Reddito di cittadinanza e programmi elettorali: cosa cambierà?

Secondo i dati dell’INPS i nuclei familiari che beneficiano del reddito di cittadinanza sono 1.686.416 per un totale di 3.790.744 di persone coinvolte, il provvedimento bandiera del M5S, che ha sicuramente agevolato molte famiglie, potrebbe però subire importanti modifiche a partire dal mese di ottobre 2022 quando il peso delle elezioni del 25 settembre e del nuovo governo si farà sentire. Ecco cosa prevedono le varie coalizioni e i partiti nei loro programmi elettorali.

Reddito di cittadinanza e M5S: deve essere rafforzato anche con monitoraggio antifrode

Il reddito di cittadinanza è stata la misura bandiera del M5S, ha permesso a nuclei familiari senza reddito o con un reddito Isee inferiore a 9.360 euro all’anno di ottenere un’integrazione economica commisurata al reddito percepito. L’erogazione media nazionale è di 553,68 euro, ma ci sono nuclei che percepiscono meno e altri che invece percepiscono nettamente di più. Si tratta di una misura divisiva perché, mentre chi lo percepisce riceve sostegno, gli altri sono titubanti su questa misura ritenendola un costo eccessivo.

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Naturalmente il reddito di cittadinanza, insieme al bonus 110%, continua ad avere il sostegno incondizionato del M5S. Lo stesso ha però dichiarato che deve essere rafforzato, ma soprattutto deve essere migliorato il sistema di monitoraggio antifrode. Il problema c’è ed è evidente.

Programmi elettorali del centro-destra sul reddito di cittadinanza

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che ad oggi dai sondaggi è il partito con maggiori consensi, ritiene che disincentivi la ricerca di un lavoro, fino a definire questa misura come metadone di Stato. Questo nonostante alcune modifiche rispetto all’impostazione iniziale. Attualmente dopo la prima rinuncia a una proposta di lavoro, parte la decurtazione dell’importo percepito e alla seconda proposta invece si perde il beneficio.

Nel centro-destra è più defilata la posizione di Antonio Tajani, Forza Italia, che ha dichiarato l’obiettivo di ridurre il numero di beneficiari del reddito di cittadinanza, riconoscendolo solo a chi realmente si trova in uno stato di bisogno. Da questa riduzione dovrebbe derivare un risparmio di 4 miliardi di euro da destinare all’aumento delle pensioni minime. La Lega invece vorrebbe mantenere la misura sono in favore degli inidonei al lavoro, mentre negli altri casi punta all’abolizione, soprattutto ritiene che i controlli debbano essere delegati agli Enti Locali perché sarebbero maggiormente in grado di scoprire le frodi.

Renzi e Calenda: passo indietro di Matteo Renzi

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, aveva proposto una raccolta di firme per chiedere un referendum costituzionale per la sua abolizione, ma ha dovuto cedere il passo. Dall’accordo stipulato con Carlo Calenda per le prossime elezioni, il leader di coalizione sarà proprio quest’ultimo, è emerso che si propenderà per una riforma. Insomma Matteo Renzi ha ceduto e come molti altri leader di partito assume una posizione intermedia per non lasciare il malcontento a nessuno. La proposta di Calenda è quella di ridurre a una sola la proposta di lavoro dal cui rifiuto deriva la perdita del beneficio.

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D’altronde Calenda ha dichiarato che molto probabilmente il nuovo governo resterà in carica 3 mesi e dopo si dovrà ritornare a un governo “istituzionale” sulla scia del governo Draghi o che comunque porti avanti la famosa “agenda”. Proprio Draghi  aveva dichiarato che il reddito di cittadinanza deve essere riformulato.

Programmi elettorali del centro sinistra per il reddito di cittadinanza

Il Pd, non intende abolire il reddito di cittadinanza, anche in questo caso si parla di una riformulazione, il cui obiettivo dovrebbe essere non ledere le famiglie numerose.  La coalizione di centro-sinistra pensa di introdurre l’integrazione pubblica alla retribuzione (in-work benefit), si tratterebbe di una misura volta ad agevolare lavoratori e lavoratrici che hanno un reddito eccessivamente basso.

Enrico Letta, leader della coalizione di centro-sinistra che comprende Pd, +Europa, Sinistra Italiana di Fratoianni, Verdi e Di Maio e Tabacci con “ Impegno Civile”.

Family Act approvato definitivamente al Senato: ecco tutte le misure

La famiglia è sempre stata al centro della politica come destinataria di aiuti, ma anche come spina dorsale del Paese Italia. Ora il Parlamento licenzia il Family Act, definita la prima disciplina organica del welfare familiare. La maternità della legge è della ministra per le pari opportunità Elena Bonetti, ma a condividere la paternità dell’atto c’è anche Matteo Renzi che sottolinea come la riforma sia nata alla Leopolda. Vediamo cosa prevede il Family Act.

Cos’è il Family Act?

