Contributi volontari pensione: quando, come si versano e quanto costa?

I contribuenti che rimangono senza lavoro e a pochi anni dalla pensione possono valutare di versare i contributi volontari per arrivare ai requisiti di uscita. I lavoratori autonomi o dipendenti, infatti, possono proseguire versando di tasca propria i contributi utili alla pensione tramite la prosecuzione volontaria. Si tratta di un meccanismo previdenziale che consente a chi, per varie ragioni, dovesse interrompere di versare i contributi, di non perdere quelli già pagati e di maturare il diritto al pensionamento.

Chi può chiedere di versare i contributi volontari per la pensione?

Possono chiedere di versare i contributi per raggiungere i requisiti della pensione tutti i lavoratori iscritti all’Inps, inclusi i lavoratori del pubblico impiego che:

  • abbiano cessato oppure interrotto il proprio lavoro. In questo caso i contributi volontari sono utili a raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento;
  • abbiano già maturato i requisiti per andare in pensione ma intendono proseguire la contribuzione per aumentare l’importo del proprio assegno mensile. In questo caso è necessario che non ricevano già una pensione diretta.

Per quali pensioni si possono versare i contributi volontari?

Per la finalità di raggiungere i requisiti della pensione, è utile sottolineare che il versamento dei contributi volontari consente di perfezionare il diritto alla pensione di vecchiaia, di anzianità, l’assegno ordinario di invalidità e l’inabilità. Tra le forme indirette di pensionamento, versare i contributi volontariamente permette di arrivare alle formule di reversibilità e di trattamento ai superstiti.

Contributi volontari, i quattro casi in cui si possono richiedere per la pensione

Si può richiedere di versare i contributi per la pensione in quattro specifici casi:

  • per l’interruzione o la sospensione dell’attività lavorativa avvenuta per situazioni contrattuali o per disposizioni di legge;
  • per integrare i contributi figurativi nei casi di congedo parentale. Connessa a questa situazione è anche la possibilità di riscattare i contributi figurativi per un periodo massimo di tre anni;
  • nelle situazioni di lavoro intermittente al fine di integrare la contribuzione obbligatoria nei casi in cui la retribuzione o l’indennità sia inferiore a quella convenzionale per lavoro part-time o orario ridotto;
  • per i lavori socialmente utili.

Come fare domanda di contributi volontari?

Per versare i contributi volontari è necessario presentare domanda all’Inps. L’istanza può essere inoltrata attraverso il canale on line del sito dell’Inps, accedendo al portale e avvalendosi dei servizi telematici. In alternativa, si può contattare il Contact Center al numero 803 164 o allo 06 164164 da rete mobile. Infine ci si può rivolgere a un patronato o a tutti gli intermediari dell’Inps.

Autorizzazione Inps al versamento dei contributi volontari

L’Istituto previdenziale, tuttavia, concede l’autorizzazione ai contributi volontari se sono stati versati almeno tre anni di contributi nei cinque anni precedenti la domanda stessa. Se dovesse mancare questo requisiti, la contribuzione volontaria è ammessa in presenza di almeno cinque anni di contributi, a prescindere dai periodi di versamento.

Riscatto dei contributi per proseguire i versamenti volontari

Ai fini dei requisiti per poter richiedere il versamento dei contributi volontari, il lavoratore può perfezionarli anche mediante riscatti, ricongiunzioni e alcune contribuzioni figurative come la Cassa integrazione guadagni. Sono esclusi dal perfezionamento dei requisiti i periodi di gravidanza, di servizio militare, di infortuni e malattia, di disoccupazione indennizzata o di lavoro all’estero in nazioni non convenzionate.

Chi è escluso dal versamento volontari dei contributi?

Sono esclusi dal versamento volontario dei contributi i lavoratori che non abbiano cessato o interrotto il rapporto di lavoro che ha generato l’obbligo contributivo stesso. Inoltre, sono esclusi dai contributi volontari anche i contribuenti che già percepiscono una qualsiasi formula di pensione diretta.

Decorrenza possibilità di versare i contributi volontari

Rispetto al momento in cui è stata presentata domanda di versamento dei contributi volontari, la decorrenza dell’autorizzazione Inps avviene:

  • il sabato successivo per i contribuenti subordinati;
  • dal primo giorno del mese in cui si è presentata la domanda per i commercianti e gli artigiani.

Quanto si paga per versare i contributi volontari?

Il calcolo di quanto si paga per versare i contributi volontari parte dalla media delle retribuzioni, inclusa la tredicesima mensilità, dell’ultimo anno di lavoro. Alla media va applicata l’aliquota contributiva in vigore che, per i lavoratori dipendenti, è pari al 33%. L’Inps, in ogni modo, prevede un minimo di versamento contributivo. Tale limite è calcolato applicando l’aliquota contributiva del 33% al 40% della pensione minima. Per il 2021 il trattamento minimo è fissato a 515,58 euro.

Quanto devono pagare artigiani e commercianti di contributi volontari?

Il calcolo di quanto devono pagare artigiani e commercianti di contributi volontari è fatto direttamente dall’Inps. Per il calcolo, l’Inps considera la media del reddito d’impresa risultante ai fini Irpef degli ultimi 3 anni. Dal calcolo, i contributi volontari vengono suddivisi in otto diverse fasce di reddito e sono dovuti su base mensile.

Calcolo contributi volontari dei coltivatori diretti

Il calcolo dei contributi volontari dei coltivatori diretti, dei mezzadri e dei coloni stabilisce il contributo settimanale determinato dalla media settimanale dei redditi dei precedenti tre anni. I tre anni sono determinati sulla base delle 156 settimane di lavoro. I contributi dei coltivatori diretti non possono essere, in ogni modo, inferiori a quelli previsti per i lavoratori dipendenti.

Quando si pagano i contributi volontari?

Il pagamento dei contributi volontari deve avvenire per periodi di tre mesi ed entro la fine del trimestre successivo. Pertanto, il primo trimestre dell’anno (gennaio, febbraio e marzo) deve essere pagato entro il 30 giugno susseguente. Analogamente, il secondo trimestre (aprile, maggio e giugno) deve essere pagato entro il 30 settembre successivo. Il terzo trimestre (luglio, agosto e settembre) va pagato entro il 31 dicembre. Infine, l’ultimo trimestre dell’anno (ottobre, novembre e dicembre) deve essere saldato entro il 31 marzo dell’anno successivo.

Vantaggi fiscali dei contributi volontari

I contributi volontari devono essere pagati interamente per la somma spettante. In caso di versamento inferiore a quanto dovuto, il contribuente subisce la riduzione proporzionale del periodo assicurato. Infine, è utile ricordare i vantaggi fiscali dei contributi volontari. Quanto versato rientra tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo per l’intero importo. La deducibilità opera anche se il versamento viene sostenuto dai familiari fiscalmente a carico.

Pensione, cosa succede se si versano contributi a gestioni previdenziali diverse?

Cosa avviene se il lavoratore durante la vita lavorativa ha versato i contributi per la pensione in più gestioni previdenziali? In questa situazione, viene incontro il cumulo gratuito dei contributi in caso di versamenti “misti”, compresi quelli fatti alle Casse professionali. Il cumulo gratuito è stato reso operativo dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017 ed esteso anche ai liberi professionisti. Insieme alla totalizzazione e alla ricongiunzione, costituisce una delle soluzioni per sommare i versamenti di diverse gestioni.

Cosa si può fare con il cumulo dei contributi?

Con il cumulo il soggetto può valorizzare la contribuzione fatta a più gestioni previdenziali senza oneri economici. La gratuità è un carattere distintivo del cumulo al pari della totalizzazione. A differenza di quest’ultimo, però, il cumulo non è soggetto al calcolo contributivo della futura pensione e nemmeno al meccanismo delle finestre mobili.

Differenze del cumulo di pensione con ricongiunzione e totalizzazione

Differentemente dalla ricongiunzione, mediante il cumulo non si trasferisce la contribuzione da una gestione a un’altra. Dunque al contribuente viene riconosciuta un’unica pensione, calcolata in base alle regole previste per ciascuna gestione che concorre al cumulo. Con il cumulo previsto dalla legge di Bilancio 2017, dunque, è possibile sommare gratuitamente gli spezzoni contributivi dei versamenti su differenti gestioni.

