SetteGreen Awards: i premi verdi di chi aiuta l’ecologia

Sono stati assegnati alla Triennale di Milano i SetteGreen Awards, premi a chi si è più distinto nel mondo dell’ecologia nell’anno corrente. A presentare l’evento, Filippa Lagerback e Giuseppe di Piazza, direttore di Sette e, appunto, SetteGreen, mensile verde del Corriere della Sera.

I premi erano, ovviamente, sette, uno per categoria, realizzati in legno, materiale puramente ecologico.

Per People, il riconoscimento è andato a Daniela Ducato, imprenditrice di Edilana, Edilatte e Ortolana presso La Casa Verde CO2.O che opera nel settore della bioedilizia, architettura, energia solare, dell’eco design e dell’agricoltura biologica.

La categoria Invenzione, che premia le scoperte che hanno consentito lo sviluppo di prodotti eco-friendly, ha visto vincitrice Dna Urbano di Stone Italiana, lastre per pavimentazione da interni ed esterni, ottenute riciclando terre e materiale di scarto recuperato dalla pulizia delle strade. Le piastrelle sono state realizzate in collaborazione con Cem Ambiente.

Per Tecnologia, dedicata a tecniche che permettono una riduzione di consumi energetici, si sono aggiudicati il premio Lampioni intelligenti, brevettati da Umpi, ai quali sono abbinati dispositivi telegestiti come telecamere e ricariche per le biciclette per ridurre gli sprechi.

Cultura, la categoria che riguarda libri, mostre ed opere teatrali che contribuiscono ad arricchire il dibattito sul green e a diffonderlo, ha premiato il libro 1.000 oasi e parchi naturali da vedere in Italia, scritto da Gianni Farneti ed edito da Rizzoli, che è un viaggio sulle bellezze naturali italiane.

Per Cibo, ecco Linea Viviverde-Solidal di Coop, che testimonia l’impegno di Coop per l’ambiente con 400 prodotti distribuiti in tutti i settori merceologici.

La categoria Città, per i comuni che hanno attivato iniziative virtuose rispetto alle tematiche ambientali, ha riconosciuto l’impegno di Pollica, il comune campano dove la raccolta differenziata è al 70%.

Pubblicità, sezione di spot da tutto il mondo che hanno sensibilizzato la popolazione alle esigenze del pianeta e che SetteGreen ha raccolto nella mostra MadreNatura, dal 2 al 12 novembre alla Triennale, il riconoscimento è andato alla campagna per i 50 anni del Wwf, We are all connected realizzata da Ogilvy&Mather– Andy Bird e Sue Higgs. Due punti di vista diversi, quelli di un uomo e di un felino a confronto, che si somigliano, attraverso lo sguardo profondo, a tal punto da far capire come mondo umano e mondo animale non siano poi così distanti.

Sempre per la stessa categoria è stata premiata la campagna stampa Una nuova specie che rappresenta un piccolo pesce che sta per essere mangiato da uno squalo, a sua volta quasi inghiottito da un sacchetto di plastica, a sottolineare come incuria e maleducazione modifichino e deturpino l’ambiente marino. Questa campagna è stata realizzata da Roncaglia & Wijkander.

La manifestazione SetteGreen Award è stata realizzata grazie alla collaborazione di E-On e dai partner Mapei e Monte dei Paschi di Siena.

Vera Moretti

Benvenuti nella Temporary Economy

Temporary shop, temporary office, temporary restaurant. Con la complicità delle feste natalizie in arrivo, la moda dei temporary dilaga. Transitorio, effimero ma molto remunerativo, tanto da diventare un vero e proprio traino dell’economia, secondo quanto emerge dall’indagine condotta da Halldis, che ha scelto di analizzare il fenomeno dei temporary nel suo prossimo convegno.

Tutto quanto fa temporary”, l’incontro promosso da Halldis che si svolgerà all’interno del “Temporary World”, evento fieristico dedicato all’universo del temporary, dal 10 al 12 novembre presso il “Franco Parenti” di Milano, promette di svelare tutti i segreti che hanno decretato il successo dei temporary

“Una soluzione alternativa alle consuete abitudini di business o di viaggio, ma anche vero e proprio propulsore dello sviluppo economico”, è questo il punto di forza del temporary secondo Alberto Melgrati, Amministratore Delegato di Halldis.

