Fipe contro le agromafie in difesa dei ristoratori

Lino Stoppani, presidente di Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ha voluto esprimere la sua opinione sull’ultimo rapporto sulle Agromafie, che minacciano seriamente il mondo della ristorazione.

Queste le sue parole: “Il rapporto sulle Agromafie informa sulle illegalità diffuse nell’Agricoltura, confermando la gravità e la resilienza di un fenomeno che produce caporalato, manipola la formazione dei prezzi, commercializza prodotti di illecita provenienza e inquina il mercato, oltre che gravemente l’ambiente”.

Non si usano quindi giri di parole, poiché il settore della ristorazione risulta davvero essere vittima di un sistema malavitoso fatto di ricatti ed estorsioni, colpevole non solo di rovinare un comparto che potrebbe essere in ottima salute, ma anche distorcendo le dinamiche concorrenziali e producendo danni aggiuntivi relativi alla reputazione di tutto il settore. E questo è il rischio maggiore, poiché chi lavora nella ristorazione è, per la maggior parte, mosso da passione e dal desiderio di valorizzare la filiera agro-alimentare, non senza fatica e sacrificio, e certo non è disposto a mettere in discussione la sua credibilità.

I dati non sono incoraggianti perché, nonostante si tratti comunque di un numero esiguo rispetto alla totalità dei Pubblici Esercizi Italiani, si contano 5.000 ristoranti ad oggi in mano alla criminalità. Per questo motivo, occorre effettuare azioni di prevenzione e di denuncia, sempre in collaborazione con le Forze dell’Ordine, che ovviamente sanno come e quando intervenire.

Per ovviare a questa problematica davvero delicata e critica, e per evitare che altri ristoranti diventino vittime della mafia, vanno sicuramente rafforzati i controlli su tutto il territorio, ad esempio monitorando lo sviluppo delle imprese e individuando indici di allerta (socio effettivo, importo degli avviamenti pagati, corrispettivi incassati, concentrazione di attività) che evidenzino anomalie sulle quali intervenire, arrivando così a proteggere gli imprenditori del settore che sicuramente meritano di poter svolgere il loro lavoro senza dover subire ricatti ed estorsioni.

Vera MORETTI

Ristorazione italiana e turisti stranieri

Il settore della ristorazione italiana si conferma un comparto chiave, tanto per l’economia del Paese quanto per il settore del turismo. Un ruolo di driver, quello della ristorazione, che è stato ben illustrato nei giorni scorsi dal presidente della Fipe, Lino Stoppani, durante l’assemblea annuale della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Le potenzialità della ristorazione e del comparto dei pubblici esercizi è dimostrata dagli 8,4 miliardi di euro che in questo 2015 saranno spesi dai turisti stranieri in Italia, +5% rispetto al 2014.

La cucina italiana – ha sottolineato Stoppaniè la più apprezzata e la più imitata al mondo. Per i turisti stranieri è uno dei principali motivi di viaggio in Italia, addirittura il primo per ritornarci. Nonostante ciò, spesso non riusciamo a valorizzare adeguatamente le potenzialità che il settore potrebbe esprimere attraverso efficaci azioni di promozione e comunicazione”.

Nonostante questo, Stoppani ha fatto capire che nel settore della ristorazione si respira aria di ripresa: “L’ufficio studi Fipe stima per il 2015 una crescita dei consumi dello 0,8%, mentre oltre l’80% degli italiani prevede di spendere di più al ristorante nei prossimi sei mesi. Anche tra le imprese della ristorazione c’è maggiore fiducia nel futuro; nel terzo trimestre di quest’anno il sentiment è tornato ai livelli del 2007. Non tutto però va a gonfie vele: il settore è caratterizzato da forte densità e competitività imprenditoriale, non sostenute da un tessuto produttivo abbastanza robusto. Questo si traduce in un numero molto elevato di chiusure: tra gennaio e settembre del 2015 sono state aperte quasi 13mila imprese mentre ben 20mila sono quelle che hanno chiuso i battenti: un saldo negativo di circa 7mila imprese”.

