Superbonus 110%: quali benefici ha portato all’economia del Paese?

Il Superbonus 110% è ormai attivo da oltre due anni. Nel frattempo tante precisazioni normative e cambiamenti, ma di fatto sono molti a ritenere che non si sia trattato solo di un costo, ma di un volano per l’economia del Paese. Ecco i dati più rilevanti.

Bonus 110%: tra i benefici l’aumento del Pil

Il superbonus 110% è la misura che consente di realizzare lavori trainanti e lavori trainati usufruendo di detrazioni fiscali fino al 110% oppure cedendo il proprio credito alle imprese e agli istituti di intermediazione bancaria. Ricordiamo a questo proposito che le regole per la cessione sono diventate man mano più rigide al punto che molti istituti di intermediazione, per evitare di ricadere in responsabilità gravi, chiedono in video per l’asseverazione dei lavori.

Presupposto per poter ottenere il Superbonus 110% è il recupero di almeno due classi energetiche. Il costo in detrazioni speso dallo Stato fino ad ora è di 38,7 miliardi di euro, ma secondo i dati Nomisma, questo esborso avrebbe anche permesso di recuperare un valore economico di 124,8 miliardi di euro, pari a 7,5% del Pil nazionale.

Benefici del Superbonus: riduzione dell’inquinamento

Dai dati emerge anche che gli interventi realizzati hanno consentito una riduzione di 979mila tonnellate di CO2, pari ad un risparmio di CO2 del 46,4%. Il 50% delle installazioni di pannelli fotovoltaici ha riguardato proprio interventi con il Superbonus 110%. La produzione di kW riferibile a questi interventi è di 106 milioni annui e si conta con i cantieri aperti di raggiungere ulteriori 37 milioni.

Leggi anche: Superbonus: si può avere per l’installazione di sistemi di accumulo per fotovoltaico?

Occupazione e recupero urbanistico nelle periferie degradate

Il Superbonus 110% ha portato benefici anche ai livelli di occupazione, infatti ha generato 634 mila occupati. L’intervento ha favorito non solo famiglie con reddito alto, ma ben 438 mila famiglie con reddito medio-basso, cioè inferiore a 1.800 euro mensili.

Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri un altro elemento positivo del Superbonus è dato dal fatto che ha consentito di rinnovare il parco edile italiano che in larga parte è stato costruito prima del 1977 e che ha dispersioni termiche notevoli. In questa direzione va anche l’Unione Europea che ha intenzione di obbligare i singoli Paesi Membri ad adottare misure simili.

Deve, infine, aggiungersi che il Superbonus ha contribuito al recupero del patrimonio edilizio di periferia, in molti casi gli interventi hanno riguardato edifici fatiscenti e datati dove eseguire lavori era impensabile, ad esempio anche gli IACP. Il recupero del patrimonio edile ha consentito anche un notevole risparmio di suolo visto che si sono evitate nuove costruzioni.

Sono aumentati gli introiti nelle casse comunali al seguito del pagamento di diritti di segreteria per Cilas, Scia, Permesso a costruire.

Le 10 qualifiche professionali che daranno più lavoro dal 2022 al 2026

Nel quinquennio dal 2022 al 2022 in Italia si prevede un fabbisogno di nuovi lavoratori complessivo tra 4,1 e 4,5 milioni di unità. Di questi, un numero variabile tra 1,3 e 1,7 milioni di lavoratori costituirà la componente di crescita aggiuntiva dettata dalle nuove misure rientranti, soprattutto, nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Un surplus stimato, in termini occupazionali, compreso tra il 31% e il 38% che, probabilmente, non ci sarebbe stato senza le misure rientranti nei fondi di ripresa dalla pandemia Covid-19 del programma Next Generation Eu.

Di quanti laureati, diplomati e giovani con qualifica professionale avranno bisogno le imprese e la Pa tra il 2022 e il 2026?

Dei nuovi occupati che il monto delle imprese e la Pubblica amministrazione avrà bisogno, tra il 2022 e il 2026 l’offerta di lavoratori sarà data da:

  • 1,1-1,2 milioni di lavoratori in possesso del titolo di laurea;
  • 1,6-1,8 milioni di giovani in possesso del diploma di maturità;
  • 1,2-1,4 milioni di giovani che posseggono al massimo di una qualifica professionale.