Il family act ha ottenuto l’approvazione definitiva dal Senato della Repubblica il 6 aprile 2022 con 193 voti favorevoli, 10 contrari e 15 astenuti. Promuove la genitorialità con importanti aiuti alle famiglie e attraverso una serie di provvedimenti che mirano a una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia. Gli obiettivi della riforma sono molteplici e tra essi ci sono il contrasto alla denatalità, la valorizzazione della crescita dei bambini, promozione dell’autonomia dei giovani e aiuto alle donne nel mondo del lavoro attraverso misure volte a distribuire il carico familiare.

La prima cosa da dire è che in realtà il family act è un insieme di provvedimenti che sono stati licenziati in questi mesi e che hanno radicalmente cambiato il welfare delle famiglie. Molti provvedimenti sono già attuati e in piena fase di rodaggio, altri invece dovranno essere attuati nei prossimi mesi. Molte delle misure previste nel family act sono contenute nella direttiva dell’Unione Europea 2019/1158 e la legge prevede che per le misure che l’Italia ancora non ha adottato vi sono 24 mesi dall’approvazione del 6 aprile 2022 per portare a termine il percorso di attuazione. Il 31 marzo intanto è stato approvato lo schema del decreto legislativo per il recepimento della direttiva e di conseguenza a breve tutte le misure previste nel family act dovrebbero trovare attuazione proprio attraverso tale recepimento.

Le misure del Family Act

Assegno Unico

La prima e forse più importante parte del Family Act è sicuramente l’approvazione dell’Assegno Unico che gli italiani stanno già ricevendo dal mese di marzo 2022, questo prevede un importo per ogni figlio fino al 21° anno di età. L’importo si determina in base all’ISEE, al numero di figli ( con maggiorazioni per le famiglie numerose) in base ad eventuali handicap. Va a sostituire l’assegno alla nascita, le detrazioni per i figli a carico e l’assegno per il nucleo familiare, andando così a semplificare anche il welfare, visto che diversi aiuti vengono inglobati in un’unica misura. L’Assegno Unico, come sappiamo, non va a limitare il Bonus Nido che resta quindi un’importante misura volta ad aiutare le famiglie nella conciliazione dei ruoli.

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Bonus Nido 2022: dal 24 febbraio si può presentare la domanda: guida

Online il sito per l’Assegno Unico: le Faq più importanti e casistiche

Congedi parentali

Con il Family Act sono inoltre stati rafforzati i congedi parentali in modo da favorire la conciliazione dei ruoli. I congedi parentali potranno essere utilizzati dai genitori fino al compimento del 14° anno di età del figlio. Attualmente è prevista tale possibilità fino al compimento del 12° anno di età. Inoltre è previsto per il settore privato, ma presto sarà esteso anche al settore pubblico, il congedo di paternità obbligatorio della durata di 10 giorni. Questo con la legge di bilancio 2022 è diventato strutturale e quindi non occorre che la misura sia rinnovata ogni anno.

Congedo di paternità a breve sarà esteso anche al settore pubblico

Al fine di favorire una migliore gestione dei carichi familiari, sono anche previste 5 ore di permessi retribuiti per i colloqui a scuola e permessi per accompagnare le donne alle visite durante il periodo della gravidanza.

Agevolazioni per giovani genitori

Per i giovani genitori con figli a carico sono previste agevolazioni anche per l’ingresso a sale teatrali e al cinema. Inoltre ci saranno agevolazioni per le spese di istruzione, palestre, corsi, viaggi di istruzione, sport e teatro.

Mutui under 36 e locazioni

Molti aiuti sono relativi alla casa, infatti sono previste condizioni agevolate per i mutui per l’acquisto della prima casa per le giovani coppie con meno di 35 anni di età al momento dell’acquisto dell’immobile. Il decreto sostegni bis per gli under 36 che decidono di acquistare una casa ha previsto l’esenzione dal pagamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale. Inoltre per gli acquisti soggetti ad IVA ha previsto un credito di imposta pari a quanto versato di IVA.

Per poter accedere a tali benefici è necessario avere un ISEE non superiore a 40.000 euro. Tale misura è valida per i contratti stipulati fino al 31 dicembre 2022, ma potrebbe essere estesa proprio per dare attuazione al Family Act.

Per chi invece preferisce la locazione di immobili ci sono detrazioni fiscali. Il Bonus affitti attualmente è previsto per i ragazzi di età compresa tra i 20 e i 31 anni di età. Consente di ottenere un credito di imposta di 991,60 euro per i primi quattro anni di durata contrattuale. Nel caso di durata superiore del contratto si applica una detrazione pari al 19% su un tetto massimo di 2.000 euro. La detrazione per il Bonus Affitti è finanziata con il Fondo Affitto Giovani. L’obiettivo è fare in modo che i giovani italiani lascino la casa dei genitori e si emancipino in giovane età come succede nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea.

Misure previste nel Family Act per il mondo del lavoro

Nel mondo del lavoro sono previste misure premiali per i datori di lavoro che mettono in pratica misure volte alla piena armonizzazione tra vita privata e lavoro ad esempio introducendo forme di lavoro flessibile.

