Azione di riduzione e testamento: chi può proporla e come

Cosa succede se alla morte di un genitore o del coniuge si scopre che la propria quota di eredità è in realtà di ammontare inferiore a quanto si riteneva di dover ereditare? In questi casi la strada principale per ottenere ciò che spetta è l’azione di riduzione.

Che cos’è l’azione di riduzione

Si è visto in precedenza, nell’articolo che potete leggere QUI, che il legislatore individua degli eredi legittimari, cioè dei soggetti a cui spetta una quota di eredità e questo anche contro la volontà del defunto espressa in un testamento. Nel caso in cui vi siete accorti dal testamento che in realtà la vostra porzione di eredità è inferiore alla quota prevista da legge, il consiglio è di esercitare l’azione di riduzione. Questa è volta a ridurre le quote assegnate agli altri eredi in modo da poter ricostruire la propria legittima. Naturalmente chi fa un testamento sa che ci sono dei legittimari e, nel tentativo di ridurre il patrimonio e favorire qualcuno, potrebbe aver disposto dei suoi beni in vita: l’azione di riduzione può riguardare anche donazioni. Occorre quindi ricostruire il patrimonio, ricordando che le donazioni di modico valore non rientrano in questa riunione fittizia dei beni.

Ad esempio possono essere considerate le donazioni in denaro finalizzate all’acquisto di una casa, ma non certo una donazione di ridotta entità, magari del valore di poche centinaia di euro.  Deve essere ricordato fin da ora che l’azione di riduzione è diversa da un’azione per vizi di validità del testamento, inoltre può essere esercitata anche in assenza di testamento, ad esempio nel caso in cui alla morte di un genitore ci si accorga che tutti i beni sono stati donati in vita e quindi la successione legittima ha ad oggetto beni di valore inferiore a quella che poteva essere la quota legittima.

Come si applica l’azione di riduzione

L’azione di riduzione può essere esercitata solo da:

  • eredi legittimari;
  • eredi degli eredi legittimari che non esercitano l’azione;
  • aventi causa degli eredi legittimari, ad esempio creditori.

Tra l’altro occorre ricordare che il soggetto che propone l’azione di riduzione ha l’onere probatorio quindi deve riuscire a quantificare il patrimonio e quindi l’effettiva quota che gli spetterebbe. L’azione si propone nei confronti degli altri eredi e donatari.

Quali norme si applicano

L’azione di riduzione trova il suo fondamento nell’articolo 553 del codice civile che stabilisce “Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell’art. 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtu’ di donazioni o di legati”.

Appare evidente che se i legittimari hanno ricevuto in vita donazioni dal de cuius, ad esempio denaro per acquistare casa, oppure un quadro di valore, devono sommare il valore di tali beni a quanto ricevuto con il testamento e calcolare quindi la legittima tenendo in considerazione, anche tali beni.

L’articolo 554 invece stabilisce Le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima.

L’articolo 556 stabilisce come si ricostruisce il patrimonio al fine di determinare le quote: Per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.

Come si ricostruiscono le quote

L’articolo 558 del codice civile indica come si procede dal punto di vista pratico alla ricostruzione della quota legittima e prevede che la riduzione di quelle detenute dagli altri eredi sia ridotta proporzionalmente in modo da ricostruire la quota erosa degli eredi legittimari.  Nel caso in cui non sia sufficiente questa azione, si procede a ritroso con la riduzione delle donazioni fatte in vita dal de cuius e, in base all’articolo 559 del codice civile, si procede partendo dall’ultima donazione effettuata fino a recuperare le quote dei legittimari. Emerge quindi che si vanno a ridurre le donazioni solo nel caso in cui con la sola riduzione delle quote ereditarie non si riesca a ricostruire la legittima.

Azione di restituzione

La tutela degli eredi legittimari è totale infatti, l’azione di riduzione è considerata di accertamento costitutivo, quindi va ad accertare se vi è stata una lesione e stabilisce le nuove quote. In seguito ad essa, nel caso in cui le parti non procedano volontariamente alla restituzione dei beni, si può proporre l’azione di restituzione. La restituzione può avvenire in natura o per equivalente, quindi in denaro. Nel caso in cui questi beni siano stati alienati a terzi, è possibile esperire l’azione anche nei confronti dei terzi.

