Un 2017 in ripresa per le transazioni immobiliari

La ripresa è un miraggio ancora per molti settori economici ma, a quanto pare, non per quello immobiliare. Lo conferma un’analisi di Tecnocasa, secondo la quale il mercato immobiliare nel 2016 ha vissuto un anno positivo soprattutto per l’aumento delle compravendite.

I dati, resi pubblici dall’Agenzia delle Entrate, evidenziano che nei primi nove mesi del 2016 c’è stato un incremento medio delle transazioni immobiliari del 20,4%. Un trend trainato soprattutto dalla diminuzione dei prezzi e dai mutui più accessibili: dal 2007, le abitazioni hanno ceduto il 39,7% del loro valore.

La domanda dinamica e l’offerta che inizia a diminuire, soprattutto sugli immobili di qualità, potrà determinare un’ulteriore contrazione delle tempistiche di vendita e un minor margine di trattativa soprattutto su queste tipologie immobiliari.

Se l’immobile è da ristrutturare o presenta degli elementi negativi si compravenderà solo dopo ulteriori ribassi di prezzo. Sia il segmento della prima casa sia quello ad uso investimento e casa vacanza saranno vivaci.

Le compravendite per il 2017 sono attese ancora in aumento (tra +6% e +8% a livello nazionale) e questo trend interesserà tutte le realtà territoriali. Sul versante prezzi ci si aspetta una chiusura dell’anno con un calo tra 2% e 0% e un leggero aumento (tra 0% e 2%) per il 2017 ma solo per le grandi città, mentre per i capoluoghi di provincia e per l’hinterland delle grandi città occorrerà aspettare il 2018.

Sul mercato del nuovo iniziano a ripartire progetti immobiliari finalizzati alla costruzione di immobili di qualità che garantiscano efficienza energetica e, alla luce degli ultimi eventi, che siano costruiti anche con criteri antisismici.

Sul versante delle locazioni ci si aspetta una sostanziale stabilità dei canoni, con leggeri ritocchi al rialzo in particolare nelle grandi città. Non si esclude che chi possiede i requisiti per accedere al mutuo possa abbandonare la locazione per scegliere l’acquisto, con conseguente riduzione della domanda.

L’andamento dell’economia e dell’occupazione, oltre al comportamento degli istituti di credito che rimarranno prudenti, contribuiranno a confermare o meno questo scenario di mercato. Scenario che vede nella consapevolezza “del reale valore dell’immobile” da parte degli acquirenti, dei venditori ma soprattutto da parte dei professionisti del settore real estate, un elemento importante per il corretto funzionamento del mercato.

Italia schiava della pessima Pa

La palla al piede dell’Italia? Sicuramente la burocrazia, ma anche la Pubblica amministrazione non scherza: secondo la denuncia dell’Ufficio studi della Cgia, la sua inefficienza costa oltre 30 miliardi di euro all’anno di mancata crescita.

La nota della Cgia si basa su uno studio realizzato dal Fondo Monetario Internazionale dal quale emerge che se la nostra Pa avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti, oltre 30 miliardi di euro all’anno.

Il forte divario esistente tra il Nord e Sud del Paese sulla qualità/quantità dei servizi erogati dalla nostra Pa, emerge anche dall’analisi dell’Ufficio studi della CGIA su dati relativi a un’indagine condotta dall’Ue sulla qualità della Pa a livello territoriale.

Rispetto ai 206 territori rilevati dallo studio, ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178esimo posto, la Basilicata al 182esimo, la Sicilia al 185esimo, la Puglia al 188esimo, il Molise al 191esimo, la Calabria al 193esimo e la Campania al 202esimo posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano un dato peggiore della Pa campana.

Tra le realtà meno virtuose troviamo anche il Lazio, che si piazza al 184esimo posto della graduatoria generale. Tra le migliori 30 regioni europee, invece, non c’è nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese.

La prima, la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36esimo posto della classifica generale della Pa. La Provincia autonoma di Bolzano al 39esimo, la Valle d’Aosta al 72esimo e il Friuli Venezia Giulia al 98esimo. Appena al di sotto della media Ue troviamo al 129esimo posto il Veneto, al 132esimo l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre.

Questa classifica, segnala l’Ufficio studi della Cgia, è tarata su un indice di qualità che è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici ricevuti, l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione.