Tra le misure del family act ci sono anche le agevolazioni per l’imprenditoria femminile e per chi incentiva il lavoro femminile al Sud. Sono previste attività di formazione in materia finanziaria e per la digitalizzazione in favore delle donne.

Tra le agevolazioni previste per le imprese che favoriscono il rientro a lavoro delle donne, c’è la decontribuzione in favore delle aziende che assumono personale per la sostituzione delle donne in maternità.

Nei prossimi mesi con l’approvazione del Family Act tutte le misure viste dovranno essere normate nel dettaglio ed entraranno in vigore in misura strutturale.

Toto Presidente: i nomi più quotati con qualche sorpresa

Quando arriva il momento di eleggere il Presidente della Repubblica c’è sempre chi si propone e chi invece si tira un po’ indietro, ciò che di sicuro sembra difficile è, invece, mettere i partiti d’accordo e visto che proprio hanno difficoltà, stanno prendendo l’abitudine di allungare il mandato del Presidente in carica e non fosse per altro se non per il fatto che Il Presidente Mattarella ha già fatto sapere che non ci sta, dovranno proprio scegliere. E allora proviamo con leggerezza, ma non troppo, a capire chi potrebbero essere i politici, o non politici, più quotati. Diamo il via anche noi al Toto Presidente.

Come si elegge il Presidente della Repubblica: maggioranze richieste

In Italia il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune (Camera+Senato) e dura in carica 7 anni. All’elezione inoltre partecipano 3 delegati per ogni Regione, ma Valle D’Aosta ha un solo delegato, in questo modo viene assicurata la rappresentanza delle minoranze. Gli attuali elettori del Presidente della Repubblica sono 1009. Affinché si possa essere eletti Presidente della Repubblica occorre avere almeno 50 anni di età e godere dei diritti civili e politici. Durante la seduta comune non sono ammessi interventi volti a proporre candidature.

In prima seduta il Presidente della Repubblica viene eletto con la maggioranza dei 2/3 dell’assemblea. Se al primo scrutinio non si raggiunge tale quorum, si procede a una nuova votazione. Se dopo il terzo scrutinio vi è un nulla di fatto, si procede al quarto in cui però è richiesta la maggioranza assoluta. Cioè la metà +1 dei votanti.

Solo in due casi il Presidente è stato eletto con la maggioranza qualificata e si è trattato dei presidenti Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, l’elezione più complessa è stata quella di Giovanni Leone con ben 23 scrutini, mentre altrettanto complessa è stata la sostituzione di Giorgio Napolitano, infatti proprio a causa di una mancanza di accordo fu rieletto, per poi dimettersi dopo 2 anni.

Questo turno elettorale ad oggi non si presenta per nulla semplice e questo per diversi motivi, già ora qualcuno ha ventilato l’ipotesi di eleggere nuovamente Mattarella proprio perché non si trova la quadra tra i partiti, ma il diretto interessato ha escluso questa ipotesi. Chi sarà quindi il nuovo Presidente?

Il Toto Presidente: Draghi in testa

Sono in tanti a fare il nome di Draghi, alcuni perché vorrebbero andare alle elezioni e questo sarebbe proprio il modo per farlo, altri perché pensano che l’attuale Presidente del Consiglio, prestato alla politica dalla tecnica, possa avere le giuste capacità e su lui potrebbe esservi un accordo. In realtà già Forza Italia, in particolare Berlusconi, ha sbarrato la strada perché crede fermamente che l’Italia abbia bisogno di Draghi come Presidente del Consiglio e che un cambio potrebbe destabilizzare e compromettere la crescita e l’attuazione del PNRR, sono però gli stessi personaggi che auspicano fortemente un Silvio Berlusconi Presidente della Repubblica.

D’altra parte qualche indiscrezione è sfuggita al Ministro Di Maio che ha parlato di una staffetta alla Presidenza del Consiglio con il ministro dell’Economia Franco che sembra sia pronto a traslocare a Palazzo Chigi. A chi scrive sembra più un’indiscrezione lasciata andare per valutare gli umori e non una reale ipotesi. Il rischio vero sono le elezioni e ad oggi, oltre a Meloni, sembra che nessuno le voglia e soprattutto il M5S che deve recuperare un po’ di voti prima di recarsi alle urne e allora il 2023 proprio al M5S starebbe comodo.

L’ipotesi del Ministro Franco a Palazzo Chigi sarebbe alquanto difficile da sostenere perché la reale paura è che, a differenza di Draghi, non riesca a mantenere nello stesso geverno PD-M5S-Lega e Forza Italia e quindi lo spaventapasseri delle elezioni anticipate sarebbe davvero forte. E allora? Alcuni puntano su Franco Presidente della Repubblica, anche se lo dicono molto sottovoce. Proprio il sottovoce potrebbe essere l’indizio vincente.