L’Italia ha un modello di pubblico esercizio unico al mondo per la sua eterogeneità, qualità e diffusione – ha concluso il presidente Fipe, facendo il punto sulla ristorazione italiana -. I bar che popolano le nostre città e le nostre province fungono da luoghi di socialità, nonché di integrazione culturale, capaci di trasformarsi nel tempo insieme alle esigenze dei consumatori. Fipe celebra quindi il suo settantesimo anniversario certa della centralità del ruolo di bar e ristoranti non solo dal punto di vista economico e di immagine, ma soprattutto in quanto luoghi di aggregazione in cui si mantengono e rinvigoriscono le tradizioni gastronomiche e sociali alla base del nostro essere italiani”.

I punti deboli della ristorazione italiana

Il nostro focus sulla ristorazione italiana ci ha portati dal quadro generale del settore alle tendenze di consumo degli italiani, fino ai numeri su imprese nate, morte e produttività. Oggi invece ci focalizziamo su occupati, produttività e andamento dei prezzi nel settore della ristorazione.

L’input di lavoro del settore dei pubblici esercizi – misurato in unità di lavoro standard – conta a oggi oltre un milione  di unità. Rispetto a sei anni fa il settore della ristorazione ha assorbito circa il 5% in meno del fabbisogno delle ore complessivamente lavorate. Un fenomeno che ha interessato sia la componente del lavoro indipendente sia, soprattutto, quella del lavoro dipendente, nella quale il numero delle ore lavorate è sceso di circa il 6% tra il 2008 ed il 2014.

I pubblici esercizi impiegano, in media d’anno, 680.693 lavoratori dipendenti, pari al 71% del totale nazionale del comparto del turismo. Al tema del lavoro è direttamente collegato quello della produttività in considerazione del fatto che siamo in presenza di un settore cosiddetto labour intensive.

La produttività del settore ristorazione non soltanto è bassa ma anziché crescere si riduce. Attualmente è del 2% in meno rispetto al livello raggiunto nel 2009, pur in presenza del recupero registrato nel corso del 2014. La dinamica della quantità di lavoro utilizzato dal settore negli anni della crisi non ha favorito il miglioramento della produttività con la conseguenza che la remunerazione del lavoro e del capitale si fa sempre più problematica. Sotto questo profilo, sostiene la Fipe, la ristorazione dovrà imboccare con decisione la strada di un forte recupero di produttività.

Per quanto riguarda invece l’andamento dei prezzi, a settembre 2015 i prezzi dei servizi di ristorazione commerciale (bar, ristoranti, pizzerie, ecc.) hanno fatto registrare una variazione dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto allo stesso mese di un anno fa. L’inflazione acquisita per l’anno in corso si attesta all’1,1%.

Si contano aumenti inferiori all’1% in ristoranti e pizzerie, mentre una stagione estiva particolarmente brillante ha fatto salire i prezzi dei gelati industriali e artigianali. Nel corso di questi ultimi anni la dinamica dei prezzi dei servizi di ristorazione è stata caratterizzata – in coerenza con il quadro generale – da una significativa moderazione, dimezzandosi, di fatto, dal 2% del 2012 all’1% di oggi.

Imprese e valore aggiunto del settore della ristorazione

Dopo aver visto nei giorni scorsi i segnali incoraggianti per il settore della ristorazione italiana e le tendenze di consumo degli italiani che quotidianamente frequentano bar e ristoranti, oggi torniamo ad analizzare il Rapporto Fipe 2015 sulla ristorazione dal punto di vista dei numeri.

La ristorazione italiana conta 320.391 imprese, suddivise in 149.085 bar e 168.289 ristoranti di varia tipologia. Che quello italiano sia un mercato a forte densità imprenditoriale è noto. I numeri dicono che, a fronte di una densità che in Francia è di 329 imprese per 100mila residenti, in Germania di 198 e nel Regno Unito addirittura di 181, l’Italia presenta un indice di 440 imprese della ristorazione per 100mila residenti.