Il risultato finale è un indicatore di qualità della Pa che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (primo posto in Ue) al -2,658 della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206esimo posto). Il dato medio Ue è pari a zero.

Nella classifica generale la Pa italiana si colloca al 17esimo posto su 23 Paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico presentano un indice di qualità della Pa inferiore al nostro. A guidare la classifica, invece, sono le Pa dei Paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, etc.).

Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo: “Dagli inizi degli Anni ’90 ad oggi sono state ben 18 le riforme che hanno interessato la nostra Pa. Sebbene le aspettative fossero molte, in tutti questi anni i risultati ottenuti sono stati deludenti. In molti settori la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese è diminuita e nonostante l’avvento del web ci permetta di scaricare molti documenti dal computer di casa, le code agli sportelli, ad esempio, sono aumentate. L’Istat denuncia che, rispetto al 2015, dopo 20 minuti di attesa presso gli uffici comunali dell’anagrafe, oggi la fila si è idealmente allungata di 11 persone e agli sportelli delle Asl addirittura di 18”.

Dalla Cgia, comunque, precisano che sebbene i dati medi non siano particolarmente brillanti, la nostra Pa presenta delle punte di eccellenza in molti settori che non hanno eguali nel resto d’Europa, come la sanità al Nord, le forze dell’ordine e molti centri di ricerca e istituti universitari”.

Affitto, una scelta di vita

In Italia, chi va in affitto e perché? Lo ha determinato un’analisi condotta dall’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa sui contratti di affitto stipulati attraverso le agenzie Tecnocasa e Tecnorete nel primo semestre 2016 sul territorio nazionale.

L’analisi evidenzia che nella maggioranza dei casi si opta per un affitto per scelta abitativa (61,3%), mentre il 35% del campione lo fa per motivi di lavoro e il 3,9% per motivi di studio. Rispetto al primo semestre del 2015 queste percentuali sono rimaste sostanzialmente invariate, con una leggera diminuzione della percentuale di affitto legato allo studio, che passa dal 4,6% all’attuale 3,9%.

Il contratto di locazione più utilizzato rimane quello a canone libero da 4 anni più 4 (66,4%); da segnalare però un netto aumento della percentuale nella stipula di contratti a canone concordato da 3 anni più 2 (22,9% contro il 18% del 2015 ed il 13,9% del 2014).

Il taglio più richiesto in locazione è il bilocale (40,5%), seguito dal trilocale con il 35,6%.

Molto elevata la percentuale di single che cercano casa in locazione: sommando celibi/nubili, separati/divorziati e vedovi, la percentuale rilevata arriva al 61,3%.

Il turismo di Capodanno

Nessuna sorpresa per il turismo di Capodanno, almeno in Italia. Stando a Federalberghi, quasi un italiano su 3 ha deciso di passare il Capodanno in montagna, per un totale di circa 7,3 milioni di persone contro i 6,2 dello scorso anno (+18,9%).

L’83% di chi si è mosso per Capodanno è rimasto in Italia (era l’80% nel 2015), mentre il 17% ha scelto l’estero. Naturalmente, il Capodanno italiano è in montagna per eccellenza, anche se la percentuale di chi ci è andato è calata al 30% dal 36% dello scorso anno.

Seguono gli italiani che hanno scelto per Capodanno una città diversa da quella di residenza (27% rispetto al 24% del 2015), quelli che hanno puntato sulle città d’arte (27% contro 23%) e sul mare (7% come lo scorso anno).

La maggior parte di chi si è mosso per Capodanno alloggia in casa di parenti o amici (32% rispetto al 31% del 2015); vengono poi gli hotel (28% contro 32%), i B&B (14% contro 13%) e gli appartamenti in affitto (7% contro 5%).

Cala leggermente il numero delle notti trascorse fuori casa rispetto a un anno fa: 3,9 notti contro 4,1. Nonostante questo, la spesa media pro-capite per alloggio, i trasporti, cibo e divertimenti è rimasta invariata rispetto a un anno fa: 596 euro, frutto di una media tra i 489 spesi da chi è rimasto in Italia e i 1063 da chi si è recato all’estero.

In compenso, il giro d’affari è cresciuto a 4,4 miliardi di euro, quasi un quinto più dello scorso anno (+18,9%).