Toto Presidente: è arrivato il momento del Presidente della Repubblica Donna

Chi sono gli altri “papabili”? I nomi che circolano sono davvero tanti. C’è naturalmente la schiera di chi chiede un Presidente della Repubblica donna e l’idea di certo non sarebbe male, il problema resta il nome. In questo caso tra quelli che circolano in modo più insistente ci sono il ministro della Giustizia Cartabia, ma anche Emma Bonino, Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Meno quotate, ma in corsa anche Paola Severino e Letizia Moratti. Ad oggi nessuna di queste proposte sembra però essere realmente tenuta in considerazione, anche se non si capisce il reale motivo di tale riluttanza. Questo nonostante l’indubbia esperienza istituzionale delle 6 “candidate”.

Romano Prodi: sarebbe da incoscienti eleggermi Presidente

Un altro nome che insistentemente circola, anche se a crederci sembra non siano tanti, è Romano Prodi, a sottolineare questa ipotesi c’è anche Gianfranco Rotondi, storico filosofo di Forza Italia, che vede un duello (ancora…) tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Per ora all’ipotesi di Berlusconi sembra crederci proprio il diretto interessato e gli italiani: dai sondaggi emerge che lo vorrebbero proprio al Quirinale. A Prodi, invece, di certo non mancano carisma e capacità istituzionale, ma è proprio lui a fare un passo indietro sottolineando che a 82 anni dargli un mandato settennale sarebbe un’incoscienza. Di fatto Silvio Berlusconi ne ha di più e il problema non se lo pone. Prodi sottolinea anche che con il voto segreto, fare ipotesi è abbastanza assurdo perché ci sono sempre sorprese, cioè presidenti che poco hanno a che fare con i nomi fatti circolare. Ecco perché chi scrive crede molto poco in Draghi.

Tra i nomi circolati c’è anche Giuliano Amato che non sempre ha attirato le simpatie degli italiani e che di fatto ha 83 anni, sembra che l’unico a porsi il problema dell’età sia Romano Prodi.

Toto Presidente: la carica dei giovani

Passiamo ora ai papabili presidenti giovani. Tra i nomi che circolano c’è Pier Ferdinando Casini, può essere considerato l’uomo di centro per eccellenza, un po’ a sinistra e un po’ a destra. Sicuramente molto defilato dalla politica negli ultimi anni, sebbene ricopra l’incarico di Senatore. Ha 66 anni e può essere considerato un presidente giovane rispetto a ciò che negli ultimi anni è capitato. Il “partito” Pier Ferdinando Casini sembra essere l’asso nella manica di Renzi che però dovrebbe trovare l’appoggio di altri partiti visto il peso di Italia Viva in Parlamento, ma sembra che siano in pochi a fidarsi di Renzi.

C’è però un altro nome femminile che pian piano scuote la politica: Elisabetta Belloni, ora ricopre la carica di capo dei servizi segreti, a lei è stata affidata la direzione generale del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), sempre considerata politicamente neutra, caratteristica che oggi non è certo negativa. Età 63 anni, laureata in Scienze Politiche, prima donna segretario generale del Ministero degli Esteri, molto apprezzata da Salvini, Di Maio, Gentiloni, Matteo Renzi. Ha un curriculum notevole e doti diplomatiche eccellenti.

Infine, non ci resta che fare gli auguri a Giancarlo Magalli che ha vinto le “ Quirinarie” nel 2015 e ha ottenuto un voto al primo scrutinio.

Dopo Expo 2015: ora i fatti, please

E adesso che anche il governo ha detto la sua sulla nuova destinazione d’uso dell’area di Expo 2015, siamo tutti più tranquilli. O quasi. Da molto prima della chiusura dell’Esposizione Universale, il 31 ottobre scorso si era cominciato a discutere del dopo Expo e ciascuno si era sentito in dovere di dire la propria, a partire dagli scettici che vedono per l’area un futuro da deserto metropolitano.

Fatto sta che sul futuro dell’area di Expo 2015 se ne sono sentite di ogni, finché è arrivato il premier Renzi a illustrare la propria visione del dopo Expo, o meglio, quella dell’Esecutivo. Secondo il quale la zona adiacente a Rho Fiera potrebbe diventare “un centro a livello mondiale che affronti insieme il tema della genomica e dei big data“, che coinvolgerà 1.600 ricercatori con 150 milioni di euro da investire ogni anno per i prossimi 10 anni.

Per l’area di Expo 2015 Renzi ha parlato di “un centro che metta insieme discipline diverse, dall’alimentazione alla robotica allo studio dei genomi del cancro, dove al centro ci sia l’uomo“, il cosiddetto progetto “Human Technopol. Italy 2040“,

Un progetto che, secondo il premier, supererà l’idea del centro creato su singole discipline per concentrarsi, ha detto, su “un nuovo Umanesimo“. Tanto che, “dal Consiglio dei Ministri di venerdì siamo disponibili a metterci risorse ed energie“.

Ciò che è certo è che il futuro dell’area di Expo 2015 deve diventare, secondo Renzi, patrimonio comune dell’Italia, evitando che sia preda di “campanilismi” ma facendo sì che Milano per “il suo ruolo di capitale culturale dovrà essere non solo la locomotiva d’Italia, ma d’Europa“.