I dati sono stati diramati dall’indagine congiunta di Unioncamere e Anpal grazie alla ricerca Excelsior.

Fabbisogno di giovani con qualifica professionale delle imprese e Pubblica amministrazione e offerta di lavoro

Come per i laureati e i diplomati, anche per i giovani in possesso della sola qualifica professionale è importante fare una generale premessa. Le richieste di giovani con qualifica professionale segnerà una differenza tra la domanda, ovvero il fabbisogno delle imprese e della Pubblica amministrazione di giovani con questo grado di istruzione, e l’offerta, ovvero quanti saranno i giovani alla ricerca di lavoro con i requisiti richiesti. In generale, l’offerta formativa complessiva è in grado di soddisfare solo all’incirca il 60% della potenziale domanda, con fabbisogno maggiore nei settori dell’edilizia, della logistica e della meccanica.

Quali saranno i settori nei quali serviranno di più i giovani con qualifica professionale?

Per quanto attiene all’istruzione e alla formazione professionale regionale (IeFP), il fabbisogno maggiore negli anni dal 2022 al 2026 si riscontra, infatti, negli indirizzi della meccanica, dell’edilizia e dell’elettrico. Si tratta, essenzialmente, della domanda proveniente soprattutto dalle filiere delle costruzioni e delle infrastrutture. È interessante notare che l’indagine Unioncamere e Anpal prevede due scenari nel calcolo delle stime del fabbisogno e dell’offerta lavorativa. Un primo scenario, più ottimistico, è dato da tassi di Prodotto interno lordo elevanti, connessi soprattutto agli ottimali investimenti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Il secondo scenario è sì positivo, ma meno rispetto al primo. Si discosta al massimo di qualche punto di Pil, soprattutto nei primi anni (2022, 2023 e 2024) del quinquennio.

Quali sono le 10 qualifiche professionali che daranno maggiori opportunità di lavoro tra il 2022 e il 2026?

Dalle stime della ricerca Unioncamere e Anpal, le 10 qualifiche professionali che daranno le maggiori opportunità di lavoro tra il 2022 e il 2026 saranno:

  • la qualifica professionale in meccanica. Nello scenario migliore le imprese avranno bisogno ogni anno di 27.200 nuove unità, in quello peggiore di 23 mila unità. Alla richiesta delle imprese si contrappone offerta di neoqualificati. Mediamente, infatti, saranno disponibili sul mercato del lavoro appena 6.400 neoqualificati all’anno;
  • la qualifica al secondo posto per le richieste delle imprese è quella legata agli indirizzi dell’edilizia e dell’elettrico. Nello scenario peggiore serviranno alle imprese 21 mila nuovi qualificati, in quello migliore 23.900. Tuttavia, l’offerta di neoqualificati in media all’anno si fermerà ad appena 5.500 nuove unità;
  • al terzo posto della qualifica professionale si trovano gli indirizzi legati alle segreterie amministrative e ai servizi di vendita. Serviranno, nello scenario peggiore 18.600 nuovi qualificati, in quello migliore 20.400. Tuttavia, l’offerta annua media di nuovi qualificati si fermerà a 5.900.

Le 10 qualifiche professionali con più offerte di lavoro tra il 2022 e il 2026: quali sono?

Si ribalta la situazione al quarto posto delle qualifiche professionali con più offerte di lavoro tra il 2022 e il 2026 in merito alla domanda e offerta di nuovi qualificati. Infatti, il settore della ristorazione registrerà un fabbisogno di nuovi lavoratori di 17 mila unità nello scenario peggiore e di 19.900 all’anno in quello migliore. L’offerta di nuovi qualificati sarà maggiore rispetto ai posti di lavoro a disposizione e si attesterà a 21.700 nuovi qualificati medi per ogni anno. A seguire:

  • la logistica, i trasporti e le riparazioni di veicoli. La qualifica professionale sarà ricercata per un fabbisogno di 12.100 nuove unità nello scenario peggiore e per 13.600 in quello migliore. Ma mancherà l’offerta di nuovi qualificati. La stima indica appena 6 mila nuovi qualificati all’anno tra il 2022 e il 2026;
  • a seguire le qualifiche per i servizi di promozione e di accoglienza, settore nel quale le imprese cercheranno di assumere 6.600 lavoratori qualificati nello scenario peggiore e 7.200 unità in quello migliore. L’offerta di neoqualificati ogni anno si fermerà a meno della metà, mediamente a 3.200;

Quali qualifiche professionali saranno richieste maggiormente dal 2022 al 2026?

