Le professioni più richieste secondo LinkedIn

LinkedIn è la piattaforma più conosciuta per coloro che vogliono presentarsi nel mondo del lavoro. Il ruolo della piattaforma non è semplicemente mettere in contatto chi cerca lavoro e chi offre lavoro, infatti è utile anche a chi un lavoro ce l’ha ma non esclude di aprirsi a nuove esperienze, vuole migliorare la propria posizione. Si tratta di una piattaforma sempre aggiornabile con le proprie esperienze, lavorative e non solo. Nel tempo ha acquistato sempre più importanza soprattutto per coloro che hanno un’istruzione medio-alta. Questo implica che è in grado anche di raccogliere quelle che sono le esigenze del mondo del lavoro. Ha stilato quindi una classifica di quelle che sono le posizioni più ricercate nel mondo del lavoro.

La classifica delle professioni più richieste

In base ai dati emersi dalla ricerca LinkedIn, ecco la classifica:

15° posto: sviluppatori back-end si tratta di professionisti che si occupano della costruzione e della manutenzione dei componenti di un sito web non visibili dall’utente, come server, database e API.

14° posto: Medical science liaison si occupano di scambio di informazioni scientifiche tra comunità medica e società farmaceutiche;

13° posto: solutions consultant, il loro lavoro è gestire soluzioni informatiche;

12° posto: per ingegnere di processo, lavora soprattutto nel settore dell’automotive e si occupa di valutare le performance di un “processo”, ad esempio di un’auto, al fine di perferzionarlo;

11° posto: talent scout, opera in diversi settori e cerca i talenti;

10° posto: fiscalisti, si occupano di fornire consulenza fiscale alle aziende in modo da evitare errori e non pagare più tasse del dovuto;

9° posto: consulente cloud, si occupa di seguire i servizi di cloud computing nelle aziende, aiutandole a prendere decisioni a vantaggio delle proprie operazioni.

Professioni più richieste 2024, i primi posti

8° posto: cyber security engineer, il suo compito è creare e implementare soluzioni volte a proteggere i sistemi informatici da attacchi hacker;

7° posto: responsabile acquisti;

6° posto: ingegnere dei dati, si occupa della gestione dei flussi di dati a fini statistici/economici;

5° posto: ingegnere del cloud (cloud engineer), figura che svolge in azienda attività legate al cloud computing, come il monitoraggio e il mantenimento dell’infrastruttura e dei server;

4° posto: specialista nella sostenibilità;

3° posto: l’analista Soc, si occupa della sicurezza informatica aziendale, monitorando le attività su siti web, server e database alla ricerca di eventuali minacce;

2° posto: ingegneri dell’intelligenza artificiale;

1° posto: addetto allo sviluppo commerciale, il suo compito prevalente è trovare nuovi clienti, fidelizzare quelli esistenti, promuovere la crescita dell’azienda.

Le città dove sono maggiormente richieste tali figure professionali sono Milano, Roma, Torino e Napoli.

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Trovare lavoro? Ecco qualche dritta

Che cosa serve per trovare lavoro, oggi? Al di là delle raccomandazioni, della fortuna e della casualità, su cui è sempre meglio non fare troppo affidamento, è sempre più importante una gestione intelligente della propria immagine online, all’interno e all’esterno dei social network.

Perché, se trovare lavoro è un lavoro, è bene che ciascuno acquisisca gli strumenti per farlo al meglio e per renderlo efficace. Ecco perché è bene seguire con attenzione i consigli di chi aiuta a trovare lavoro per professione, come nel caso di Hays Response, divisione del gruppo Hays specializzata nella selezione di profili junior che ha messo a punto un decalogo (o meglio, un “esalogo”, visto che si tratta di 6 consigli) per utilizzare in maniera più incisiva possibile strumenti quali i social network e i cv online e offline.

