La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI

Le due Italie degli autonomi

Che tra Nord e Sud ci siano differenze di livello reddituale è cosa talmente nota che pare offensivo ricordarla. Si tratti di effettiva disparità nel mercato del lavoro, di differenza di lavoro sommerso, di maggiore propensione all’evasione di una zona rispetto a un’altra è tutto da vedere. Fatto sta che queste differenze diventano in alcuni casi macroscopiche, come quando si parla di lavoratori autonomi.

Come spesso accade, i conti li ha fatti la Cgia di Mestre, che ha evidenziato come le differenze reddituali tra le macroaree del Paese siano evidentissime. Se, infatti, nel 2010 il livello reddituale medio a Nordovest è stato pari a 36.187 euro, nel Sud si è fermato a 21.111 euro. In percentuale, Nordovest batte Sud con una differenza dell 71,4%. Nel Nordest ci si è fermati a 33.702 euro (+59,6% rispetto al Sud). Al Centro il livello reddituale medio è stato di 29.332 euro, +38,9% rispetto al quello degli autonomi del Sud. Le Isole? Meglio del Sud, ma di poco: 21.810 euro, + 3,3% rispetto al Sud.

Che dinamiche ci sono alla base? Lo spiega spiega Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: “Sono comparazioni che spiegano come i dati medi presentati ieri siano fortemente condizionati dai livelli medi molto contenuti registrati dai lavoratori autonomi del Mezzogiorno. Se poi teniamo contro che l’80% dei contribuenti sottoposti agli studi di settore sono congrui, ovvero presentano ricavi non inferiori a quanto richiesto dai tecnici del ministero delle Finanze, se il 74% di questi autonomi non ha dipendenti e se quasi il 50% delle start up chiude l’attività nei primi 5 anni di vita, i livelli reddituali presentati ieri dal Dipartimento delle Finanze non sono scandalosi. Infine, ricordo che il 20% dei contribuenti non congrui sono costituiti sicuramente da soggetti non fedeli al fisco, ma anche da lavoratori dipendenti o pensionati che fanno un secondo lavoro grazie all’apertura di una partita Iva, da attività autonome marginali e da aziende in forte crisi economica“.

Chiarimenti sul nuovo regime dei minimi

L’Agenzia delle Entrate ha diffuso la circolare 17/E per chiarire alcuni punti riguardanti il regime fiscale di vantaggio, per capire chi ci rientra e con quali regole.

La disciplina, introdotta dalla manovra correttiva (Dl 98/2011), assorbe i “vecchi minimi” e favorisce l’iniziativa imprenditoriale sostenendo i giovani e chi ha perso il lavoro.
Per questo il nuovo regime è applicabile per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi.
La possibilità di prolungare la disciplina di vantaggio esiste solo per coloro che, alla fine del quinquennio, non avranno ancora compiuto 35 anni. Finiranno di beneficiarne, quindi, fino al trentacinquesimo compleanno e fino a conclusione dell’anno.

Il regime agevolato è entrato in vigore dal 1 gennaio per i contribuenti che hanno iniziato una nuova impresa, arte o professione, o che l’avevano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007.
Importante è che l’attività parta realmente, e che non si tratti solo di aprire una nuova partita Iva.

Inoltre, ci sono alcune restrizioni che riguardano il fatto che nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività non bisogna aver svolto attività d’impresa o di lavoro autonomo.
Ma c’è dell’altro, perché la nuova attività non deve essere una prosecuzione del lavoro svolto in precedenza, né come lavoratore autonomo, né come lavoratore dipendente. Questo limite, però, decade nel caso in cui il contribuente abbia perso il lavoro o sia in mobilità per cause indipendenti dalla sua volontà.
Ovviamente ogni forma di lavoro precario, che comprende anche i contratti di collaborazione coordinata e continuativa o a tempo determinato, non preclude l’accesso al regime.

Accedono al regime i contribuenti che hanno iniziato un’attività d’impresa, arte o professione dal 1° gennaio 2012 e, presentando la dichiarazione di inizio attività, hanno barrato la casella relativa al regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità.

Coloro che, invece, hanno iniziato l’attività nel 2012 e hanno aperto la partita Iva, senza effettuare alcuna comunicazione, possono presentare la dichiarazione di variazione dati entro 60 giorni dall’emanazione di questa circolare.
Chi ha iniziato l’attività dopo il 31 dicembre 2007 e vuole passare, dal 1° gennaio 2012 al regime fiscale di vantaggio, per il periodo precedente non è tenuto ad alcun specifico adempimento se, fino al 31 dicembre 2011, ha applicato il regime dei minimi.