A seguire tra le 10 qualifiche professionali più richieste dalle imprese per il quinquennio dal 2022 al 2026 si ritrovano:

  • la qualifica agraria e agroalimentare. Nello scenario peggiore le imprese avranno bisogno di 4.600 nuovi occupati con questa qualifica. In quello migliore di 5.000. L’offerta media annuale sarà maggiore rispetto ai posti alle richieste delle imprese e si attesterà sui 6.900 nuovi qualificati ogni anno;
  • all’ottavo posto nella classifica delle 10 qualifiche più richieste dalle imprese, si ritrovano i candidati provenienti dalla formazione in grafica, in cartotecnica e nel legno. La richiesta delle imprese sarà di 4.000 unità nello scenario peggiore e di 4.600 in quello migliore. Più o meno in linea sarà la risposta dei candidati neoqualificati che si attesterà a 4.300 nuove unità di media all’anno.

Tessile, benessere, calzature e benessere sono tra le qualifiche professionali più richieste dalle imprese dal 2022 al 2026

La qualifica professionale dei settori del tessile, dell’abbigliamento e delle calzature occupano la nona posizione tra i qualificati richiesti dalle imprese dal 2022 al 2026. Nello scenario peggiore, infatti, i qualificati in queste mansioni saranno richiesti dalle imprese per 2.900 unità, nello scenario migliore per 4.100 unità. Più alta sarà l’offerta proveniente dai nuovi qualificati mediamente all’anno, pari a 5 mila. A chiudere la classifica i qualificati nel settore del benessere, richiesti dalle imprese in numero di 3.900 in entrambi gli scenari. Ma ci sarà molta concorrenza tra i candidati dal momento che, per ogni anno, mediamente si qualificheranno 10 mila unità.

Le altre qualifiche professionali richieste dalle imprese tra il 2022 e il 2026

Tra le altre qualifiche professionali richieste dalle imprese tra il 2022 e il 2026 figurano i candidati per gli impianti termoidraulici (3.000 o 3.400 le richieste rispettive tra scenario peggiore e migliore). L’offerta media annua si fermerà ad appena mille nuovi qualificati. A seguire sarà richiesta la qualifica in elettronica (tra le 2.300 e le 2.500 nuove richieste dalle imprese nei due scenari). L’offerta di nuovi qualificati media all’anno sarà più o meno bilanciata e stimabile in 2.200 neoqualificati. Gli altri indirizzi varieranno sulla richiesta delle imprese tra 1.700 e 1.900, ma mediamente i neoqualificati saranno appena 700 all’anno. In linea complessiva, le imprese avranno bisogno, dal 2022 al 2026, di 120.700 nuovi qualificati nello scenario peggiore e di 137.600 in quello peggiore. Molto ridotta sarà l’offerta di nuovi qualificati: mediamente, all’anno, la ricerca stima appena 78.800 neoqualificati.

 

Assunzioni disabili: dal 2022 aumentano sanzioni per le aziende

Il Ministro Andrea Orlando con una nota pubblicata il 30 settembre 2021 ha provveduto ad adeguare gli importi delle sanzioni per la mancata comunicazione dei dati relativi alle assunzioni disabili e del contributo esonerativo per ogni disabile non assunto. Ecco le novità per le aziende.

Contributo per la quota di riserva: contributo esonerativo

La legge 12 marzo 1999 n° 68 si occupa del collocamento a lavoro dei disabili, la stessa prevede tutta una serie di tutele per chi si trova in una situazione di svantaggio e prevede delle soglie di riserva, cioè un numero minimo di dipendenti disabili che le aziende devono assumere. Le soglie sono:

  • 1 disabile per le aziende da 15 a 35 dipendenti;
  • 2 disabili per le aziende che hanno da 36 a 50 dipendenti;
  • per le aziende che hanno un numero di dipendenti superiore a 50, la percentuale di disabili è al 7%.