Bene, le parole di Renzi ci sono, l’idea del governo anche. Mancano, purtroppo, i dettagli sul dopo Expo 2015, dettagli che vadano al di là del semplice impegno economico, per ora sulla carta. Come spesso ci ha abituati il presidente del Consiglio, anche in questo caso siamo di fronte a delle slide, non concrete ma figurate. Aspettiamo di vedere come ed entro quanto tempo questo impegno sarà tradotto in fatti. Ne ha bisogno Milano, ne ha bisogno l’Italia.

Eni, che scoperta!

Le fonti energetiche non rinnovabili, finché quelle eco sostenibili non saranno in grado di sostituirle al 100%, e ci auguriamo che un giorno possa davvero accadere, rappresentano ancora la maggiore risorsa per la nostra vita quotidiana.

Tra esse, il gas è quello che ha visto aumentare il suo utilizzo nel mondo del 40% negli ultimi dieci anni, grazie alla sua efficienza, considerando che libera più del doppio dell’energia del carbone e il 50% in più del petrolio, nella versatilità, poichè usato da forni industriali, elettricità e trasporti, e nell’essere meno inquinante: le emissioni sono inferiori del 30% rispetto al petrolio e del 45% rispetto al carbone.

Per questi motivi, la scoperta, da parte di Eni, del più grande giacimento di gas nel Mediterraneo, e precisamente in Egitto, è da considerarsi sensazionale e capace di rivoluzionare lo scenario energetico mondiale.

Il giacimento nell’offshore egiziano, presso il prospetto esplorativo denominato Zohr, ha un potenziale di 850 miliardi di metri cubi di gas, equivalente a 5,5 miliardi di barili di olio, e potrà garantire la soddisfazione della domanda di gas naturale del Paese per molti decenni.

Ad oggi non si può prevedere quale quantità di quel gas verrà esportata in Europa e, di conseguenza, in Italia, ma Eni non ha potuto nascondere la sua soddisfazione, affidando all’amministratore delegato Claudio Descalzi i primi commenti: “È un giorno davvero importante per la nostra società, è la conferma delle nostre competenze e delle nostre capacità di innovazione tecnologica. Ora possono essere sfruttate importanti sinergie con le istallazioni esistenti permettendoci una rapida messa in produzione“.

L’Eni è presente in Egitto da oltre sessant’anni, è un Paese strategico per il Gruppo. Il Cane a sei zampe negli ultimi 7 anni ha scoperto 10 miliardi di barili di risorse e 300 milioni negli ultimi sei mesi.

Anche Matteo Renzi ha voluto mettersi in contatto con Eni e con il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, considerando che la scoperta acquista un significato strategico per i rapporti tra Italia ed Egitto, in un’ottica di partnership economica che riguarda non solo il singolo Paese ma più in generale l’intero continente africano.

Anche il vicepresidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha sottolineato l’importanza della scoperta: “Tutte le risorse energetiche sono utili all’Italia e sono fonte positiva. Per la competitività delle nostre imprese, con la crisi in Ucraina, la situazione in Libia e i costi dell’energia, è fondamentale trovare nuove risorse“.

Vera MORETTI

Bruscino: il Sud non è figlio di Dio minore

Le esternazioni del presidente del Consiglio Renzi sulla situazione del Mezzogiorno alla luce del dati dello Svimez non sono andate giù a molti. Uno di questi scontenti è senza dubbio il presidente nazionale dei Giovani di Confapi Angelo Bruscino, che ha preso carta e penna e, sull’argomento ha scritto una lunga lettera aperta al premier.

Egregio Presidente – esordisce Angelo Bruscino -, sono giorni di acceso, ennesimo, dibattito sul Mezzogiorno, scatenato dai dati del rapporto Svimez, con i quali si certifica, in sostanza, il definitivo tracollo nel baratro del sottosviluppo di un’area fondamentale per il paese, abitata da circa 20 milioni di persone, con un potenziale economico, turistico, agricolo e culturale inespresso, che da solo rappresenta la migliore occasione di rilancio del Pil nazionale”.

Ma se questo non bastasse a risvegliare interesse e menti – continua Bruscino -, converrebbe ricordare che le regioni sotto il Garigliano rappresentano il primo e più importante mercato di prossimità, a cui l’intera industria italiana dovrebbe puntare per risvegliare i consumi interni. Ciò malgrado, nello Stivale da quasi 60 anni si aggira un assassino, terribile e senza scrupoli, che porta sulla sua coscienza infrastrutture, fondi europei, buona politica, servizi e, purtroppo, tra le vittime eccellenti, il nostro futuro e la speranza di molti”.

