Pensioni: cosa cambia con il blocco dell’aspettativa di vita?

L’INPS ha reso noto che fino al 2025 non ci saranno aumenti del requisito anagrafico richiesto (o semplicemente dell’età) per la pensione di vecchiaia. Ciò è dovuto al blocco dell’aspettativa di vita, ma cosa implica ciò?

Blocco dell’aspettativa di vita e pensioni

Il Covid ha cambiato gli scenari e soprattutto ha inciso sulla speranza di vita. Secondo i dati dell’ISTAT nel 2020 la speranza di vita a causa del Covid si è ridotta di tre mesi. Questo dato molto negativo va però a incidere sull’adeguamento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. L’INPS ha comunicato che per i prossimi anni non è previsto l’adeguamento dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia in base all’aspettativa di vita. La circolare dell’INPS n° 28 del 18 febbraio 2022 specifica che “in attuazione del decreto direttoriale del Ministero dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali” i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non sono ulteriormente incrementati. La circolare inoltre contiene una sintesi dei requisiti per l’accesso ai vari trattamenti pensionistici valevoli per il biennio 2023/2024 e per le pensioni precoci e anticipate fino al 2027.

Si riduce la speranza di vita e l’INPS blocca l’adeguamento dell’età per la pensione di vecchiaia

La circolare sottolinea che dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2024 sarà possibile accedere alla pensione di vecchiaia al compimento del 67° anno di età. Dal primo gennaio 2025 potrebbe esserci un adeguamento in base alla speranza di vita determinata dall’ISTAT ai sensi dell’art. 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 . Nel 2025 l’adeguamento previsto è di 2 mesi. Si potrà accedere alla pensione di vecchiaia al compimento di 67 anni e 2 mesi. Naturalmente si tratta di un’ipotesi, infatti non è ancora possibile prevedere con precisione se effettivamente ci sarà un aumento della speranza di vita.

Per coloro che hanno svolto mansioni gravose, invece il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia resta fissato a 66 anni e 7 mesi sempre per il biennio 2023 e 2024. In questo caso è comunque necessario aver maturato almeno 30 anni di contributi.

Requisiti diversi sono previsti anche per i soggetti il cui primo accredito contributivo decorre dopo il primo gennaio 1996, in questo caso infatti per poter accedere alla pensione di vecchiaia occorre “un’anzianità contributiva minima effettiva di cinque anni, si perfeziona, anche nel biennio 2023/2024, al raggiungimento dei 71 anni.

Pensione anticipata e pensione precoci: requisiti fermi fino al 2027

Restano invariati anche i requisiti per la pensione anticipata, questi sono fissati dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2026 in 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. In questo caso il primo trattamento pensionistico si riceve dopo 3 mesi dalla data di maturazione dei requisiti.

Per i lavoratori precoci (devono aver maturato almeno un anno di contributi prima del compimento di 19 anni di età) il requisito contributivo previsto per il periodo che intercorre dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2026 è di 41 anni di contributi.

Anche in questo caso il primo accredito è previsto a decorrere dai tre mesi successivi alla maturazione dei requisiti.

Restano fermi anche i requisiti per il comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, tra cui Forze Armate, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Arma dei Carabinieri, Dipartimento Polizia Penitenziaria. In questo caso per il biennio 2023/2024 saranno necessari 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, mentre per coloro che hanno compiuto 58 anni bastano 35 anni di contributi.

Lavoratori come ballerini continuano ad andare in pensione a 47 anni, sportivi professionisti a 54 anni, cantanti a 62 anni, attori e conduttori a 65 anni. Le restanti categorie iscritte alla Fondo pensione lavoratori dello spettacolo (FPLS) dovranno invece attendere i 67 anni di età.

 

 

Pensione di vecchiaia: come cambia in base all’aspettativa di vita?

Tra gli aspetti più importanti per costruire una buona pensione di vecchiaia, sicuramente gli indici di aspettativa di vita rientrano tra gli elementi decisivi. L’aspettativa di vita, in particolare, condiziona l’accesso alla pensione di vecchiaia. Nel dettaglio, l’aspettativa di vita potrebbe ritardare o, nella migliore delle ipotesi, lasciare inalterati i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia.

Aspettativa di vita per il calcolo dei requisiti delle pensioni, in cosa consiste?