La prescrizione

Per esercitare l’azione di riduzione è previsto un termine di prescrizione, lo stesso è di 10 anni. Nel tempo ci sono state diverse interpretazioni inerenti il momento in cui inizia a decorrere il termine per la prescrizione. In un primo momento, con l’avvallo della Corte di Cassazione, l’orientamento prevalente prevedeva che il termine iniziale per il maturare della prescrizione iniziasse a decorrere dal momento dell’apertura della successione. Questo orientamento ha subito molte critiche perché in tale fase il legittimario effettivamente non ha conoscenza della sua quota quindi non può valutarne la consistenza.  Di conseguenza è stato oggetto di modifica  e la Corte di Cassazione ha accettato come criterio per l’inizio della decorrenza dei termini di prescrizione quello della pubblicazione del testamento (sentenza 5920 del 1999).

In realtà anche questo secondo orientamento appare oggi superato e la maggior parte dei giuristi è concorde nell’affermare che il termine inizia a decorrere dal momento dell’accettazione dell’eredità. Naturalmente questo limite non si può applicare all’erede pretermesso, cioè di cui il testamento non parla, ciò in quanto costui non è chiamato all’eredità e non può accettarla.

Il tentativo di conciliazione obbligatorio

In Italia negli ultimi anni si è cercato di ridurre il contenzioso giudiziario caratterizzato da un carico piuttosto imbarazzante per i tribunali. Per fare ciò si è previsto che molte azioni per arrivare in aula devono prima essere oggetto di mediazione; l’azione di riduzione, con introduzione del decreto legislativo 28 del 2010 si trova  tra quelle per cui è prevista la mediazione.

Deriva da ciò che i legittimari che ritengono di essere lesi dal testamento o dalle donazioni fatte in vita da un loro congiunto, devono rivolgersi a un legale che instaurerà una procedura di mediazione per la conciliazione. Solo nel caso in cui questa non dovesse andare a buon fine si potrà procedere con un’azione giudiziaria. L’istanza di mediazione deve essere proposta all’Organismo di Mediazione territorialmente competente con l’assistenza di un legale. L’introduzione della procedura ha un costo di 40 euro + IVA, ci sono poi le spese legali. Se la mediazione è risolutiva sicuramente vi è una riduzione dei costi e una risoluzione più celere.

Mediazione telematica: come trovare un accordo in tempi di Covid

La mediazione telematica potremmo definirla come l’evoluzione della mediazione civile e commerciale tradizionale. Causa Covid le distanze di allungano, ma con i sistemi telematici si accorciano.

Mediazione telematica: aumenta la diffusione

La mediazione telematica rientra tra i modi alternativi di risoluzione della controversia. A causa del Covid e dell’impossibilità degli incontri in presenza, ha sempre più preso piede la forma telematica. I divieti di assembramento, il non potersi riunire e le distanze di sicurezza, hanno in un primo momento reso vita difficile ai mediatori. Anche se adesso tutto è già superato. Tuttavia anche in questo caso non si può prescindere dal garantire riservatezza dei dati personali, e delle comunicazioni.

Per accedere alla mediazione telematica è però obbligatorio che tutte le parti ne diano il consenso ed abbiano la possibilità di essere presenti online. Ma il Covid ha solo potenziato questo metodo e messo sotto i riflettori questa chance. In effetti può essere applicata tutte le volte in cui le parti si trovano distanti geograficamente. La tecnologia pertanto il quarto elemento, che deve essere efficiente al fine di garantire un buon andamento dell’incontro. Ma vediamo nel dettaglio come funziona.

La mediazione telemantica: come funziona?

Durante una mediazione telematica l’uso corretto della tecnologia è importantissimo. Tuttavia, sono due le metodologie utilizzate: quella sincrona e quella asincrona. Nella sincrona esistono diversi sistemi audio-video conferenza che permettono di fare delle vere e proprie riunioni. Mentre per asincrona si fa riferimento all’uso di e-mail per lo scambio di informazioni. I principali aspetti dalla disciplina telematica sono contenuti nel decreto legislavito n. 70 del 2003.