Come in una partita a Cluedo, le ipotesi sull’identità di questo lestofante sono molte, ma vi assicuro non è il maggiordomo il vero colpevole, anzi i migliori indiziati sono proprio gli abitanti di queste splendide terre, che non sono riusciti ad esprimere con forza una classe dirigente capace di fare la differenza. Le occasioni non sono mancate, abbiamo avuto uomini importanti, potere, soldi, ma in definitiva tutto speso male: non siamo riusciti a creare una cultura dell’impegno che desse alle nostre terre la dignità che meritano per storia, tradizioni e cultura; ci siamo fatti conquistare e abbiamo dato ai vincitori non solo le nostre spoglie, ma anche la possibilità di infierire ogni giorno”.

Alcuni – prosegue Bruscinoparlano di ladrocinio perpetrato, io penso invece che sia stato un deliberato abbandono, soprattutto nel passato, quando si poteva ancora scegliere se restare e tentare di cambiare o semplicemente fuggire portando via il meglio che si poteva. Certo, il resto degli italiani ha la responsabilità di essere stato egoista e miope, sciocco addirittura nel pensare che una parte del paese potesse affondare senza portarsi dietro tutti gli altri. Per questo non posso che essere d’accordo con chi nell’industria, nella società civile e nella politica chiede a gran voce, non assistenza, ma pari dignità, chiede ai nostri giovani di restare, alle imprese di stato, in primis e, ai privati dopo di investire, come applaudo con entusiasmo al rinnovato vigore che scorgo nelle intenzioni ad esempio di Vincenzo De Luca, neo governatore della Campania”.

Anche se sarebbe ipocrita non ricordare o tacere un fatto, non si può chiedere a noi di credere nel futuro se alcune cose non cambiano subito nel presente. Io per primo che ho deciso di restare e continuare ad investire nel Sud Italia, ho atteso 3 anni che la burocrazia si esprimesse sull’apertura di un piccolo stabilimento che si occupa della rigenerazione delle plastiche”.

Vi è poi – rincara Bruscinol’attesa infinita di chi da anni attende un pagamento dalla pubblica amministrazione, rischiando di fallire per credito, di chi aspetta il rifacimento di una strada, l’allaccio del metano o dell’elettricità nelle aree industriali, la connessione a internet via fibra. Una miriade di piccole e grandi disfunzioni e ritardi che rendono sempre meno attraente e più difficile pensare di realizzare qui la propria impresa e in definitiva il proprio domani”.

Eppure le splendide avventure non mancano e sono d’accordo con Lei, quando dice che a Napoli come a Bari, Cagliari o Cosenza, si continuano a esprimere eccellenze, dall’industria, alla ricerca, alla cittadinanza attiva, alla buona politica. Solo che, invece di essere l’eccezione, dobbiamo tutti impegnarci a farne la regola, dobbiamo insomma fare in modo che la speranza sia più forte della triste e terribile realtà rappresentata nel rapporto Svimez ed in questo il suo governo potrà tracciare il confine tra un periodo di abbandono ed uno nuovo fatto di investimenti, coraggio riforme, di fatti e non di piagnistei”.

Siamo ancora in tempo, ma, come sempre, dipende tutto da Noi, in primis dai cittadini di quella Italia del Mezzogiorno che troppo spesso è stata dimenticata nel vivere quotidiano e nell’impegno personale, per essere ricordata poi solo nel pianto di un figlio o di un genitore che vede l’abbandono o la partenza come unica via di sopravvivenza”.

Abbiamo tutti, Lei in primis me lo conceda – conclude Bruscino -, il dovere di realizzare la ‘Svolta Buona’, fosse solo per evitare altre lacrime e per l’orgoglio che dobbiamo al nostro retaggio storico. Quindi, mai come in questo momento, è fondamentale rimboccarsi le maniche, prima per testimoniare chi siamo e poi per rivendicare giustamente uno stato equo ed attento anche a queste latitudini. Non siamo figli di un dio minore, anzi, se proprio dobbiamo riconoscerci in un archetipo, ricordiamo che il brand Italia si è diffuso nel mondo partendo con i nostri migranti che portavano con se le nostre canzoni, il nostro cibo, il nostro stile e quella splendida nostalgia che, lontani da queste splendide terre, non ti abbandona mai, perché noi che ci viviamo lo sentiamo dentro questo paradiso che per incuria a volte trasformiamo in inferno”.

Nulla di fatto per la riforma del Catasto

Si aspettava il via libera definitivo e, invece, la procedura è stata insabbiata.
La riforma del Catasto, che sembrava ormai cosa certa, ha subìto un brusco arresto e, ad oggi, non si hanno notizie né date entro cui verrà finalmente portata a termine.

Il motivo è molto chiaro: la riforma degli estimi catastali su cui tutto si basava, si sarebbe dovuta compiere mantenendo inalterato il gettito fiscale, quindi senza aumento alcuno delle tasse sugli immobili.
Poiché, invece, questo non sembrava possibile, e considerando che le tasse che pesano sul mercato immobiliare sono già pesanti, è stato mandato tutto all’aria, in attesa di tempi più propizi.