Il tasso di competizione del mercato della ristorazione è elevato e gli effetti sul turnover imprenditoriale sono evidenti, tendenza che conferma la sostanziale fragilità del tessuto produttivo del settore, ulteriormente accentuata dalla crisi.

Infatti, nei primi nove mesi del 2015 hanno avviato l’attività 12.726 imprese mentre 20.018 l’hanno cessata, determinando un saldo negativo di 7.292. Anche nel 2014 il saldo è stato negativo per circa 10mila unità. Tuttavia il clima di fiducia delle imprese della ristorazione migliora: nel terzo trimestre del 2015 è infatti tornato ai livelli del 2007.

Il valore aggiunto del settore italiano della ristorazione sfiora i 40 miliardi di euro ed è del 19% superiore a quello dell’agricoltura e del 52% superiore al valore aggiunto dell’industria alimentare. L’impatto della crisi sulle performance del settore è avvenuto con un certo ritardo, ma ha dispiegato i propri effetti negativi nel biennio 2012-2013, quando ha segnato una contrazione di oltre il 4%.

Vedremo domani qual è, in termini numeri, la dimensione del settore della ristorazione sul totale degli occupati nel comparto del turismo e quali sono le tendenze occupazionali degli ultimi anni, con un occhio anche agli indici di produttività e all’andamento dei prezzi del settore.

Ristorazione e consumi, le dinamiche del settore

Abbiamo visto ieri come l’annuale Rapporto Ristorazione a cura della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi abbia scattato una fotografia tutto sommato positiva dell’andamento del settore della ristorazione in Italia nei primi mesi del 2015, con buone prospettive sulla chiusura dell’anno.

Oggi vediamo come la sintesi del Rapporto presenti una dettagliata mappa dei consumi degli italiani fuoricasa, dalla colazione al dopocena, con le tipologie di locale maggiormente coinvolte e i prodotti di maggiore preferenza.

Uno studio accurato che, per gli operatori del settore della ristorazione, può essere un punto di partenza per calibrare la propria offerta in base alle preferenze del consumatore, sia sotto il profilo della varietà alimentare che delle fasce orarie di consumo preferite. Vediamo.

Ristorazione: i consumi infrasettimanali

  • 5 milioni di persone ogni giorno (il 61,5% della popolazione) fa colazione fuori casa con predilezione per caffè, cappuccino e brioche e una spesa media di 2,50 euro;
  • 12 milioni di italiani (il 66% della popolazione) pranzano fuori casa, prevalentemente al bar, per 3-4 volte durante la settimana: panino, pizza e primi piatti le proposte di maggiore preferenza;
  • 3 milioni di italiani (59,4% della popolazione) cenano al ristorante almeno tre volte alla settimana, scegliendo soprattutto pizzerie, con una spesa media di 22,40 euro;
  • Oltre 9 milioni (il 47,7% della popolazione) si recano al bar per una pausa almeno 3-4 volte alla settimana, scegliendo soprattutto snack e gelati per una spesa complessiva di 3,20 euro.

Ristorazione: i consumi nel fine settimana

  • 6,6 milioni di italiani (il 63,6% della popolazione) pranzano fuori casa nel week end almeno 3 volte al mese, scegliendo soprattutto la pizza e spendendo indicativamente 18,60 euro;
  • 7,3 milioni (il 66,8%) cenano fuori casa nel week end almeno 3 volte al mese prediligendo ristoranti e trattorie, con una media di due portate a pasto e una spesa media di 19,10 euro.

Tutte queste cifre fanno sì il mercato della ristorazione in Italia sia al terzo posto in Europa. Nel continente il settore della ristorazione vale 504 miliardi di euro ed è concentrato principalmente in tre Paesi: Regno Unito, Spagna e Italia. In rapporto alla popolazione e a parità di potere d’acquisto, la spesa pro-capite per la ristorazione è in Italia del 22% superiore a quella media europea e del 33% alla spesa della Francia.