Cumulo dei contributi per la pensione, chi può farlo?

Il cumulo dei contributi ai fini della pensione può essere esercitato dai dipendenti e dagli autonomi iscritti alla Gestione separata o ad altre forme dell’Assicurazione generale obbligatoria e dai professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Chi richiede il cumulo dei contributi non deve avere già in corso un trattamento pensionistico relativo alle gestioni oggetto di cumulo. Da rilevare che il cumulo non può essere mai parziale ma deve riguardare in toto i periodi contributivi. Questi ultimi non devono essere coincidenti.

Come si presenta la domanda di cumulo dei contributi?

La domanda del cumulo dei contributi deve essere presentata presso la gestione dove risulta essere stata accreditata l’ultima contribuzione. Se il contribuente risulta iscritto a più gestioni, può presentare domanda a quella di sua scelta. L’inoltro della domanda permette alla gestione che l’ha ricevuta di iniziare la procedura di cumulo verso le altre gestioni previdenziali all’interno delle quali risultino presenti periodi di contribuzione.

Cosa avviene all’accettazione del cumulo?

Nel momento in cui il cumulo dei contributi viene accettato dopo la presentazione della domanda, la pensione viene liquidata come unica e pagata dall’Inps con un solo trattamento. L’importo pensionistico è determinato dalla somma degli spezzoni contributivi cumulati, seguendo comunque le regole previdenziali di ciascuna gestione coinvolta. Il cumulo permette, inoltre, di poter sommare i periodi contributivi ai fini dell’accesso della pensione di vecchiaia, di anzianità e anticipata.

Cumulo contributi nel caso di gestioni con diverse regole previdenziali

Cosa avviene nel caso in cui le diverse gestioni previdenziali dove il contribuente ha versato i contributi da cumulare applichino regole diverse per il pensionamento? Il caso si può presentare, ad esempio, quando un contribuente ha versato 10 anni di contribuzione presso l’Inps che prevede la pensione di vecchiaia a 67 anni e altri 10 presso un fondo che prevede la stessa prestazione ma a 65 anni. In questa situazione è necessario far riferimento alla gestione previdenziale che prevede i requisiti più elevati tra i singoli fondi coinvolti.

Pensione anticipata con il cumulo dei contributi

Diversamente, per il calcolo dei requisiti necessari per la pensione anticipata, il cumulo delle gestioni contributive deve mirare al raggiungimento fisso dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne di versamenti fatti nella vita lavorativa. Ciò indipendentemente dalle regole delle previdenze coinvolte nel cumulo. L’operazione, dunque, può sommare i contributi delle varie gestione per arrivare a questo risultato. Il pagamento della pensione con il cumulo avviene il primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

Pensione, come si calcola con il cumulo della pensione?

Il calcolo del mensile di pensione con il cumulo dei contributi avviene tramite il meccanismo “pro-quota”. Ciò significa che ogni gestione previdenziale coinvolta nel cumulo effettuerà il calcolo della propria pensione con le regole vigenti al suo interno. Il calcolo della pensione tiene conto anche del metodo retributivo, misto o contributivo del periodo in cui il contribuente ha effettuato i versamenti. Per questo motivo, anche con il cumulo alcune quote possono essere calcolate con il sistema retributivo per chi rientra in quel sistema previdenziale.

Eccezione delle Casse di previdenza nel calcolo retributivo della pensione

Fa eccezione nella quota di calcolo la gestione relativa alle Casse di previdenza. Infatti, quanto versato alla Cassa previdenziale non può tornare utile per determinare i 18 anni di contribuzione entro il 31 dicembre 1995 ai fini del calcolo retributivo della pensione per versamenti fatti fino al 31 dicembre 2011.

Lavoro dopo pensione: i contributi versati a cosa servono?

I contributi che vengono versati alla cassa pensionistica successivamente alla decorrenza della pensione possono essere sommati alla pensione già liquidata. Questo meccanismo si chiama “supplemento” e viene riconosciuto a chi già prende già la pensione e riprenda a lavorare e a versare contributi verso lo stesso ente previdenziale che ha dato origine alla propria pensione. Tuttavia, il ricalcolo della pensione con l’aggiunta dei nuovi contributi avviene dopo che siano trascorsi 5 anni dalla decorrenza della pensione stessa. In alcuni casi, è possibile abbreviare il ricalcolo al trascorrere dei due anni.

Pensione: come aumenta l’assegno mensile con il supplemento

Il vantaggio del meccanismo del supplemento è quello che i contributi vanno a sommarsi a quelli già versati prima della decorrenza della pensione determinando un aumento dell’assegno mensile. In tal senso il supplemento si configura come incremento della pensione liquidata. È tuttavia necessario che l’interessato presenti domanda per includere la contribuzione relativa ai periodi lavorativi successivi alla pensione. Inoltre, i contributi successivi alla decorrenza del primo supplemento danno il via alla possibilità di richiedere, dopo 5 anni di ulteriori contributi, un nuovo e ulteriore supplemento.

I requisiti per richiedere il supplemento di pensione

La prima condizione per la richiesta del supplemento di pensione è che siano trascorsi 5 anni dalla decorrenza della pensione stessa. Tuttavia, la domanda si può presentare, una sola volta, dopo due anni dalla decorrenza della pensione. La legge richiede come requisito che sia stata compiuta, nel caso di richiesta anticipata, l’età della pensione di vecchiaia attualmente fissata a 67 anni. La domanda di ricalcolo e inclusione dei contributi dopo due anni può avvenire anche successivamente al primo supplemento richiesto dopo 5 anni. Pertanto, il pensionato che continui a lavorare, può richiedere due supplementi di inclusione dei contributi nel giro di 7 anni dalla decorrenza della pensione.

La richiesta anticipata del supplemento di pensione

Ad esempio, un contribuente che sia andato in pensione anticipata a 63 anni, ha convenienza a chiedere il primo supplemento di pensione a 68 anni, data l’impossibilità presentare richiesta dopo due anni se non ha compiuto l’età della pensione di vecchiaia. La seconda richiesta di supplemento può essere fatta all’età di 70 anni.

Come si presenta la domanda di supplemento di pensione?

La domanda di supplemento di pensione deve essere inoltrata esclusivamente in via telematica all’Inps. Il contribuente ha la la possibilità di entrare sul portale dell’Istituto previdenziale con le proprie credenziale e, quindi, di inoltrare la richiesta. In alternativa è possibile avvalersi dei servizi di un patronato o di tutti gli intermediari dell’Inps. Infine, può fare richiesta chiamando il numero verde dell’Inps (803 164 da rete fissa, 06 164 164 da rete mobile).

Di quanto aumenta la pensione con il supplemento?

L’importo risultato dal calcolo dei contributi versati come supplemento va a sommarsi (diventandone parte integrante) alla pensione che il richiedente già percepisce. Ai fini del ricalcolo il supplemento va a incrementare anche la tredicesima mensilità di pensione. Nel caso in cui il titolare di pensione abbia ricevuto l’integrazione al minimo, il supplemento va a coprire l’integrazione stessa. L’aumento della pensione, in questo caso, avviene solo se ne derivi eccedenza, rispetto al minimo, con i nuovi contributi versati.

Come si calcola l’aumento di pensione con il supplemento?

Il ricalcolo della pensione con il supplemento avviene, per le pensioni di anzianità contributive con decorrenza a partire dal 1° gennaio 2012, con il metodo contributivo. Non cambia nulla per le pensioni calcolate prima dell’inizio del 2012 con i meccanismi previdenziali retributivo e misto. La pensione aumentata dal supplemento inizia a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale il contribuente ha presentato domanda.

Supplemento di pensione per gli autonomi della gestione separata

I lavoratori autonomi della gestione separata hanno qualche variazione rispetto ai lavoratori alle dipendenze. Infatti, la prima domanda per il supplemento di pensione deve essere inoltrata dopo due anni di decorrenza della pensione stessa. L’invio dopo due anni è a prescindere che si sia raggiunta o meno l’età necessaria per la pensione di vecchiaia.

Cosa avviene per i liberi professionisti riguardo al supplemento di pensione?