La composizione delle controversie del commercio elettronico, stabilisce infatti che, in caso di lite, il prestatore e il destinatario del servizio della società dell’informazione possano adire anche organi di composizione extragiudiziale. Grazie poi alle firme digitali si può apporre la propria volontà, anche nel momento in cui le parti dovessero trovare un accordo.

La figura dell’avvocato

Le parti che vogliono trovare un accordo in una mediazione obbligatoria devono essere presenti. Anche nel caso della scelta della via telematica, la loro presenza è fondamentale. Anzi potremmo dire che ha ancora più valore. Infatti, l’avvocato che sottoscrive con firma digitale, può dichiarare autografa la sottoscrizione del proprio cliente collegato da remoto. Questa autentificazione viene apposta in calce al verbale sia che si sia avuto un esito positivo che negativo  dell’incontro.

Il verbale relativo al procedimento svoltosi in modalità telematica è sottoscritto dal mediatore, dagli avvocati delle parti con firma digitale ai sensi dell’esecutività dell’accordo prevista dall’art. 12del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28.

Mediazione telematica: i requisiti del verbale

Il mediatore redige il verbale che deve contenere dei requisiti di validità. Il primo di tutto è senza alcun dubbio il consenso allo svolgimento della mediziaone in via telematica. Le parti si obbligano a non registrare o videoregistrare il contenuto dell’incontro, tranne nel caso in cui è espressamente autorizzato, ma comunque non può essere divulgato. Un consiglio è sempre quello di verificare la connessione tra le varie parti sia corretta.

Per questo motivo molti centri di mediazione effettuano delle prove tecniche con tutte le parti della mediazione ed i rispettivi legali. Tuttavia, fatto ciò si può iniziare la mediazione. Come in quella tradizionale è il mediatore che prende parola e tramite webcam verifica l’identità delle persone collegate. E così si dà avvio al dibattito, sia tutti insieme, ma non si esclude anche la possibilità di parlare in sezioni separate. Alla fine il mediatore dà atto di tutto ciò si sia svolto e procede alla redazione del verbale. Ed infine lettura ed invio alle parti per la firma.

I pro ed i contro della mediazione telematica

Nel prossimo futuro l’utilizzo della mediazione telematica sembra prendere sempre più piede. Questo perché permette di superare alcuni limiti della tradizionale. Non occorre spostarsi dalla propria abitazione all’organismo designato. Questo permette una notevole riduzione di costi e tempi per tutte le parti coinvolte. Potremmo dire una riduzione dei costi e fastidi di costi connessi. Le parti all’interno della loro zona di confort potrebbero anche sentirsi più sicure ed avere un atteggiamento meno rigido.

Anche se qualcuno invece sostiene che l’assenza della presenza possa rendere tutto fin troppo asettico. Un bravo mediatore, soprattutto se navigato, sa cogliere dei movimenti del corpo o delle espressioni, che tramite un video non traspaiono. Quindi questo potrebbe essere un vincolo, ma poi lo è davvero? Forse no, se si considera che si è lì per trovare un accordo e che forse ciò che serve è una buona dose di pazienza e conoscenza della materia in esame. Ma una cosa è certa, staremo a vedere soprattutto in termini di risultati.

Mediazione civile e commerciale: risolvere una lite senza il giudice

La Mediazione civile e commerciale permette di evitare alti costi e spreco di tempo per risolvere una controversia. Una strada alternativa al tribunale, ma molto più veloce e conveniente. Ecco come funziona.

Mediazione civile e commerciale: cosa dice la normativa?

La mediazione civile e commerciale è l’attività svolta da un terzo imparziale finalizzata ad assistere delle parti nella ricerca di un accordo amichevole, per la risoluzione di una controversia. Il d.lgs 4 marzo 2010 n.28, in attuazione della legge delega 69/2009 ha introdotto la mediazione civile e commerciale. 

Una serie di incontri dinanzi gli organismi di mediazione accreditati dal Ministero della Giustizia, con lo scopo di chiudere in maniera tombale una discordia tra parti. Il decreto ha previsto la mediazione obbligatoriavolontaria, delegata dal giudice e concordata. Inoltre, la controversia deve ricadere all’interno dei diritti disponibili, in altre parole le parti devono disporre dei diritti in  merito. Mentre se i diritti in oggetto, fossero indisponibili, in quel caso vi è l’obbligo di ottenere una sentenza del giudice. Tra gli indisponibili rientrano i diritti: della personalità, al nome, alla riservatezza o all’immagine. Infine, si può dire che si tratta di diritti inalienabili.