  1. Rivoluzionare il proprio cv. Aggiungere al curriculum i link ai propri profili social e ad eventuali siti o blog personali, in modo che siano visibili ai recruiter anche elementi ormai sempre più importanti per trovare lavoro, come hobby, interessi ed esperienze di volontariato.
  2. Allineare i cv online e offline. Differenze o discrepanze nel contenuto tra le due versioni del cv possono penalizzare il candidato in sede di colloquio o persino tagliarlo fuori dal processo di selezione.
  3. Pragmatismo nella ricerca di una nuova posizione lavorativa. Individuare solo le posizioni più in linea con il proprio profilo e la propria esperienza per poter trovare lavoro in maniera efficace.
  4. Investire sul personal branding. Mostrarsi attivi sui propri profili social pubblicando o condividendo contenuti interessanti relativi al proprio ambito professionale, partecipare ai dibattiti nei gruppi, chiedere endorsement alle persone del proprio network.
  5. Spingere per il cambiamento. Per trovare lavoro in maniera più efficace è bene presentarsi alle aziende, dicono gli esperti di Hays, come “portatori sani di novità”, professionisti capaci di introdurre cambiamenti utili allo sviluppo del business e dell’azienda.
  6. Razionalizzare i contatti di LinkedIn. È inutile ampliare il proprio network estendendo l’invito anche a professionisti di altri settori lavorativi: meglio puntare sulla qualità della propria rete aggiungendo contatti strettamente legati alla propria attività ed eliminando quelli non funzionali.

Social network e lavoro: trucchi e dritte

Abbiamo visto nei giorni scorsi come due dei social network più utilizzati e celebri, Twitter e LinkedIn, possono aiutare nella ricerca di un’occupazione o, meglio, come possono fare in modo che chi sta cercando un lavoro possa “vendersi” al meglio ad aziende e recruiter.

E per vendersi, o presentarsi al meglio utilizzando i social network, è importante anche sapere come utilizzarli in modo corretto, evitando errori che possano penalizzare l’efficacia del proprio profilo o, peggio, trasmette a recruiter e aziende un’immagine sbagliata se non distorta delle proprie skill.

Per capire quali sono i passi falsi commessi più spesso dai candidati sui social network e, soprattutto, per cercare di evitarli muovendosi invece in maniera corretta, Office Team di Robert Half ha elaborato un sondaggio su oltre 300 manager di ambito HR a livello globale, cercando di capire la percezione che hanno dei candidati sui social network.

Ebbene, una delle discriminanti più rilevanti emersa dal sondaggio, alla quale in pochi forse danno il giusto peso, è l’importanza della foto. Secondo il 35% degli intervistati, un’immagine inappropriata o inadeguata su un profilo di un social network ha lo stesso cattivo impatto di un commento inadeguato o negativo postato dal candidato, che nel 45% degli intervistati può essere fatale per l’assunzione.

Attenzione anche alla frequenza con cui si aggiornano le pagine personali. Profili sui social network poco aggiornati, incompleti o con scarsa interazione sono tutt’altro che utili per il 17% dei manager HR che ha partecipato al sondaggio.

Detto degli errori più comuni da evitare, Office Team dà anche qualche consiglio su che cosa fare per rendere il proprio profilo sui social network un’arma efficace in più per trovare un’occupazione.

Intanto, per quanto possa sembrare banale, si consiglia di curare grammatica e ortografia, tanto nelle parti di autopresentazione quanto, soprattutto, nel caso di commenti o discussioni con altri utenti. Allo stesso modo, è bene che ciascuno si mostri interessato e attivo negli ambiti professionali che gli pertengono. Il modo migliore per fare è condividere e commentare contenuti e notizie rilevanti per il proprio ambito professionale, senza paura di esporsi.

Infine, per gli esperti di Office Team, il social network dal quale non è possibile prescindere con una presenza attiva e strutturata è LinkedIn, con buona pace di Twitter. L’importante è che, anche in questo caso, il proprio profilo sia ricco, dettagliato e ben strutturato, privo di macchie o di errori.

E poi, un po’ di fortuna per essere notati da un recruiter non guasta mai…

LinkedIn: il lavoro si trova… nella nuvola

Abbiamo visto ieri come, in questo scorcio di 2016, il re dei social network professionali, LinkedIn, abbia subito un sorpasso inatteso da parte di Twitter proprio in quello che dovrebbe essere uno dei suoi punti di forza, ovvero la capacità di far incontrare domande e offerte di lavoro qualificate.

Il social network dell’uccellino azzurro risulta infatti quello più utilizzato al mondo per trovare lavoro, ancora più di LinkedIn. Ciò non significa, però, che quest’ultimo abbia abdicato alla propria mission, anzi… Come ogni anno, anche per il 2016 LinkedIn ha pubblicato un’interessante classifica sulle 25 competenze più richieste da chi offre lavoro.

Per quest’anno, la competenza regina che le direzioni del personale richiedono nei candidati da assumere è la conoscenza precisa del fenomeno del cloud computing. Una skill che è risultata in cima alla lista in quasi la metà dei Paesi (6 su 14) all’interno dei quali LinkedIn ha svolto la propria indagine.