La ristorazione italiana torna a sorridere

Il settore della ristorazione è uno di quelli che trainano l’economia italiana e, in questo 2015, sta facendo registrare segnali incoraggianti. Di fatto, gli italiani tornano al ristorante, dicono basta alla crisi e fanno tendere al bello il barometro della ristorazione fuoricasa.

Una tendenza certificata con numeri chiari e con un trend positivo dall’ultimo Rapporto Ristorazione a cura della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, presentato nei giorni scorsi all’Unione del Commercio di Milano. Consumi in crescita dello 0,8% nel 2015 e prospettive in miglioramento sul fronte dell’occupazione: l’universo della ristorazione italiana, fatto di bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie torna a sorridere.

Una tendenza che, per il settore della ristorazione, si traduce nell’interruzione della dinamica di contrazione iniziata nel 2008. Per il 2015, infatti, la previsione del Centro Studi Fipe è di un incremento dello 0,8% che porterà la spesa nominale a 76 miliardi di euro. Nel complesso, nel 2014 la spesa delle famiglie italiane per la ristorazione si è attestata su 74.664 milioni di euro in valore e 69.473 milioni in volume, con un incremento reale sul 2013 dello 0,7%.

Del resto, ricorda la Fipe, otto italiani su dieci frequentano più o meno abitualmente bar e ristoranti a pranzo, a cena o semplicemente per una pausa. Anche tra le imprese della ristorazione si coglie maggiore fiducia verso il futuro: nel terzo trimestre di quest’anno il sentiment è tornato ai livelli del 2007. Tuttavia, il saldo tra imprese che hanno avviato l’attività e imprese che l’hanno cessata rimane negativo, a conferma del fatto che la ripresa non riguarda l’intero settore.

Il Rapporto del Centro Studi Fipe non trascura di entrare nel merito dei comportamenti di consumo degli italiani nei confronti del settore della ristorazione. Il 77% dei maggiorenni consuma più o meno abitualmente cibo al di fuori delle mura domestiche, sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene o più semplicemente di spuntini e aperitivi. In termini numerici si tratta di 39 milioni di persone, così segmentati:

  • heavy consumer: 13 milioni che consumano almeno 4-5 pasti fuori casa in una settimana;
  • average consumer: 9 milioni che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa in una settimana;
  • low consumer: 17 milioni che consumano almeno 2-3 pasti in un mese.

Gli heavy consumer sono in prevalenza uomini (51,3%) di età compresa tra i 35 e i 44 anni (24,8%) e residenti al Nord Ovest (29,8%), in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (30,5%). Appartengono a un nucleo familiare composto da 3 persone (32,3%). Gli average sono in prevalenza uomini (51,9%), residenti al Centro Italia (28,9%) in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (35,9%). In prevalenza appartengono a un nucleo familiare composto da 4 persone (26,1%). I low consumer sono in prevalenza donne (51,6%), di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia, in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (34,9%). In prevalenza appartengono ad un nucleo familiare composto da due persone (35,2%).

“Già nel corso dell’anno – commenta Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe – erano stati evidenziati segnali incoraggiantiDai dati positivi sul pranzo di Pasqua e Pasquetta fino alle ultime elaborazioni sui risultati della stagione estiva, tutti i numeri portavano a previsioni ottimistiche: l’ennesima conferma del valore di un settore, quello del fuoricasa, scelto da 39 milioni di italiani e che punta sempre di più all’innovazione, alla competenza, alla qualità delle proposte”.

Domani vedremo quali sono le dinamiche dei consumi fuoricasa da parte degli italiani e quanto incidono sul mercato della ristorazione italiana.

Expo e le sue conseguenze su Milano

Dopo due mesi dall’inaugurazione, si comincia a fare un primo bilancio dell’Expo, l’esposizione universale che si sta svolgendo dall’1 maggio a Milano.

I conti riguardano non solo i padiglioni di Rho e gli eventi che ogni giorno avvengono attorno all’albero della vita, ma anche cosa accade in città, nel suo cuore pulsante, all’ombra della Madonnina.