Halldis gestisce 3 business center tra Milano e Bruxelles, con un’offerta che spazia dagli uffici serviti all’ufficio virtuale, dalle sale riunioni agli spazi per eventi, e fa parte parte di Assotemporary, l’associazione italiana dei business center, temporary shop, showroom, event space e servizi connessi.

Ma in che modo il temporary può contribuire allo sviluppo dell’economia?

In tempi di crisi, poter utilizzare un ufficio “chiavi in mano” diventa una risorsa importante. Gli uffici serviti, infatti, non sono utili solo a chi inizia un nuovo business, ma anche a tutti coloro che desiderano concentrarsi sulla propria attività senza occuparsi della gestione degli spazi e delle fastidiose questioni burocratiche e amministrative.

Il temporary office permette infatti di poter usufruire di un ufficio già arredato, collegato a internet, al telefono, e godere della gestione dello spazio stesso da parte di un operatore professionista, il tutto ad un costo fisso. Niente perdite di tempo inutili per farsi allacciare la linea telefonica o per rincorrere manutentori in caso di necessità. Il tutto poi all’insegna della flessibilità: l’ufficio temporary può avere contratti di durata personalizzabile, anche solo per un mese, e sempre con caparre e tempi di recesso molto più contenuti rispetto ai contratti di affitto tradizionale.

In alcuni casi, si può poi usufruire di servizi extra, come sale riunioni o assistenza telefonica della reception, con una logica pay per use, cioè si paga solo quello che effettivamente si usa.

Dagli uffici agli appartamenti di privati che, introdotti nei circuiti di gestione per affitti brevi, vanno ad aumentare la capacità ricettiva della città che li ospita, diventando al contempo delle fonti di reddito per i proprietari. E’ il cosiddetto buy to let, cioè investire nell’acquisto di un appartamento da cui ottenere un reddito tramite degli affitti brevi.

Sapere quale tipo di appartamento è più facilmente locabile per i periodi brevi, le dotazioni necessarie e i servizi auspicabili, – sottolinea Melgratioppure in quali zone può funzionare meglio un business center, quali tecnologie o servizi deve offrire e tutte le altre caratteristiche necessarie per degli uffici serviti – temporary – contribuisce a migliorarne la commerciabilità e quindi il rendimento”.

Alessia Casiraghi

A Milano gli Stati Generali del Commercio

“E’ ora di reagire. Il tempo è scaduto ed è l’ora delle scelte”. E’ intriso di pragmatismo e necessità di un’azione forte e immediata l’ultimatum lanciato al Governo da Confcommercio, riunito a Milano per gli Stati Generali del Commercio.

Per la rinascita dell’Italia si richiedono “scelte necessarie per controllare e ridurre la spesa pubblica, – si legge nel documento presentato da Confcommercio – e per contrastare e recuperare evasione ed elusione. Ponendo, così, le basi per una progressiva riduzione di un livello di pressione fiscale divenuto ormai intollerabile”. Il vero monito va al Governo: “sappiamo che occorreranno ancora sacrifici. Ad essi non ci sottrarremo. Ma a condizione che si renda chiaro che questi sacrifici verranno ripagati con il ”dividendo” delle scelte necessarie per il futuro dell’Italia”.

Il tempo della partita è scaduto. Confcommercio ribadisce la necessità di lavorare con ”serietà e rigore nell’affrontare e nel risolvere nodi strutturali di lungo corso.

Punto primo: “liberare risorse destinate agli investimenti infrastrutturali ed al capitale sociale ed umano”, solo così l’Italia sarà in grado di competere ad armi pari in ogni mercato”.

