Taglio dei parlamentari, la casta colpisce ancora

di Davide PASSONI

Normalmente da queste pagine non siamo soliti commentare episodi di stretta attualità politica, ma quello che è accaduto ieri al Senato travalica i limiti della politica per sconfinare, da una parte, in quelli dell’economia reale, dall’altra in quelli della fantascienza.

In sostanza, i senatori hanno accantonato l’articolo 1 del ddl di riforma costituzionale sul taglio del numero dei deputati, accogliendo la richiesta della Lega che, appoggiata dal Pdl, ha proposto di affrontare prima le modifiche del Senato tra i quali gli emendamenti con cui il Carroccio chiede il Senato federale. Ovvero: chissenefrega del taglio dei parlamentari, dei costi della politica e delle nostre poltrone, prima facciamoci i fattacci nostri.

Patetiche le giustificazioni e le polemiche seguite alla decisione. Il vicepresidente dei senatori del Pd Luigi Zanda: “Stanno barattando la forma di Stato con il Senato federale. Tutto è finalizzato all’accordo tra Pdl e Lega. E’ un peccato che considerazioni di politichetta entrino in questa discussione“. “Si è definita politichetta quella che invece è un’alta istanza riformatrice“, ha risposto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. E anche il capogruppo della Lega Roberto Bricolo si è difeso: “Noi giochiamo a carte scoperte, non abbiamo paura di cambiare la Costituzione ma dalla Commissione è uscita una riformetta“.

Ma quali carte scoperte, quale riformetta, quale politichetta, quale alta istanza riformatrice! Qui il Paese è alla fame, i professori saccheggiano quotidianamente imprese e cittadini, mancano i soldi persino per pagare le tasse, di tagliare la spesa pubblica e gli sprechi nemmeno se ne parla e i senatori fanno scudo ai deputati per evitarne il taglio. Ma andiamo, ma andiamo!

Sconfiniamo nell’economia reale perché una decisione del genere non fa altro che perpetuare un meccanismo di crescita continua della spesa per il mantenimento di uno stato obeso e di coloro che alle sue e alle nostre spalle mangiano e mangiano; crescita della spesa significa necessità di finanziarla; necessità di finanziarla significa aumentare le tasse (perché altri modi per farlo questi tecnici, così come i politici che li hanno preceduti, pare non ne vogliano usare); aumentare le tasse significa deprimere i consumi; deprimere i consumi significa ingessare l’economia.

Sconfiniamo nella fantascienza perché queste persone continuano a dimostrarsi quello che in realtà sono: alieni.

Come cambia l’Italia lavorativa

di Vera MORETTI

Bankitalia, grazie ad uno studio relativo alle opportunità di lavoro in Italia, fa sapere che nel nostro Paese le professioni in calo riguardano artigiani, insegnanti, impiegati ed operai, mentre salgono imprenditori, manager e professionisti nei settori tecnici ed intellettuali.

A commentare questi dati, tra gli altri, è stato Tiziano Treu, ex ministro e senatore del Pd, il quale, a proposito di lavoro, ha fatto riferimento alla flexsecurity di Marco Biagi, che prevedeva la gestione di lavoro temporaneo e part time attraverso la contrattazione, oltre alla necessità di un apprendistato per imparare un mestiere.

La situazione italiana attuale è espressione di una flexsecurity monca, perché priva di ammortizzatori e servizi all’impiego, con la conseguente esclusione dei giovani dal mondo del lavoro. Così, quindi, viene spiegato da Treu l’inversione di tendenza di alcune professioni storiche ma, ahimè, senza più ricambio generazionale.

La riforma del lavoro, quindi, è sempre più basilare, come confermato anche dall’ex ministro del lavoro Maurizio Sacconi. Quest’ultimo ha anche annunciato, per il 26 marzo prossimo, una conferenza nazionale del Pdlcon lo scopo di incoraggiare e sostenere l’attuazione delle politiche ormai da tempo annunciate dal Governo e sollecitate da tutte le istituzioni sovranazionali. Discuteremo in particolare dei modi con cui conciliare diritti e doveri nel lavoro, sicurezza dei lavoratori e competitività delle imprese, maggiore produttività e migliore salario“.

Se si raggiungerà un accordo costruttivo, sarà solo con l’unione di tutte le forze

La scuola inasprisce i rapporti tra governo e Pd

di Vera MORETTI

A volte ritornano. E quando succede, lo scompiglio è grande.