Mediazione civile e commerciale: tutte le tipologie

La mediazione volontaria si ha quando le parti, anche società, decidono liberamente di rivolgersi ad un terzo (mediatore) per risolvere la lite. Tuttavia, solo nel caso di questo tipo di mediazione, la presenza degli avvocati è facoltativa. Nella mediazione obbligatoria, le parti sono obbligate, prima di rivolgersi al giudice, a tentare un accordo dinnanzi al mediatore. I campi di interesse dall’obbligatoria sono:

  • locazione;
  • condominio;
  • divisioni;
  • successioni ereditarie;
  • contratti assicurativi, finanziari e bancari;
  • comodato;
  • patti di famiglia;
  • affitto di aziende;
  • responsabilità medica e sanitaria;

La mediazione è delegata, quando  le parti sono invitate ad entrare in mediazione, prima della sentenza da parte del giudice. Questo rappresenta un forte aiuto alla giustizia, sempre molto intasata da pratiche su cui sentenziare. La mediazione è concordata nell’ipotesi in cui un contratto preveda una clausola di mediazione o conciliazione con cui le parti si impegnano, nel caso dovesse al riguardo sorgere una controversia, ad esperire procedimento di mediazione prima di rivolgersi al giudice.

L’iter di mediazione dall’istanza

La domanda di mediazione viene presentata presso un Organismo, e viene chiamata istanza. L’istanza prevede al suo interno le parti (istante e chiamata), l’oggetto, e la regione della pretesa. Infatti, spesso viene proprio chiarito nell’oggetto un breve riassunto della controversia. Comunque sia, è importante il concetto della competenza territoriale dell’organismo. La parte istante deve depositare la domanda presso la sede principale, o secondaria, di un organismo iscritto nel registro ministeriale degli organismi di mediazione.

E’ cura dell’organismo provvedere alla convocazione di tutte le parti. Inoltre, è anche compito suo nomina il mediatore. Non è nè un giudice, né un arbitro, ma un facilitatore del dialogo tra le parti coinvolte. Fissata la data stabilita per la mediazione, si dà avvio al primo incontro: l’incontro programmatico. 

Il primo incontro tra le parti

Il mediatore deve controllare la regolarità della comunicazione, le parti presenti e gli avvocati che devono essere presenti in quella obbligatoria. A questo punto il mediatore spiega “le regole del gioco“, cioè che il dialogo deve essere la linea di condotta della trattativa. Le parti possono presentarsi, ma non voler proseguire, oppure anche rinviare quell’incontro. Ma quello che invece è auspicabile è trovare l’accordo.

Ciò vuol dire che si è conclusa e si verbalizzerà quanto accaduto. L’accordo non è altro che un atto esecutivo tra le parti. In altre parole, si è evitato di procedere in giudizio, risparmiando tempo e denaro. Invece, se alla chiusura del primo incontro, manca l’accordo il mediatore dà atto che la mediazione ha avuto un esito negativo. Però le parti possono anche decidere di inviare l’incontro e dare la possibilità al mediatore di fare una proposta. A volte questo tempo serve anche a metabolizzare cosa realmente si vuol fare.

Mediazione civile e commerciale: la proposta

Attraverso la proposta di dà la possibilità al mediatore di trovare un accordo. Un accordo che tenga in considerazione di tutti gli effetti e i voleri espressi dagli aventi diritto. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. A loro volta, le parti fanno pervenire al mediatore per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. Se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, viene redatto il relativo verbale. Se invece le parti rifiutano la proposta o non la accettano la proposta nel termine, il mediatore è tenuto a redigere il verbale di mancata conciliazione.

Ma tutto deve essere fatto sotto la sguardo attento degli avvocati. Sono loro che verificano che l’accordo rispetti tutte norme e sia appunto possibile. Spesso nel caso di immobili, come l’usucapione, c’è bisogno che all’accordo consegua l’intervento del Notaio. Ma anche in fase di mediazione, se ci sono dubbi, è possibile richiedere sempre e comunque l’intervento di un professionista. Lo scopo è quello di risolvere in maniera collaborativa il problema, senza commettere errori.

