Le 10 qualifiche professionali che daranno più lavoro dal 2022 al 2026

Nel quinquennio dal 2022 al 2022 in Italia si prevede un fabbisogno di nuovi lavoratori complessivo tra 4,1 e 4,5 milioni di unità. Di questi, un numero variabile tra 1,3 e 1,7 milioni di lavoratori costituirà la componente di crescita aggiuntiva dettata dalle nuove misure rientranti, soprattutto, nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Un surplus stimato, in termini occupazionali, compreso tra il 31% e il 38% che, probabilmente, non ci sarebbe stato senza le misure rientranti nei fondi di ripresa dalla pandemia Covid-19 del programma Next Generation Eu.

Di quanti laureati, diplomati e giovani con qualifica professionale avranno bisogno le imprese e la Pa tra il 2022 e il 2026?

Dei nuovi occupati che il monto delle imprese e la Pubblica amministrazione avrà bisogno, tra il 2022 e il 2026 l’offerta di lavoratori sarà data da:

  • 1,1-1,2 milioni di lavoratori in possesso del titolo di laurea;
  • 1,6-1,8 milioni di giovani in possesso del diploma di maturità;
  • 1,2-1,4 milioni di giovani che posseggono al massimo di una qualifica professionale.

I dati sono stati diramati dall’indagine congiunta di Unioncamere e Anpal grazie alla ricerca Excelsior.

Fabbisogno di giovani con qualifica professionale delle imprese e Pubblica amministrazione e offerta di lavoro

Come per i laureati e i diplomati, anche per i giovani in possesso della sola qualifica professionale è importante fare una generale premessa. Le richieste di giovani con qualifica professionale segnerà una differenza tra la domanda, ovvero il fabbisogno delle imprese e della Pubblica amministrazione di giovani con questo grado di istruzione, e l’offerta, ovvero quanti saranno i giovani alla ricerca di lavoro con i requisiti richiesti. In generale, l’offerta formativa complessiva è in grado di soddisfare solo all’incirca il 60% della potenziale domanda, con fabbisogno maggiore nei settori dell’edilizia, della logistica e della meccanica.

Quali saranno i settori nei quali serviranno di più i giovani con qualifica professionale?

Per quanto attiene all’istruzione e alla formazione professionale regionale (IeFP), il fabbisogno maggiore negli anni dal 2022 al 2026 si riscontra, infatti, negli indirizzi della meccanica, dell’edilizia e dell’elettrico. Si tratta, essenzialmente, della domanda proveniente soprattutto dalle filiere delle costruzioni e delle infrastrutture. È interessante notare che l’indagine Unioncamere e Anpal prevede due scenari nel calcolo delle stime del fabbisogno e dell’offerta lavorativa. Un primo scenario, più ottimistico, è dato da tassi di Prodotto interno lordo elevanti, connessi soprattutto agli ottimali investimenti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Il secondo scenario è sì positivo, ma meno rispetto al primo. Si discosta al massimo di qualche punto di Pil, soprattutto nei primi anni (2022, 2023 e 2024) del quinquennio.

Quali sono le 10 qualifiche professionali che daranno maggiori opportunità di lavoro tra il 2022 e il 2026?

Dalle stime della ricerca Unioncamere e Anpal, le 10 qualifiche professionali che daranno le maggiori opportunità di lavoro tra il 2022 e il 2026 saranno:

  • la qualifica professionale in meccanica. Nello scenario migliore le imprese avranno bisogno ogni anno di 27.200 nuove unità, in quello peggiore di 23 mila unità. Alla richiesta delle imprese si contrappone offerta di neoqualificati. Mediamente, infatti, saranno disponibili sul mercato del lavoro appena 6.400 neoqualificati all’anno;
  • la qualifica al secondo posto per le richieste delle imprese è quella legata agli indirizzi dell’edilizia e dell’elettrico. Nello scenario peggiore serviranno alle imprese 21 mila nuovi qualificati, in quello migliore 23.900. Tuttavia, l’offerta di neoqualificati in media all’anno si fermerà ad appena 5.500 nuove unità;
  • al terzo posto della qualifica professionale si trovano gli indirizzi legati alle segreterie amministrative e ai servizi di vendita. Serviranno, nello scenario peggiore 18.600 nuovi qualificati, in quello migliore 20.400. Tuttavia, l’offerta annua media di nuovi qualificati si fermerà a 5.900.