Ieri è stata una giornata cruciale per il Governo, che ha dovuto scontrarsi con la dura opposizione del Pd, ma ha anche assistito al ritorno dei fantasmi del passato, ovvero dei ministri della passata legislazione.

Il tema su cui i deputati erano chiamati a votare era “caldo”, e riguardava la norma sulle assunzioni di 10.000 insegnanti di sostegno, sulle quali, lo ricordiamo, l’esecutivo aveva dato il via libera martedì. Ma, quella che sembrava una vittoria, per il Pd e per tutti coloro che, a seguito della riforma Gelmini, aveva dovuto mandare giù bocconi amari, si è rivelata un’amara sconfitta.

I più ottimisti già vedevano salvo il tempo pieno nelle scuole primarie, grazie al rinforzo di questo piccolo esercito di nuovi insegnanti di ruolo, e non più precari. E invece…ieri c’è stata un’inversione di marcia.
La norma è stata riformulata in modo da superare il blocco dell’organico della scuola imposto dalla manovra Tremonti del 2008, ma senza andare contro ai tagli previsti dal governo Berlusconi ed opera di Mariastella Gelmini.
Ed eccola riapparire, l’ex ministro della pubblica istruzione, a difendere strenuamente la sua riforma, e uscire trionfante da questo primo round, ovviamente accolto con profonda delusione dal Pd e dai suoi rappresentanti.

Prima fra tutti a dire la sua è intervenuta Francesca Puglisi, responsabile scuola nelle fila del Partito democratico, la quale ha ribadito: “Determinare gli organici della scuola in base ai risparmi e non in base alla popolazione scolastica è un’idea inaccettabile“, alla quale ha fatto eco l’ex ministro Beppe Fioroni, che ha parlato di misura “aberrante“.

La tensione già presente in aula si è ulteriormente alzata quando Gianfranco Polillo, sottosegretario all’Economia, ha ingiunto di cambiare un’ altra modifica introdotta al decreto, altrimenti il governo avrebbe presentato un maxi-emendamento in aula con un testo diverso da quello delle commissioni.
Gianclaudio Bressa è sbottato minacciando che il Pd non avrebbe votato la fiducia al decreto in aula. Questa dichiarazione è stata smentita dal capogruppo Dario Franceschini che però ha ribadito l’esistenza di tensioni con il governo.
Vedere Monti e compagni sposare le tesi del Pdl è stato uno smacco difficile da sopportare.

Anche se, a perderci davvero, è solo e sempre la scuola pubblica.

Come votano le partite Iva?

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di marzo del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 28 febbraio 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Alessandro AMADORI*

Nell’ambito delle sue attività di monitoraggio dell’opinione pubblica, Coesis Research ha recentemente verificato (gennaio 2011) le intenzioni di voto di un campione di 300 elettori, appartenenti al popolo delle partite Iva. La metodologia utilizzata è stata quella dell’intervista telefonica Cati (Computer Aided Telephone Interviewing), integrata da sei colloqui clinici di approfondimento qualitativo. L’obiettivo è stato quello di individuare come si distribuiscono le preferenze elettorali in questo segmento cruciale della popolazione italiana, anche in rapporto ai recenti sviluppi del “caso Ruby”.

L’aggregazione delle intenzioni di voto per schieramenti evidenza questo quadro di atteggiamenti: il partito con il maggiore livello di consenso fra le partite Iva resta il PdL, al 31%; a seguire, nettamente distaccato, il PD, al 19%; al terzo posto troviamo la Lega, attestata su un ragguardevole 15%; poi Fli a un consistente 8%, l’Udc al 7%, l’IdV al 6%, La Destra e Sinistra Ecologia e Libertà entrambe al 4%, il Movimento Cinque Stelle al 2%, la Federazione della Sinistra a poco più dell’1%. Nella popolazione generale italiana, invece, gli atteggiamenti in termini di intenzioni di voto si distribuiscono in questo modo: Centrodestra 43%, Centro 12%, Centrosinistra 31%, Sinistra 11%, Altro 4%.

Dunque, mentre tra le partite Iva l’area del centro/centrodestra pesa per il 65% del totale, nella popolazione generale questo peso scende al 55%. La differenza è di dieci punti percentuali. Il che conferma che, nonostante l’evidente crisi del berlusconismo, l’atteggiamento di fondo del popolo degli “autonomi” resta strutturalmente più favorevole nei confronti dell’offerta di centrodestra.