Mutui e surroghe in altalena

Nel semestre maggio – ottobre 2016, in Italia, sono calate di quasi il 20% le surroghe rispetto al periodo novembre 2015 – aprile 2016. Inoltre, nello stesso periodo i mutui richiesti sono stati sempre più spesso nuovi finanziamenti. Il calo delle surroghe è avvenuto sia in termini assoluti, sia in termini relativi rispetto al totale dei finanziamenti erogati.

Sono dati che derivano dalle analisi dall’Osservatorio condotto da Facile.it e Mutui.it, che ha analizzato un campione di oltre 20mila richieste e relative erogazioni di mutuo presentate in Italia.

Nel semestre in analisi, le surroghe hanno rappresentato circa il 38% dei mutui erogati, mentre rappresentavano quasi il 50% sei mesi prima. Il valore medio delle surroghe nel periodo è stato pari a poco più di 113mila euro ed era di 118mila euro nel semestre novembre 2015 – aprile 2016.

La richiesta media registrata in Italia per un mutuo nel periodo maggio-ottobre 2016 è stata pari a 128mila euro, equivalente al 3,2% in più rispetto al semestre precedente; guardando ai valori dell’erogato, invece, l’Osservatorio di Facile.it e Mutui.it ha registrato un importo medio di 120mila euro, anch’esso in aumento, ma in maniera meno netta (+1,3%).

Sono cresciuti, in termini assoluti, anche i mutui erogati, che oggi sono il 34,1% in più rispetto a sei mesi prima. Gli italiani sembrano volersi garantire la positività degli indici attuali e, nel 70,4% dei casi, optano per un mutuo a tasso fisso; scelgono il variabile il 26,5% degli aspiranti mutuatari. Sei mesi fa le percentuali erano pari, rispettivamente, al 64,5% e al 28,1%.

Se sono aumentati sia gli importi richiesti sia quelli erogati, è diminuito invece il valore medio dell’immobile al centro del finanziamento. Oggi le case oggetto di mutuo hanno un costo pari a 220.650 euro, vale a dire il 4,7% in meno rispetto a quanto evidenziato nell’osservatorio precedente. La durata del piano di restituzione è in media di 21 anni.

Facile.it e Mutui.it hanno poi condotto, nel loro Osservatorio, un focus specifico sui mutui richiesti per l’acquisto della prima casa. In questo specifico segmento di mercato, il valore medio dei mutui richiesti è stato pari a 137mila euro, 126.500 euro quello dei finanziamenti erogati.

Nel primo come nel secondo caso i valori sono in crescita; del 5% per le richieste, del 2,2% per le erogazioni. Il valore degli immobili oggetto dei mutui richiesti per l’acquisto prima casa è stato pari, da maggio ad ottobre 2016, a poco più di 203mila euro, equivalenti a un incremento del 2,2% rispetto al periodo novembre 2015 – aprile 2016.

Professionista a Natale? Son soldi…

Oggi è Natale e guai a voi se, per caso o sventura, oggi vi capita qualche disavventura in casa. Dovreste essere pronti a mettere pesantemente mano al portafogli.

Lo testimonia anche un’indagine di ProntoPro.it, dalla quale emerge come, a Natale, l’intervento di un professionista che non può essere assolutamente posticipato (perdita d’acqua, guasto alla caldaia, cancello automatico bloccato…) può costare carissimo.

L’indagine ha coinvolto circa un centinaio di idraulici ed elettricisti operanti in tre grandi città – Milano, Roma e Napoli -, chiedendo loro quali siano i casi più frequenti di richieste e quali le maggiorazioni applicate sulle tariffe in caso di guasti che necessitino un pronto intervento in giorni festivi come il Natale. Dall’indagine è emerso che in tutte le città coinvolte i costi possono lievitare fino al 50% in più.

Tutti i professionisti intervistati nelle tre città hanno spiegato che se l’intervento viene richiesto nei giorni super festivi (24, Natale e 26 dicembre, 1 e 6 gennaio) la cosiddetta “uscita” deve essere rimborsata con una tariffa maggiorata del 50%.

Allo stesso tempo però, a Roma e Napoli, 3 professionisti su 5 hanno dichiarato di premiare la fedeltà dei propri clienti: se la richiesta di pronto intervento proviene da qualcuno con cui si è già lavorato in precedenza, la maggiorazione non viene applicata anche se è Natale.

