Fondo Monetario Internazionale boccia il reddito di cittadinanza. Disincentiva

Il Fondo Monetario Internazionale boccia il reddito di cittadinanza: disincentiva il lavoro soprattutto al Sud.

Perché il reddito di cittadinanza disincentiva il lavoro soprattutto al Sud?

Il reddito di cittadinanza è una misura fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle che con questa misura ha inteso eliminare la povertà. Giustamente ha trovato applicazione su base nazionale con le stesse regole, ma di fatto la condizione economica tra Nord e Sud Italia è molto diversa e il costo della vita nelle regioni del Meridione è effettivamente più basso rispetto a quello del Nord. E’ così che il reddito di cittadinanza diventa un sussidio anche più elevato dei redditi che si percepirebbero lavorando, soprattutto perché sono larghe le fasce di beneficiari che approfittano del lavoro in nero. Questi sono in breve i rilievi fatti dal Fondo Monetario Internazionale. Il sussidio versato invece ai lavoratori del Nord non assicura una vita dignitosa e la copertura delle spese e questo porta a un maggiore interesse a uscire dalla platea dei beneficiari.

Quanto percepiscono i beneficiari del reddito di cittadinanza?

Nelle regioni del Sud c’è il più elevato numero di percettori del reddito di cittadinanza, inoltre sono elargiti gli importi più alti. La media in Campania è di 638 euro mensili, ma a Napoli la stessa si alza fino a raggiungere 660 euro a persona. In Sicilia è di 619 euro. Aggiungendo a queste somme eventuali importo dell’ assegno unico di fatto il reddito di cittadinanza sfiora quello che è considerato lo stipendio di un operaio non specializzato al Sud. Questo porta da un lato al costante fiorire di lavoro in nero, magari occasionale, ma che comunque costituisce un ulteriore reddito, infatti sono in tanti a chiedere di lavorare senza essere assunti per non perdere il reddito di cittadinanza, e dall’altro alla difficoltà in alcuni settori, ristorazione ad esempio, a trovare lavoratori.

I rilievi del Fondo Monetario Internazionale

Il Fondo Monetario Internazionale, FMI, sottolinea che in questo modo il reddito di cittadinanza disincentiva nella ricerca di un lavoro perché di fatto lavorare non renderebbe le condizioni di vita migliori. A poco è servito inasprire le “sanzioni” in caso di mancata accettazione del lavoro, infatti in precedenza il reddito di cittadinanza si perdeva dopo aver rifiutato 3 offerte di lavoro, mentre ora il limite è stato ridotto a 2. Dal FMI arrivano anche dei suggerimenti per migliorare il funzionamento del reddito di cittadinanza e trasformarlo in un vero incentivo al lavoro.

Lo stesso potrebbe non essere eliminato, ma ridotto al momento in cui si trova un’occupazione, ad esempio la forza lavoro dei percettori potrebbe essere occupata nei lavori stagionali, ad esempio nel settore turistico che denuncia la mancanza di forza lavoro pari a 350.000 unità senza però perdere il sussidio in questo periodo, ma riducendone gli importi.

Tale suggerimentoha trovato l’appoggio del ministro del Turismo Garavaglia che ha ipotizzato una riduzione del 50% del sussidio per i lavoratori da impegnare nei lavori stagionali. In questo modo si potrebbe anche ridurre la quota di lavoratori in nero che si trova tra i percettori di reddito.

Nel rapporto periodico sull’Italia redatto dal Fondo Monetario Internazionale viene bocciata anche la tassa sugli extraprofitti nel settore energetico e applicata sui guadagni inattesi delle società del settore energetico.

BIT 2013: il Piano Strategico per lo Sviluppo del Turismo

 

Cala il sipario sulla 33esima edizione della Bit, la Borsa Internazionale del Turismo, conclusasi a Milano il 17 febbraio 2013. Molti sono stati gli interventi e le proposte avanzate dai professionisti del settore; tra questi, quella di maggiore rilievo è stato senza dubbio alcuno il Piano Strategico per lo Sviluppo del Turismo presentato nel corso dell’evento dal ministro per gli Affari Regionali del Turismo e dello Sport Piero Gnudi. 