Punto secondo: “riformare politica ed istituzioni. Rinnovando, così, l’etica pubblica e riguadagnando il rispetto e la fiducia dei cittadini”. Secondo la Confederazione ”per accelerare la dinamica del ritorno alla crescita, occorre fare tesoro della lezione principale della crisi, cioè della rivalutazione delle ragioni dell’economia reale e del lavoro”. In particolare, si legge nel documento di Confcommercio “occorre rafforzare la capacita’ competitiva del sistema di impresa diffusa, con regole, politiche e risorse che ne sostengano competitività, produttività e crescita. Tenendo presente, in particolare, che oggi le imprese dei servizi di mercato contribuiscono alla formazione del valore aggiunto e dell’occupazione in misura superiore al 50% del totale”.

E rivolto alla classe politica italiana, Confcommercio ribadisce ”è necessario un rilancio delle riforme istituzionali, a partire dalla riduzione dei costi della rappresentanza politica, così come è indispensabile ancorare a solidi principi di riferimento l’attuazione del federalismo fiscale”. Altro cancro per l’Italia l’evasione e dell’elusione fiscali che si combattono “riducendo le aliquote di prelievo fiscale senza traslare la pressione ‘dalle persone alle cose’. Occorre, poi, procedere a coraggiose alienazioni di patrimonio pubblico per ridurre il debito e finanziare la spesa pubblica strategica per il futuro del Paese”. L’ulteriore e ”fondamentale impegno” che oggi Confcommercio chiede ”è quello di una vera e propria politica per i servizi, fatta di semplificazioni, di flessibilità governata e contrattata nel mercato del lavoro, di sostegno all’innovazione e di liberalizzazioni”.

Sul fronte delle infrastrutture la confederazione chiede, inoltre, ”una compiuta attuazione della riforma che liberalizza le attività di autotrasporto e logistica; l’adozione di un Patto e un Piano Nazionale per la mobilità urbana; un’effettiva liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario; una strategia di riordino e razionalizzazione del trasporto aereo; lo sviluppo dei trasporti marittimi e delle autostrade del mare, potenziando nel contempo le infrastrutture portuali e retroportuali e i loro collegamenti con il territorio”.

Ultimo nodo cruciale per il destino economico dell’Italia, il Mezzogiorno: la priorità per il Sud è di ”perseguire pochi e fondamentali obiettivi strategici, privilegiando la costruzione di condizioni di contesto che consentano una maggiore produttività delle imprese e del lavoro. Servono incentivi automatici e fortemente selezionati per le attività d’impresa, e occorre rafforzare le infrastrutture con particolare attenzione alla logistica urbana”.

A.C.

La crisi porta gli italiani al low cost, ma occhio allo spreco

La fiducia dei consumatori italiani tocca il minimo dal luglio 2008 senza però essere arrivata alle famiglie. La sensazione è che esistano degli stabilizzatori automatici che rallentano la caduta. Gli italiani non hanno tagliato la voce «stadio» nei budget familiari. Il caso limite è quello del Napoli che a fine agosto ha visto 8 mila tifosi accollarsi il costo di una trasferta a Barcellona per seguire gli azzurri in un match amichevole.

Per rimanere in zona sport possiamo aggiungere che gli abbonati di Sky non sono diminuiti. Anzi. Mancano pochi giorni alla chiusura della trimestrale e le stime sono ottimistiche. La pay tv cresce al ritmo di 30-40 mila abbonati ogni tre mesi con un costo medio per abbonato pari a 43 euro al mese.

Il presidente dell’Istat Enrico Giovannini sostiene che fino alla bufera di agosto gli italiani erano rimasti dell’idea che la crisi fosse transitoria, che si dovesse aspettare che passasse la nottata e che bastasse in qualche modo stringere di un buco la cinghia. Giovannini pensa che nei prossimi mesi ci troveremo di fronte a una discontinuità.

Per cercare di spiegare la lenta metamorfosi italiana Giuseppe Roma, direttore del Censis, racconta la storia de L’Aquila, una città che ha perso dopo il terremoto 20 mila abitanti, in cui la ricostruzione è sostanzialmente a zero e nella quale in virtù della defiscalizzazione sono sorte tante piccole attività tutte a basso valore aggiunto. Il paradigma aquilano è un tipico comportamento adattivo italiano, si ottimizzano le risorse esistenti e si nasconde l’assenza di un progetto socioeconomico vero.