L’articolo 5 prevede però una quota di esonero, cioè alcune tipologie di aziende possono chiedere un esonero parziale del numero di dipendenti disabili da assumere. Questa agevolazione però non è generica, ma viene riconosciuta esclusivamente:

quando la tipologia di attività svolta all’interno dell’azienda è pericolosa, troppo faticosa o comunque presenta particolarità di svolgimento.

In questo caso però è previsto il versamento di un contributo esonerativo commisurato a ciascun soggetto non occupato e per ogni giorno di lavoro non prestato. Il contributo deve essere versato in favore del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili. Attualmente il contributo ammonta a 30,64 euro per ogni lavoratore disabile non occupato. Il provvedimento del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando ha provveduto ad aumentare a 39,21 euro giornaliere per ogni disabile non assunto a partire dal primo gennaio 2022.

Assunzione disabili e sanzioni per il mancato inviso del prospetto informativo

Le novità però non finiscono qui, infatti l’articolo 13 della legge già citata prevede anche che le aziende entro il 31 gennaio di ogni anno debbano comunicare telematicamente al Servizio territorialmente competente un prospetto informativo in cui sono indicati:

  • il numero dei disabili complessivamente occupati;
  • il numero dei lavoratori computati nella quota di riserva;
  • l’ammontare del numero dei lavoratori da occupare tra i disabili.

I dati devono essere riferiti alla situazione dell’azienda del 31 dicembre dell’anno precedente, quindi entro il 31 gennaio 2022, deve essere inviato il prospetto relativo al 31 dicembre 2021.

Tale obbligo viene meno solo nel caso in cui non ci siano state modifiche in azienda circa l’obbligo di assunzioni disabili o sulla quota di riserva.

Se nell’arco di un anno solare ci sono posizioni scoperte per disabili, l’azienda è tenuta ad assumere per la copertura delle posizioni scoperte, cioè a regolarizzare la posizione entro 60 giorni dal momento in cui si verifica tale vacanza. In seguito alla nuova assunzione l’azienda non è tenuta a inviare un nuovo prospetto informativo.

L’articolo 13 prevede sanzioni per il mancato invio del prospetto informativo o invio in ritardo dello stesso. Le sanzioni attuali sono di 635,11, cui si sommano 30,76 euro per ogni giorno di ulteriore ritardo. Dal primo gennaio 2022 anche tali somme però variano e la sanzione per la mancata trasmissione o il ritardo della stessa sarà di 702,43 euro, mentre le sanzioni per l’ulteriore ritardo sarà di 34,02 euro per ogni giorno trascorso senza regolarizzare la posizione.

Calcolo delle sanzioni

Dal punto di vista pratico è bene fare qualche precisazione, ad esempio nel caso in cui rispetto al 31 gennaio maturi un giorno di ritardo l’importo sarà di 702,43+34,02, quindi l’importo minimo della sanzione è sempre di 736,45 euro.

Il Ministro Orlando nell’annuncio presente sul portare lavoro.org ha sottolineato che tali nuove sanzioni sono dovuti al fatto che erano ormai 11 anni che tali importi non venivano modificati.

Per i disabili ci sono ulteriori agevolazioni, se vuoi saperne di più leggi:

Bonus disabili: ecco il decreto attuativo per richiederlo

 

In aumento l’occupazione, ma il gap pre-crisi c’è ancora

Una bella notizia sul fronte dell’occupazione arriva da una stima dell’Ufficio Studi della Cgia che stima, entro la fine dell’anno, l’avvento di 123mila nuovi occupati e 36mila disoccupati in meno.

Si tratterebbe di un piccolo passo per assottigliare il gap che, comunque, rispetto al 2007, anno pre-crisi, è ancora notevole.
Rispetto a 10 anni fa, infatti, lo stock medio degli occupati nel secondo semestre di quest’anno sarà inferiore di 142.000 unità, mentre i disoccupati saranno 1.447.000 in più. Se, ad esempio, nel 2007 il tasso di disoccupazione era al 6,1 per cento, quest’anno si attesterà all’11,4%: una quota quasi doppia al dato pre-crisi.

Paolo Zabeo, chiamato a commentare questi dati, ha voluto però mettere in guardia da alcune minacce che si vedono all’orizzonte: “Se dal prossimo 1 gennaio terminerà la politica monetaria espansiva, cioè il Quantitative Easing introdotto dalla Bce in questi ultimi anni, molto probabilmente assisteremo a un progressivo aumento dei tassi di interesse che innalzerà il costo del nostro debito pubblico, mentre gli investimenti saranno meno convenienti”.