Milano è la città più cara: qui in media si spendono 45 euro. Roma e Napoli invece si rivelano a pari merito leggermente più economiche, con costi compresi tra i 30 e i 35 euro.

Per quanto riguarda i motivi che spingono più degli altri a richieste di pronto intervento proprio a Natale e nei giorni festivi, gli idraulici non hanno dubbi: al primo posto tra tutte le richieste ricevute c’è quella di riparazione dovuta ad improvvisa perdita di acqua; al secondo la riparazione della caldaia e al terzo la disostruzione di tubi.

La classifica degli elettricisti: il ripristino dell’energia elettrica in seguito ad un black out è il maggiore motivo di richiesta di intervento; al secondo posto si trovano gli interventi alle fotocellule di cancelli elettrici e al terzo gli improvvisi problemi con il salvavita.

Secondo Marco Ogliengo, amministratore delegato di ProntoPro.it, “la difficoltà di conoscere personalmente un artigiano unita al fatto che i professionisti non sono sempre disponibili sono due dei motivi del successo della ricerca di queste figure sul web”, anche e soprattutto a Natale.

I top trend 2017 del mercato del lavoro

Flessibilità, formazione interna, fiducia per il mercato del lavoro e crescita dell’utilizzo del recruiting digitale e dell’employer branding, oltre al welfare aziendale: sono questi i 5 Top Trend 2017 per il mercato del lavoro in Italia.

Secondo l’indagine condotta da InfoJobs, la principale piattaforma di reclutamento online in Italia, su un campione rappresentativo di aziende iscritte al portale per delineare quali saranno i trend più rilevanti per la ricerca di lavoro nell’anno che sta per iniziare, le aziende italiane guardano con fiducia all’andamento del mercato del lavoro nel 2017 e, dopo aver assunto, puntano alla formazione delle risorse interne, per migliorare la produttività e il clima interno.

Le soft skills continueranno a essere protagoniste anche nel prossimo anno, specialmente la flessibilità, intesa come espressione della capacità del dipendente di adattarsi a nuovi ruoli e compiti.

Secondo la ricerca, inoltre, le aziende continueranno anche durante il prossimo anno l’inserimento di nuove figure professionali. Il 30% del campione ha intenzione di attuare un massiccio programma di assunzioni nel 2017, per fare fronte alla ripresa del mercato, mentre ben il 44,7% proseguirà la campagna di recruiting già iniziata negli scorsi anni, seppur in numero limitato in quanto la maggior parte delle assunzioni è stata fatta precedentemente. Solo il 12,6%, invece, prevede di non effettuare nuove assunzioni a causa della situazione del mercato e del venir meno delle agevolazioni fiscali.

Il recruiting online rimarrà anche il prossimo anno lo strumento principe utilizzato dalle aziende per scovare i migliori talenti: il 73% del campione ha dichiarato infatti che sarà il canale privilegiato per la ricerca di nuovi candidati, rispetto al 71% del 2016. Seguono quindi il passaparola (47,7%), il sito aziendale (44,7%), i canali legati a Università e Master (30%) e le Società di ricerca e selezione del personale (22,8%), che completano la top 5.

Giuseppe Bruno, General Manager di InfoJobs: “La nostra ricerca mette in evidenza come, nonostante l’incertezza riguardante il termine delle misure legislative e degli incentivi fiscali, le aziende italiane continueranno anche nel 2017 la ricerca di talenti ad alto tasso di flessibilità e innovazione, in grado di contribuire allo sviluppo e al successo delle imprese”.

“In questo processo – prosegue Bruno -, le piattaforme di recruiting digitale si confermano strumenti essenziali e InfoJobs, grazie alle sue caratteristiche, rimarrà sempre un partner affidabile per imprese e candidati in grado di favorire il corretto matching tra domanda e offerta”.

Questi, secondo il campione interpellato da InfoJobs, i 5 Top Trend per il mercato del lavoro 2017 in ordine di rilevanza:

La flessibilità come fonte di nuove opportunità lavorative (43,4%)

La flessibilità, intesa come progressivo abbandono del modello del “posto fisso” a favore di una maggiore propensione al cambiamento di ruolo, verrà considerata come l’espressione della capacità del dipendente di adattarsi a diversi contesti, facendo emergere le sue qualità.