Milano è sociologicamente interessante anche per monitorare altri comportamenti adattivi. Un fenomeno interessante è quello legato all’espandersi dell’economia dei buoni pasto. Gli esercizi commerciali del centro puntano sempre di più sulla pausa pranzo degli impiegati. Sorgono nuovi punti di ristoro con un target ben preciso e i bar ristrutturano gli spazi in funzione della maggiore capienza di tavolini. Nello slang meneghino nasce l’ «ape», la cena di una fascia generazionale che va dai 25 ai 40 anni che  risolve il problema di un pasto a prezzi contenuti e per di più non rinuncia alla socializzazione.

Per capire come reagiscono gli italiani alla bufera economica il commercio è sicuramente un elemento chiave. I dati degli uffici/studi delle associazioni segnalano la chiusura di 10 mila piccoli esercizi ogni semestre in Italia, aggiungono che questa cifra è destinata ad aumentare vertiginosamente e tuttavia esiste un buon tasso di rotazione. Quello che si compra si consuma e le scorte sono ridotte al minimo.

Resta il risparmio. È chiaro che non se ne forma di nuovo, non ci sono però code davanti alle banche o alle società di gestione per ritirare i soldi già investiti. Del resto il portafoglio degli italiani è tra i più prudenti in Europa e l’investimento in azioni è circa al 20%.

Laura LESEVRE

L’imprenditoria italiana trasloca in Ticino

Non solo depositi bancari: almeno 150 imprenditori italiani in pochi anni si sono trasferiti in Ticino ma portandosi dietro azienda, famiglia e casa d’abitazione. E il fenomeno della delocalizzazione è in crescita, complice anche la comodità logistica, un’ora da Milano e Malpensa e l’efficienza dei mezzi pubblici elvetici.

La Svizzera sta offrendo, al di la dei già noti conti cifrati e salvagenti fiscali, opportunità ben diverse rispetto alle prestazioni bancarie tradizionali e sa dare tutte le cose da sempre invocate dagli imprenditori italiani. Da mesi, dopo gli scudi fiscali, è aumentata la pressione fiscale nei confronti degli imprenditori italiani, con le minacce di patrimoniale e un clima politico-sindacale sempre più incerto. Il governo sembra orientato ad accaparrarsi in qualche modo i beni scudati, si intensificano i pignoramenti del fisco e la tentazione di fuga aumenta.

Dal 1997 al 2010, con il programma cantonale Copernico del Dipartimento delle finanze e dell’economia per l’incentivazione all’innovazione economica e le agevolazioni fiscali, sono state costituite in Ticino 219 nuove imprese. Di queste, la gran parte dall’Italia, una decina ciascuno da Germania e USA, 11 aziende si sono trasferite dal resto della Svizzera e 60 sono state create da residenti in Ticino.

Ma perchè la Svizzera? Tanti i lati positivi e le facilitazioni che derivano dallo stabilirsi oltreconfine: tassazione bassa, circa 20% contro il 75% dell’Italia, efficienza ed equità fiscale. Il fisco è un interlocutore, non un nemico; c’è poi la posizione strategica nel continente europeo, veloci e affidabili infrastrutture logistiche e dei trasporti e spedizioni, efficienza e rapidità dell’autorità doganale, efficienza della pubblica amministrazione, burocrazia snella e chiara, funzionalità delle norme locali nella registrazione, gestione e degli adempimenti relativi ai soggetti giuridici. Stabilità politica, pace sociale, economia sana, finanze pubbliche ben gestite dal livello comunale a quello federale, grande mobilità del lavoro, flessibilità nelle relazioni sindacali, tasso medio di assenteismo tra i più bassi d’Europa; da aggiungere poi l’ottima qualità, rapidità ed efficienza delle organizzazioni bancarie, finanziare e professionali insediate nel territorio e strutture medico-sanitarie e scolastico-educative ai massimi livelli.