L’obiettivo primo dell’ambizioso progetto consiste nell’arricchire il Pil italiano di 30 miliardi entro il 2020, creando 500mila nuovi posti di lavoro attraverso una strategia unitaria che suggerisce un totale di 61 azioni indispensabili nel restituire al turismo italiano il ruolo di leadership e competitività da sempre ricoperto ma perso negli ultimi anni. 

Nonostante siano indiscusse l’inimitabile ricchezza culturale e l’impareggiabile risorsa turistica di cui l’Italia gode, il Paese non può vivere di rendita, anzi, è indispensabile un repentino cambiamento culturale per arrivare a considerare il turismo come una grande opportunità.  Come fare? Ponendo innanzitutto il settore al vertice dell’agenda governativa. Ma questo non basta.

Il Piano strategico analizza la situazione del territorio, sottolineando come negli ultimi anni il turismo italiano abbia perso quote di mercato, scendendo dal primo posto a livello europeo (anni ’80 e ’90) al terzo, dietro a Spagna e Francia. Questa perdita di posizione è dovuta soprattutto alla difficoltà del Belpaese di attrarre investimenti internazionali con il risultato di infrastrutture insufficienti, scarsa formazione delle risorse umane, incapacità di costruire nuovi prodotti turistici, debolezza e frammentazione nella governance di settore. 

Secondo lo studio presentato, l’Italia presenta una forte asimmetria: se le prime cinque regioni hanno generato il 91% della crescita nel periodo 2000-2010, quelle del Sud pesano solamente per il 12% del totale, generando nel decennio sopracitato appena il 5% della crescita totale italiana. Non è dunque un caso se una delle sette linee guida suggerite dal Piano per valorizzare il Sud prevede la creazione di due grandi poli del turismo (sul modello della Costa Smeralda) nella parte meridionale del Paese, con l’intento di attrarre investimenti privati. 

Ad ogni modo, le linee guida presentate saranno la base su cui articolare le 61 azioni specifiche: il rafforzamento del ruolo del ministero del Turismo, il rilancio dell’Enit, il miglioramento dell’offerta che, oltre ai poli del Sud, include anche la creazione di 30-40 nuovi poli turistici rivolti ai segmenti di fascia alta e ai Bric, la riqualificazione delle strutture ricettive, un intervento sul piano aeroporti e collegamenti intermodali, la riqualificazione della formazione turistica e il rilancio delle professioni e, ultimo ma non ultimo, un piano che stimoli gli investimenti internazionali tramite l’erogazione di incentivi fiscali e la drastica riduzione della burocrazia.  

Si tratta dunque di un progetto piuttosto articolato e ambizioso che, a detta del ministro Gnudi, dovrà avvalersi di una task force dedicata che dipenderà direttamente dal ministro del Turismo. 

Nel caso in cui venisse realizzato entro il 2020, il Piano potrebbe portare il contributo del settore turistico al Pil nazionale dai 134 miliardi attuali a 164 miliardi, incrementando i ricavi dell’incoming dall’estero (da 44 a 74 miliardi), mantenendo stabili a 90 miliardi quelli legati al turismo domestico.

Speriamo bene; avremmo tutti bisogno di una bella vacanza made in Italy.

Giulia DONDONI

Sapore di mare, l’estate italiana profuma di affari

 

Sapore di mare ma soprattutto di sale per il turismo italiano per l’estate 2012. Se il Belpaese è considerato per antonomasia il luogo dove trascorrere un’estate da sogno da migliaia di turisti stranieri e non solo, complici la tradizione culinaria eccellente, le città d’arte e le spiagge incontaminate, sembra proprio che gli italiani nutrano una scarsa consapevolezza delle proprie potenzialità. Almeno in fatto di turismo.

Stupisce poi che a sottolinearlo sia proprio il Ministro del Turismo Piero Gnudi: “Il turismo è sempre stata una delle parti più importanti della nostra economia, ma nessuno, forse nemmeno gli italiani, sa quanto sia importante nel tessuto economico, sia in termini di rapporto al Pil sia in termini di occupazione”.