Diverso è il caso di un libero professionista. Infatti, se un pensionato da lavoro alle dipendenze o da lavoro autonomo, dopo la pensione riprende a lavorare come libero professionista, i contributi maturati non potranno essere ricalcolati come “supplemento” della pensione che già percepisce. In questo caso il lavoratore, al compimento dell’età necessaria per la pensione di vecchiaia, potrà fare richiesta di una pensione chiamata “pensione di vecchiaia supplementare”. Questa nuova pensione va ad associarsi alla pensione che il contribuente già percepisce.

L’eccezione della quota 100 nel supplemento di pensione: il divieto di cumulo

Il meccanismo del supplemento di pensione incontra l’eccezione per i contribuenti usciti dal lavoro con quota 100. Per questa misura vige il divieto di cumulo dei redditi da pensione con quelli da lavoro, con determinate eccezioni. Dunque, è escluso che un pensionato con quota 100 possa continuare o iniziare un lavoro alle dipendenze. Il divieto vige anche per un nuovo lavoro autonomo. È permessa l’attività in forma autonoma e a condizione che sia saltuaria e non continuativa, per un reddito lordo annuo massimo di 5 mila euro. Il divieto vige per tutto il periodo di prepensionamento.

Divieto di cumulo per quota 100 e ripresa del lavoro dopo i 67 anni

Pertanto il contribuente deve rispettare il divieto di cumulo dai 62 anni ai 67 anni, età prevista per la pensione di vecchiaia. Solo alla maturazione di quest’ultima il divieto di cumulo cessa, e il contribuente può svolgere attività lavorative autonome o alle dipendenze e chiedere il supplemento di pensione con i consueti requisiti e alle medesime condizioni.

Ricostituzione e supplemento di pensione: quali differenze?

Supplemento e ricostruzioni sono due istituti in base ai quali l’assegno della pensione viene ricalcolato sulla base di contributi non considerati ai fini dell’importo del trattamento stesso. Con il supplemento di pensione si conteggiano i contributi che sono stati versati dopo la decorrenza della pensione. Con la ricostruzione, invece, vengono riconosciuti i contributi già maturati prima di andare in pensione ma non conteggiati.

Cos’è il supplemento di pensione?

Il supplemento si concretizza, dunque, in un aumento della pensione sulla base dei contributi relativi a periodi successivi alla data di decorrenza della pensione stesa. I contributi maturati successivamente alla decorrenza del primo supplemento comportano la liquidazioni di ulteriori supplementi. Pertanto, il supplemento spetta a tutti i pensionati che continuano a lavorare e a versare all’Inps, nelle svariate gestioni, i contributi relativi a periodi lavorativi successivi alla pensione.  I pensionati ex autonomi della Gestione separata possono richiedere il supplemento di pensione solo per i contributi versati, dopo la decorrenza della pensione, nella stessa gestione Inps.

Chi può richiedere il supplemento di pensione?

I pensionati che continuano a lavorare dopo la pensione, appartenenti all’Assicurazione Generale Obbligatoria o alla Gestione lavoratori autonomi, hanno diritto alla liquidazione di un supplemento per gli ulteriori contributi. Tuttavia, si ottiene il supplemento trascorsi cinque anni dalla data di decorrenza della pensione o dal precedente riconoscimento del supplemento. In ogni caso deve essere stata raggiunta l’età per la pensione di vecchiaia di 67 anni, requisito non richiesto per la liquidazione dei supplementi della Gestione separata Inps.

La richiesta anticipata di supplemento di pensione rispetto ai 5 anni

Il pensionato può, una sola volta, chiedere la liquidazione del supplemento, che sia il primo o uno dei successivi, al trascorrere di soli due anni della decorrenza della pensione oppure dalla precedente richiesta di supplemento. In entrambi i casi, l’Inps richiede che sia stata raggiunta l’età della pensione di vecchiaia. La domanda del supplemento anticipato (2 anni), presentata già all’Assicurazione obbligatoria, comporta l’impossibilità di presentare la stessa richiesta alla Gestione separata.

Quanto spetta di supplemento di pensione?

L’importo del supplemento va a integrare il trattamento di pensione, anche ai fini della tredicesima mensilità. Pertanto il supplemento non dà luogo a un’emissione separata rispetto alla pensione normalmente percepita. Il calcolo della quota di supplemento, dal 1° gennaio 2012, avviene con il metodo contributivo. Il supplemento decorre dal primo giorno del mese susseguente a quello nel quale si è presentata la domanda.

Come presentare domanda per il supplemento di pensione?

La domanda per il supplemento di pensione può essere presentata in tre modalità. Nel dettaglio:

  • telematicamente, attraverso il sito internet dell’Inps, accedendo direttamente con le proprie credenziali;
  • attraverso il contact center, ovvero contattando il numero 803 164 gratuito da rete fisso, oppure lo 06 164164 da cellulare, a pagamento a seconda del proprio piano telefonico;
  • tramite i patronati e tutti gli intermediari dell’Inps.

Ricostruzione di pensione, cos’è?

Con l’istituto della ricostruzione di pensione si procede con la variazione dell’importo del trattamento pensionistico già percepito mediante l’accreditamento di contributi versati o dovuti per periodi di lavoro anteriori alla decorrenza originaria della pensione stessa. La ricostruzione della pensione può essere richiesta sia per la contribuzione obbligatoria che per quella figurativa e da riscatto. In tutti e tre i casi, la contribuzione deve essere maturata prima della decorrenza della pensione. Il termine per presentare domanda di ricostruzione della pensione è di tre anni. Trascorso questo periodo la ricostruzione va in prescrizione e la possibilità di avvalersi di questo istituto decade.

Ricostruzione della pensione, per cosa si può fare domanda?

La presentazione della domanda Inps per la ricostruzione della pensione può avvenire per tre motivazioni. Nel dettaglio:

  • per l’accreditamento di contributi non valutati in sede di prima liquidazione della pensione;
  • in caso di esclusione di contributi nella prima liquidazione di pensione;
  • per la modifica del valore retributivo o contributivo già considerato nella prima liquidazione.

Al verificarsi di queste tre motivazioni, l’Inps ricalcola la pensione in base alla normativa vigente al momento della prima decorrenza della pensione.

Domanda di ricostruzione per contributi non calcolati correttamente

In merito al terzo punto, ovvero per la modifica del valore retributivo o contributo già considerato in sede di primo calcolo della pensione, la relativa domanda deve essere presentata, come di consueto, entro 3 anni dal provvedimento di liquidazione della pensione. Se invece i fatti sono “sopravvenuti“, ovvero non vanno a variare gli elementi di calcolo della pensione originaria, non vi è alcuna decadenza. Solo gli eventuali arretrati sono corrisposti nel termine di prescrizione fissato in 5 anni.

Da quando decorre la ricostruzione della pensione?

La decorrenza della ricostruzione della pensione avviene dalla decorrenza originaria del trattamento pensionistico mediante applicazione di coefficienti di perequazione. Con questo istituto, dunque, si procedere ad accertare tutti i requisiti e a ricalcolare la pensione come se si trattasse di una nuova liquidazione. Per i ratei di pensione maturati dopo il 6 luglio 2011, la prescrizione è quinquennale. Pertanto, il limite temporale per il ricalcolo della pensione è quello del 7 luglio 2016.

Come si presenta domanda di ricostruzione della pensione?

La domanda di ricostruzione della pensione si presenta nelle stesse modalità dell’istituto del supplemento di pensione. Pertanto, il pensionato può inoltrare domanda:

  • dal sito Inps attraverso l’apposita sezione e previo accesso con le credenziali;
  • attraverso il contact center dell’Inps ai consueti numeri;
  • tramite i patronati e gli intermediari dell’Istituto previdenziali.

Pensione e metodi di calcolo: guida al sistema contributivo

Le pensioni dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio del 1996 sono calcolate con il metodo contributivo puro. Rispetto al meccanismo retributivo e al misto, si tratta pertanto dei lavoratori che non hanno alcuna anzianità contributiva fino al 31 dicembre del 1995. E, rispetto agli altri due sistemi previdenziali, per il calcolo della pensione con il metodo contributivo puro si prendono le contribuzioni versate e accreditate nel corso di tutta la vita lavorativa.