Insomma, nonostante l’indebolimento di immagine e la perdita di gradimento e fiducia che Berlusconi ha subito, per il momento non si può ancora parlare di una ricaduta davvero pesante di questi fenomeni sul livello potenziale di consenso per l’area di offerta politica che sinora ha avuto nel Cavaliere il suo leader di riferimento. Per inciso, va detto che anche nella popolazione generale la tenuta del centrodestra è, per molti aspetti, superiore alle aspettative. A dimostrazione che i meccanismi del voto, e del consenso, sono fortemente contraddistinti da processi inerziali che rendono lenti e piuttosto difficili gli spostamenti da uno schieramento all’altro.

*amministratore delegato dell’istituto Coesis Research

Intervista all’on. Raffaello Vignali, promotore dello “Statuto delle imprese”

di Davide PASSONI

Questa settimana, per la prima volta, la rubrica Controcanto ospita una intervista. Fatevene una ragione: al direttore piace scrivere, piace parlare, piace dire la propria, ma a volte lascia agli altri questo compito, specialmente se ciò che hanno da raccontare è di qualche interesse per voi lettori.

Dopo la lettera-verità della scorsa settimana, con lo sfogo amaro di una professionista vittima di uno squallido subordinato, oggi tocca a un politico. Non storcete il naso, dai: a volte la politica italiana sa offrire qualcosa di molto diverso dal teatrino degli ultimi mesi, culminato con la grand soirée del 14 dicembre sul palcoscenico di Montecitorio. E lo offre anche nel campo dell’economia e del sostegno alle Pmi. La voce che ascoltiamo è di un esponente del Pdl che proprio alle Pmi ha sempre guardato con estrema attenzione, l’on. Raffaello Vignali.

A tutti coloro che sono pronti ad alzare il ditino lo dico e lo ripeto subito: Infoiva non ha colore politico e il fatto che oggi parli sulle sue pagine un esponente dell’attuale “maggioranza” (mi si passino le virgolette…) è perché, come avete letto qualche riga più su, ha da dire cose di un certo interesse per chi legge. Anche all’opposizione ci sono proposte e idee valide per sostenere e rilanciare il nostro tessuto produttivo ed economico; ascolteremo anche loro, senza dubbio, perché quello che ci interessa è l’Italia che produce e che propone, non quella che chiacchiera, e questa Italia c’è anche da una parte all’altra del nostro arco costituzionale. Noi abbiamo messo da parte i pregiudizi: fatelo anche voi e ascoltate senza filtri tutti coloro ai quali Infoiva vorrà dare voce. Oggi tocca all’on. Vignali.

Data l’attenzione che da sempre rivolge al mondo delle PMI, quali sono secondo lei gli ambiti su cui intervenire più urgentemente per “liberare” le imprese italiane e ridare loro slancio e competitività? Fiscalità, accesso al credito, costo del lavoro o che altro?
La prima condizione è un cambiamento culturale: passare dal sospetto alla fiducia verso chi fa impresa. Se si parte dal sospetto vengono posti migliaia di lacci e laccioli e pure tasse. Partendo dalla consapevolezza che chi fa impresa costruisce il bene per tutti, le cose cambiano. Detto questo, le prime cose che chiedono le imprese, soprattutto le piccole, non sono gli incentivi ma, piuttosto, semplificazione e tutela. Semplificazione: ovvero le norme che servono, e non una di più, tempi certi nella risposta da parte della PA e norme a misura di impresa (non pensate sulla taglia delle grandi aziende). Tutela significa difendere chi produce rispettando le norme. La Camera di Commercio di Milano stima in 10 miliardi di euro all’anno il mercato della contraffazione per la sola Lombardia. Il contrasto a questo fenomeno può farlo solo lo Stato. Nei prossimi giorni il Ministro Romani insedierà il Consiglio Nazionale Anti Contraffazione e chiederà ai nove Ministeri coinvolti – e ai soggetti che da loro dipendono – di intensificare il contrasto a questo fenomeno, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione. Anche a Bruxelles stiamo lavorando per approvare il regolamento “made in” che prevede l’obbligo di tracciabilità per tutte le merci che vengono importate in Europa. Poi speriamo che le condizioni dell’economia ci consentano di abbassare le tasse, perché abbiamo bisogno di lasciare più risorse nelle imprese per gli investimenti.