Inoltre nel Ticino in una settimana si apre un’azienda e il costo del lavoro in Svizzera è minore che da noi. Va detto poi che se il salario netto è più alto che in Italia, i costi sociali sono enormemente più bassi. Attenzione però: l’impresa deve avere un mercato di vendita a livello internazionale e deve essere strutturata per avviare un’attività all’estero. 

Tra i nuovi insediamenti prevale il settore dell’elettronica, seguito da chimica-farmaceutica-medicale, servizi e logistica, abbigliamento, informatica, meccanica di precisione e metallurgia, materie plastiche, ma anche società di metalli preziosi e alimentari. Questa zona svizzera è poi particolarmente attrattiva anche per aziende commerciali, finanziarie, di gestione, di consulenza, di marketing, di engineering e per gli headquarters di aziende internazionali.

E’ finita l’epoca in cui della Svizzera l’italiano amava solo la cioccolata e la puntualità.

Marco Poggi

Bloccati 33 miliardi di euro di pagamenti dai Comuni

I Comuni bloccano 33 miliardi di euro di pagamenti, e “La causa di questo mancato pagamento  va ricercata nelle disposizioni previste dal Patto di stabilità interno, che per ragioni di contenimento della spesa pubblica, non consentono il pagamento di lavori o di forniture ricevute. Il paradosso è che in questa condizione di insolvenza si trovano molte realtà comunali che, pur avendo i soldi, non possono saldare le spettanze, altrimenti non rispetterebbero più i vincoli previsti dal Patto. Un danno economico non di poco conto, che penalizza soprattutto le piccole imprese e le aziende artigiane che devono attendere tempi biblici per ricevere le loro spettanze”, commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi.

Il Comune di Roma presenta la quota di spesa non onorata più alta di tutti: l’importo, al 31 dicembre 2009 (ultimo dato disponibile), è pari a 6,26 mld di euro. Seguono Milano, con 3,85 mld di euro e Napoli, con 3,39 mld di euro. Rispetto alla fine del 2008, l’incremento percentuale medio nazionale dei residui passivi è stato del + 5,4%.

In termini pro capite,  il Comune meno virtuoso è quello di Avellino, con un ammontare complessivo di pagamenti non effettuati pari a 3.754 €.

Segue Carbonia con 3.622 €, Salerno con 3.608 € e, al quarto posto Napoli con 3.529 €.

In una fase di grave crisi economica mettere in pagamento oltre 33 miliardi di euro sarebbe una boccata di ossigeno non indifferente per migliaia e migliaia di piccole imprese. Se in questa elaborazione abbiamo analizzato solo la situazione dei Comuni capoluogo di Provincia, in capo ai Comuni non capoluogo stimiamo vi siano altri 7 mld di pagamenti non erogati. Infine, non dimentichiamo che ci sono altri 35/40 mld di euro di crediti che le imprese avanzano dalle Regioni in materia di sanità, per questo è urgente che il Governo intervenga subito per il bene delle piccole imprese e dei loro occupati”. conclude il segretario.

Marco Poggi

I rincari dell’energia colpiscono la Pmi italiana

I dati emersi dall’analisi condotta dall’Ufficio studi di Confartigianato (su dati Eurostat) parlano chiaro: la bolletta elettrica costa il 30% in più alle imprese italiane rispetto alla media UE, toccando un divario per le Pmi del 134%:  la colpa è della pressione fiscale, di cui l’Italia è maglia nera. La nostra Penisola vanta il triste record negativo nell’ Eurozona di imposte sull’energia (31.750 mln di euro l’anno): +23% rispetto alla media europea.

Non vanno meglio le bollette delle aziende italiane, le più salassate in Europa per la fornitura di corrente elettrica: 7,9 miliardi in più ogni anno di costi fatturati, e ogni singola azienda sborsa 1.776 euro annui in più.
A pagare lo scotto maggiore sono le imprese del Nord: nel 2010 hanno pagato 4.615 mln di euro in più rispetto alle altre imprese della UE per l’energia elettrica. Seguono le aziende del Centro Italia, gap-UE pari a 1.392 mln di euro, e le aziende del Mezzogiorno con 1.932 mln di euro di divario.