Renato Mason ha aggiunto: “Per un Paese come il nostro che ha uno dei debiti pubblici in rapporto al Pil tra i più elevati al mondo lo scenario prossimo futuro rischia di risultare, in termini di principali indicatori economici, ancora troppo lontano rispetto all’apice economico di 10 anni orsono”.

Confrontando i dati, rispetto al 2007 c’è ancora un differenziale di 3,4 punti percentuali da recuperare per quanto riguarda i consumi delle famiglie, oltre a 5,9 punti di Pil, 7,3 punti di reddito disponibile delle famiglie e di 24,8 punti di investimenti (pubblici e privati), oltre ad un tasso di disoccupazione quasi doppio.

A questo proposito, inoltre, occorre ricordare che a giugno 2017 erano 145 i tavoli di crisi aperti presso il Ministero dell’Economia e dello Sviluppo Economico. Tra questi, 26 interessavano l’industria pesante, 14 il settore delle telecomunicazioni/software, 11 la componentistica elettrica/elettronica e altrettanti nel tessile-abbigliamento-calzature e arredo.
A livello regionale, invece, gli stabilimenti (non le aziende) in stato di crisi erano 37 in Lombardia, 29 nel Lazio e sia in Campania che in Veneto 24. Dei 145 tavoli, 9 riguardano aziende presenti sull’intero territorio nazionale.

Ha ricordato Zabeo: “Senza contare le migliaia di piccolissime imprese e di artigiani che sempre più a corto di liquidità, a causa della stretta creditizia praticata dalle banche e dai ritardati pagamenti decisi dai committenti, rischiano, nel silenzio più totale, di chiudere definitivamente i battenti”.

In merito, poi, all’ipotesi avanzata dal Governo di introdurre un nuovo provvedimento che dal 2018 agevoli l’assunzione dei giovani attraverso una forte decontribuzione previdenziale, la Cgia ricorda che negli ultimi anni il cuneo fiscale è stato “tagliato” in misura strutturale di 13,3 miliardi di euro l’anno (di cui 8,9 attraverso il bonus Renzi e di altri 4,3 miliardi con l’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro per i dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato). Oltre a ciò, il cuneo è stato ulteriormente alleggerito in via temporanea di altri 15 miliardi di euro grazie agli sgravi contributivi a carico delle aziende che hanno dato luogo ad assunzioni a tempo indeterminato nel 2015 e nel 2016.

A questo punto, Zabeo ha concluso dicendo: “Forse sarebbe più opportuno intervenire tagliando l’Irpef. I posti di lavoro si creano se riparte l’economia, se con più soldi in tasca le famiglie tornano a sostenere la domanda interna e non attraverso misure artificiose. Intervenendo sull’imposta sui redditi delle persone fisiche, inoltre, ne trarrebbero vantaggio anche i pensionati e i lavoratori autonomi che, purtroppo, in questi ultimi anni non hanno beneficiato di alcun vantaggio fiscale”.

Vera MORETTI

Partono gli incentivi per l’assunzione agevolata di giovani

Sono online sul sito dell’Inps i moduli per la richiesta di incentivo previsto dalla Legge di Stabilità 2017 per accedere alla decontribuzione sull’assunzione agevolata di giovani per il biennio 2017-2018, purché si trovino a non più di sei mesi dall’ottenimento del titolo di studio e abbiano effettuato un periodo di alternanza scuola lavoro o di apprendistato presso il medesimo datore di lavoro.

Lo sgravio fiscale spetta a tutti i lavoratori privati mentre ne rimangono esclusi pubblica amministrazione, lavoro domestico e agricolo.

Si tratta di un’agevolazione che riguarda la decontribuzione al 100% per tre anni sui versamenti Inps, fino ad un tetto annuo di 3.250 euro, che significa una soglia massima mensile pari a 270,83 euro. Un’eventuale eccedenza mensile può essere esposta nei mesi successivi, fermo restando il rispetto della soglia massima di esonero contributivo.
Il triennio di durata del beneficio si calcola dalla data dell’assunzione e può essere sospeso in caso di maternità.