Se, infatti, Expo prometteva un importante giro d’affari per ristoratori e imprenditori del settore, sembra che la realtà non sia proprio così rosea.
Gli addetti ai lavori, infatti, denunciano un bilancio fortemente negativo, poiché la manifestazione viene scelta da visitatori e turisti che, così, snobbano i luoghi più caratteristici della città e, di conseguenza, anche bar, ristoranti ed hotel.

Questo è quanto emerge dall’indagine Fipe – Epam presentata a palazzo Marino, il 1° luglio, nel corso di una audizione del Presidente Lino Stoppani presso la commissione Commercio.

Vediamo nel dettaglio cosa dicono i dati: gli effetti della manifestazione sulle attività di pubblico esercizio sono stati in questi primi due mesi negativi per il 26,1% degli intervistati e, addirittura, molto negativi per il 43,4%.
Non manca chi dà una lettura diversa ma non si va oltre l’11% degli intervistati. Per il restante 20% l’esposizione è stata finora assolutamente neutrale rispetto alle performance economiche delle attività di pubblico esercizio.

Ciò significa che Expo o ha influito negativamente sui pubblici esercizi della città o è stata ininfluente. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso gli esercenti registrano una flessione del fatturato pari, in media, al -18,3%.

Probabilmente, a danneggiare ristoranti e locali è stata anche la decisione di prolungare fino a tarda serata l’orario di apertura dell’esposizione, che di fatto lascia la città deserta e desolata.
Ma l’albero della vita con i suoi giochi di luce rappresenta un’attrattiva irresistibile.

Vera MORETTI

In arrivo il nuovo contratto del turismo

E’ stata presentata la bozza del nuovo accordo per il rinnovo del CCNL Turismo, scaduto lo scorso 30 aprile.

L’avvenuto accordo tra Federlberghi, Faita-Federcamping e le organizzazioni sindacali di categoria è stato accolto positivamente da Bernabò Bocca, presidente di Federlaberghi, il quale ha dichiarato: “Aver siglato il rinnovo dopo 15 mesi di trattative rappresenta un atto di grande responsabilità delle imprese che, pur a fronte di una situazione di crisi prolungata, hanno inteso dare ai lavoratori ed alle loro famiglie un segnale di speranza per il futuro. La firma dell’accordo è stata possibile grazie all’adozione di soluzioni innovative, che realizzano il giusto equilibrio, offrendo risposte concrete anche alle esigenze delle imprese. In particolare, i meccanismi di gestione del mercato del lavoro e dell’orario di lavoro realizzano la flessibilità necessaria per adattarsi tempestivamente all’andamento del mercato, che purtroppo non è ancora uscito dalla congiuntura negativa“.

Non si tratta, comunque, di un traguardo ma, piuttosto, di un inizio, che deve aver un seguito, ad esempio, con un pacchetto di interventi concreti che riguardino anche la destagionalizzazione, la riqualificazione dell’offerta, le politiche fiscali e il contrasto all’abusivismo.

Il contratto avrà durata di 40 mesi, ovvero dall’1 maggio 2013 al 31 agosto 2016, con un primo aumento salariale, pari a 17,60 euro, che sarà pagato a febbraio 2014.
Sono previste ulteriori quattro rate di identico importo, che determineranno un aumento complessivo di 88 euro, che arriverà a regime ad aprile 2016.

Nell’accordo sono contemplate anche soluzioni innovative relative al contratto di apprendistato, lavoro a tempo determinato ed organizzazione degli enti bilaterali, ma anche un adeguamento del sistema di assistenza sanitaria integrativa e l’impegno a proseguire il confronto per l’istituzione del fondo bilaterale di sostegno al reddito previsto dalla legge 92/12.

E’ stato inoltre sottoscritto un protocollo su Expo 2015, che vede le parti impegnate a collaborare per contribuire al successo della manifestazione, che si appresta a rappresentare un’importante opportunità anche per il turismo.

Per ora, comunque, l’accordo è stato siglato dalle associazioni del turismo all’aria aperta e degli alberghi, e non comprende invece Fipe e i suoi 250 mila pubblici esercizi, né Fiavet per le agenzie di viaggio.