Secondo i dati raccolti dal Conto Satellite Turismo 2012, primo report statistico sul business delle vacanze, il turismo in Italia coprirebbe ben il 6% del Pil nazionale, staccando di molto Paesi come la Francia, dove raggiunge solo il 4% e il Regno Unito, per il quale il turismo copre una fetta pari al 3,8% del Pil nazionale.

Che l’Italia fosse meta prediletta per il turismo è cosa risaputa. Ad averne minor consapevolezza sembrano però, almeno secondo le parole del ministro, gli operatori del turismo lungo tutta la penisola: piccoli e grandi imprenditori, ristoratori e albergatori.

Per inciso: l’Istat non aveva mai quantificato in termini numerici prima d’ora quale fosse il reale impatto dell’industria turistica – il business delle vacanze – sull’economia italiana.

E i risultati, attesi un po’ troppo a lungo, si sono rivelati sorprendenti: nel 2010, il valore aggiunto prodotto in Italia dalle attività connesse al turismo (al netto dei costi di produzione dei beni e servizi venduti) è stato pari a 82,8 miliardi di euro, (10 miliardi in meno di quanto raccolto con l’Imu, per intenderci) una cifra che il 6% del totale di tutte le attività economiche del Paese. Non solo: considerando anche l’indotto del settore, in termini di commercio, servizi e terziario, la cifra sale al 10,9%.

Scendendo nel dettaglio, il 63,6% del fatturato turistico concerne l’alloggio e la ristorazione, mentre il 25% riguarda l’acquisto di beni come i souvenir e i prodotti alimentari. Per i trasporti si va dal 3,9% delle spese per spostamenti in aereo con vettori italiani, all’ 1,6% del settore marittimo e ferroviario.

E a voler fare i conti per quanto ci aspetterà per i prossimi mesi, le previsioni per l’estate 2012 sono più che rosee: meno europei e americani pronti a partire per Firenze, Roma e Venazia, ma moltissimi scandinavi, cinesi e giapponesi pronti a fare le valigie per godersi il solleone nelle spiagge più belle e selvagge della penisola. Almeno secondo quanto riferisce l’Osservatorio sul turismo di Unioncamere. A confermare i dati ci pensa anche il Presidente dell’ENIT, Pier Luigi Celli: “il Monitoraggio Estate 2012 restituisce l’immagine di un settore turismo che, in tempi di crisi, si conferma asset strategico per lo sviluppo del Paese, attorno a cui seri e “intelligenti” investimenti possono ancora garantire obiettivi di ritorno immediato”.

Ma qual è il ruolo svolto dalla piccole imprenditoria nel settore turistico in Italia? Quante strutture alberghiere sono ancora a conduzione familiare e quante invece sono appannaggio di grosse catene internazionali? Come si incentivano le start up impegnate nel settore ‘vacanze’?

A queste domande cercheremo di rispondere nei prossimi giorni noi di Infoiva, per scoprire quale sia lo stato di salute del turismo in Italia.

 

Alessia CASIRAGHI

Al turismo servono regole elastiche

di Vera MORETTI

L’Italia continua a piacere ai turisti, nostrani e non, e anche il 2011, nonostante le previsioni pessimistiche, dovute anche alle condizioni climatiche spesso avverse, si è concluso in positivo.

Con un incoraggiante +2,3%, quindi, si riparte con l’anno nuovo, sperando di migliorare ulteriormente e vedere aumentare ancora il numero di turisti stranieri, l’anno scorso in forte ripresa.
Infatti, il 2,3% rappresenta una media tra il timido +0,3 degli italiani e l’ottimo +5,3 degli stranieri, che hanno contribuito a fare dell’azienda turistica italiana un settore fortemente competitivo.

L’andamento positivo è stato certamente determinato, oltre che dalle attrattive del Belpaese, anche dai prezzi, dal momento che sono stati “ritoccati” solo dell’1,8% rispetto all’anno precedente.

E non solo i turisti sono soddisfatti, perché anche i lavoratori possono sorridere, a fronte di una variazione negativa solo dello 0,3% che, confrontato con altri settori, rappresenta un risultato di tutto rispetto ma che, soprattutto, confrontato con il -4,7% del 2009 e il -2,4% del 2010, fa ben sperare per il 2012 appena cominciato.