Pensioni con il metodo contributivo più basse del retributivo

Di conseguenza, le pensioni calcolate con il metodo contributivo sono meno generose rispetto a quelle calcolate con il retributivo. Anche il sistema misto è meno vantaggioso rispetto al retributivo proprio per la quota di contributi (la C) rientrante nel metodo di calcolo del contributivo. Essendo, per l’appunto, “mista”, tuttavia beneficia dei vantaggi del retributivo nel calcolo delle restanti quote, la A e la B. La caratteristica del sistema contributivo è pertanto che questo meccanismo fotografa esattamente quanto versato durante gli anni lavorativi.

Il montante contributivo

Per i lavoratori dipendenti, l’importo del montante dei contributi si calcola con il 33% delle retribuzioni ottenute. Per gli autonomi e le partite Iva, invece, la percentuale è più bassa. Infatti, i professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche versano il 25,98% nel 2021; i professionisti o collaboratori titolari di pensione o altra tutela pensionistica obbligatoria il 24%. Pagano più del 33% i collaboratori e figure assimilate senza altre forme pensionistiche obbligatorie e con contribuzione aggiuntiva Dis Coll (34,23%) e gli stessi senza contribuzione aggiuntiva Dis Coll (33,72%).

La rivalutazione dei contributi per il calcolo delle pensioni

I contributi versati annualmente durante la vita lavorativa vanno a formare il montante contributivo. Tale montante va rivalutato sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media sui 5 anni del Prodotto interno lordo (Pil) nominale, che l’Istat provvede a calcolare, prendendo a riferimento il quinquennio precedente l’anno da rivalutare. Fanno eccezione sia i contributi relativi alle retribuzioni percepite nell’anno di decorrenza della pensione che quelli dell’anno precedente: entrambi gli anni non vengono rivalutati.

Come si calcolano le pensioni con il metodo contributivo?

Per il calcolo della pensione, dunque, il montante contributivo ottenuto, opportunamente rivalutato secondo le regole appena esposte, va moltiplicato per i coefficienti di trasformazione. Si tratta di indici, aggiornati ogni biennio e che dipendono dall’età di uscita per andare in pensione e dalla speranza di vita, che trasformano il montante contributivo (la cosiddetta “quota C“) in pensione.

I coefficienti di trasformazioni per il calcolo della pensione

I coefficienti di trasformazione, dunque, sono indici che determinano quale sarà l’importo della pensione in base ai contributi versati. Detti coefficienti variano a seconda dell’età di uscita per andare in pensione: più è bassa l’età (ovvero più si anticipa rispetto alla pensione di vecchiaia dei 67 anni) e più sono alti. Di conseguenza, il sistema dei coefficienti di trasformazione penalizza i lavoratori che anticipano l’uscita sia per i minori anni di contributi versati che per l’applicazione di indici inferiori. Per entrambi i motivi l’importo della pensione, a parità di anni di contributi versati, risulta inferiore. Viceversa, più il lavoratore rimanda l’uscita per la pensione e maggiore risulta essere l’indice mediante il quale si moltiplica il suo montante.

Il massimale del sistema contributivo

I lavoratori ricadenti nel sistema contributivo puro versano i contributi fino a un importo massimo delle retribuzioni. Per il 2021 il massimale è fissato a 103.055 euro. L’importo rappresenta un tetto al versamento dei contributi per le retribuzioni che superano i 103.055 euro. Chi percepisce retribuzioni annue più alte, dunque, non paga i contributi sulla parte eccedente. Il massimale contributivo, tuttavia, non si applica per i lavoratori che abbiano contributi entro il 31 dicembre 1995.

Assegno di pensione con il sistema contributivo

I lavoratori appartenenti al sistema contributivo puro accedono alla pensione con gli stessi requisiti previsti per la generalità dei lavoratori. Per la pensione di vecchiaia è necessario raggiungere l’età di 67 anni e aver versato contributi per almeno 20 anni. Ulteriore requisito per andare in pensione di vecchiaia è proprio l’importo della pensione. Infatti, la prima rata pensionistica deve essere di almeno 1,5 volte superiore al valore dell’assegno sociale.

Cosa succede se non si raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia nel contributivo?

Se il contribuente di 67 anni in procinto di andare in pensione di vecchiaia non raggiunge l’importo soglia sopra indicato (dunque la prima rata risulta più bassa di 1,5 volte l’assegno sociale) oppure gli anni di contributi sono inferiori ai 20 richiesti, l’assegno pensionistico slitta. In particolare, occorre attendere la pensione di vecchiaia a 71 anni di età, in presenza di almeno 5 anni di contributi effettivi.

Pensioni con il contributivo, requisiti di uscita

I requisiti anagrafici della pensione di vecchiaia e quello dei 71 anni di età sono soggetti a variazione. In particolare, sull’età incide la speranza di vita calcolata sulla popolazione dai 65 anni in su. Il prossimo adeguamento avverrà nel 2023 e sarà valido fino al 31 dicembre 2024.

La pensione di vecchiaia del contributivo si può adeguare al minimo?

Ulteriore differenza della pensione che spetta con il sistema contributivo puro riguarda il trattamento minimo. Infatti, la pensione calcolata con il metodo contributivo non può essere adeguata al trattamento minimo come avviene per altri meccanismi previdenziali. Pertanto, la rata di pensione di un lavoratore del contributivo corrisponde esattamente all’importo risultante dal calcolo illustrato in precedenza.

Pensione anticipata nel sistema contributivo

Per i lavoratori appartenenti al sistema contributivo puro c’è una specifica formula di pensione anticipata. Infatti è prevista l’uscita a 64 anni di età unitamente a 20 anni di contributi rispetto ai 67 richiesti per la pensione di vecchiaia. La condizione essenziale per agganciare questa formula anticipata di uscita è che la prima rata di pensione deve essere almeno 2,8 volto superiore all’importo dell’assegno sociale.

Pensioni anticipate: ecco quali sono gli strumenti per lasciare il lavoro prima

Quali sono gli strumenti di pensione anticipata per andare via prima dal lavoro? È importante identificare i meccanismi previdenziali conoscendo, innanzitutto, l’età prevista per la pensione di vecchiaia ordinaria, attualmente fissata a 60 anni di età unitamente ad almeno 20 anni di contributi. Gli strumenti di pensione anticipata consentono di abbreviare l’uscita lavorativa rispetto, proprio, a questo limite di età. Nel dettaglio, rientrano tra gli strumenti di anticipo previdenziali la quota 100, l’opzione donna, l’anticipo pensionistico (Ape) sociale, la quota 41 dei lavoratori precoci e alcuni altri.

Pensione anticipata dei soli contributi: quanti ne servono per uscire?

La prima formula di uscita prima è la pensione anticipata dei soli contributi. Si esce a qualsiasi età purché i lavoratori maturino almeno 42 anni e 10 mesi di contributi. Per le donne è previsto lo sconto di un anno sui contributi (36 anni e 10 mesi). I requisiti contributivi resteranno in vigore senza variazione fino al 2026.

Pensione anticipata con quota 100, ma la scadenza dei requisiti è per il 31 dicembre 2021

Una delle ultime in ordine di tempo tra le misure di pensione anticipata e, molto probabilmente destinata a durare fino al 31 dicembre, è la quota 100. Ciò significa che i requisiti richiesti – l’età minima di 62 anni e almeno 38 anni di contributi versati – devono essere maturati entro la fine di quest’anno. Chi rientra nelle possibilità di uscita con la quota 100 può decidere di andare in pensione anche successivamente: con il diritto cristallizzato nel 2021, è possibile posticipare l’uscita effettiva da lavoro anche nel corso del 2022 o successivamente.

Con l’anticipo pensionistico Ape sociale uscita dai 63 anni

Più articolata, e con maggiori requisiti richiesti, è la pensione con Anticipo pensionistico (Ape) sociale. Introdotta nel 2017 insieme all’Ape volontaria, la versione sociale dell’anticipo permette di andare in pensione a partire dai 63 anni di età unitamente a 30 o a 36 anni di contributi, a seconda della situazione socio-economica nella quale rientra il richiedente. La misura riguarda tanto i lavoratori dipendenti (sia statali che del settore privato) che i lavoratori autonomi, a esclusione dei professionisti iscritti alle Casse previdenziali.

Requisiti pensione Ape sociale: uscita dei disoccupati

La pensione Ape sociale è stata introdotta per andare incontro a  determinate situazioni di disagio socio-economico dei lavoratori. La prima categoria tutelata è quella dei disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento. Sono necessari almeno 30 anni di contributi previdenziali versati. Con lo stesso numero di anni di contributi escono i caregiver, ovvero i contribuenti che assistano, da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente convivente entro il primo grave che si trovi in situazione di handicap grave o di non autosufficienza.