La formazione interna come strumento per valorizzare le risorse, migliorare la produttività e il clima organizzativo (39,8%)

Nel 2017 aumenteranno le iniziative messe in atto dalle aziende per favorire la formazione dei dipendenti e agevolare l’inserimento di giovani nel mondo lavorativo, tramite percorsi di alternanza scuola/lavoro, favorite anche dalle nuove misure a livello legislativo, in grado di avere un impatto positivo sull’attività aziendale e di creare un vantaggio competitivo sul mercato.

Prosegue il clima di fiducia per il mercato del lavoro, anche se con l’incognita della fine delle agevolazioni (24,3%)

Il mercato delle offerte di lavoro proseguirà la sua crescita, guidato dalla richiesta di professioni legate alla tecnologia e all’innovazione o a nuovi modelli di organizzazione del lavoro basato sulla digitalizzazione (gig economy), ma occorrerà valutare l’impatto del termine degli incentivi e delle misure governative.

Continuerà la crescita dell’utilizzo del recruiting digitale e dell’employer branding (23,5%)

I canali digitali saranno sempre più gli strumenti utilizzati dalle aziende sia per la ricerca del personale, che per far conoscere la cultura aziendale e spingere i propri dipendenti a condividerla, facendosi primi ambasciatori del marchio e dei suoi valori.

Il welfare aziendale come chiave per migliorare il clima aziendale e attrarre talenti (20%)

Proseguirà la diffusione dell’offerta di misure di welfare aziendale in favore dei dipendenti con l’obiettivo di aumentare la loyalty verso l’azienda, migliorare l’ambiente lavorativo e aumentare la possibilità di attrarre i migliori talenti.

Mercato del lusso in Russia: ripresa sì, ma non per tutti

Nonostante un anno difficile per il commercio e per le imprese che esportano in Russia, a causa delle sanzioni economiche, i brand del lusso stanno tornando alla ribalta nel mercato russo, secondo il nuovo studio Luxury in Russia: the comeback, realizzato da Contactlab, specialista nel customer engagement e dalla società di investimento Exane BNP Paribas. Tuttavia, alcuni brand si comportano meglio di altri nell’adattare le proprie offerte al mercato russo: ad esempio, solo 4 brand propongono il servizio clienti in lingua russa.

In questo momento il mercato del lusso in Russia è stimato in 3,5 miliardi di euro in seguito a una crescita stimata tra il 5% e il 10% delle vendite rispetto all’anno precedente, rappresentando l’1,4% delle vendite di lusso mondiali. Tuttavia è da notare che i turisti russi sono estremamente importanti poiché rappresentano il 5% del mercato mondiale del lusso.

Considerando che i consumatori russi spendono in media il 60% in più rispetto ai clienti del resto del mondo, Contactlab ha constatato con sorpresa come alcuni tra i principali brand di lusso stiano adottando degli approcci piuttosto deboli per raggiungere questi consumatori.

Il team di specialisti di Contactlab ha analizzato 32 brand e li ha classificati secondo diversi parametri. Lo studio ha evidenziato la forza di Burberry, Louis Vuitton e Loro Piana nella digital customer experience. Questi brand si comportano bene per quanto riguarda i siti web in lingua locale, la selezione dei prodotti e le app mobile in lingua russa, e questi sono solo alcuni dei parametri presi in considerazione. L’indagine rivela che Dolce & Gabbana, Burberry e Swatch sono gli unici brand internazionali che ingaggiano i clienti russi sulle piattaforme di social media come Twitter e VK (il social network più popolare in Russia).

Probabilmente l’area di crescita potenziale più ampia per i brand di lusso in Russia è l’e-commerce. Il tasso di penetrazione di questo canale in Russia (considerato come percentuale delle vendite al dettaglio totali) non tiene il passo con altri mercati internazionali: la penetrazione mondiale nel 2015 era del 7% mentre in Russia raggiungeva solo il 2,5%. 19 brand propongono il sito in russo, ma alcuni di loro come Valentino, Hermès, Chanel, Prada e Zegna non hanno ancora localizzato i contenuti per la Russia e rimandano gli utenti al sito internazionale.

Massimo Fubini, Amministratore Delegato di Contactlab commenta: “Il mercato russo rappresenta un grosso potenziale di crescita per i brand di lusso ma alcuni essi utilizzano strategie obsolete, senza creare engagement a livello locale. Le carenze nel digital customer engagement sono particolarmente rilevanti se si tiene conto che i russi rappresentano circa il 5% del mercato mondiale, inclusi gli acquisti all’estero”.