Questi dati, inoltre, rappresentano un significato ancora più importante se confrontati con quelli dell’industria: tra il 2000 e il 2010 l’occupazione nel turismo è crescita del +28.9% mentre nell’industria ha registrato un eloquente -7.8%.

Ad impensierire, come ha confermato Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, è “il varo della manovra ‘salva-Italia’, manovra che produrrà, tra IMU ed aumento dell’IVA, un aggravio fiscale quantificabile per il solo 2012 in quasi 600 milioni di euro, ai quali andranno aggiunte le concessioni demaniali e la mina dell’imposta di soggiorno che, a macchia di leopardo e senza una quantificazione omogenea, finirà inevitabilmente, col creare forme di disparità tariffaria e di concorrenza sleale.”

L’appoggio da parte di Federalberghi al Governo Monti e al Ministro del Turismo Piero Gnudi rimane immutato, ma si chiede di applicare “regole elastiche nel mercato del lavoro, soprattutto per le località stagionali“.

I consumatori vogliono negozi aperti anche la domenica

L’Ipsos, per conto del Ministro del Turismo, ha svolto una indagine d’opinione su un campione di mille persone chiedono l’opinione sull’eventuale apertura dei negozi di domenica. Il 78% di consumatori italiani sarebbe d’accordo, percentuale  che aumenta fino all’82% tra i «responsabili degli acquisti», ma che si riduce al 76% per i residenti in un Comune a vocazione turistica e a 65% degli abitanti nelle grandi città. Solo il 26% sarebbe contrario all’estensione della proposta in tutti i Comuni italiani.

Tra tutti gli intervistati sono i lavoratori a esprimere maggiore contentezza per la proposta. L’apertura in orari extra o domenicali agevolerebbe infatti questa categoria.

Il ministro Brambilla ha voluto che la liberalizzazione delle aperture domenicali e della mezza chiusura infrasettimanale (almeno in via sperimentale), in Comuni a vocazione turistica e città d’arte, diventasse legge dello Stato, con una precisa norma nella manovra sui conti pubblici votata nei giorni scorsi. Le associazioni del commercio l’avevano accolta molto tiepidamente in quanto arrecherebbe non pochi problemi ai dipendenti.

Resta critico il presidente della Camera di Commercio di Milano, Carlo Sangalli, secondo il quale «è inaccettabile che un provvedimento del genere si sia fatto senza consultare le organizzazioni del commercio e dei servizi, ed è assai discutibile perché c’è un’invasione di campo rispetto alle Regioni».

 

3,6 miliardi in sostegno alle imprese turistiche

Il ministro del turismo Michela Brambilla ha presentato alcuni giorni fa il progetto di finanziamento denominato “Italia&Turismo“.  Si tratta di un piano di aiuto non solo per le strutture ricettive, le agenzie di viaggio, i tour operator, ma anche le imprese della ristorazione, gli stabilimenti balneari, e ogni altro tipo di soggetto economico coinvolto nel settore.

La dotazione è ricca, si tratta di 3,6 miliardi di euro con il coinvolgimento di 8 isitituti di credito: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Gruppo Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Monte dei Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro e Banco Popolare dell’Emilia Romagna per un totale di 20mila sportello che ben coprono l’intero territorio nazionale.

I finanziamenti permetteranno alle imprese tursitiche di potenziare la loro offerta, migliorando i servizi e aumentando la qualità. Nella stessa direzione vanno i “Buoni Vacanza” che permettono alle famiglie meno abbienti di poter ricevere una parte di finanziamento del pacchetto vacanza (fino al 40%) per viaggiare in Italia in periodi di media e bassa stagione.

Felici le associazioni di categoria appartenenti a Confindustria, Confcommercio, Confesercenti che reputano il progetto fondamentale per la ripresa di un settore chiave per l’economia italiana. Bernabò Bocca, presidente di Confturismo, ha sottolineato che “stiamo facendo del nostro meglio, il turismo e la cultura sono quello che il Paese ha. Il futuro di un Paese va basato sulle carte importanti che si hanno nel mazzo, queste solo le carte più alte“.