A questo proposito, Lino Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, ha dichiarato: “L’interruzione delle trattative per il rinnovo del CCNL e il successivo recesso, comunicato alle organizzazioni sindacali a decorrere dal prossimo primo maggio, sono il segno dello stato di sofferenza che le nostre imprese vivono da oltre tre anni. La crisi ha cancellato 27.000 tra bar, ristoranti, pub e discoteche per effetto di una significativa riduzione dei ricavi ma anche per la crescita di un abusivismo commerciale che ha raggiunto oramai la cifra record di 5 miliardi di euro. In queste condizioni solo un contratto all’altezza della gravità del momento può essere sottoscritto e applicato dalle imprese che rappresentiamo“.

Per questo motivo, Fipe-Confcommercio chiede interventi incisivi sugli istituti contrattuali che generano retribuzione in assenza di ore lavorate e che influiscono su produttività e redditività delle imprese perché, come ha ribadito Stoppani: “Solo così riteniamo possibile impegnare le imprese associate al rispetto di obblighi contrattuali che riguardano oltre 680.000 lavoratori pari al 70% dell’occupazione dipendente dell’intero settore turistico“.

Vera MORETTI

“Rinviare la Tares? Un palliativo”

di Davide PASSONI

La Tares è il nuovo spettro fiscale per imprese e privati, inutile negarlo. E intorno alla nuova tassa sui rifiuti si è scatenato più di un polverone, tanto che la maggiorazione sulla tassa sui rifiuti è stata rimandata a dicembre e non con la prima rata prevista a maggio, che rimarrà invariata. Ma che cosa pensa chi con questa tassa avrà una pesantissima mazzata? Lo abbiamo chiesto a Lino Stoppani, presidente di Fipe.

Quanto vi lasciano soddisfatti le nuove scadenze che si vanno delineando per la Tares?
L’applicazione differita della Tares è un palliativo, visto il livello degli incrementi rispetto all’Imu. Significa solo rinviare un grande problema, che almeno impedisce un ingorgo fiscale pesantissimo con l’acconto Imu e l’aumento dell’Iva. Per cui piuttosto che niente meglio piuttosto, ma continuiamo a ritenere la Tares eccessivamente onerosa se considerata in rapporto alle tasse che sostituisce; è una soddisfazione per chi ha sempre chiesto il rinvio, speriamo che questo possa servire anche a rivederla dal profondo.

Era proprio necessario, a vostro avviso, il passaggio dalla Tarsu alla Tares?
Lo smaltimento rifiuti e la salvaguardia dell’ambiente sono grandi problemi, ma non possono sempre scaricarsi sulle tasche di aziende e famiglie, lo Stato deve avere l’intelligenza e la capacità di organizzarsi in altro modo per non aggravare una pressione fiscale già insostenibile.

E quindi?
Siamo produttori di rifiuti a tutti i livelli, è innegabile. E questa produzione è cresciuta nel tempo grazie al moltiplicarsi e al diversificarsi degli imballaggi, che pesano sui costi di smaltimento. Questo ha creato grandi investimenti e anche grandi problemi, tanto che la Tares dovrebbe servire anche a trovare soluzioni per questo problema. Prima si era pensato di legare l’importo della tassa agli effettivi consumi e “ingombri” del soggetto che produce i rifiuti; oggi si va per metri quadri disponibili, numeri di persone che compongono la famiglia, tipologia produttiva dell’azienda o dell’esercizio commerciale… Insomma, penso che la Tares porterà sollievo allo Stato ma disagi e costi aggiuntivi a famiglie e aziende.

Quali sono le preoccupazioni che, come Fipe, raccogliete dai vostri associati riguardo a questa nuova tassa?
C’è grande preoccupazione da parte dei nostri associati, sia sul lato imprenditoriale sia su quello dei bilanci familiari, loro e dei loro clienti.