Lo studio evidenzia un abisso tra i brand di lusso in termini di servizio clienti. Sono solo 4 quelli che attualmente offrono assistenza telefonica e via email in russo, mentre marchi come Chanel, Gucci, Hermès e Prada spiccano per la mancanza di un servizio localizzato.

Alcuni brand si rivelano leader indiscussi offrendo un servizio a tutto tondo ai consumatori russi, vale a dire assistenza telefonica e via mail, servizi diretti al consumatore come la consulenza di un personal stylist e la possibilità di prendere appuntamento in negozio. Per lasciare il segno in questo mercato i brand devono impegnarsi a fondo offrendo una varietà di servizi e facendo sentire i propri clienti importanti e sicuri nei loro acquisti”, conclude Fubini.

E io mi assicuro lo smartphone!

Gli appassionati di tecnologia sono più accorti rispetto al passato e, visti i costi importanti di smartphone, computer, tablet e macchine fotografiche, sempre più spesso decidono di unire all’acquisto del prodotto anche un’assicurazione.

Secondo un’analisi condotta da Facile.it su un campione di oltre 7mila domande presentate da gennaio a dicembre 2016, in un anno le richieste di questo tipo sono quasi triplicate.

A fare la parte del leone è la copertura assicurativa legata ai cellulari e smartphone, che rappresenta il 74,6% del totale delle richieste analizzate; a seguire si trovano quelle legate a computer (9,9%) e macchine fotografiche (4%).

Secondo Mauro Giacobbe, amministratore delegato di Facile.it, “i consumatori hanno compreso il vantaggio di tutelarsi con pochi euro da danni molto comuni e, purtroppo, molto costosi: bastano un display rotto, ad esempio, o un bicchiere d’acqua rovesciato su un computer per compromettere seriamente le funzionalità del nostro gioiello tecnologico.

Scorrendo i numeri dell’analisi di Facile.it, il rapporto fra costi e benefici appare notevole: per assicurare uno smartphone da 750 euro contro qualunque danno, anche causato da altri individui, bastano meno di 50 euro per un anno, che diventano appena 10 in più se si vuole unire alla copertura anche la tutela contro il furto.

Ad oggi i più inclini a scegliere di tutelare il proprio acquisto (smartphone e non solo) con un’assicurazione sono i consumatori con un’età compresa fra i 24 e i 34 anni (45% del totale richiedenti), seguiti da quelli nella fascia 35-44 anni (35%).

Analizzando i numeri in ottica regionale, sono la Lombardia, il Lazio e l’Emilia Romagna le regioni che ricorrono maggiormente alle assicurazioni sui prodotti tech; Basilicata, Valle d’Aosta, e Calabria quelle dove, di contro, i consumatori si assumono i rischi maggiori.

Social media, il nuovo eldorado della pubblicità

La crescita dei social media non è solo in termini di diffusione e di influenza che essi hanno sulla vita di tutti i giorni, ma anche per l’interesse che suscitano nel mercato pubblicitario.

Secondo l’agenzia pubblicitaria ZenithOptimedia, del gruppo francese Publicis, nel 2016 le inserzioni sui social media ammonteranno a 29 miliardi di dollari, per arrivare, nel 2019 a 50,2 miliardi, l’1% in meno dei 50,7 raccolti dai giornali. Nel 2020, il sorpasso.

La parte del leone la fa e la farà sempre di più Facebook, vero re dei social media tanto da desktop quanto da mobile. Secondo il Pew Research Center, negli Usa quattro americani su si informano leggendo news su Facebook, percentuale che arriva al 35,5% in Italia, secondo il Censis.

È dunque normale che gli inserzionisti siano sempre più attratti dai social, senza scordare le diverse piattaforme video. Se la raccolta pubblicitaria sui social media crescerà di circa il 20% annuo fino al 2020, per i video è previsto un incremento annuo del 18%.

Secondo gli analisti, il boom dei video, oltre che dei social media, è legato principalmente al miglioramento dei display degli smartphone e alla velocità di connessione, che fanno in modo che i video siano sempre più complementari agli spot televisivi.

I quali, però, continueranno a farla da padroni. Secondo gli analisti, la raccolta legata ai video online, nel 2019 sarà solo il 18% di quella televisiva.