Le 10 qualifiche professionali con più offerte di lavoro tra il 2022 e il 2026: quali sono?

Si ribalta la situazione al quarto posto delle qualifiche professionali con più offerte di lavoro tra il 2022 e il 2026 in merito alla domanda e offerta di nuovi qualificati. Infatti, il settore della ristorazione registrerà un fabbisogno di nuovi lavoratori di 17 mila unità nello scenario peggiore e di 19.900 all’anno in quello migliore. L’offerta di nuovi qualificati sarà maggiore rispetto ai posti di lavoro a disposizione e si attesterà a 21.700 nuovi qualificati medi per ogni anno. A seguire:

  • la logistica, i trasporti e le riparazioni di veicoli. La qualifica professionale sarà ricercata per un fabbisogno di 12.100 nuove unità nello scenario peggiore e per 13.600 in quello migliore. Ma mancherà l’offerta di nuovi qualificati. La stima indica appena 6 mila nuovi qualificati all’anno tra il 2022 e il 2026;
  • a seguire le qualifiche per i servizi di promozione e di accoglienza, settore nel quale le imprese cercheranno di assumere 6.600 lavoratori qualificati nello scenario peggiore e 7.200 unità in quello migliore. L’offerta di neoqualificati ogni anno si fermerà a meno della metà, mediamente a 3.200;

Quali qualifiche professionali saranno richieste maggiormente dal 2022 al 2026?

A seguire tra le 10 qualifiche professionali più richieste dalle imprese per il quinquennio dal 2022 al 2026 si ritrovano:

  • la qualifica agraria e agroalimentare. Nello scenario peggiore le imprese avranno bisogno di 4.600 nuovi occupati con questa qualifica. In quello migliore di 5.000. L’offerta media annuale sarà maggiore rispetto ai posti alle richieste delle imprese e si attesterà sui 6.900 nuovi qualificati ogni anno;
  • all’ottavo posto nella classifica delle 10 qualifiche più richieste dalle imprese, si ritrovano i candidati provenienti dalla formazione in grafica, in cartotecnica e nel legno. La richiesta delle imprese sarà di 4.000 unità nello scenario peggiore e di 4.600 in quello migliore. Più o meno in linea sarà la risposta dei candidati neoqualificati che si attesterà a 4.300 nuove unità di media all’anno.

Tessile, benessere, calzature e benessere sono tra le qualifiche professionali più richieste dalle imprese dal 2022 al 2026

La qualifica professionale dei settori del tessile, dell’abbigliamento e delle calzature occupano la nona posizione tra i qualificati richiesti dalle imprese dal 2022 al 2026. Nello scenario peggiore, infatti, i qualificati in queste mansioni saranno richiesti dalle imprese per 2.900 unità, nello scenario migliore per 4.100 unità. Più alta sarà l’offerta proveniente dai nuovi qualificati mediamente all’anno, pari a 5 mila. A chiudere la classifica i qualificati nel settore del benessere, richiesti dalle imprese in numero di 3.900 in entrambi gli scenari. Ma ci sarà molta concorrenza tra i candidati dal momento che, per ogni anno, mediamente si qualificheranno 10 mila unità.

Le altre qualifiche professionali richieste dalle imprese tra il 2022 e il 2026

Tra le altre qualifiche professionali richieste dalle imprese tra il 2022 e il 2026 figurano i candidati per gli impianti termoidraulici (3.000 o 3.400 le richieste rispettive tra scenario peggiore e migliore). L’offerta media annua si fermerà ad appena mille nuovi qualificati. A seguire sarà richiesta la qualifica in elettronica (tra le 2.300 e le 2.500 nuove richieste dalle imprese nei due scenari). L’offerta di nuovi qualificati media all’anno sarà più o meno bilanciata e stimabile in 2.200 neoqualificati. Gli altri indirizzi varieranno sulla richiesta delle imprese tra 1.700 e 1.900, ma mediamente i neoqualificati saranno appena 700 all’anno. In linea complessiva, le imprese avranno bisogno, dal 2022 al 2026, di 120.700 nuovi qualificati nello scenario peggiore e di 137.600 in quello peggiore. Molto ridotta sarà l’offerta di nuovi qualificati: mediamente, all’anno, la ricerca stima appena 78.800 neoqualificati.