Ape sociale, la pensione per gli invalidi e per addetti ad attività gravose

Sono richiesti 30 anni di contributi anche agli invalidi con una percentuale di almeno il 74% per andare in pensione con l’Ape sociale. Il requisito contributivo sale a 36 anni per gli addetti ad attività gravose o a lavori usuranti. In particolare, sono 15 le categorie riconosciute come gravose. Il meccanismo, inoltre, richiede lo svolgimento del lavoro gravoso per almeno 6 degli ultimi 7 anni o per 7 degli ultimi 10.

Pensione anticipata per i lavoratori precoci: la quota 41

Anche per tutto il 2021, in attesa della legge di Bilancio 2022, è stata confermata la pensione anticipata dei lavoratori precoci con la quota 41. Il meccanismo previdenziale è stato introdotto nel 2017 a favore dei lavoratori che abbiano iniziato a lavorare in età adolescenziale. Infatti, nei 41 anni di contributi deve rientrare un anno di contributi versato entro i 19 anni di età. I lavoratori che possono ricorrere alla quota 41 sono i dipendenti del settore privato, gli iscritti alla Gestione separata Inps e gli aderenti alle forme sostitutive ed esclusive dell’Assicurazione generale obbligatoria (Ago).

Pensione precoci: i requisiti comuni con l’Ape sociale

Oltre ai 41 anni di contributi, chi presenta domanda di uscita pensionistica (a qualsiasi età) con la quota 41 deve rientrare nelle stesse situazioni di disagio economico e sociale dell’Ape sociale. Pertanto, è da dimostrare la situazione di disoccupazione, di assistenza a persona non autosufficiente, di riduzione della capacità lavorativa almeno del 74% o di svolgimento di attività usuranti o gravose, con lo stesso numero di anni continuativi di lavoro prima della pensione previsti per l’Ape sociale.

Pensione anticipata per le lavoratrici: opzione donna

Fino al 31 dicembre 2021, in attesa della proroga, sarà in vigore la pensione anticipata con opzione donna. La misura consente alle lavoratrici di 58 anni di età (59 per le autonome) di anticipare la pensione con 35 anni di contributi versati. La condizione essenziale per le donne che presentino richiesta per l’opzione donna è accettare il ricalcolo dell’assegno di pensione interamente con il meccanismo contributivo. Il ricalcolo comporta un taglio del futuro assegno di pensione tra il 20 e il 30%, per sempre.

Pensioni anticipate, con il contratto di espansione uscita dai 62 anni

Introdotto nel 2019, il contratto di espansione consente di anticipare la pensione di vecchiaia a 62 anni rispetto ai 67 anni previsti. Oppure, se l’obiettivo è anticipare rispetto alla pensione anticipata dei soli contributi, lo sconto di 5 anni è sui versamenti. Infatti, gli uomini escono con 37 anni e 10 mesi di contributi, le donne con 36 anni e 10 mesi. Ma per questa formula è necessario che il datore di lavoro trovi l’accordo con i sindacati da siglare per ricorrere all’esodo volontario dei dipendenti.

Chi può accedere al contratto di espansione?

L’anticipo di 5 anni sulla pensione con il contratto di espansione è consentito ai lavoratori che lavorino in realtà aziendali con almeno 100 unità lavorative. Il requisito dimensionale è stato abbassato nel corso del 2021 dal decreto “Sostegni bis”: la legge di Bilancio 2021, infatti, aveva abbassato il tetto a 250 addetti. Per ottenere maggiori benefici, anche per l’indennità Naspi che accompagna i lavoratori alla pensione (fino a 3 anni), le aziende devono procedere al ricambio generazionale e alla ristrutturazione del personale mediante nuove assunzioni. La misura sicuramente verrà confermata anche nel prossimo anno con la legge di Bilancio 2022.

Con l’isopensione si va in pensione in anticipo fino a 7 anni

Si può beneficiare dell’uscita anticipata fino a 7 anni con l’isopensione. Il meccanismo, già in vigore con la riforma delle pensioni di Elsa Fornero, consente ai lavoratori del settore privato impiegati in imprese di almeno 15 dipendenti, di usufruire di uno scivolo già dai 60 anni di età con oneri interamente a carico dell’azienda. Il periodo di prepensionamento, dunque, dura fino a 7 anni, in attesa della pensione di vecchiaia. È proprio durante questi anni che il datore di lavoro si impegna a versare l’indennità al lavoratore. Tale indennità corrisponde alla pensione maturata fino al momento dell’uscita con l’esodo. I sette anni di anticipo saranno in vigore fino al 2024, poi si tornerà a un limite di anticipo di 4 anni.

Pensione quota 41: perché non spetta con assegno ordinario di invalidità?

Può un contribuente con pensione di invalidità ordinaria (AIO) presentare domanda per la quota 41 dei lavoratori precoci? La risposta è negativa, innanzitutto perché la legge non lo consente. In secondo luogo, nel campo delle ipotesi, sarebbe necessario analizzare anche l’opportunità del passaggio dall’AIO alla pensione dei precoci.

Per chi ha l’assegno di invalidità ordinario niente domanda di pensione con quota 41

La domanda potrebbe interessare i contribuenti che abbiano intorno ai quattro decenni di versamenti e un’invalidità, ad esempio, dell’80% che permette già di avere la prestazione di invalidità. Le pensioni anticipate con la quota 41 dei precoci sono incompatibili con gli assegni di invalidità ordinari perché i due trattamenti sono alternativi. E, dunque, il contribuente, finché percepisce l’assegno di invalidità ordinario non potrà presentare domanda della prestazione prevista per i precoci con 41 anni di contributi.

Pensione di invalidità e quota 41 precoci: quali differenze?

La natura delle due prestazioni pensionistiche è, inoltre, diversa. L’assegno ordinario di invalidità rappresenta una prestazione economica pur sempre calcolata sui contributi versati e, dunque, sottostante alle medesime regole ai fini della misura. Tuttavia l’invalidità è regolata da requisiti sottoposti ad accertamenti dopo la presentazione della domanda che solo in parte potrebbero soddisfare quelli della pensione con quota 41.

Requisiti richiesti dall’Inps per la domanda di assegno di invalidità ordinario

Pur non essendo prevista la cessazione dell’attività lavorativa, chi presenta domanda di pensione di invalidità deve aver subito la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo a causa dell’infermità fisica o mentale. Inoltre, per ottenere l’assegno di invalidità, è necessaria una contribuzione di almeno 260 settimane, pari a 5 anni di contribuzione e di assicurazione, delle quali 156 settimane, pari a 3 anni di contribuzione e di assicurazione, devono rientrare nei cinque anni che precedono la data di presentazione della domanda.

Riduzione della capacità lavorativa nell’invalidità e nella pensione con quota 41

Un punto importante da tener presente sia nell’assegno di invalidità che nella pensione con quota 41 è la riduzione della capacità lavorativa. Infatti, mentre l’Inps per la domanda di invalidità parla di una riduzione a “meno di un terzo della capacità lavorativa”, per la quota 41 dei precoci la riduzione accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile deve essere superiore o per lo meno uguale al 74%.

Quando la ridotta capacità lavorativa va bene per l’invalidità ma non per la quota 41?

C’è una zona grigia nella quale l’invalidità dell’una non è sufficiente per i requisiti richiesti dall’altra misura di pensione. Ciò significa che una ridotta capacità lavorativa al 30% soddisferebbe il requisito per la pensione di invalidità ma non quello della quota 41 dei precoci. È facile intuire che per quest’ultima misura la ridotta capacità al 30% rappresenterebbe una condizione non sufficiente (una delle quattro situazioni nelle quali può trovarsi un lavoratore per chiedere la quota 41 insieme alla condizione di disoccupazione, all’assistenza di persone non autosufficienti o allo svolgimento di mansioni usuranti o gravose) per presentare la domanda.