L’agevolazione non è cumulabile con altri incentivi contributivi quali il beneficio per chi assume lavoratori over 50, oppure gli incentivi Occupazione Sud e Occupazione giovani. E’ invece cumulabile con altri incentivi all’occupazione come quello per l’assunzione dei lavoratori disabili o per i lavoratori in NASpI.

Chi vuole chiedere l’agevolazione deve utilizzare l’applicazione Diresco, inviando domanda preliminare che contiene dati del lavoratore, retribuzione mensile media, aliquota contributiva datoriale, tipologia orario di rapporto.
Ricevuta questa domanda, l’Inps entro 48 ore calcola il beneficio spettante, valuta le risorse disponibili e, in caso di istruttoria positiva, comunica al richiedente che è stato prenotato l’importo della decontribuzione spettante.
A questo punto, entro 10 giorni di calendario, il datore di lavoro deve comunicare l’avvenuta assunzione e la conferma della prenotazione. Se non rispetta il termine deve ripetere l’intera procedura.

Il beneficio vale per contratti di lavoro a tempo indeterminato mentre sono escluse il contratto intermittente o a chiamata. Comprese invece la somministrazione e le cooperative di lavoro.
L’esonero contributivo non è previsto se l’assunzione viola diritti di precedenza, nell’impresa sono in atto ammortizzatori sociali per crisi o riorganizzazione, il lavoratore è stato licenziato dalla stessa azienda nei sei mesi precedenti. Il lavoratore deve aver svolto presso il datore di lavoro un periodo di alternanza scuola lavoro pari ad almeno il 30% delle ore previste dal proprio percorso, o un apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato in alta formazione.

Vera MORETTI

Occupazione in aumento in Italia a gennaio 2017

Buone notizie sul fronte lavoro, poiché a gennaio 2017 l’occupazione risultava in aumento di 236mila unità rispetto ad un anno prima, che significa, in percentuale, un incremento dell’1%.

La crescita interessa tutti, sia i lavoratori dipendenti (+1,1% pari a +193 mila unità) sia quelli indipendenti ( +0,8% pari a +43 mila unità).
Questo fenomeno riguarda entrambi i sessi, con un aumento per gli uomini dell’1,4% e per le donne dello 0,5%, in particolare per gli ultracinquantenni (+367 mila) ed i giovani 15-24enni (+27 mila).

A creare posti di lavoro nuovi sono soprattutto le piccole imprese: nel terzo trimestre, come conferma l’analisi effettuata da UnioncamereMinistero del Lavoro, le imprese italiane prevedono un saldo tra entrate ed uscite di 203.400 lavoratori di cui oltre i tre quarti (77,3%), pari a 157.170 unità, sono determinati da imprese con meno di 50 addetti.

Questi dati, però, non escludono un aumento anche della disoccupazione, che, infatti, è cresciuta del 4,2%, per un tasso di disoccupazione dell’11,9%, in aumenti dunque dello 0,3 rispetto all’anno scorso.

Come si spiega questa situazione, che sembrerebbe irreale?
Questi numeri derivano da una massiccia riduzione degli inattivi che scendono di 461 mila unità, pari al -3,3%, rendendo la domanda di lavoro insufficiente ad assorbire il maggiore ritmo di crescita dell’offerta. Nell’anno precedente gli occupati salirono di 291 mila unità, superando l’aumento dell’offerta di lavoro (+136 mila unità): di conseguenza i disoccupati si sono ridotti di 155 mila unità.

La maggiore partecipazione al mercato del lavoro è un fenomeno positivo, in particolare per le donne che presentano un gap di 12,7 punti del tasso di attività con la media dell’Euro zona: a gennaio 2017 in Italia il rapporto tra donne attive e popolazione è al massimo storico del 55,6%.ù

Dal punto di vista territoriale, nel 2016 l’occupazione in Italia è salita dell’1,3% con una migliore performance nel Nord-Est e nel Mezzogiorno (entrambi a +1,7%).
Le regioni con la maggiore crescita sono la Campania ed il Molise (entrambi con il +3,8%), seguite da Emilia-Romagna (+2,5%), Provincia Autonoma di Bolzano (+2,3%), Puglia e Basilicata (entrambe con il +2,0%). All’opposto le maggiori flessioni per Marche (-0,8%) ed Umbria (-1,5%), regioni colpite dagli eventi sismici di agosto e ottobre 2016.