I vantaggi della mediazione

La mediazione rispetto ad un normale causa presenta molti vantaggi. Il primo riguarda proprio il fattore tempo. In una società in cui non c’è tempo per fare nulla, il tempo è davvero una risorsa. La mediazione su questo è formidabile. Infatti, secondo l’art 6 del decreto 28/2010 la durata del procedimento è di soli tre mesi. Le parti inoltre hanno la possibilità di esprimersi e di dialogare liberamente. Un altro vantaggio è rappresentato dai costi bassi da affrontare.

Questo perché tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione son esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa o tassa o diritto di qualsiasi specie o natura. Inoltre, il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite del valore di 50 mila euro. Non solo, ma avviare una pratica di mediazione, presso un organismo di mediazione, costa solo 40 euro+ Iva, fino al limite di 250 mila euro. E cosa incredibile, queste spese sostenute sono credito di imposta fino a 500 euro. E’ proprio così mediare dà la possibilità di risparmiare tempo, soldi e magari recuperare, anche attraverso il dialogo, dei rapporti seppellendo definitivamente l’ascia di guerra.

Fisco batte i contribuenti nei contenziosi fiscali

L’Ufficio studi della Cgia ha effettuato una ricerca relativa ai contenziosi fiscali registrati nelle Commissioni tributarie provinciali a livello nazionale ed è emerso che nel 45% dei casi, almeno nel 2016, ha vinto il fisco, mentre nel restante 35% è stata data ragione al contribuente.

Ma lo scarto tende ad aumentare quando il risultato è riferito al valore economico del giudizio: in questo caso, infatti, le sentenze a favore del fisco sono state del 48,1%, contro la vittoria del contribuente ferma al 23,4%.

Stessi risultati anche nelle Commissioni tributarie regionali.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, ha detto in proposito: “Nonostante lo scarto a favore del fisco sia abbastanza netto non va trascurato il risultato positivo ottenuto dai contribuenti quando citano in giudizio l’Amministrazione finanziaria. Se teniamo conto dei costi che bisogna sostenere per avviare il contenzioso, dell’abbattimento del numero di ricorsi avvenuto dopo l’introduzione dell’obbligo della mediazione fiscale prima di adire in primo grado e dell’effetto scoraggiamento esercitato dal venir meno degli sconti sulle sanzioni mano a mano che si procede nel contenzioso, vincere oltre il 30% del numero di giudizi nelle Commissioni tributarie provinciali non è poca cosa”.

Per i contribuenti non è poca cosa portare avanti un contenzioso nei confronti del fisco, considerando lo spreco di tempo ma anche di denaro, poiché i costi in questi casi tendono a lievitare, tanto che si aggirano intorno alle migliaia di euro.
Occorre ricordare anche che fare ricorso non significa evitare di versare al fisco quanto richiesto, anche se in questo caso, in attesa del risultato finale, il versamento può essere parziale.

Anche in questo caso, ovviamente, i tempi sono lunghi, mediamente di 2 anni e 2 mesi per ognuno dei due gradi del giudizio, e proprio questa lungaggine, e i tanti inconvenienti che il ricorso può causare, spesso scoraggiano i contribuenti, i quali si persuadono da solo a pagare.

In seguito all’introduzione dell’istituto della mediazione, dal 2012 in poi nel caso di controversie di importo sino a 20.000 euro, vi è una fase anteriore alla procedibilità del ricorso in primo grado. In questa fase, l’Agenzia delle Entrate ovvero gli enti parti della controversia, prendono in considerazione il reclamo presentato dal contribuente che può contenere anche una proposta di accordo, la mediazione appunto.

C’è da dire, però, che l’istituto della mediazione risulta particolarmente efficace nello scoraggiare il contenzioso in quanto si è rilevato che, oltre la metà dei reclami presentati non si è tramutato in contenzioso evitando un ulteriore processo tributario. Ciò ha indotto il legislatore ad innalzare il limite a 50.000 euro.