I requisiti dei contributi richiesti per le pensioni con quota 41

È altrettanto vero che la pensione con la quota 41 richiede ulteriori requisiti per la presentazione della domanda. In merito al versamento dei 41 anni di contributi, infatti, la legge richiede che almeno 12 mesi siano stati versati, anche in maniera non continuativa, prima dei 19 anni di età del contribuente. Pertanto, l’ipotetica richiesta del passaggio dall’assegno di invalidità alla pensione con quota 41 necessiterebbe di una verifica:

  • sia del montante dei contributi versati, con traguardo dei 41 anni di versamenti a qualsiasi età venga raggiunto;
  • che dell’inizio della prima attività lavorativa in età adolescenziale.

Trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia a 67 anni

Tornando nel campo di applicazione delle norme previdenziali, chi percepisce una pensione di invalidità ordinaria deve aspettare la maturazione della pensione di vecchiaia per vedersi trasformato l’assegno di invalidità in, appunto, pensione di vecchiaia. Questo passaggio avviene al compimento dei 67 anni di età. Pertanto, il contribuente già titolare di assegno di invalidità definitivo ha come obiettivo del suo trattamento solo quello della trasformazione in pensione di vecchiaia. Risulta pertanto incompatibile il passaggio a una formula di pensione anticipata come la quota 41 dei precoci.

 

Pensione 2022: senza una riforma quali modi restano per accedere?

Quali saranno le alternative per andare in pensione nel 2022 in assenza di una riforma e nell’anno della fine della sperimentazione della quota 100? Ecco dunque la descrizione di quelli che sono, ad oggi, le possibilità di uscita del prossimo anno. Oltre alla pensione di vecchiaia, i lavoratori prossimi alla pensione potranno scegliere tra le alternative della pensione anticipata, Ape sociale, quota 41 dei lavoratori precoci, isopensione, opzione donna e contratto di espansione.

Pensione di vecchiaia, i requisiti di uscita del 2022

La classica formula di pensione, quella di vecchiaia, anche nel 2022 manterrà inalterati i requisiti di uscita. Per andare in pensione anche l’anno prossimo servirà l’età anagrafica di 67 anni unitamente ad almeno 20 anni di contributi, sommati anche presso più gestioni previdenziali, Inps e Casse professionali. Quest’ultimo passaggio è possibile grazie a una delle misure adottate negli ultimi anni, ovvero il cumulo contributivo. La pensione di vecchiaia assicura una prestazione della quale beneficiano tutti i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), agli aderenti alla Gestione separata Inps e ai lavoratori aderenti ai fondi pensione esclusivi e sostitutivi dell’Assicurazione generale obbligatoria.

Pensione anticipata, anche nel prossimo anno requisiti contributivi invariati

Per chi ha un alto numero di anni di contributi avendo iniziato a lavorare in giovane età, è possibile sperare nella pensione anticipata. Anche per il 2022 i requisiti contributivi rimarranno invariati (e lo saranno fino al 2026). Per l’uscita anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Non vi è differenza tra lavoratori dipendenti del settore privato o pubblico e nemmeno per gli autonomi.

Quota 100 nel 2022 solo per chi matura il diritto di pensione entro il 31 dicembre 2021

La quota 100 terminerà la sperimentazione triennale al 31 dicembre 2021. Tuttavia,  i contribuenti che abbiano maturato o matureranno i requisiti entro la fine di quest’anno potranno scegliere di uscire nel 2022 o anche negli anni successivi. Occorre, dunque, maturare l’età minima di 62 anni entro il 31 dicembre prossimo unitamente ad almeno 38 anni di contributi. La possibilità di differire l’uscita anche nel 2022 dipende dal fatto che il diritto al pensionamento anticipato con quota 100 rimane “cristallizzato”.

Quota 100, diritto cristallizzato, ma valgono le finestre mobili di 3 o 6 mesi

Conta dunque il momento in cui si maturano i requisiti della misura. Invariato rimane, invece, il meccanismo delle finestre mobili. L’introduzione della misura nel 2019 ha previsto una finestra di 3 mesi per i lavoratori del settore privato e di 6 mesi per quelli del pubblico. Ciò significa che dal momento in cui si può inoltrare la domanda di pensione a quello in cui effettivamente si inizia a ricevere l’assegno mensile passano 3 o 6 mesi.

Ape sociale, uscita per la pensione dai 63 anni ma attenzione ai requisiti richiesti

Verrà confermato ancora l’anticipo pensionistico Ape sociale, la misura di pensione anticipata che consente ai lavoratori di uscire a partire dai 63 anni. Tuttavia, è necessario prestare attenzione ai requisiti richiesti. La misura, fin dall’inizio, è stata ideata per andare incontro a determinate categorie di lavoratori in condizioni disagiate dal punto di vista economico e sociale. E, pertanto, è necessario rientrare tra i disoccupati, tra gli inabili con almeno il 74% per invalidità o tra i caregivers, ovvero tra coloro che si occupano dell’assistenza di un familiare in condizione di disabilità. Gli anni di contributi minimi sono 30 o 36 a seconda delle condizioni individuali.

Pensioni, l’Ape sociale potrebbe essere potenziata

Proprio la pensione Ape sociale è una delle misure deputate a essere potenziate per il 2022. In particolare, l’uscita a 63 anni per le persone in condizioni lavorative di disagio potrebbe riguardare più categorie rispetto a quelle attuali dei lavoratori impiegati in attività usuranti. Attualmente, le categorie previste sono in numero di 15 e vi rientrano, a titolo di esempio, gli infermieri per la sanità e le maestre e gli educatori per la scuola. Tuttavia, una delle due Commissioni istituite dall’allora ministro del lavoro Nunzia Catalfo, potrebbe procedere a includere nuove categorie lavorative tra gli usuranti, mansioni precedentemente escluse.

Precoci con quota 41, la pensione è una corsa a ostacoli tra i requisiti

Non è una ‘quota 41 per tutti‘ la misura di pensione anticipata prevista dalla normativa attuale per i precoci. Si tratta, piuttosto, di una misura che implica il possesso di specifici requisiti per lasciare prima il lavoro. Innanzitutto occorrono 41 anni di contributi previdenziali, dei quali almeno uno versato prima dei 19 anni. Nel raggiungimento dei requisiti sono validi anche i periodi di lavoro all’estero riscattati e i periodi riscattati per omissioni contributive.

Pensioni precoci, come si calcolano i contributi per la quota 41?

Inoltre, i 41 anni di contributi possono essere stati versati anche in maniera non continuativa, ma è necessario (e anche matematico) che i lavoratori precoci debbano avere l’anzianità contributiva anche prima del 1996. Infine, per andare in pensione è necessario rientrare in una delle categorie tutelate dall’Ape sociale (disoccupazione, caregivers, disabilità). La maturazione di tutti i requisiti permette al contribuente di uscire indipendentemente dall’età anagrafica.

Con l’isopensione si può andare in pensione fino a 7 anni prima

Tra le possibilità di andare in pensione prima dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia c’è l’isopensione. Si tratta di una formula di prepensionamento che può essere attivata dai datori di lavoro, con costi unicamente a carico dell’azienda. Il risparmio in anni di uscita da lavoro arriva fino a 7 per gli esodi collocati entro la fine di novembre del 2023 (dal 2024 l’isopensione si potrà fare per un massimo di 4 anni di anticipo). Dunque con l’isopensione si può uscire anche a 60 anni, ma è necessario l’accordo sindacale per favorire l’uscita dei lavoratori aziendali.

Come viene calcolato l’assegno di pensione con l’isopensione?

Con l’isopensione, l’azienda riconosce al lavoratore in uscita un assegno dello stesso importo della pensione maturata fino al momento dell’uscita. Inoltre, il datore di lavoro assicura anche una contribuzione previdenziale piena calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi due anni di lavoro. Nel periodo di isopensione, quindi fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, è possibile svolgere qualsiasi lavoro da dipendente o da autonomo. Cosa che non è possibile nel periodo di anticipo con la quota 100: è possibile cumulare la pensione con redditi da lavoro purché siano occasionali, non alle dipendenze e dal valore lordo massimo di 5.000 euro annuali.