Completano il podio, dietro al cloud computing, il data mining e il marketing management. Si tratta di tre competenze altamente sbilanciate sulla parte di ingegneria informatica e, comunque, necessarie per professioni legate al web. Professioni che si trovano abbondantemente anche tra le posizioni che vanno dalla 4 alla 25 della classifica di LinkedIn.

Si va, infatti, dalle competenze di Java a quelle di ambito SEO, dallo sviluppo di siti internet alla creazione di software, dalla sicurezza di rete, all’architettura web. Quella del cloud computing comunque la vera sorpresa di questo 2016 se, come fanno notare proprio da LinkedIn, nel 2015 era una competenza che nemmeno figurava in classifica.

E per sgombrare il dubbio sulla scientificità di queste rilevazioni è bene ricordare che, per elaborare questa classifica, i tecnici di LinkedIn hanno sviluppato un algoritmo per analizzare le attività di assunzione e reclutamento avvenute tramite il social network nel 2015.

Una classifica che mette in luce come le conoscenze informatiche avanzate siano sempre più fondamentali per garantire un accesso al mercato del lavoro, principalmente, sottolinea LinkedIn, in mercati come quello americano o indiano che hanno fame di queste competenze. Non è un caso, infatti, che agli ultimi posti della classifica vi siano competenze legate al diritto societario e all’economica. Segno dei tempi che cambiano…

L’uccellino di Twitter ti trova il lavoro

Nel mondo attuale, i social network sono sempre più spesso utilizzati come strumenti per offrire e cercare lavoro. Molti pensano che, in questo ambito, il re indiscusso sia il social network professionale per eccellenza, LinkedIn. Invece non è così: vince Twitter.

Stando ai risultati di una ricerca della Software Advice, il 58% delle persone che cercano lavoro attraverso i social, utilizza quello dell’uccellino azzurro. Tra questi, la maggior parte dei profili corrisponde a persona tra i 18 e i 35 anni, laureati, che spesso già lavorano in posizioni importanti e con stipendi di rilievo.

Del resto sono gli stessi numeri di Twitter a incoraggiare questo trend. Sul social network, infatti, la media delle offerte di lavoro pubblicate è di 15 al minuto e, a oggi, esso ospita il maggior numero di annunci tra tutti i social.

Non è un caso se il 35% delle 500 aziende presenti sulla rivista americana Fortune nel 2014 ha un canale dedicato al recruiting online e alla pubblicazione di offerte di lavoro, con un forte focus sui social network come Twitter.

A favorire ulteriormente la leadership di Twitter contribuisce anche il fatto che sul social gli annunci di lavoro vengono visualizzati sia dagli utenti attivi sia da quelli passivi. Inoltre, sfruttando una semplice tecnologia di targeting, le posizioni aperte vengono visualizzate solo dai candidati con profili in linea con quelli richiesti per occupare i posti vacanti.

Quale profilo su LinkedIn?

Che rapporto lega chi lavora, chi un lavoro lo cerca e i social network? A questa domanda ha provato a dare una risposta LinkedIn attraverso la ricerca New Norms@Work, realizzata analizzando un campione di oltre 15mila lavoratori full time, utenti del social network in questione, dai 18 anni in su in 19 Paesi del mondo tra cui l’Italia.

Dall’indagine emerge che è sempre più in crescita tra i lavoratori la consapevolezza dell’importanza del cosiddetto personal branding, l’immagine professionale che ciascuno di noi trasmette non solo in ufficio ma anche online su social network come LinkedIn.

Tra i fattori offline più importanti emersi dalla ricerca, c’è l’abbigliamento, tanto che il 48% degli intervistati veste al lavoro abiti diversi da quelli che indossa per il tempo libero. Singolare il fatto che quasi il 15% degli italiani impiega lo stesso tempo per prepararsi per una giornata di lavoro o per un’uscita serale, contro una media internazionale nettamente inferiore: 9,8%. Ragion per cui, non stupisce il fatto che il 44,5% degli italiani con un profilo su LinkedIn ha un armadio separato per abiti da lavoro e per il tempo libero.

Inoltre, più del 30% degli intervistati ritiene fondamentale tenere separati i profili dei social network professionali tipo LinkedIn da quelli personali, così come viene data particolare importanza all’immagine del proprio profilo: infatti, dall’indagine risulta che quanti operano nel campo del recruitment, della moda, dei beni di lusso e dell’hotellerie cambiano la propria immagine del profilo più spesso rispetto alla media.