Vera MORETTI

Crisi e suicidi, ecco i numeri dell’orrore

di Vera MORETTI

La notizia non stupisce, anche perché la cronaca, giorno per giorno, ci fa capire che ci troviamo davanti ad un fenomeno tristemente in aumento.
Se, infatti, la crisi economica ha causato, negli ultimi anni, un calo di vendite ed assunzioni, ha contribuito ad accrescere i licenziamenti e il precariato.

Ma non sempre si ha la forza di reagire e, quindi, il risultato, quando la disperazione prende il sopravvento e non fa intravedere nessuno spiraglio positivo, è quello più drammatico: il suicidio.
Se, infatti, già nel 2009 i suicidi per motivi economici avevano subito un’impennata ed erano arrivati a 357, nel 2010 sono stati ben 362, quasi uno al giorno.

Questi preoccupanti dati sono stati resi noti dal secondo rapporto Eures “Il suicidio in Italia al tempo della crisi”, che delinea una situazione particolarmente a rischio soprattutto nel Centro-Nord, con il Centro in crescita: un record che nessuno avrebbe voluto raggiungere.

La fascia più vulnerabile riguarda l’età compresa tra 45 e 64 anni, in particolar modo se si tratta di esodati e di coloro che hanno perso il lavoro, con poche speranze di ottenerne un altro a breve.
Sono soprattutto uomini, che, dal 2008 al 2010, sono aumentati del 45%, a conferma che il ruolo sociale maschile rimane molto forte, e spesso rappresenta l’unica risorsa economica di un’intera famiglia o, comunque, colui che porta in casa più soldi. E se viene a mancare il suo apporto, è difficile tirare avanti e trovare soluzioni alternative.

Le categorie colpite dalla crisi profonda che ancora non accenna a calare sono, ahimè, tutte: dai lavoratori precari o subordinati agli imprenditori che, vedendo sfuggirsi dalle mani il lavoro di una vita, rimangono senza niente e senza speranze. Tra i lavoratori autonomi, per entrare nel dettaglio, negli ultimi due anni si segnalano ben 343 suicidi nel 2009 e 336 nel 2010. In quest’ultimo caso, poi, i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) che si sono tolti la vita sono 192, mentre sono 144 gli imprenditori e liberi professionisti che hanno trovato nel suicidio l’unica, ultima soluzione al loro fallimento. Tra loro, il 90% è costituito da uomini.

Un fenomeno che, inoltre, sta diventando sempre più rilevante riguarda i suicidi nella fascia 45-64 anni (+5,8% nel 2010 rispetto al 2009 e +16,8% rispetto al 2008), anche perché, nel 2010, la disoccupazione ha colpito la popolazione della fascia 45-64 anni più delle altre, con un incremento del 12,6% (+13,3% nella fascia 45-54 anni e +10,5% in quella 55-64 anni), a fronte di una crescita complessiva dell’8,1%. E tra loro ci sono gli esodati, ovvero quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l’attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico rischia di lasciare totalmente privi di reddito.

Ciò fa emergere un ulteriore dato: l’aumento dei suicidi che cresce più l’età aumenta. Perché, più l’età avanza, più cala la fiducia nel futuro.

Finanziamenti ai giovani piemontesi che aprono una Cooperativa

di Vera MORETTI

La Regione Piemonte stanzierà 2 milioni di euro per i giovani che fonderanno una Cooperativa.
Si tratta di una iniziativa che fa parte del progetto 10 del Piano Giovani “Cooperative giovani di partite Iva“, ed è aperta a tutte le società di nuova costituzione a mutualità prevalente. Prerogativa fondamentale è che almeno il 60% dei lavoratori autonomi che ne fanno parte siano di età compresa tra 18 e 35 anni.

Il finanziamento è aperto anche a consorzi di nuova costituzione, sempre con una presenza minima di giovani del 60% e gli incentivi previsti sono due:

  • finanziamento a tasso agevolato per investimenti produttivi, che copre il 100% delle spese ammissibili ed erogato in anticipo, con un 60% di fondi regionali a tasso zero e il rimanente 40% di fondi bancari a tasso convenzionato.
  • concessione di contributi a fondo perduto per spese di avvio, concesso al 50% della spesa ammissibile.

Dal punto di vista operativo le richieste di finanziamento verranno prese in carico dalla Regione e gestite attraverso un Comitato tecnico di valutazione. Successivamente l’erogazione dei contributi spetterà a Finpiemonte.