Tuttavia, poiché l’ente che ha emanato l’atto impositivo è lo stesso che lo analizza ed eventualmente accettando la proposta di mediazione del contribuente ridetermina la pretesa tributaria, si può avere la sensazione che si assista ad una forma di autotutela tardiva, dal momento che lo stesso ente, potrebbe annullare l’atto come previsto dalla legge.

Ciò porta ad un aggravio per il contribuente, che dunque si trova a dover redigere e presentare un ricorso per ottenere ciò che gli sarebbe spettato di diritto e senza sanzioni.

Vera MORETTI

Il 2014 è stato l’anno della mediazione

L’istituto della mediazione è sempre più utilizzato, per fortuna, dalle aziende italiane. Come ha rilevato il Rapporto Isdaci sulla giustizia alternativa, giunto all’ottava edizione e presentato nei giorni scorsi in Camera di commercio a Milano, in Italia nel 2014 sono state 267.006 le domande di giustizia alternativa, il doppio dell’anno precedente (132.577, +101,4%).

In questo ambito, è cresciuta soprattutto la mediazione (+332%) e sono le Camere di commercio le protagoniste degli arbitrati amministrati (86,5%), con la Camera arbitrale di Milano, azienda speciale della Camera di commercio, che da sola ne ha gestito il 21%.

Mediazione amministrata: 179.587 le domande di mediazione registrate nel 2014, oltre il doppio rispetto alle domande registrate nel 2013, anno in cui non vigeva l’obbligatorietà del tentativo di mediazione. Il 45% delle domande si concentra al Nord, il 20% al Centro, il 25% al Sud e il 10% nelle isole.

Le materie: contratti bancari, con il 25,1% del totale complessivo; diritti reali, con il 13,1%; locazione, con l’11,6%; condominio, con il 10,7%; risarcimento del danno da responsabilità medica, con il 6,7%; contratti assicurativi, con il 6%; divisioni dei beni, con il 4,7%; successioni ereditarie, con il 4%. Il valore medio di una mediazione è di 110.556 euro, 63 giorni la durata media, 42 giorni nel caso di mediazione gestita dagli organismi espressione del Sistema camerale. Cresce la percentuale di adesione della parte chiamata in mediazione (40,5% contro il 32,4%)

Arbitrato amministrato: nel 2014 sono state registrate 713 domande di arbitrato amministrato, di cui 617 (86,5%) ricevute dalle Camere Arbitrali delle Camere di Commercio. Il 97% degli arbitrati è nazionale e gli arbitrati internazionali vengono gestiti esclusivamente dalle Camere di Commercio.

Il 27% degli arbitrati è in materia societaria, il 19% in materia di appalti, il 17%, commercio, l’8% immobiliare, il 3% finanziario, il 2% la proprietà industriale e le assicurazioni e il 13% in altre materie per un valore medio di 177.060 euro (sono escluse le domande ricevute dalla Camera Arbitrale dell’Autorità Anticorruzione – già Camera Arbitrale per i Lavori pubblici – che hanno un valore medio pari a 3.665.441 euro; quelle ricevute dalla Camera Arbitrale di Milano, pari a 2.377.089 euro, e dall’Associazione Italiana dell’Arbitrato, 1.933.436 euro). 197 giorni la durata media delle procedure di arbitrato amministrato in diminuzione rispetto ai 295 giorni del 2013. Nel 51% delle procedure si arriva al lodo arbitrale, nel 29% di casi si arriva ad una transazione, mentre il 10% è costituito da rinunce.

La conciliazione presso i Corecom: 86.670 procedure ADR, in aumento del 20,8% rispetto al 2013 per un valore medio di 610 euro e una durata media di 58 giorni. Nel 2014 sono stati raggiunti 52.314 accordi.

Delega fiscale, alcune novità – Parte II

Ieri abbiamo visto alcune delle novità introdotte dagli ultimi decreti attuativi della Delega fiscale approvati la scorsa settimana. Ci siamo soffermati nello specifico sull’istituto dell’interpello e sulla tutela cautelare. Oggi vedremo altri due punti salienti.

Intanto, una delle novità più significative della riforma del contenzioso tributario modulata dalla Delega fiscale riguarda l’esecutività delle sentenze, che diviene immediata. Si parla di sentenze che riguardano l’azione di restituzione di tributi a favore del contribuente, l’impugnazione di un atto impositivo e il ricorso avverso gli atti riguardanti le operazioni catastali.