Facebook at Work, ci siamo

Nelle scorse settimane i media americani avevano parlato di un debutto prossimo di Facebook at Work, la versione business del social network di Mark Zuckerberg, che il nerd milionario avrebbe lanciato con l’obiettivo nemmeno troppo segreto di fare concorrenza a LinkedIn.

Ora,siccome negli Usa i media sono una cosa seria, la notizia è stata confermata e ci siamo: i test di Facebook at Work sono iniziati il 14 gennaio 2015 e, come spiega la società in una nota, “l’app sarà visibile sugli app store di iOS e Android e disponibile solamente per i partner del test e le informazioni degli impiegati sono protette, confidenziali e separate da quelle del profilo Facebook personale”.

Da quel poco che si sa, Facebook at Work è graficamente (oltre che nelle funzioni) molto simile al Facebook tradizionale. Mossa necessaria per non spiazzare gli utenti e per mantenere una credibilità consolidata negli anni, questa volta da declinare in chiave business.

Facebook at Work è un’esperienza completamente separata da quella della piattaforma – continua la nota – e offre agli impiegati la possibilità di connettersi e collaborare in modo efficace attraverso l’uso dei nostri strumenti, molti dei quali già noti e utilizzati come il News Feed, i Gruppi, messaggi e gli eventi. Sarà quindi possibile restare in contatto con i propri colleghi nello stesso modo in cui lo si fa con i propri amici e familiari attraverso il social network”.

Cazzeggiare con Facebook at Work sarà, se non lecito, almeno più produttivo.

Imprese, professionisti e i nuovi temi dell’hi-tech

di Davide PASSONI 

Le nuove tecnologie impongono alle imprese e ai professionisti problematiche e necessità anch’esse nuove. Alcune di queste riguardano la proprietà intellettuale, altre il contenimento dei costi. Ecco il parere di due esperti del settore.

Avv. Hèléne Regnault de la Mothe, Avvocato iscritto allíAlbo nazionale dei Consulenti in Proprietà industriale

Quali rischi per il proprio marchio nellíera del web 2.0? Come tutelarlo da copie e contraffazioni?
La straordinaria capacità del marchio di attrarre clientela genera frequenti usurpazioni da parte di concorrenti che si manifestano principalmente nell’uso di nomi a dominio foneticamente simili, quando non differenti per la sola estensione. Accade inoltre che il proprio marchio venga indebitamente utilizzato dal competitor quale parola chiave (meta-tag) per avvantaggiarsi e falsare i risultati proposti dai motori di ricerca. Entrambi i casi costituiscono atti di contraffazione e concorrenza sleale, in quanto idonei a sviare la clientela o a creare un indebito agganciamento. La normativa italiana concede al titolare del marchio gli strumenti, anche sanzionatori, per vietare ai terzi l’adozione di tali comportamenti illeciti. Per utilizzare con successo tali rimedi è però determinante scegliere un marchio forte e, soprattutto, preoccuparsi per tempo della sua corretta registrazione nei territori in cui si opera. In tal modo, si tutelano gli investimenti e i propri diritti di esclusiva.

 

Stefano Cecconi, Amministratore Delegato di Aruba S.p.a

Quali i vantaggi del cloud computing per una piccola impresa?
Nell’attuale fase di cost containment, il cloud rappresenta per le piccole imprese uno strumento strategico per ridurre i costi di gestione dei servizi IT permettendo di ottimizzare il ciclo di vita di un prodotto o di un progetto. Caratterizzato dalla totale scalabilità e personalizzazione delle risorse, il cloud consente all’utente di aumentare o diminuire in tempo reale e in autonomia le dimensioni dei server in modalità Pay per Use: in questo modo le imprese non devono più affrontare i costi di startup tipici delle soluzioni hardware “tradizionali” per avviare un nuovo business e possono scegliere il servizio secondo le proprie necessità, modificandone i parametri in base alle proprie risorse e in funzione dei picchi di attività. Sfruttare soluzioni cloud consente dunque di operare con la flessibilità volta a garantire la competitività e la crescita del business, in quanto il cliente sposta sul provider sia i rischi che la complessità legati alla gestione di un’infrastruttura informatica. Tutto ciò permette di liberare risorse impiegate nella gestione dei servizi IT per destinarle all’ottimizzazione delle attività strategiche per il business aziendale.

Quali sfide per le imprese e i professionisti nel mondo dell’hi-tech

di Davide PASSONI

Altro breve giro di tavolo sulle sfide che le nuove tecnologie impongono alle imprese e ai professionisti. 

