– i rifiuti urbani raccolti -1,5%;
– il consumo domestico di acqua -0,7%;
– aumento di quasi due punti percentuali per la raccolta differenziata: il 30,4% della produzione di rifiuti urbani.

Paola Perfetti