 

Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Il PNRR, Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, sarà un punto fondamentale per l’economia del Paese per i prossimi anni, lo stesso punta a ottenere anche una maggiore inclusione sociale e quindi a superare alcune criticità dell’Italia, tra queste da sempre c’è la disoccupazione femminile. Ecco le misure del PNRR per l’occupazione femminile che dovrebbero aiutare l’Italia a superare il gender gap.

Il gender gap in Italia e in Europa

L’Italia prima della pandemia registrava record di disoccupazione femminile, in Europa il tasso di occupazione femminile è al 67,4% mentre in Italia al 53,1%, a ciò si aggiunge che le donne inattive, che cioè neanche cercano più un lavoro a causa del “lavoro di cura” che devono prestare alla famiglia, di origine e di nuova formazione, è del 35,7%, molto al di sopra della media europea. I lavoratori autonomi in Italia di genere maschile sono il 7,1% mentre le donne sono la metà. L’insieme di tutti questi dati colloca l’Italia al quattordicesimo posto nella Gender Equality Index dello European Institute for Gender Equality, una particolare classifica sulla parità di genere. Naturalmente la pandemia ha dato un ulteriore colpo all’occupazione femminile, infatti, molte donne hanno perso il lavoro sia per cause “naturali”, cioè la crisi economica, sia perché la didattica a distanza  ha costretto tante ad abbandonare il lavoro.

A ciò deve aggiungersi che quando le donne lavorano hanno comunque retribuzioni inferiori, incontrano molti ostacoli nella gestione di famiglia e lavoro al punto che sono spesso costrette a interrompere la carriera per potersi occupare della famiglia e raramente occupano posizioni apicali. Naturalmente questa situazione è nota anche perché socialmente consolidata e il PNRR ha posto attenzione a questa “fragilità” del nostro sistema. Resta da capire se le misure, che a breve vedremo, potranno realmente incidere sul gender gap.

Cosa prevede il PNRR per l’occupazione femminile

Il PNRR prevede tra le varie misure da attuare anche quelle per il superamento della diseguaglianza di genere.

Il PNRR è diviso in 5 missioni, se vuoi saperne di più sul suo contenuto generale, leggi l’articolo: PNRR: cos’è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il Piano ha un ambizioso programma, cioè aumentare l’occupazione femminile di 4 punti percentuali entro il 2026, nel breve periodo è invece previsto un aumento dello 0.7% nel solo 2021. Le strategie per raggiungere l’obiettivo non sono ancora state del tutto delineate anche perché ci sono diverse posizioni a riguardo, ad esempio l’ex ministra del Lavoro, con delega alle Pari Opportunità, Elsa Fornero, ha dichiarato di preferire una linea gentile, mentre l’economista Andrea Ichino propone una gender tax e una “terapia d’urto”.

PNRR per l’occupazione femminile indiretta

La prima misura prevista, o meglio quella che probabilmente sarà attuata per prima, è l’incremento  della presenza di asili nido in Italia, in questo modo per le donne sarà più facile ritornare a lavoro dopo la nascita dei figli. Attualmente l’Italia ha una copertura di posti per asili del 25,5% mentre la media europea è del 33% con le nuove misure e investimenti provenienti dal PNRR, l’Italia dovrebbe gradualmente raggiungere tali livelli. Per assicurare continuità è previsto anche il potenziamento dei servizi educativi per l’infanzia nella fascia dai 3 ai 6 anni e l’estensione del tempo pieno a scuola.