Siamo tutti sudditi del fisco

di Davide PASSONI

E ci voleva il Garante della Privacy per ricordarci che, più che cittadini, siamo dei sudditi? Il professor Francesco Pizzetti è infatti arrivato alla fine del suo mandato di sette anni e ha calato il carico: una bordata contro i controlli degni della Stasi che lo Stato sta mettendo in campo a danno dei contribuenti onesti per contrastare (cosa sacrosanta) l’evasione fiscale. Un discorso che non ha lasciato spazio a fraintendimenti, specialmente in passaggi come questi:  “Comprendiamo le ragioni di tutto questo, legate a un’evasione fiscale e a forme di illegalità che richiedono interventi di straordinaria efficacia. Dobbiamo però essere consapevoli che siamo in presenza di strappi forti allo Stato di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice”. “È proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli. È proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha il diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere un sospettato a priori”.

Eccoci qua. Finalmente qualcuno che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno; perché, nonostante in tanti si riempiano la bocca dicendo che sì, le piccole e medie imprese sono l’ossigeno dell’economia italiana, che i professionisti sono una risorsa per il nostro sistema produttivo, la realtà è un’altra: lo Stato e il fisco trattano chiunque non sia sottoposto a sostituto d’imposta come un sicuro, nemmeno più possibile, evasore fiscale. Ogni cittadino che ha la sventura di scommettere su se stesso per emergere tramite la sua volontà d’impresa, si vede subito additato come un mariuolo (suddito!!) e, come tale, va vessato, oltre che con una pressione fiscale assurda, con richieste e trappole di ogni tipo per vedere quanto (non “se”) evade le tasse. Ogni imprenditore che lascia allo Stato ladro e al fisco vorace due terzi di quanto guadagna , si becca pure del furfante a priori. E ci voleva Pizzetti per ricordarci che è una bastardata?

Vero che questi “interventi di straordinaria efficacia” sono resi necessari da una quantità di evasione fiscale seconda, in Europa, solo a quella che si registra in Grecia, ma ci stiamo ancora a essere trattati da sudditi-capre da uno Stato che, quando è a credito, è rigido e inflessibile, mentre quando è a debito si prende il tempo che gli pare e fa e disfa leggi e regolamenti apposta per dilazionare i propri pagamenti? Noi no. E non ci stava nemmeno quella cinquantina di imprenditori che nell’ultimo anno si è tolta la vita proprio perché evadeva talmente tanto il fisco (brutti e cattivi lavoratori autonomi…) che non aveva di che pagare i propri dipendenti. Uomini che hanno anteposto la propria dignità di imprenditori onesti – non certo di evasori – alle carognate del fisco. Uomini che, pur di non lasciare in mezzo alla strada i propri dipendenti, si sono tolti di mezzo da sé. Pensiamo anche a loro prima di sparare contro il professor Pizzetti.

Il Decreto Salva-Italia premia la trasparenza fiscale

di Vera MORETTI

Per agevolare, e premiare, le imprese che presenteranno conti trasparenti e reali, il decreto Salva-Italia ha introdotto condizioni vantaggiose e semplificazioni importanti.
Insomma, chi non aspetterà i controlli della finanza, per mettersi in regola, magari beneficiando della fatturazione elettronica, verrà debitamente ricompensato.

Chi rientra nella fascia dei possibili premiati? Il regime interessa lavoratori autonomi, imprese individuali e società di persone e si tratta di un regime opzionale perché verrà scelto liberamente dal contribuente al momento della prossima dichiarazione dei redditi – UNICO 2012 e si applicherà dal 1.1.2013.

Le condizioni richieste sono:
• l’invio telematico di tutte le fatture attive e passive e di altri acquisti e cessioni non fatturati e dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate
• l’apertura di un conto corrente dedicato esclusivamente all’attività svolta.

Richieste di poco conto se si considerano le agevolazioni:
• semplificazione degli adempimenti amministrativi: ad es. eliminazione dell’obbligo di emissione scontrino /ricevuta fiscale;
predisposizione automatica da parte dell’Agenzia delle Entrate di alcuni documenti , a titolo esemplificativo: liquidazioni periodiche IVA, 770 semplificato, CUD , versamenti delle ritenute;
anticipazione della compensazione o rimborso del credito IVA;
abolizione del visto di conformità per le compensazioni IVA oltre i 15.000 euro;
• possibilità di accertamento da parte del Fisco solo entro 3 anni e non più quattro dalla dichiarazione dei redditi interessata;
esclusione dagli accertamenti analitico-induttivi, basati cioè su presunzioni semplici (gravi precise e concordanti).