Pensioni con opzione donna, uscita dai 58 anni anche nel 2022

La misura di pensione anticipata per le lavoratrici nota come “Opzione donna” è stata confermata per tutto il 2021 dalla scorsa legge di Bilancio. Per il 2022 la misura potrebbe registrare una ulteriore proroga. Anzi, è possibile che l’Opzione donna diventi proprio strutturale, almeno da quanto trapela sulle intenzioni del governo Draghi. In ogni modo, i requisiti richiesti sono l’età di 58 anni per le lavoratrici alle dipendenze e 59 per le autonome. Inoltre, sono necessari 35 anni di contributi. Tuttavia, in tema di futuro assegno mensile, è necessario che le lavoratrici accettino il ricalcolo al 100% della pensione con il meccanismo contributivo. Ciò comporta un taglio che, mediamente, si attesta tra il 20 e il 30% e dura per tutta la vita da pensionate.

Pensione anticipata, le possibilità del contratto di espansione

Infine, tra le misure che consentiranno ai lavoratori di andare in pensione anticipata nel 2022 ci sarà anche il contratto di espansione. La formula prevede il prepensionamento con 5 anni di anticipo, sia che si punti a uscire prima rispetto alla pensione di vecchiaia (62 anni anziché 67 anni), sia che l’obiettivo diventi quello di anticipare cinque anni di contributi rispetto alla pensione anticipata. Il meccanismo, dunque, permettere ai lavoratori di andare in pensione con 37 anni e 10 mesi di contributi. Rimane in vigore l’anno di sconto per le donne (36 anni e 10 mesi di contributi).

Contratto di espansione, cosa serve per andare in pensione 5 anni prima?

Il contratto di espansione, già in vigore dal 2019, ha visto nel tempo modificare i requisiti di uscita, soprattutto quelli riguardanti l’azienda datrice di lavoro. Inizialmente potevano accedere alla misura le aziende con almeno 1.000 unità lavorative. Con la legge di Bilancio 2021, il requisito dimensionale minimo è stato abbassato a 250 unità lavorativa, ulteriormente ridotto a 100 unità con il decreto Sostegni bis di Mario Draghi. Serve l’adesione volontaria del lavoratore, l’accordo sindacale e la presentazione della lista dei lavoratori in uscita con la misura all’Inps.

Rendita vitalizia dei contributi prescritti: quando è possibile il riscatto?

Per un lavoratore, i periodi non coperti o con insufficienti contributi previdenziali rappresentano un danno per la sua futura pensione. La legge permette di rimediare, anche nel momento in cui il termine di prescrizione sia scaduto. Si tratta della rendita vitalizia, lo strumento mediante il quale si possono riscattare in modo oneroso i periodi non coperti o carenti di contributi previdenziali. Il riscatto può avvenire da parte del datore di lavoro o, in mancanza, per iniziativa del lavoratore stesso.

Circolare Inps numero 78 del 29 maggio 2019

Sulla questione è intervenuta recentemente l’Inps con la circolare numero 78 del 29 maggio 2019. Nel documento l’Istituto di previdenza elenca i dettagli procedurali per la presentazione della domanda e l’indicazione dei mezzi di prova che supportano la richiesta. La prova documentale dell’esistenza del rapporto di lavoro, la data certa, l’esistenza certa, le dichiarazioni ora per allora e quelle dalla Pubblica amministrazione, le attestazioni del sindaco sono altresì precisate nella medesima circolare. Tuttavia, l’istituto del riscatto dei contributi omessi risale già all’articolo 13 della legge numero 1338 del 1962.

La legge 1338 del 1962 sulla costituzione della rendita vitalizia

Secondo la legge, infatti, “il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria di invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del regio decreto legge 4 ottobre 1935, numero 1827, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”.

Rendita dei contributi prescritti, effetto immediato sulla pensione

La stessa legge specifica che la rendita dei contributi prescritti integra con effetto immediato la pensione già in essere. In caso contrario, i contributi sono valutati ai fini dell’assicurazione obbligatoria prevista per la pensione di invalidità, per la vecchiaia e a favore dei superstiti.

Contributi prescritti, quando il pagamento spetta al datore di lavoro

Il datore di lavoro può esercitare la facoltà del versamento dei contributi prescritti esibendo all’Inps i documenti di data certa, dai quali si evince l’effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro. Deve risultare, inoltre, anche la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore stesso.

Quando i contributi prescritti devono essere versati dal lavoratore?

I contributi prescritti possono essere versati dal lavoratore nel momento in cui non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita. In questo caso, il lavoratore si sostituisce al datore di lavoro, salvo il diritto del risarcimento del danno. Ricade sul lavoratore stesso l’onere di fornire all’Inps le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione. Tra i soggetti interessati alla costituzione della rendita vitalizia rientrano anche i superstiti del lavoratore.

Quando può essere presentata la domanda all’Inps dei contributi prescritti?

La domanda dei contributi prescritti può essere presentata all’Inps senza limiti temporali, anche dopo il verificarsi del pagamento di un trattamento di pensione. È inoltre ammessa la domanda per omissioni parziali, nel caso in cui sia stata versata una contribuzione parziale rispetto alle retribuzioni che sono state percepite effettivamente. Infine, si può presentare domanda dei contributi prescritti anche per coprire parzialmente il periodo durante il quale si sia verificata omissione contributiva. Ad esempio, il riscatto può avvenire solo per le settimane necessarie per perfezionare i requisiti della pensione.

Chi sono i destinatari del riscatto o della costituzione della rendita vitalizia?

La circolare Inps 78 del 29 maggio 2019 riporta compiutamente i destinatari dello strumento del riscatto dei contributi omessi, ovvero gli interessati alla costituzione della rendita vitalizia. Infatti, figurano:

  • i lavoratori di un rapporto di lavoro subordinato;
  • i familiari coadiuvanti e coadiutori di chi è titolare di impresa artigiana o commerciale;
  • i collaboratori del nucleo diretto coltivatore diversi dal titolare e collaboratori dei nuclei colonici e mezzadrili;
  • i lavoratori che, essendo soggetti al regime assicurativo della gestione separata, non siano obbligati al versamento diretto della contribuzione, essendo la propria quota trattenuta dal committente o associante e versata direttamente da quest’ultimo;
  • gli iscritti alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate.

Prescrizione dei contributi, quale attesa?

Il presupposto per attivare l’istituto del riscatto dei contributi omessi è che i contributi stessi siano caduti in prescrizione. Ciò avviene al trascorrere di cinque anni se la domanda viene presentata dal datore di lavoro e di dieci anni se è invece il lavoratore stesso a farne denuncia all’Inps.

Quanto si paga per riscattare i contributi omessi nel sistema retributivo?

Se i periodi per i quali si richiede il riscatto dei contributi omessi rientrano nel meccanismo retributivo, il costo viene calcolato in termini di “riserva matematica”. Ciò significa che si effettua il differenziale annuo tra la pensione con il riscatto dei contributi e quella senza il riscatto. Il risultato va moltiplicato per il coefficiente inerente al sesso, all’età e all’anzianità contributiva.

Costo del riscatto dei contributi omessi nel sistema contributivo

Diverso è il calcolo del riscatto di periodi di contributi omessi rientranti nel sistema contributivo. In questo meccanismo rientrano i lavoratori:

  • che abbiano iniziato a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996 e con meno di 18 anni di contribuzione prima del 1996;
  • i periodi dal 2012 in poi per contribuenti che abbiano almeno 18 anni di contributi versati prima del 1996.

Per queste categorie di contribuenti il costo è quantificato applicando l’aliquota contributiva in vigore nel momento in cui si presenta domanda alla retribuzione percepita nei 12 mesi precedenti la domanda stessa. Si tratta di un sistema simile, dunque, al riscatto della laurea per chi non può beneficiare del sistema agevolato dell’articolo 4 del 2019.

Costo riscatto contributi iscritti alla Gestione separata Inps, artigiani e commercianti

Per i contribuenti iscritti alla Gestione separata Inps il costo del riscatto di periodi di omessa contribuzione fa riferimento al valore medio mensile dei compensi assoggettati alla contribuzione obbligatoria degli ultimi dodici mesi precedenti la domanda stessa. Non è stato ancora chiarito, invece, quale sia il reddito sul quale debbano far riferimento gli artigiani e i commercianti per il riscatto dei periodi non coperti.

Neutralizzare contributi dannosi per la pensione: come funziona?

La riduzione dello stipendo, il ricorso alla cassa integrazione e i periodi di disoccupazione possono ridurre i contributi previdenziali. Come conseguenza, ne potrebbe risentire l’importo della futura pensione, ma è possibile neutralizzare i contributi svantaggiosi. Focus, dunque, sui contributi, l’elemento principale nel calcolo della pensione. Alcuni periodi contributivi infatti sarebbe meglio escluderli dal calcolo della pensione, come ad esemio i contributi figurativi.