Relativamente all’esecutività delle sentenze a favore del contribuente, nel caso di pagamenti superiori a 10mila euro il decreto attuativo della Delega fiscale dispone che potrà essere richiesta garanzia idonea, il cui onere graverà sulla parte soccombente in giudizio. Se invece si parla di immediata esecutività per le sentenze a favore dell’amministrazione finanziaria, rimane valido il meccanismo della riscossione frazionata del tributo. Una misura presa per non aggravare ulteriormente la situazione del contribuente in un periodo ancora difficile per molti a causa della crisi economica.

L’ultimo aspetto che trattiamo relativo alla Delega fiscale è quello dell’allargamento dello strumento della mediazione, nell’ottica di ridurre il contenzioso tributario. Ricordiamo che, attualmente, lo strumento della mediazione riguarda solo gli atti dell’Agenzia delle Entrate che abbiano un valore non superiore ai 20mila euro.

Ebbene, la Delega fiscale prevede che il reclamo sia esteso a tutte le controversie, comprese quelle che erano prima escluse, come quelle catastali; inoltre, l’estensione della mediazione è ora indipendente dal soggetto impositore: vengono così inclusi sotto il profilo soggettivo anche i concessionari della riscossione e, soprattutto, Equitalia. Altra estensione della mediazione prevista dalla Delega fiscale è quella al giudizio d’appello, mentre precedentemente si fermava al primo grado di giudizio.

Corso di mediazione per gli avvocati

Per diventare mediatori di diritto, e per garantire qualità ed efficienza alle procedure di mediazione, agli avvocati è stato proposto un corso di 15 ore, fatto di teoria e pratica, e un aggiornamento di 8 ore ogni due anni.

Il percorso formativo è suggerito dal Consiglio Nazionale Forense, con lo scopo di realizzare:

  • da una parte la previsione di legge, del decreto del “fare”, dell’iscrizione di diritto degli avvocati negli elenchi dei mediatori in virtù della loro specifica professionalità tecnico-giuridica e dei necessari loro formazione/aggiornamento specifici;
  • dall’altra l’adempimento del dovere deontologico specifico di assicurare “adeguata competenza”, previsto nel codice attuale e nella nuova versione in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il percorso suggerito dal CNF, che potrà essere inserito nei programmi di formazione continua proposti dagli Ordini e dalle Associazioni forensi, ma anche da altri organismi di formazione, si compone di due step.

  • Il primo riguarda la vera e propria formazione, con 15 ore teorico-pratiche in classi di non più di 30 discenti, di cui 10 dedicate alle tecniche pratiche di mediazione; alle quali si sommerà la partecipazione a due procedure di mediazione condotte in porto.
  • Il secondo step riguarda l’aggiornamento, fissato in 8 ore in due anni. Il CNF ha fatto invito agli enti formatori di contenere i costi che dovranno tendenzialmente limitarsi alla copertura delle spese/costi.

In riferimento alle novità introdotte dalle legge di riforma dell’ordinamento forense in tema di formazione continua, il CNF ha anche inviato, per la consueta consultazione con Ordini e Associazioni, la bozza di regolamento che ridisegna in maniera innovativa il sistema.

La bozza di regolamento, in un quadro unitario e uniforme sul territorio, definisce in maniera autonoma la vera e propria formazione, attività volta all’acquisizione di nuove competenze in una logica di crescita; e l’aggiornamento, attività dedicata all’acquisizione della conoscenza degli aggiornamenti nella materia professionali di riferimento.

L’avvocato potrà costruire il proprio percorso in libertà, anche tramite l’autoformazione, ma in un quadro di verifica che giunge fino al monitoraggio delle attività svolte. Il numero dei crediti che gli avvocati dovranno maturare è di 60 in tre anni, ma l’accreditamento non avverrà su base temporale ma in relazione al singolo evento, al quale saranno attribuiti dei crediti sulla base di criteri oggettivi predeterminati che valuteranno l’approfondimento proposto.

Il termine fissato per le osservazioni è il 5 maggio.