In realtà, la notizia non è del tutto nuova, perché gli addetti ai lavori, ovvero gli operatori del settore immobiliare, avevano già sostenuto l’impossibilità dell’invarianza fiscale una volta modificato il calcolo degli estimi.

A persuadere l’esecutivo sono state le simulazioni effettuate dall’Agenzia delle Entrate che, nei giorni scorsi, ha presentato a Matteo Renzi e ai suoi ministri un resoconto dettagliato di ciò che, in termini numerici, avrebbe significato riformare il Catasto nei modi previsti e dichiarati fino a pochi giorni fa.

È dunque questo il motivo che ha fatto sparire dall’ordine del giorno del consiglio dei ministri del 23 giugno 2015 la discussione del decreto attuativo che riguardava la delega fiscale in materia di immobili. Per adesso, quando mancano pochissimi giorni alla scadenza della delega, pare che la discussione venga rimandata a settembre, anche se in pochi credono che dopo l’estate si riuscirà a trovare una soluzione valida a mantenere inalterata la pressione fiscale sugli immobili.

Vera MORETTI

Dai tributaristi un hashtag per cambiare il sistema fiscale

Chi di tweet ferisce, di tweet perisce. Il presidente del Consiglio Renzi è un fan del social network dell’uccellino e sa benissimo che su Twitter ogni iscritto può rispondere per le rime alle sue dichiarazioni e può farlo senza filtri. Come i tributaristi dell’Int, per esempio.

Gli associati dell’Istituto Nazionale Tributaristi hanno infatti partecipato ai vari tweet bombing su gestione separata e regime dei minimi e ora utilizzano i 140 caratteri di Twitter per comunicare a Renzi e ad altri esponenti del Governo il loro disagio per un sistema fiscale troppo complesso ed esoso. Nel contempo, però, esprimono anche la volontà di collaborare a migliorarlo, questo sistemaccio.

Tutto questo è stato espresso (e continuerà a essere espresso…) con un primo tweet inviato al premier e al sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che contiene l’hashtag, definito permanente, #INTtributaristi: “Serve riforma fiscale giusta, urgente taglio adempimenti @matteorenzi @PPBaretta noi ci siamo @istTribint #INTtributaristi @richidj1

Tutti i prossimi tweet, che riguarderanno principalmente probtlematiche fiscali, conterranno sempre sia l’hashtag, sia l’indirizzo di Renzi mentre cambieranno gli altri destinatari.

Pochi caratteri, quanti quelli concessi da Twitter, ma sentiti, che esprimono una grandissima voglia da parte dei tributaristi italiani di vedere concretizzato il cambiamento di rotta annunciato dal premier anche in campo fiscale.

Siamo ormai in un continuo stato di tensione, sia per gli innumerevoli adempimenti previsti dalla normativa fiscale, sia per il ruolo di vero e proprio filtro che svolgiamo tra contribuente e fisco, e solo chi sta in uno studio si rende conto di ciò che accade e delle crescenti difficoltà non solo delle imprese ma dei contribuenti in genere“, ha dichiarato il Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi Riccardo Alemanno.

Sarebbe opportuna – ribadisce Alemanno a nome dei tributaristi italianise non una tregua normativa, almeno una maggiore attenzione e riflessione nell’emanare provvedimenti in campo fiscale: troppi cambiamenti spesso non coordinati o senza indicazioni precise che mettono in difficoltà contribuenti e consulenti, c’è necessità di tagliare gli adempimenti non di sostituirli o  crearne di nuovi. Mi auguro che i prossimi decreti tributari siano ben valutati e magari analizzati in contraddittorio con chi realmente opera sul campo, prima di essere emanati. Noi, come sempre, ci siamo e nonostante tutto, siamo sempre più convinti che solo attraverso la collaborazione e il confronto preventivo, volto a migliorare le norme e non a porre veti, si possano raggiungere risultati positivi“.

Partite Iva, pioggia di bombe su Renzi

Le partite Iva sono quelle che, forse, il premier Matteo Renzi si sarebbe aspettato come ultime dei nemici. E invece, dopo gli scivoloni a ripetizione del governo su professionisti, lavoratori autonomi e partite Iva, ecco che contro il presidente del Consiglio scatta il loro fuoco incrociato.

Dopo le ripetute prese di posizione delle diverse associazioni professionali all’indomani dell’approvazione della legge di stabilità che ha fatto strage di diritti e speranze delle partite Iva, in questi giorni tornano alla carica Confassociazioni, Acta e Alta Partecipazione.

Dopo il trattamento riservato al lavoro autonomo professionale dal Governo – attaccano in una nota le tre associazioni di professionisti e partite Ivae dopo l’annuncio del presidente del Consiglio Renzi di una pronta marcia indietro ancora una volta siamo in attesa che alle parole seguano i fatti. È urgente che il Governo sostenga in Parlamento gli emendamenti al Milleproroghe che prevedono il blocco dell’aumento dell’aliquota della gestione separata Inps e subito dopo metta mano al regime dei minimi e si dedichi a una riforma organica del lavoro autonomo e professionale che preveda il riconoscimento di un’effettiva tutela della malattia e fissi l’aliquota previdenziale al 24% come già previsto per artigiani e commercianti”.