Per chi si avvale della contabilità semplificata, si aggiungono altri vantaggi:
• determinazione del reddito con principio di cassa;
• predisposizione della dichiarazione dei redditi direttamente dall’agenzia;
• esonero da scritture contabili, versamenti periodici e acconto IVA.

Ma il regime decade se:
• i dati richiesti vengono inviati con ritardo di oltre 90 giorni o addirittura mancano;
• non viene rispettato il limite di 1000 euro nell’uso del contante con una sanzione pecuniaria da 1500 a 4000 euro.

Le penalità sono collegate invece a ravvedimento operoso in caso di ritardo nell’invio della documentazione entro i 90 giorni, senza decadenza dal regime agevolato.
Per avere maggiori informazioni circa le modalità di attuazione, nonché la definizione completa delle semplificazioni previste, occorre però attendere le specifiche dell’Agenzia delle Entrate.

I giovani cervelli tornano in patria

Per porre rimedio alla “fuga di cervelli” che, in questi anni, sta diventando sempre più massiccia, ecco una legge, la 238/2010, che prevede agevolazioni fiscali, fino al 31 dicembre 2013, per il ritorno in Italia di giovani talenti emigrati all’estero e per i cittadini europei che vogliano trasferire la loro attività lavorativa nel Belpaese.

Si tratta della riduzione della base imponibile ai fini Irpef dell’80% per le donne e del 70% per gli uomini: per usufruire del bonus coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente devono farne richiesta, entro tre mesi dalla data di assunzione, al datore di lavoro che effettua le ritenute in busta paga.
La scadenza, per coloro che sono stati assunti entro il 29 luglio 2011, è per sabato 29 ottobre, come specificato dal provvedimento della Agenzia delle Entrate del 29 luglio scorso.

Secondo il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 3 giugno 2011, ecco le categorie che potranno usufruire degli “sconti” fiscali:
Si tratta di coloro che, alla data del 20 gennaio 2009,
• sono cittadini dell’Unione europea
• sono nati dopo il 1° gennaio 1969
• hanno risieduto continuativamente per almeno 24 mesi in Italia
• hanno un diploma di laurea e hanno esercitato senza interruzione, negli ultimi 2 anni e più, attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa fuori dal proprio Paese d’origine e dall’Italia o, nello stesso periodo di tempo, hanno studiato ininterrottamente all’estero conseguendo una laurea o un titolo post-lauream
• sono stati assunti, o hanno avviato un’attività di lavoro autonomo o d’impresa, in Italia ed entro tre mesi vi hanno trasferito il proprio domicilio e la residenza.

Chiunque avesse tutti questi requisiti, e fosse un lavoratore dipendente, per presentare la domanda deve essere in possesso di:
• le generalità (cognome, nome, data di nascita)
• lo Stato dell’Unione europea di cui è cittadino
• il codice fiscale
• l’attuale residenza in Italia risultante dal certificato di residenza, o la domanda di iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente in Italia, ed eventualmente il domicilio se diverso dalla residenza
• la data di prima assunzione in Italia dal rientro (o di avvio dell’attività di impresa o di lavoro autonomo) e la dichiarazione di aver trasferito nel Belpaese residenza e domicilio entro tre mesi dalla prima assunzione (o dall’avvio dell’attività)
• di essere in possesso dei requisiti previsti dal decreto del Mef e di non rientrare nel novero degli esclusi (dipendenti a tempo indeterminato di amministrazioni pubbliche o imprese italiane, che svolgono all’estero il proprio lavoro)
• di non beneficiare delle agevolazioni previste, dal Dl 185/2008, per il rientro in Italia di ricercatori e docenti residenti all’estero
• di non beneficiare del credito d’imposta previsto per gli investimenti nel Mezzogiorno dalla legge 296/2006 (articolo 1, commi da 271 a 279)
• l’impegno a comunicare sollecitamente l’avvenuta iscrizione nell’Anagrafe della popolazione residente e ogni variazione della residenza o del domicilio rilevanti per l’applicazione del beneficio da parte del datore di lavoro.

Per quanto riguarda questi ultimi, a un mese dal ricevimento della richiesta da parte dei dipendenti, che ricoprono per l’occasione il ruolo di sostituti d’imposta, operano la riduzione al 20% della quota imponibile delle lavoratrici e al 30% di quella dei lavoratori. Ovviamente tali agevolazioni decadono se il lavoratore trasferisce all’estero residenza o domicilio.
A fine anno, o in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, i sostituti eseguiranno il conguaglio tra le ritenute attuate e quelle effettivamente dovute dalla data di assunzione.
Infine, i sostituti evidenzieranno nel Cud, separatamente, le somme complessivamente erogate e l’ammontare ridotto in base alle percentuali agevolative.