Per quanto riguarda il tasso di occupazione, quello più elevato si riscontra nella Provincia Autonoma di Bolzano (57,8%), seguita da Emilia-Romagna (51,5%), Provincia Autonoma di Trento (51,1%), Lombardia (50,6%) e Valle d’Aosta (50,0%). Nel 2016 gli aumenti più ampi del rapporto tra occupati e popolazione si riscontrano in Molise (+1,6 punti percentuali), Emilia-Romagna (+1,3 punti) e Campania (+1,2 punti) mentre le diminuzioni più accentuate si osservano in Umbria (-0,6 punti) e Provincia Autonoma di Trento (-0,5 punti).

Tra le province in maggiore crescita, spiccano Bologna (53,6%), Reggio Emilia (52,8%), Modena (52,7%), Parma (52,3%) e Lodi e Milano (entrambe a 52,1%).
I tassi di disoccupazione più bassi si rilevano a Reggio Emilia (4,7%), Bergamo e Verona (entrambe a 5,3%), Bologna (5,4%) e Lecco (5,8%), Vicenza e Belluno (6,2%), Verbano-Cusio Ossola e Cuneo (6,3%).

Vera MORETTI

Occupazione, le micro imprese ci credono

Eppur qualcosa si muove, sul fronte dell’ occupazione. Almeno per quello che riguarda le piccole e micro imprese italiane. L’ultimo dato relativo al mese di novembre 2016 evidenzia che in queste realtà l’ occupazione è cresciuta dello 0,7% rispetto a ottobre, del 3,2% rispetto a novembre 2015 e dello 6,7% rispetto a dicembre 2014.

Questi dati sull’ occupazione sono corroborati dalle analisi dell’Osservatorio Cna che, osservando i numeri relativi a un campione di oltre 20mila aziende, rilevano come la crescita avvenuta da gennaio e novembre è il risultato della sensibile diminuzione delle cessazioni (-8,6%), che supera di molto il calo delle assunzioni, fermo al -4,5%.

In ogni caso, l’ occupazione nelle piccole e micro imprese è figlia soprattutto della crescita dei contratti a tempo determinato (+9,6%) e di apprendistato (+23,1%), dal momento che quelli a tempo indeterminato sono crollati di quasi il 40% (-39,7%).

Nonostante questo, secondo l’Istat il trend di crescita dell’ occupazione dovrebbe comunque proseguire. L’occupazione, misurata in unità standard di lavoro, dovrebbe crescere di circa il 2% tra il 2017 e il 2019 (+2,5% nel settore privato). Numeri confermati anche dal Centro Studi di Confindustria, che prevede una crescita dell’occupazione nel 2017-2019.

Lavoratori autonomi e mercato del lavoro

I lavoratori autonomi sono la fortuna dell’Italia. Da una parte perché il fisco spreme loro ogni goccia di sangue, contribuendo in maniera determinante a riempire le voraci fauci dello Stato. Dall’altra perché contribuiscono a tenere a galla l’occupazione in anni di crisi.

Lo conferma il Censis, che rileva come i lavoratori autonomi abbiano sofferto in modo pesante la crisi, facendo in modo però di creare occupazione anche nei momenti più bui grazie alla loro forte spinta all’autoimprenditorialità.

Secondo il Censis sono principalmente giovani e donne, ma anche over 50, le classi di età e sociali maggiormente coinvolte, specialmente negli anni della crisi, nella creazione di nuove figure di lavoratori autonomi.

I dati Censis, relativi alla fine del 2015, indicano che in Italia ci sarebbero 914mila lavoratori autonomi d’età compresa tra i 20 e i 34 anni il numero più alto tra i nostri principali partner europei. Basti pensare che in Germania ce ne sono poco più della metà, 528mila.

Nonostante questo, però, stando ai dati in possesso di Confesercenti, i lavoratori autonomi hanno pagato, in proporzione, il prezzo più salato tra il 2007 e il 2014 sul totale dei posti di lavoro persi.

Un trend confermato dall’ultimo Osservatorio lavoratori autonomi dell’Inps, dal quale emerge che il numero degli artigiani è calato costantemente negli anni della crisi. Dopo una crescita ininterrotta, durata fino al 2007, agli albori della crisi, il loro numero è sceso ogni anno di circa l’1% dal 2008 al 2012 e di circa il 2% tra il 2012 e il 2015.