Le stime di rincari nel passaggio Tarsu-Tares fatte per alcune tipologie di esercizi non rischiano di creare allarmismo eccessivo?
Per gli esercizi commerciali si ragiona di cifre importanti, le stime di Confcommercio parlano chiaro: una media del 60% in più per la maggior parte degli esercizi commerciali al dettaglio, con picchi per attività tipo ristoranti, +550%, bar, +70%, stazioni di servizio +170%.

Troppo…
Le cose vanno fatte con gradualità e, soprattutto, non gravando sempre sulle tasche dei cittadini e sui bilanci delle imprese.

A suo avviso, in generale, la tassa sui rifiuti urbani – indubbiamente alta – è compensata da una qualità del servizio di pari livello?
C’è ancora molto da fare, basti pensare alle emergenze periodiche che si ripropongono in varie città italiane. Sono molti i problemi non ancora risolti legati allo smaltimento dei rifiuti, perché ci sono resistenze, pregiudizi e cattiva informazione. Siamo molto indietro anche in termini di educazione, che parte dalla famiglia, da una corretta gestione della raccolta differenziata e da tutto il resto.

Quindi paghiamo per un servizio non all’altezza?
Anche in città come Milano – parlo della mia città -, un servizio di raccolta rifiuti puntuale, efficiente e ben erogato merita di essere pagato anche a prezzi superiori agli attuali, ma con questi livello di applicazione, quando si parla di maggiorazioni di 4 o 5 volte l’importo attuale, si sono superati tutti i limiti di sopportabilità economica.

Come Fipe avete intenzione di intraprendere delle iniziative specifiche?
Ci siamo già attivati con le osserazioni di cui sopra sui tavoli del ministero dell’Ambiente e con il governo. Abbiamo avuto risposte deludenti, o perché ci hanno detto che ci sono vincoli di bilancio, o perché sono state ricevute direttive dall’Europa…

Conclusione?
Ci troveremo, dopo l’Imu, anche la Tares e che pagherà sarà, alla fine, sempre il cliente. Se, come esercizio pubblico, vedo aumentare i costi, devo aumentare anche i prezzi finali al cliente. Già facciamo fatica adesso: comprimere ulteriormente la capacità di spesa dei consumatori e aumentare una situazione fiscale già a livelli mai visti sono azioni che fanno bene alle casse dello Stato ma non al Paese.

Wi-fi libero nei pubblici esercizi

Era già stato ribadito dal Garante, ma sembra che ancora le regole non vengano recepite.
Risale a pochi giorni fa la risposta fornita dall’Autorità garante della Protezione dei dati personali a Fipe-Confcommercio sulla liberalizzazione del wi-fi nei pubblici esercizi che, invece di placare gli animi, ha acceso una vera e propria diatriba.

Il quesito su cui le parti si stanno scontrando riguarda il rischio di condanna dell’esercente che non identifica i fruitori del wi-fi e non registra la loro navigazione per reati eventualmente commessi con tali mezzi dai clienti.
In realtà, come è stato confermato dal Garante, già dal 2011 è venuta meno l’obbligatorietà da parte degli esercenti di monitorare e archiviare i dati relativi alla navigazione in Internet degli avventori.
Inoltre, in tema di reati, non è previsto alcun tipo di responsabilità oggettiva e ciò è confermato anche dall’assenza di qualsiasi condanna per tali fatti.

Sta all’esercente, poi, richiedere ai clienti l’autorizzazione il consenso al trattamento dei dati, nel caso abbia intenzione di intercettare i loro collegamenti.
In assenza di tale autorizzazione, si rischia una sicura sanzione amministrativa nella misura compresa fra seimila e 36 mila euro.
Gli esercenti che ancora dispongono di strumenti per il monitoraggio e l’archiviazione dei dati possono dunque rinunciarvi, adeguandosi con quanto avviene in altri paesi europei.

Lino Stoppani, presidente Fipe, a proposito, ha dichiarato: “È assurdo che dopo il parere dell’Authority vi siano ancora dei dubbi interpretativi sulla liberalizzazione del sistema wi-fi che va verso la realizzazione delle smart city“.

Vera MORETTI