E le condizioni per singola regione?
La maglia nera va alla Lombardia (1.808 milioni di euro in più rispetto alla media UE), seguita da Veneto (800 mln), Emilia Romagna (711 mln) e Piemonte (677 mln). E’ in Friuli Venezia Giulia il divario maggiore per azienda (3.151 euro), seguito da Sardegna (2.708 euro), Lombardia (2.208 euro), Valle d’Aosta (2.187 euro), Umbria (2.164 euro) e Trentino Alto Adige (2.036 euro).
Milano risulta tra le province più oppresse dai rincari dei costi energetici (448 mln), seguita da Roma (365 mln), Brescia (356 mln), Torino (276 mln), Bergamo (230 mln).

Marco Poggi

Borse europee a picco per la crisi Usa

Si è chiusa un’altra giornata nera per i mercati. Le Borse sono crollate ed è tornata la tensione sui titoli di Stato. Un venerdì da dimenticare per le piazze finanziarie che hanno risentito dei dati sulla disoccupazione negli Usa, che per la prima volta dal 1945 non riescono a creare nuova occupazione.

In Italia, Milano è il peggiore tra i principali listini del Vecchio Continente, che è arrivata a chiudere al (-3,89%). Piazza Affari si è classificata così maglia nera tra i listini europei, anche se le perdite sono state ovunque pesanti. Tutte le piazze europee comunque hanno accusato il colpo arrivato da Oltreoceano: in una sola seduta sono stati bruciato 186 miliardi di euro.

L’attesa per una conferma del tasso di disoccupazione sopra al 9% negli Usa ha frenato in partenza gli indici di borsa europei, con aperture tutte al ribasso.

Il Dipartimento del Lavoro di Washington ha confermato le paure: nessun nuovo posto di lavoro ad agosto e tasso fermo al 9,1%. Cifre peggiori delle stime degli analisti (70.000 posti lavoro ipotizzati). Nel settore privato solo 17 mila posti di lavoro creati rispetto ai 60 mila previsti, ma quello pubblico ne ha persi altrettanti e dunque la somma è zero per la prima volta dal 1945.L’impatto delle notizie sull’occupazione è tale che il presidente Barack Obama rimanda la partenza per Camp David valutando per diverse ore la possibilità di parlare alla nazione.

Alla Casa Bianca si mette l’accento sul fatto che il settore privato da 18 mesi di seguito crea posti di lavoro per un totale di 2,4 milioni di occupati in più. Preoccupa in particolare il fatto che a perdere occupazione sono stati i due settori che nell’ultimo mese ne avevano creato di più: manifatture e commercio. L’unico vero incremento è stato nella Sanità con un progresso di 29.700 unità. Per ora di globalizzato nel Mondo resta solo la crisi.

Marco Poggi

Affitti, Milano tra le città meno care d’Europa

Affittare una casa a Milano è un affare, almeno se si guarda ai prezzi delle altre maggiori città europee: su 32 grandi centri, Milano è infatti al 25esimo posto. Solo sette grandi città risultano più convenienti e il capoluogo lombardo continua a guadagnare in competitività, a causa di una variazione dei prezzi delle locazioni meno accentuata in termini relativi rispetto alle altre città: nel 2010 era al 22esimo posto e nel 2009 era al 20esimo (-5 posizioni in 2 anni). I dati emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano attraverso il Lab MiM su dati statistici internazionali al 2011.

Roma si conferma più cara di Milano, posizionandosi al 15esimo posto in Europa (era 16esima nel 2010): ponendo gli affitti di Milano pari a 100, il costo medio a Roma sale a 126. In Europa sempre prima Londra, con un indice dei costi pari a quasi cinque volte quello di Milano. Ma anche Parigi non scherza, con un indice di 221. Seguono due città svizzere: Ginevra (184) e Zurigo (173). La città europea più economica per le locazioni si conferma anche nel 2011 Lione (61).