Dato fortunatamente positivo, la diminuzione dei lavoratori autonomi inattivi, il cui dato è diminuito per la prima volta dal 2006 nel 2015, attestandosi al -0,4% sul 2014.

Lavoro estivo? Meglio se fisso

Una volta, in estate, a cercare lavoro erano soprattutto i ragazzi, desiderosi di mettere da parte un po’ di soldi per togliersi qualche sfizio o per cominciare ad affrancarsi da mamma e papà, approfittando della chiusura delle scuole. Oggi, complice soprattutto la crisi, l’estate è diventata stagione di ricerca di lavoro per molti.

Lo conferma un’indagine condotta da Jobrapido su un campione di circa 2.500 iscritti alla propria community italiana, dalla quale emerge che il 62% degli italiani che cercano un lavoro durante l’estate lo fanno sperando che possa diventare un’occupazione fissa; accanto a loro, il 24,5% degli intervistati lo fa per arrotondare uno stipendio che ha già, trasformando un hobby in un lavoro. Quasi la metà di chi cerca un lavoro per l’estate (il 48%) lo fa attraverso il web e i social network, solo un quarto (il 26,5%) utilizzando contatti e conoscenze.

Non manca, anche in estate, chi è pronto a espatriare per lavorare: è il 41% degli intervistati, contro un 26% che ha ancora diffidenza verso la cultura straniera e una possibile esperienza all’estero.

Importante anche, per buona parte degli intervistati (il 60%), che l’impiego sia vicino a casa, mentre solo il 16,5% vorrebbe lavorare in luoghi di vacanza. E, a proposito di ferie, non manca naturalmente chi, in estate, anziché lavorare preferisce godersi le vacanze: sono solo il 2,5%, contro un 7% che vorrebbe lavorare solo a giugno e luglio, confermando agosto come il mese migliore nel quale svolgere un lavoro estivo.

Millennial è sinonimo di lavoratore

Che le generazioni attuali non godano degli stessi privilegi e delle stesse prospettive di cui, in tema di lavoro e occupazione, hanno goduto i loro padri è un dato di fatto, specialmente per la generazione dei cosiddetti millennial, i ragazzi nati tra il 1980 e il 1995.

A testimoniarlo arriva ora un report di Manpower Group svolto a livello globale, dal quale emerge chiaramente come i millennial sono certi di lavorare molto a lungo e per questo investono molto sulla propria carriera.

Il report si fonda su uno studio internazionale effettuato su 19mila millennial e 1.500 manager addetti alle assunzioni di 25 Paesi e fornisce consigli per aiutare i datori di lavoro a ripensare le strategie per attrarre, mantenere e far crescere nelle loro aziende le giovani generazioni di lavoratori.

Si tratta di un primo report su millennial e mondo del lavoro che Manpower Group pubblicherà durante il 2016. Seguiranno uno studio sulla ridefinizione della formazione e sulle nuove strategie per gestire i millennial.

I risultati più significativi che emergono dal report di Manpower Group dicono che:

  • i millennial lavorano più a lungo e più sodo rispetto alle generazioni precedenti. L’84% di loro prevede di interrompere l’attività lavorativa per un periodo superiore a quattro settimane, nella maggior parte dei casi per dedicarsi ad attività ricreative.
  • oltre la metà dei millennial intervistati prevede di lavorare fin dopo i 65 anni, il 27% di oltre i 70 e il 12% dichiara che probabilmente lavorerà fino alla morte.
  • anche se quasi tre quarti dei millennial ha un lavoro a tempo pieno, oltre la metà di loro si dice pronta a nuove modalità di lavoro in futuro, qualora ce ne fosse la necessità. Ben il 34% degli intervistati sta prendendo in considerazione l’idea di iniziare un lavoro autonomo.
  • il 93% dei millennial vuole dedicare tempo e risorse economiche alla formazione personale: più vi è voglia di apprende e migliorarsi, maggiore sarà il successo della propria carriera lavorativa.

Insomma, un chiaro esempio di come i figli stiano scontando i privilegi goduti dai padri e che molti di questi ultimi, egoisticamente non vogliono mollare. Ma di come i figli sono in grado di fare sempre di necessità virtù.