Poi la provocazione: “In assenza di segnali concreti chiederemo a tutti i professionisti, autonomi e freelance di evidenziare esplicitamente nelle fatture che rilasciano ai propri clienti l’aggravio fiscale e contributivo prodotto dalle politiche del Governo. La campagna METTIAMO IN FATTURA IL MALUS RENZI prevede proprio l’indicazione in fattura del “Malus Renzi”, in contrapposizione al bonus 80 euro ben evidenziato nelle buste paga dei lavoratori dipendenti”.

Scateneremo il #VIETNAMDELLEFATTURE”, concludono Confassociazioni, Acta e Alta Partecipazione.

E nemmeno il CoLAP resta a guardare. Dopo che nei giorni scorsi aveva lanciato l’ultima chiamata per il governo da parte delle partite Iva, ora presenta un emendamento al Milleproroghe per bloccare l’aliquota contributiva Inps Gs per i professionisti e le partite Iva esclusiva al 27 % anche per l’anno 2015.

Il CoLAP, riconoscendo il valore del carattere contributivo del nostro sistema pensionistico non chiede l’abbassamento dell’ aliquota, ma la stabilizzazione al 27%, percentuale ragionevole per garantire non solo la sostenibilità della pensione ma anche della vita attuale.

Tutti si sono cosparsi il capo di cenere dopo le ingiustizie inflitte alle partite Iva nella legge di stabilità – dice Emiliana Alessandrucci Presidente del CoLAP -; ora dopo il pentimento è il momento della correzione; si può infatti rimediare, almeno parzialmente, alle vessazioni inflitte ai lavoratori autonomi. Il CoLAP ha presentato un emendamento che prorogherebbe il blocco dell’aliquota contributiva INPS GS al 27% per i professionisti a partita iva esclusiva per tutto il 2015”.

Ma questo non risolve il problema – conclude -, è un provvedimento che da solo non serve, per questo chiediamo il blocco per il 2015 e l’apertura immediata di un tavolo per la costruzione di una proposta; siamo stanchi di trovarci sempre a discutere delle stesse cose! Ci toglie energie, ci ruba tempo e ci riduce opportunità. Non esistono motivi che possano bloccare la nostra, abbiamo segnali importanti che l’emendamento verrà presentato ora però deve anche essere approvato”.

Insomma, se già non lo ha fatto, Matteo Renzi prepari la contraerea: i bombardamenti delle partite Iva sono solo all’inizio.

Il CoLAP contro la legge di stabilità

Anche il CoLAP si scaglia contro la legge di stabilità nella versione approvata al Senato. Nonostante le promesse e i molteplici appelli, dice il CoLAP, non ha bloccato l’aumento dei contributi alla gestione separata dell’Inps per le partite Iva esclusive; ha dato via agli aumenti decisi dall’allora governo Monti e ha enormemente peggiorato, per i soli professionisti, il regime dei minimi (che, lo ricordiamo, fino al 2014 prevede 30mila euro di soglia e 5% di imposta mista, mentre dal 2015 passerà a 15mila euro di soglia e 15% di imposta mista).

La legge di stabilità – dice Emiliana Alessandrucci, presidente del CoLAPalloca risorse prendendole dalle tasche dei nostri professionisti; siamo ancora i più vessati, i più discriminati, i più tassati. Questo atteggiamento verso le partite Iva avrà effetti negativi sui redditi dei nostri professionisti che sono già sulla soglia della povertà (18mila euro reddito lordo annuo!), incentiverà il sommerso e lo sfruttamento dei giovani e delle donne”.

Chiediamo – incalza Alessandrucciche venga immediatamente aperto un tavolo di proposte e confronto al fine di valorizzare il lavoro autonomo ed eliminare questi ingiustificati comportamenti discriminatori tra chi lavora in forma dipendente e chi si costruisce il lavoro giorno per giorno investendo, affrontando la crisi e spesso creando occupazione”.

Conclusione amara quella del presidente del CoLAP: “Il popolo delle partite Iva aveva creduto che il trend del Governo che ha fatto del nuovo e dell’innovazione una bandiera, avesse segnato un cambio di passo; arriva in ritardo la dichiarazione di Renzi di attenzione al lavoro autonomo, quando avevamo due  occasioni pratiche per supportare questo mondo. E’ difficile comprende perché mentre a parole il governo dichiara di voler puntare su giovani, sulle competenze e sulla qualificazione professionale, alla luce dei fatti finisce per penalizzare proprio uno dei comparti più giovani, innovativi e dinamici del mercato del lavoro italiano. Ci aspettiamo una convocazione a gennaio perché abbiamo intenzione di collaborare seriamente alla ristrutturazione e al potenziamento del nostro comparto, con un approccio propositivo e collaborativo lontano da rivendicazioni e ostruzionismo che mai hanno rappresentato il nostro modo di fare e pensare alla politica”.