La posizione di Milano si conferma anche considerando i prezzi degli affitti degli appartamenti medi (Roma al 13esimo posto: indice 132), mentre sale per gli appartamenti di lusso (23esima, con Roma al 17esimo posto: 120). Milano guadagna di competitività anche a livello globale: il capoluogo lombardo si posiziona nella seconda metà della classifica delle 100 città più care, al 57esimo posto (era al 47esimo posto nel 2010), mentre Roma è al 41esimo posto (era al 34esimo posto). Tra le città considerate, la più cara al mondo per gli affitti risulta Hong Kong (con un indice pari a 712: sette volte più cara di Milano), seguita da Londra (480) e da Mosca (434), che precede Tokyo (398).

In questo quadro si inserisce MECA, il Primo Mercato Milanese della Casa, a Milano dal 25 al 27 novembre 2011: “Pensare, vedere, saper scegliere la casa”. È l’evento dedicato alla compravendita e alla locazione degli immobili pensato e rivolto ai privati, promosso e organizzato da OSMI Borsa Immobiliare (Camera di Commercio di Milano), Consiglio Notarile di Milano, FIMAA Milano e ASSIMPREDIL ANCE.

Milano – ha dichiarato Antonio Pastore, presidente di Borsa Immobiliare, azienda speciale della Camera di Commercio di Milanosi conferma nel quadro europeo e internazionale come un riferimento non solo solido e significativo, ma anche competitivo. In questa fase economica turbolenta diventa allora importante fare network, promuovendo il lavoro e l’impegno congiunto delle istituzioni e degli operatori privati per un costante monitoraggio e per una promozione di Milano e delle sue opportunità anche a livello internazionale. In questa interazione OSMI Borsa Immobiliare si pone quale cerniera tra le istituzioni e il mercato promuovendo MECA, il cui obiettivo è di facilitare l’incontro tra domanda e offerta del settore immobiliare in maniera informata e trasparente“.

Per informazioni e adesioni a MECA: Segreteria organizzativa OSMI Borsa Immobiliare. 02-85154126, franco.simona@mi.camcom.it. Sito web: www.mecamilano.it (a breve on line).

L’hairstyle in Lombardia parla mandarino

La crisi sembra solo sfiorare l’hairstyle etnico in Italia, sempre più targato Made in China. Questo è il dato che emerge  da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al secondo trimestre 2011.

Molti i negozi etnici aperti a Milano, anche se con un leggero calo per l’hairstyle rispetto al 2010, anno del boom in Lombardia. Ad oggi sono 308 i parrucchieri ed estetisti stranieri in città, quasi il 15% tra le imprese individuali attive nel settore, un fenomeno in crescita e in controtendenza rispetto alla leggera contrazione dei professionisti italiani.

I barbieri meneghini ormai parlano mandarino, con quasi la metà delle imprese provenienti dal Sol Levante seguiti a lunga distanza da marocchini, dominicani e francesi, con percentuali oscillanti tra l’ 8% e il 3% .  Un fenomeno recente, considerando solo le imprese individuali cinesi attive nel settore una su tre è nata nel 2010, e 24 sono aperte dall’inizio di quest’anno.

Quali le zone di maggior presenza orientale? I parrucchieri cinesi  si dipanano principalmente intorno a Via Sarpi, anche se cresce la presenza nel resto della città: una attività cinese su cinque si trova in zona Lambrate e Città Studi, mentre è in crescita il popolamento della zona di Vittoria-Forlanini, in poco più di un anno passata dall’avere un parrucchiere cinese su dieci attivo a Milano, a uno su sette.

L’identikit del coiffeur cinese è quello di una donna giovane, con due titolari su tre appartenenti al sesso debole, mentre la metà ha tra i 30 e i 40 anni e uno su tre è under 30.

E i parrucchieri stranieri in Lombardia? Sono quasi mille i titolari di impresa individuale attivi in Lombardia ma di origine estera, con la predominanza che ovviamente va al capoluogo Milano, per quanto riguarda l’hairstyle, con 184 attività, seguito da Monza Brianza e Brescia. Milano è inoltre prima con quasi un parrucchiere straniero su due tra gli attivi in regione (45,3%), seguita da Brescia (13,5%), Bergamo (10,4%) .

Marco Poggi