Quali sono le proposte e le iniziative che lei ha elaborato durante la sua esperienza parlamentare a sostegno delle imprese e dell’imprenditorialità?
In questi due anni ho lavorato su questi aspetti, sia intervenendo sui disegni di legge che passavano al Parlamento, sia con le proposte di legge per “l’impresa in un click” e – soprattutto – con quella che porta un titolo significativo “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”, che nelle prossime settimane approderà in Aula a Montecitorio. Lo Statuto allarga i principi dello Small Business Act dell’Unione Europea e li trasforma in diritti per le imprese.

Per l’economia italiana è più dannosa la crisi globale dalla quale ancora stenta a uscire o l’incertezza del quadro politico nazionale? Perché?
La cosa più dannosa è quella denunciata poco tempo fa da Giuseppe De Rita in occasione della presentazione del rapporto del Censis, ovvero la mancanza di desiderio, che riguarda tutto il Paese. Il desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore, perché è ciò che rende protagonisti, che permette di rischiare per costruire. L’opposto del desiderio sono la sazietà e la mancanza di speranza. Nella mia regione, la Lombardia, in questi mesi sono più le imprese che hanno chiuso per mancata successione di quelle che hanno chiuso per la crisi… Quanto alla politica, il rischio che vedo è quello dell’astrazione, la separazione dalla realtà; se si è astratti non vengono assunte responsabilità, si segue solo il consenso immediato, cioè le mode. Di fronte alle sfide che abbiamo davanti, servirebbe invece responsabilità come sta chiedendo, inascoltato, il Presidente Berlusconi. Anche i media non aiutano, presentando solo il negativo, la rissa o un Paese visto morbosamente dal buco della serratura. Aspetto da anni di vedere raccontata in prima serata Rai una piccola impresa che innova, che va all’estero, che non licenzia, che resiste. Eppure sono la stragrande maggioranza, sono milioni…

Secondo lei c’è un Paese in Europa, oggi, al quale possiamo guardare come modello virtuoso per la gestione della fiscalità? Se sì, qual è? Se no, perché non ce ne sono?
A me piace il sistema fiscale irlandese, che prevede una tassazione flat al 12,5 per cento. Anni fa era al 50 per cento e quando hanno abbassato le tasse, nei tre anni successivi il gettito fiscale è triplicato. La crisi dell’Irlanda non è imputabile al sistema fiscale, ma alla trappola della finanza creativa. Nei giorni scorsi abbiamo visto tutti il braccio di ferro che ha fatto con la UE, che le chiedeva di aumentare le tasse per coprire il deficit; l’Irlanda si è detta piuttosto disposta a rifiutare l’aiuto europeo che a manovrare il fisco in senso peggiorativo. Hanno ragione gli Irlandesi, perché considerano la crescita fattore essenziale della stabilità.

Se vuole, legga con attenzione la testimonianza riportata in questo link. Che cosa può fare la politica per tutelare il patrimonio di capacità, volontà, idee e ricchezza che i liberi professionisti portano quotidianamente all’Italia e alla sua economia e che spesso viene ignorato se non calpestato?
Intanto va detto che il caso in questione è anomalo: si tratta di una elusione delle norme sul lavoro. Quando si è in regime di monocommittenza, con un orario minimo fisso di 8 ore, non si può parlare di libera professione, ma di un grave errore da parte dello studio professionale. Si fa aprire la partita Iva a una persona che svolge un lavoro subordinato, riducendo il costo del lavoro al 20 per cento, Irap compresa: siamo nel campo dell’irregolarità. Detto questo, vale per le partite iva quello che vale per le piccole imprese, quali sono a tutti gli effetti. Si può lavorare a più livelli. A me piace molto la legge francese sulla microimpresa fatta dal Ministro dell’Economia e ne stiamo presentando una versione italiana alla Camera. Lo Statuto delle Imprese, poi, riconosce alle certificazioni rese dai professionisti un ruolo alternativo a quello del controllo da parte della PA.

La missione principale della nostra testata è quella di trasmettere ottimismo al “popolo delle partite IVA”: da parlamentare della Repubblica, lanci il suo messaggio di ottimismo perché questo “popolo” continui a credere nelle potenzialità del nostro Paese.
Guardare il positivo che c’è, a cominciare dal desiderio di essere protagonisti della propria vita. Siamo un popolo straordinario, che nella difficoltà riesce a tirar fuori il meglio di sé. Non dobbiamo avere paura della vita. E dobbiamo fare rete tra chi vive quotidianamente il proprio impegno con senso di responsabilità.

Photo: AGLAIA