Chi rischia l’assegno di pensione ridotto per i ‘contributi dannosi’?

La neutralizzazione dei contributi dannosi per la pensione futura riguarda, in primo luogo, i lavoratori che rientrano nel sistema previdenziale retributivo. La medesima situazione, invece, non si verifica se il lavoratore ricade nel mecacnismo previdenziale contributivo, con inizio di contribuzione a partire dal 1° gennaio 1996. La motivazione risiede proprio nel calcolo della pensione. Per il contribuente del regime retributivo, infatti, incidono principalmente gli stipendi percepiti negli ultimi cinque o dieci anni di lavoro.

Futura pensione in diminuzione per chi perde il lavoro prima dell’uscita

Ciò equivale a dire che, negli anni precedenti l’uscita da lavoro per la pensione, i contribuenti del sistema retributivo, in corrispondenza di stipendi più bassi, si vedrebbero calcolata la futura pensione sulla base di salari in diminuzione, anziché in aumento. Questa relazione è tanto vera quanto più penalizzante risulta per i lavoratori che perdono il proprio lavoro e percepiscono l’assegno di disoccupazione. A fronte di retribuzioni ridotte corrisponderà una pensione futura in diminuzione.

Contributi dannosi per il calcolo della pensione futura: i riferimenti normativi

I passaggi normativi rigurdanti la disciplina della neutralizzazione dei contributi “dannosi” ha radici molto indietro nel tempo. Inizialmente la questione è stata affrontata dall’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica numero 818 del 26 aprile 1957. Infatti, nell’articolo si fa riferimento ai periodi da escludere in modo che non concorrano al calcolo della pensione nel quinquennio di riferimento, ovvero i periodi di:

  1. assenza facoltativa dal lavoro;
  2. lavoro subordinato all’estero;
  3. servizio militare;
  4. malatttia.

La sterilizzazione dei contributi penalizzanti

I successivi provvedimenti legislativi con la legge numero 297 del 1982 e il decreto legislatio numero 503 del 1992, nonché gli interventi della Corte costituzionale, sono andati nella direzione del riconoscere ai lavoratori, anche autonomi, la facoltà di sterilizzare gli eventuali contributi penalizzanti. In tal senso, è possibile non farli rientrere nel calcolo della futura pensione purché vengano accreditati una volta maturato il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata o per quella di vecchiaia.

Quali contributi si possono neutralizzare e in quali limiti?

Fatta la premessa del momento in cui si può attivare la sterilizzazione dei contributi penalizzanti, la legge riconoscere il meccanismo per un massimo di 260 settimane di contributi. Il limite fa riferimento ai periodi:

  • di rioccupazione con uno stipendio inferiore a qello che si percepita prima;
  • alla disoccupazione indennizzata.

Non vi sono limiti, invece, per la neutralizzazione dei seguenti contributi:

  • quelli riguardanti periodi figurativi di integrazione dello stipendio;
  • i periodi di contribuzione volontaria.

Domanda di neutralizzazione dei contributi penalizzanti

Spetta al lavoratore l’iniziativa di fare richiesta di neutralizzazione dei contributi penalizzanti. In particolare, la richiesta deve essere presentata all’Inps nel caso in cui il lavoratore ravvisi una decurtazione della pensione. In particolare, una volta raggiunti i requisiti della pensione di vecchiaia o della pensione anticipata, l’eventuale ed ulteriore montante di contributi accreditato può essere neutralizzato se dal calcolo dell’accredito risulti un nocumento sull’assegno di pensione.

Contributi da neutralizzare: il caso della retribuzione inferiore

Sul caso dei contributi da neutralizzare a causa di una retribuzione inferiore che possa produrre un assegno di pensione decurtato, è intervenuta l’Inps con la circolare numero 133 del 1997 e con il messaggio 12002 del 2006. La circolare, che si rifà alla sentenza della Corte Costituzionale numero 264 del 1994, recita: “In base ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 264, l’esclusione dal calcolo della pensione dei periodi di retribuzione ridotta non necessari ai fini del perfezionamento dell’anzianità contributiva minima è finalizzata a evitare un depauperamento del trattamento pensionistico causato dallo svolgimento di un’attività lavorativa meno retribuita nell’ultimo quinquennio di lavoro”.

Il calcolo delle 260 settimane ai fini della confronto dei contributi

Ciò premesso, la circolare Inps specifica che: “La diminuzione della retribuzione deve essersi verificata nell’ultimo quinquennio di contribuzione, e cioe in coincidenza con il periodo di riferimento (le ultime 260 settimane di contribuzione) o nel corso di esso”. Al verificarsi di queste condizioni, l’applicabilità della sentenza numero 264 nel caso di cambiamento dell’attività lavorativa nell’ultimo quinquennio di contribuzione, necessita di “prendere a riferimento la retribuzione settimanale media percepita nell’anno di cessazione della precedente attività, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite per tale attività, e metterla a confronto con la retribuzione media settimanale percepita nello stesso anno, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite in relazione alla nuova attività lavorativa”.

Periodi da escludere dal calcolo della pensione

La circolare Inps detta, dunque, disposizioni in merito ai periodi da escludere dal computo della pensione. Infatti, come poi specificato dalla stessa Inps con il messaggio 12002 del 2006, “deve essere escluso dal computo della retribuzione pensionabile e dell’anzianità contributiva tutto il periodo di lavoro svolto a partire dal cambiamento di attività ovvero, in caso di riduzione retributiva avvenuta nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro, tutto il periodo di lavoro svolto a partire dall’anno solare in cui è iniziata tale riduzione. In ogni caso non possono essere escluse dal computo più di 260 settimane di contribuzione”.

Contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata

Sui contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza numero 82 del 2017. Nel caso di pensione retributiva non si conta il periodo di disoccupazione, se dannoso. Ovvero deve essere possibile, per il lavoratore, eslcudere i periodi in cui si sono percepiti contributi per disoccupazione.

La sentenza della Corte costituzionale sui periodi di disoccupazione

I periodi di disoccupazione andrebbero ad abbassare l’assegno pensionistico. La sentenza della Corte costituzionale ha stabilito, dunque, l’illegittimità del comma 8 dell’articolo 3, della legge 297 del 1982. Il provvedimento, infatti, non permetteva al lavoratore, che già avesse matrato il diritto alla pensione, di scorporare il periodo non lavorato coperto da disoccupazione.

Integrazione salariale ai fini della pensione nel retributivo

Non è soggetto al vincolo delle 260 settimane il caso dell’integrazione salariale. La circolare Inps numero 158 del 1996 prende in esame il lavoratore che percepisce, nell’ultimo periodo antecedente la decorrenza della pensione, il trattamento di integrazione salariale. In particolare, l’Inps stabilisce che: “La liquidazione dell’assegno pensionistico risulta determinata in misura sensibilmente più ridotta rispetto a quella che sarebbe derivata tenendo conto dei soli contributi obbligatori già versati e sufficienti, all’atto dell’ammissione all’integrazione salariale, a far conseguire il trattamento pensionistico di anzianità al raggiungimento dell’età pensionabile”.

Esclusione dei periodi di integrazione salariale

La circolare Inps disponde che “nei casi in cui nel periodo utile per il calcolo della retribuzione pensionabile, e cioè nelle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, siano compresi periodi di contribuzione per integrazione salariale, la contribuzione per integrazione salariale non deve essere considerata a nessun effetto”.  Ne consegue che le pensioni con decorrenza posteriore al 31 dicembre 1992 devono essere calcolate senza tener conto dell’integrazione salariale.

Periodi di contribuzione volontaria

Rientrano nella casistica dei contributi dannosi anche quelli versati volontariamente dei quali parla l’Inps nella circolare 127 del 2000. In particolare, il ricalcolo della pensione e, dunque, la neutralizzazione dei contributi dannosi riguarda:

  • le pensioni a carico dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori autonomi per il cumulo di contribuzione.

Il versamento dei contributi volontari, effettuato nell’ultimo quinquiennio di contribuzione, deve aver comportato una riduzione della pensione maturata sulla base dei contributi versati nella vita lavorativa.