L’insieme degli interventi destinati alla scuola ha attualmente una copertura di 19,44 miliardi di euro, ma la somma prevede anche il potenziamento delle università, quindi attualmente non sappiamo quanto andrà effettivamente ai servizi per l’infanzia e quindi riuscirà ad alleggerire il carico femminile consentendo alle donne di tornare a lavoro. Tra l’altro il potenziamento di asili nido, servizi per l’infanzia ed estensione del tempo pieno dovrebbero da soli generare anche occupazione in modo diretto.

Aiutare le donne nel ruolo di cura

Si è detto che uno dei maggiori ostacoli per le donne è dato dal lavoro di cura che è destinato quasi esclusivamente a loro, questo non si esaurisce nella necessità di occuparsi dei figli, ma spesso anche dei genitori o altri familiari disabili. Proprio per questo nel PNRR è previsto il rafforzamento delle infrastrutture sociali che possono aiutare i disabili ad avere maggiore autonomia (stanziati 500 milioni di euro nel PNRR) e rafforzamento dei servizi di prossimità e dell’assistenza domiciliare con stanziamento di oltre 4 miliardi di euro. Molti criticano il fatto che all’interno del PNRR siano previste misure per favorire l’occupazione femminile, ma attualmente non sono ancora previste misure che coinvolgano maggiormente gli uomini nel lavoro di cura e nella distribuzione equa del carico familiare.

PNRR e occupazione femminile: reclutamento in PA e impresa

Un secondo punto riguarda il reclutamento in PA che prevede delle misure volte a incrementare la possibilità per le donne di raggiungere posizioni apicali. Sempre nella Pubblica Amministrazione vi è l’obiettivo di favorire il lavoro agile che favorisce un equo bilanciamento tra vita professionale e gestione della famiglia. Naturalmente le donne non lavorano solo un Pubblica Amministrazione quindi per stimolare un maggiore impegno nel mondo del lavoro è necessario agire anche nel privato. Sono quindi previste misure per l’imprese attraverso un potenziamento del finanziamento Smart & Start (che finanzia le nuove imprese con un elevato contenuto tecnologico e innovativo, orientate a fornire servizi nel campo delle nuove tecnologie digitali e intelligenza artificiale) e del finanziamento N.I.T.O. con possibilità di avere fondi a tasso agevolato e destinato a giovani e donne che vogliono diventare imprenditori.

Il PNRR per l’occupazione femminile prevede anche il potenziamento nuovo Fondo per l’imprenditoria femminile che è previsto nella Legge di Bilancio per il 2021 ma che ancora non è operativo.

 

Dura la vita delle donne al lavoro

La vita delle donne lavoratrici non è mai facile, nemmeno nell’anno di grazia 2015. Lo testimonia un’analisi dell’Istat, secondo la quale in Italia poco meno di 10 milioni di donne “nel corso della loro vita, a causa di impegni familiari, per una gravidanza o perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare“.

Nel report dell’indagine sulle donne lavoratrici, realizzato sui dati relativi al 2011, si legge anche che queste donne “hanno dovuto interrompere il lavoro, o non hanno potuto accettare un incarico o non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel lavoro“.

Se invece lo sguardo si appunta sui dati del 2013 con il rapporto “Come cambia la vita delle donne”, ciò che emerge è che “molte donne procurano alla famiglia le entrate economiche maggiori, così come sono aumentate le monogenitore o le donne che vivono sole, tutti nuclei in cui la donna rappresenta obbligatoriamente il capofamiglia. Si tratta di circa 8 milioni 200mila donne, oltre 1 milione in più rispetto al 2005 (quando erano 7 milioni 31 mila)“.

Inoltre, il rapporto rileva la difficile convivenza tra donne e lavoro anche e soprattutto negli anni della crisi. “Nonostante la maggiore tenuta dell’occupazione femminile negli anni della crisi – si legge nel report -, la quota di donne occupate in Italia rimane, comunque, di gran lunga inferiore a quella dell’Ue 28: nel 2014 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,8% contro il 59,5% della media Ue28, e la distanza dell’indicatore con l’Europa è aumentata arrivando a 12,7 punti percentuali (10,0 punti nel 2004)”.