Vera MORETTI

Firmato accordo tra ANAMA, FIMAA ed Enasarco

E’ stato siglato un importante protocollo d’intesa di fondamentale interesse per gli agenti di commercio tra ANAMA, Associazione Nazionale Agenti e Mediatori d’Affari, FIMAA, Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari, e la Fondazione Enasarco.

Tale accordo ha l’obiettivo di regolare e coordinare l’azione dell’Ente, impegnato nelle ispezioni presso le agenzie, promuovendo l’iscrizione alla suddetta Fondazione dei collaboratori delle agenzie immobiliari stesse, che non svolgono attività di mediazione, e quindi non sono abilitati all’esercizio dell’attività di intermediazione.
Si tratta dunque di soggetti che svolgono attività soltanto connesse ed accessorie alla mediazione vera e propria.
L’attività di mediazione ha subito un grosso restyling nel corso degli ultimi anni, tanto che all’interno delle società che se ne occupano, sono sorte figure professionali nuove, che si occupano della struttura dell’agenzia e del management.

Con questa intesa, sarà ora possibile regolarizzare il rapporto di questi collaboratori con un contratto di agenzia attraverso la loro iscrizione ad Enasarco e previa contestuale iscrizione in Camera di Commercio, nelle apposite sezioni del REA e del registro imprese riservate agli agenti e rappresentanti di commercio.

La decorrenza contributiva partirà solo dal giorno di effettiva iscrizione e non comporterà conseguenze per i periodi pregressi.
Tale procedimento comporterà l’esclusione nei confronti dei soggetti in questione dell’applicazione della legge Fornero, con riferimento alle restrizioni imposte in materia di partite Iva, nonché la possibilità di regolamentare i rapporti con i collaboratori appena avviati al lavoro, in attesa del conseguimento della necessaria abilitazione all’esercizio dell’attività di mediazione.

Vera MORETTI

2M, franchising del risarcimento danni

Come già sappiamo, il franchising non riguarda solo negozi ma anche studi professionali ed agenzie.

Il caso di oggi, ad esempio, riguarda lo Studio Professionale 2M, nato come Agenzia di Infortunistica Stradale ma oggi operativo in tutto il comparto del risarcimento danni.

Nel dettaglio, le aree di sviluppo sono quattro:

  • 2M Studio per il tuo risarcimento
  • 2M Concilia per la tua tranquillità
  • 2M Servizi Italia e estero per i tuoi progetti
  • 2M Imprese per la tua azienda

I vantaggi a diventare un franchisee 2M sono molteplici:

  • Investimento limitato;
  • Nessuna stagionalità nell’attività lavorativa;
  • Servizio ad alto valore aggiunto;
  • Buoni guadagni a medio termine;
  • Gestione autonoma del Tempo;
  • Nessun investimento di magazzino;
  • Crescita professionale.
  • Insolvenza inesistente

I nuovi affiliati ricevono assistenza di tipo tecnico e legale, nonché legata al marketing, ma anche corsi di aggiornamento e un utilizzo di procedure semplificate ed unificate.
Per ricevere ulteriori informazioni è possibile collegarsi al sito Studio 2M.

Anche la Corte Costituzionale contro la mediazione obbligatoria

Il Consiglio Nazionale Forense si è sempre dichiarato contrario alla mediazione obbligatoria e ora anche una sentenza della Corte Costituzionale ha dato ragione a questa tesi: tale sentenza, infatti, ha confermato la illegittimità costituzionale del decreto delegato 28/2012 nella parte in cui ha reso la mediazione obbligatoria in un ampio ventaglio di materie.

La Consulta ha chiarito che l’Unione europea non ha imposto tale scelta, anzi: la legislazione comunitaria è “neutra” e non impone alcuna soluzione.
La Corte ha tenuto conto sia della direttiva 2008/52, che delle Risoluzioni del Parlamento Ue che della giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità europea.

Inoltre, questa decisione non è ascrivibile alla discrezionalità che entro certi limiti spetta al legislatore delegato. Il carattere obbligatorio, date la sue conseguenze, avrebbe dovuto trovare ancoraggio necessario nella legge delega, che sul punto invece è stata silente.

L’Avvocatura, comunque, si è dimostrata favorevole a soluzioni alternative delle controversie che possano facilitare l’accesso alla giustizia dei cittadini e non lo rendano ancora più difficile e oneroso.

Vera MORETTI