Anche se si tratta di lavoratori autonomi o imprenditori è possibile usufruire dello “sconto” Irpef, infatti la riduzione della base imponibile ai fini Irpef dell’80% per le donne e del 70% per gli uomini andrà fatta valere in Unico.

La legge 238/2010, ai fini di scoraggiare il “turismo fiscale“, prevede che chi usufruisce delle agevolazioni deve restare nel Belpaese almeno 5 anni.
In caso di nuovo trasferimento della residenza o del domicilio fuori dall’Italia prima che sia trascorso un quinquennio dalla prima fruizione del beneficio, infatti, il contribuente sarà chiamato a restituire le imposte non pagate in applicazione del regime di favore, con l’aggiunta di sanzioni e interessi.

Vera Moretti

Ex PMI ai regimi minimi: niente studi di settore

Esclusione dagli studi di settore le PMI che prima della manovra finanziaria rientravano nei regimi minimi. E’ la richiesta fatta al governo dal deputato leghista Gianluca Forcolin. Lo scopo è di evitare di penalizzare i piccoli imprenditori, artigiani e commercianti già gravati dalla crisi e che fino al luglio scorso potevano beneficiare dei regimi minimi.

Con l’approvazione della nuova Finanziaria il regime dei minimi è scomparso, per essere sostituito da un “Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità“. Ma se prima della finanziaria il regime dei minimi riguardava il 96% dei contribuenti di tale fascia, oggi il nuovo regime fiscale di vantaggio riguarda meno del 5% dei precedenti beneficiari. Il regime dei minimi era infatti esteso alle imprese che rientravano nella fascia contributiva limite di 30.000 euro all’anno di fatturato.

Il nuovo “Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità” favorirà infatti i giovani imprenditori, fino ai 35 anni d’età, e le imprese di nuova costituzione, quelle cioè create prima del 2008, per un periodo massimo di 5 anni. L’obiettivo è quello di favorire l’imprenditoria giovanile e le start up italiane. Ma l’esclusione dal regime di vantaggio degli ex contribuenti appartenenti al regime dei minimi obbligherà tali aziende a sottostare agli Studi di Settore, comportando un aumento significativo delle tasse a loro carico che potrebbe portare in alcuni casi alla chiusura dell’azienda.

Per evitare aumenti drastici a carico di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli esercenti, il Fisco ha però concesso alle imprese con un basso ricavo, ovvero sotto i 30.000 euro all’anno (gli ex regimi minimi per intenderci) o con investimenti sotto i 15.000 euro al triennio un prelievo fiscale agevolato. Le imprese a basso livello di ricavo dovranno infatti versare al Fisco il 20% dei redditi prodotti, ma saranno esentati dal versamento dell’Irap e esonerati dagli obblighi Iva.

Alessia Casiraghi

Partite Iva inattive: arriva la mini sanzione

 

Una mini sanzione del valore di 129 euro, da corrispondere entro il prossimo 4 ottobre utilizzando il modello F24 ‘Elementi identificativi’. Da oggi per mettere in regola le Partite Iva inattive basterà un semplice versamento, senza l’obbligo di presentare alcuna documentazione al fisco.

La risoluzione 93/E del 21 settembre dell’Agenzia delle Entrate, volta ad alleggerire l’iter burocratico per i possessori di Partite Iva inattive, si rivolge a tutti i titolari di una Partita Iva che non hanno presentato la relativa dichiarazione almeno negli ultimi 3 anni oppure che non svolgono alcuna attività.

Non sarà quindi più necessario presentare all’Agenzia delle Entrate alcuna dichiarazione di cessata attività, né dovrà essere dimostrato il versamento effettuato.

I versamenti di 129 euro pervenuti attraverso l’F24 vengono infatti elaborati direttamente dal sistema informativo dell’Anagrafe tributaria favorendo la semplificazione del processo. Inoltre, in base alla nuova risoluzione dell’Agenzia, il pagamento della mini-sanzione sostituisce la dichiarazione di cessazione attività, ovvero il modello AA7 previsto per i soggetti diversi dalle persone fisiche o il modello AA9 previsto per le imprese individuali e lavoratori autonomi.

L’introduzione della mini-sanzione sulle Partire Iva inattive fornisce inoltre un’ultima opportunità di regolarizzazione prima della chiusura d’ufficio della partita Iva, che prevede una sanzione fino a 2.065 euro.

Alessia Casiraghi