La crisi ha infatti impattato pesantemente, in Italia, sull’occupazione delle donne, che era cresciuta costantemente dal 1995 fino ad arrestarsi bruscamente nel 2008. E, se da un lato le donne hanno resistito meglio sul fronte dell’occupazione, dall’altro è peggiorata la qualità del loro lavoro: negli anni si è infatti assistito a un aumento del part time involontario svolto dalle donne, della loro sovraistruzione rispetto all’impiego svolto e delle posizioni lavorative non qualificate.

Occupazione femminile in Lombardia

Se parlare di quote rosa nel mondo del lavoro nel 2014 sembra un’assurdità, ci sono casi di come la Lombardia nei quali l’ occupazione femminile sembra avere una marcia in più. Secondo i dati al III trimestre 2014 del servizio studi della Camera di commercio di Milano dal sistema informativo Excelsior, promosso da Unioncamere, se per il 66% delle assunzioni previste in Lombardia al terzo trimestre 2014 per l’impresa è indifferente assumere un uomo o una donna, in un caso su otto (12%) il profilo richiesto è esclusivamente femminile. Si tratta di un totale di oltre 2.600 assunzioni in un trimestre.

I settori nei quali l’ occupazione femminile fa faville e le donne sono più ricercate degli uomini sono industrie tessili (31% contro 17%, tra quanti indicano la preferenza), commercio (16% contro 13%), turismo (16% e 9%), servizi di supporto a imprese e persone (25% e 14%), finanza (9% e 1%), servizi alle persone (17% e 4%). Gli uomini, invece, sono preferiti nel 22% dei casi, con picchi nelle costruzioni (96%), nelle industrie del legno e del mobile (63%).

Andando su occupazione femminile e spaccato delle province, quella più rosa è Como, dove c’è parità nella richiesta tra uomini e donne, in entrambi i casi intorno al 20%. Segue Milano, dove la richiesta di uomini è più bassa rispetto al resto della Lombardia (14%) mentre il 10% di richieste è per le donne e il resto è per entrambi. Ma anche Sondrio si difende: 20% i posti per le donne e 26% per gli uomini.

L’ occupazione femminile nelle province lombarde vede dunque questa classifica per richiesta di donne: Como (22% di assunzioni al femminile e 21% al maschile, il resto indifferente su un totale di 970 posti), Sondrio (20% e 26% su 720), Cremona (18% e 27% su 620). Seguono: Brescia (15% e 26% su 2.320), Mantova (14% e 28% su 870), Monza (13% e 27% su 1.390), Lodi (13% e 35% su 330), Pavia (12% e 24% su 660), Milano (10% e 14% su 9.680), Lecco (10% e 34% su 420), Varese (10% e 35% su 1.570) e Bergamo (9% e 32% su 2300).

Pubblicato il Manifesto delle giovani classi dirigenti

E’ stato redatto il Manifesto delle giovani classi dirigenti, a cura dei rappresentanti dei Giovani Dirigenti Pubblici (Agdp), dei Giovani Manager privati (Federmanager), delle associazioni Concreta-Mente, Numeri Primi, Allievi Sspa e La Scossa, che verrà presentato alle istituzioni e a rappresentanti del governo.

Tra le altre cose, vi si legge: “L’Italia necessita di un profondo ricambio generazionale e culturale delle classi dirigenti. Tutti gli studi in materia evidenziano che l’età media della nostra classe dirigente è generalmente superiore ai 60 anni, a differenza di quanto avviene nelle realtà socio-economiche oggi più dinamiche come Stati Uniti, Gran Bretagna e paesi Brics. Se vogliamo che l’Italia recuperi il proprio ruolo sul piano della competizione internazionale, occorre creare e aggregare nuove idee e nuove leadership tanto nelle attività economico-imprenditoriali, quanto in quelle politico-amministrative. Abbiamo elaborato proposte per la riforma della P.a., per un nuovo mercato del lavoro e un nuovo modello di welfare, per la modernizzazione del sistema scolastico e universitario e la promozione della ricerca, nonché per la ripresa delle attività economiche, tutte condizioni essenziali per il rilancio complessivo del Paese“.