Marco Fabio Parisi, Responsabile dei Progetto di Sviluppo It per le Pmi di Telecom Italia

La PEC non è solo un obbligo di legge ma un efficace strumento di lavoro. Quali i suoi vantaggi?
Per una piccola impresa o un professionista, calcolare i benefici che derivano dall’utilizzo della PEC è molto semplice. Basta contare quante raccomandate A/R è stato necessario inviare in un anno, moltiplicare per le ore necessarie a preparare la documentazione, stamparla, firmarla, inviarla dall’ufficio postale, archiviare il tutto e aggiungere i costi di spedizione. È evidente però, che tra i vantaggi non si possono ancora considerare quelli relativi alla “firma” e all’”archiviazione”. La PEC da sola non è in grado di garantire tutto questo. Mancano infatti la Firma Digitale e l’Archiviazione Sostitutiva, due ingredienti fondamentali secondo Telecom Italia per completare e ottenere la semplificazione dei processi amministrativi dell’impresa. Le soluzioni informatiche esistono, così come la tecnologia che rende tutto “a norma di legge” sicuro e garantito. Noi riteniamo che sia necessaria una norma attuativa semplice, per cui tutta la documentazione d’impresa possa essere prodotta, scambiata, firmata e archiviata in modo digitale e soprattutto che un documento digitale abbia valore legale a sostituzione di quello cartaceo. Solo così il beneficio per l’impresa sarà totale e sostanziale.

Fabiano Lazzarini, General Manager IAB Italia

Quali sono gli strumenti di advertising più efficaci per promuovere online la propria piccola impresa?
Oggi è essenziale presidiare internet. Gli strumenti disponibili per la promozione della propria realtà imprenditoriale in Rete sono molteplici e alcuni di essi possono essere utilizzati con estrema semplicità anche da utenti non esperti. Molto dipende dall’obiettivo della singola azienda, ma alcuni step possono essere considerati generalmente validi. Il primo passo per una piccola impresa è sicuramente quello di creare un buon sito web, professionale e ben strutturato in modo da essere immediatamente intellegibile dal proprio target. Il secondo passo è quello di rendersi facilmente rintracciabili in rete, indicizzando il proprio portale attraverso la scelta di parole chiave adeguate, che consentano di essere ai primi posti nei risultati sui motori di ricerca, laddove un potenziale cliente faccia una query online, alla ricerca di un prodotto o servizio che rientra nella propria offerta. A quel punto bisogna decidere, sulla base dei propri obiettivi di business e del budget che si intende investire, se e come implementare un piano di comunicazione online, ad esempio attraverso una pianificazione di advertising, ad esempio con dei banner, oppure con campagne di email o search marketing, o ancora una strategia di integrazione con i social network.

Aziende e Ict, non si vince in ordine sparso

Dopo aver visto ieri i risultati per certi versi inattesi dello studio Long Wave di Assintel sul mondo dell’impresa digitale, ecco quali sono, nello specifico, le proposte di Assintel Digitale.

Intanto, l’associazione nazionale delle imprese Ict di Confindustria chiede una chiara presa di posizione in ambito politico, per far sì che vengano avviate strategie utili e competenti di sostegno all’economia digitale. La prima di queste deve essere un riordino dei bandi di gara pubblici, troppo spesso sbilanciati verso la grande impresa e valutati da commissioni dalla dubbia competenza tecnica; un Ente super partes, quindi, che supporti le start up digitali, spesso “camei tecnologici” senza strategie che diano loro prospettive sviluppo, e infine strutture territoriali che aiutino le imprese a gestire la complessità burocratica dei bandi, a cui spesso non accedono perché non possono distogliere risorse preziose dal loro lavoro quotidiano.

All’interno di quest’azione politica, Assintel sollecitano sgravi fiscali per la formazione delle skill digitali e, soprattutto, chiede che si preveda che nei bandi di finanziamento sia rimborsata anche la formazione.

Un accento forte viene posto infine sul networking, campo nel quale il ruolo dell’associazione è decisivo: è necessario, secondo Assintel, creare un sistema di dialogo domanda-offerta intercategoriale, che permetta una diffusione di cultura digitale utile per la crescita dei molti settori ancora “analogici” che rischiano di perdere il treno della competitività. In poche parole: se almeno nel campo dell’economia digitale evitiamo di andare in ordine sparso, la situazione delle aziende italiane migliorerà non poco…