Le proposte contenute nel Manifesto sono state già presentate ai leader politici, i quali si sono trovati d’accordo con la necessità di un ricambio generazionale della classe dirigente, considerando che il Paese, per essere competitivo, deve ripartire da innovazione e modernizzazione, delle quali i giovani possono essere i primi garanti.

Tra le priorità, viene indicata anche una efficace legislazione antitrust, ma anche il completamento della digitalizzazione del Paese, con un radicale cambiamento dei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione.
L’accento viene poi posto sull’occupazione femminile. A questo proposito, viene ricordato che: “se il tasso di occupazione delle donne diventasse in Italia eguale al tasso di occupazione maschile, ciò produrrebbe un aumento del Pil del 18%, cioè di quasi 300 miliardi”.

Le proposte avanzate sono anche frutto dei suggerimenti ricevuti su questi temi rispetto a una prima versione del documento sottoposta a consultazione pubblica sul sito Sistemapaese.it.
E’ possibile leggere il Manifesto delle giovani classi dirigenti sui siti delle varie associazioni aderenti.

Vera MORETTI

Confprofessioni sostiene l’occupazione femminile

Le donne che lavorano sono, ancora oggi, tormentate in un grande dilemma, che riguarda la conciliazione tra carriera e famiglia.
Spesso, infatti, i servizi di cui una donna ha bisogno per svolgere al meglio il suo lavoro, e nel frattempo poter badare a famiglia e figli, non vengono garantiti.

Per questo motivo, la cassa di previdenza sanitaria integrativa dei lavoratori degli studi professionali (Cadiprof) ha deciso di intervenire.
Le modalità sono state illustrate da Gaetano Stella, presidente della Cassa nonché di Confprofessioni: “Siamo intervenuti nel contratto prevedendo il pagamento della cassa di assistenza sanitaria, con un contributo di 14 euro da parte del datore di lavoro abbiamo previsto delle coperture sanitarie integrative a favore delle lavoratrici, visto che nell’ambito degli studi professionali sono impiegate per il 90% lavoratrici“.

Tra gli interventi, ci sono polizze sanitarie su misura per le donne, in particolare per la gravidanza: nell’anno 2012 sono stati pagati 2 milioni 900mila euro per la gravidanza, e, sempre in questo ambito, vengono rimborsati fino a mille euro di spese sanitarie sostenute.

Ha voluto precisare Stella: “Abbiamo poi fatto interventi mirati, un pacchetto famiglia, per dare un sostegno economico a tutti gli effetti a chi ha figli: diamo 600 euro per due anni di asilo nido, 800 euro nel caso che i figli abbiano un handicap; abbiamo anche un intervento per spese pediatriche per il primo anno, comprendendo anche pannolini, latte artificiale, o spese mediche di altra natura. E sono moltissimi coloro che ricorrono a questi rimborsi, perché a tutti gli effetti si tratta di aumentare il proprio reddito“.

Vera MORETTI

Elsa Fornero dalla parte delle donne

di Vera MORETTI

Il Ministro del Lavoro Elsa Fornero pensa all’occupazione femminile e al dualisrmo nord-sud, in vista della prossima riforma del lavoro, che dovrebbe prevedere “sgravi fiscali e migliori servizi anche nel settore della formazione, da finanziare anche con il Fondo sociale europeo“.

Arriverà a fine marzo la riforma da tutti attesa, che, a quanto pare, si rivolgerà in particolar modo a giovani, donne e anziani e che sarà frutto di una tavola rotonda con le parti sociali.

L’attenzione è posta in primo luogo sul riordino dei contratti di lavoro, colpevoli, con le troppe tipologie ora presenti, di aver creato, più che flessibilità, molta precarietà.
Inoltre, il progetto di un mercato del lavoro dinamico non potrà prescindere da un nuovo sistema di ammortizzatori sociali, basilari quindi all’interno della riforma.

Le donne sono, in questo momento, “oggetto di studio” per i cambiamenti che verranno, perché, se ora la loro presenza nei cda delle società quotate è più bassa della media europea, “le cose cambieranno e anche rapidamente“.
Ma il problema dell’occupazione femminile non riguarda solo “le alte sfere”, perché, anche in questo caso, l’Italia è fanalino di coda in quando a percentuale di donne lavoratrici, l’8% contro una media europea del 12,5%, con un notevole divario tra nord e sud.

Ma, anche qui, sembra che si stia per arrivare ad una svolta, poiché “grazie a un’iniziativa trasversale delle forze politiche ed alla mobilitazione delle organizzazioni il Parlamento ha approvato una legge che porterà rapidamente le donne a rappresentare il 20% nei board e molto rapidamente un terzo e sono fiduciosa che le società la rispetteranno“.

Per quanto riguarda il problema, scottante e, ahimè, sempre attuale, della disoccupazione, il Ministro ha dichiarato: “Se facciamo i sussidi per la disoccupazione, non abbiamo bisogno della cassa integrazione straordinaria. Penso che abbiamo un problema di esclusione per quanto riguarda gli ammortizzatori. Alcune categorie sono completamente escluse dall’accesso a qualcosa che è sostegno al reddito. Il nostro primo principio è l’universalismo, dobbiamo farlo a parità di risorse e di costi, per questo stiamo andando con il lanternino per vedere la redistribuzione delle risorse“.

La cassa integrazione ordinaria, invece, va rafforzata “entro certi limiti” mentre quella straordinaria “va considerata per le riorganizzazioni, le ristrutturazioni e le soluzioni di crisi, per un periodo di tempo definito“.

Cruciale, per poter continuare su questa linea, sarà l’incontro previsto per lunedì con le parti sociali, per mettere altri importanti tasselli a costituzione della riforma, complessa ma vitale per l’Italia.

Riforma fiscale: le novità per le donne

Più spazio alle donne e ai giovani per superare l’attuale crisi. Sono queste le priorità espresse dal neopremier Mario Monti durante il suo discorso alle Camere, prima del voto di fiducia. L’obiettivo è trovare soluzioni che garantiscano un più facile accesso alle donne nel mondo del lavoro, in particolare per le mamme e le neomamme. Anche se è di oggi la notizia di un’infermiera che in 9 anni ha lavorato solo 6 giorni grazie a finte maternità, l’impegno di Monti è volto a trovare soluzioni alle “difficoltà di inserimento o di permanenza in condizione di occupazione delle donne”.

Ma quali sono le proposte?

Abbassare l’imposta pagata dalle lavoratrici, con corrispondente innalzamento per gli uomini, in modo da ridurre il costo del lavoro per le aziende che assumono donne. Questa iniziativa dovrebbe favorire l’accesso al mondo del lavoro da parte delle donne. Alzando di un punto percentuale l’Irpef degli uomini e abbassando corrispettivamente quella femminile si avrebbe un gettito fiscale invariato, ma di stimolo per l’assunzione “in rosa”. L’idea alla base d questo progetto nasce da un lavoro di due economisti, Alberto Alesina e Andrea Ichino.

Numerosi i riscontri favorevoli a questa iniziativa: l’aumento dell’imponibile sul lavoro maschile incrementa il gettito fiscale, ma non intacca la forza lavoro degli uomini, non causando cioè licenziamenti. Dall’altro lato, se si aumenta il numero delle donne impiegate a un’aliquota inferiore, si assiste ad una riduzione del costo del lavoro per le aziende, laddove il gettito fiscale rimarrebbe invariato.

Esistono però dei limiti a tale proposta. La disoccupazione femminile in Italia, la più alta in Europa, non è legata al costo del lavoro, ma è quanto più un deficit di tipo culturale. Il rischio per un’azienda che decida di assumere una donna al posto di un uomo è che la donna potrebbe lasciare temporaneamente il posto di lavoro per maternità. Inoltre, i maggiori problemi legati alla disoccupazione femminile sono riscontrabili nel Mezzogiorno, dove le famiglie in cui lavoro solo l’uomo sono più numerose. Un aumento dell’imponibile sul lavoro maschile colpirebbe dunque la capacità di spesa delle famiglie.

Una medaglia dalla doppia faccia, dunque la proposta avanzata dal nuovo governo Monti. Più facilmente attuabili appaiono invece le iniziative legate al sostegno alla famiglia per favorire il rapporto tra donne e lavoro. Qualche esempio? Garantire un accesso più facile agli asili nido e allungare il tempo scolastico. Ma siamo appena all’inizio, e la sfida si preannuncia difficile.

Alessia Casiraghi

Lavoro, 400mila assunti in più con l’applicazione delle riforme

I Consulenti del Lavoro fanno le pulci al mercato dell’occupazione. Secondo un’indagine della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, ci sarebbero quasi 400mila occupati in più tra giovani e donne se venissero attuate due disposizioni cruciali per il mercato del lavoro: l’azzeramento dell’aliquota previdenziale a carico del datore di lavoro per l’assunzione di apprendisti e di quella per l’assunzione di donne a tempo indeterminato o tramite telelavoro.

Nello specifico, con l’azzeramento dell’aliquota previdenziale a carico del datore di lavoro nel biennio 2012-2013 si stima un aumento dell’occupazione degli apprendisti di 175mila unità. Con l’azzeramento dell’aliquota previdenziale a carico del datore di lavoro per l’assunzione di donne a tempo indeterminato o tramite telelavoro, sempre nel biennio 2012-2013 l’occupazione femminile crescerebbe di 223mila unità.

Commenta la presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone: “L’azzeramento dell’aliquota previdenziale per i nuovi apprendisti, come peraltro era già in passato, e per l’assunzione di donne a tempo indeterminato o mediante telelavoro possono dare grande vigore a due istituti di grande importanza strategica per il lavoro giovanile e femminile. E su questo tema potrebbe essere vincente concedere agevolazioni per chi avvia rapporti a tempo indeterminato. Sono due idee di semplice applicazione che possono portare sviluppo e occupazione in termini ampi e concreti“.

Laura LESEVRE

Disoccupazione: al Sud lavora 1 giovane su 3

Un tasso di disoccupazione reale che tocca il 25% nel Sud dell’Italia. E’ questa l’amara istantanea scattata dal Rapporto Svimez 2011, che ha rivisto al ribasso le stime pubblicate dall‘Istat sull’occupazione nel Mezzogiorno.

Se nel 2010 il tasso di disoccupazione rilevato dall’Istat al Sud raggiungeva il 13,4%, contro il 6,4% del Centro-Nord, i dati emersi dal Rapporto Svimez 2011 fanno schizzare la percentuale dei giovani senza occupazione al Sud al 25, 3%.

‘La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10% (ufficiale: 6,4%) e al Sud raddoppierebbe, passando nel 2010 dal 13,4% al 25,3% (era stimato nel 23,9% nel 2009)‘ si legge nel rapporto stilato da Svimez.

Un divario, quello tra il Nord e il Sud dell’Italia, che permane e testimonia il costante squilibrio strutturale del mercato del lavoro italiano. Ma il dato più preoccupante che emerge dall’analisi riguarda la disoccupazione giovanile: al Sud lavora 1 giovane su 3, nella fascia di età compresa fra i 15 e 34 anni. Le statistiche si mostrano ancor più crudeli quando si passa all’analisi dell’occupazione femminile: le giovani donne lavoratrici del Mezzogiorno sono ferme al 23,3% nel 2010, vale a dire 25 punti in meno rispetto alle colleghe del Nord (56,5%).

La debolezza sul mercato del lavoro, legata in tutto il Paese alla condizione giovanile, – continua il rapporto Svimez – al Sud si protrae ben oltre l’età in cui ragionevolmente si può parlare di giovani. Dal ‘brain drain’, cioè dalla ”fuga dei cervelli”, il drenaggio di capitale umano dalle aree deboli verso le aree a maggiore sviluppo, siamo ormai passati al brain waste, lo ‘spreco di cervelli’, una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non trova neppure più una valvola di sfogo nelle migrazioni‘.

Alessia Casiraghi