Il requisito richiesto per accedere alla generalità delle pensioni o il requisito contributivo per le pensioni dove non è richiesto l’elemento anagrafico, è adeguato ogni due anni all’aspettativa di vita media calcolato dall’Istat. Qualora risultasse un aumento della speranza di vita, l’età pensionabile si incrementa fino a un massimo di tre mesi; contrariamente, se dai dati Istat viene riscontrato un decremento dell’aspettativa di vita, il requisito anagrafico rimane bloccato con scomputo delle riduzioni nell’adeguamento successivo.

Pensioni di vecchiaia, quali sono i requisiti anagrafici di uscita nel 2022?

Per la pensione di vecchiaia, l’attuale requisito anagrafico è fissato a 67 anni di età. Tale requisito, già calcolato nel precedente biennio, nel 2022 rimarrà inalterato. Per il biennio successivo, ovvero per i lavoratori in uscita dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2024, è stato già confermato che il requisito anagrafico rimarrà invariato. Tale riscontro dei dati demografici dell’Istat sull’aspettativa di vita deriva dall’aver preso in considerazione, nel calcolo della speranza di vita, del primo anno (il 2020) della pandemia da Covid-19. L’emergenza sanitaria ed economica ha determinato il conseguente decremento dell’aspettativa di vita. L’andamento in decrescita della speranza di vita non implicherà, dunque, un aumento dell’età per la pensione.

Pensioni, in che modo l’aspettativa di vita condiziona l’accesso al pensionamento?

L’aspettativa di vita contribuisce all’accesso della pensione dal 2009. Si tratta di una variabile che manda in avanti, incrementando l’età di uscita, l’accesso alla pensione di vecchiaia. La speranza di vita collega in maniera diretta i requisiti anagrafici (o contributivi) degli ingressi agli adeguamenti Istat. Inoltre, il fattore statistico viene attualmente aggiornato ogni due anni, mentre in passato l’aggiornamento avveniva ogni triennio. Dunque l’aggiornamento dei requisiti di pensione avvengono con maggiore frequenza rispetto a quanto succedeva nei primi anni di introduzione del meccanismo della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia e aspettativa di vita: come funziona il meccanismo di adeguamento?

I dati dell’Istat sulla speranza di vita vengono consolidati da decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze ogni due anni. Nel caso in cui i dati demografici dell’Istat fanno registrare dei miglioramenti della vita, in particolare nella lunghezza della della durata della stessa, differisce in avanti l’ingresso al trattamento di pensione dei lavoratori. La tutela nel meccanismo dell’aspettativa di vita consiste nel massimo di maggiorazione, per ciascun biennio, di tre mesi. Il prossimo incremento della pensione di vecchiaia, quello del 2025-2026, potrebbe pertanto portare a una pensione di vecchiaia di 67 anni e tre mesi. Non di più.

Pensioni anticipate, come funziona con la speranza di vita?

Laddove non vi sono requisiti anagrafici, l’aggiornamento della speranza di vita incide sull’altro requisito, quello contributivo. È il caso della pensione anticipata dei soli contributi che, attualmente si raggiunge con:

  • 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini, a prescindere dall’età di uscita;
  • 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne, indipendentemente dall’età di uscita.

I requisiti di uscita per la pensione anticipata rimarranno inalterati fino a tutto il 2026. Il blocco dei requisiti richiesti è stato introdotto con il decreto numero 4 del 2019, lo stesso provvedimento che ha decretato la sperimentazione di tre anni di quota 100. Il prossimo aggiornamento dei requisiti contributivi è previsto a partire dal 1° gennaio 2027.

Pensioni di vecchiaia, come condiziona le uscite dei liberi professionisti? L’eccezione alla speranza di vita

All’interno della previdenza dei liberi professionisti, spetta a ogni Cassa previdenziale interpretare e adeguare i propri requisiti all’aspettativa di vita. Per alcune Casse previdenziali, come l’Enpacl dei consulenti di lavoro, non c’è una diretta correlazione tra aumenti della speranza di vita e incremento dei requisiti di pensionamento. Vi è piuttosto una maggiore gradualità nell’applicare gli adeguamenti e gli incrementi della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia liberi professionisti, il caso dei consulenti del lavoro

I requisiti per la pensione di vecchiaia dei consulenti di lavoro risultano modificati dalla speranza di vita con adeguamenti differenti rispetto a quanto succede per la pensione pubblica. Tuttavia, l’età necessaria per andare in pensione di vecchiaia dei consulenti del lavoro è fissata a 69 anni nel 2022 e a 70 anni a partire dal 2025. La contribuzione necessaria è pari a 5 anni di versamenti, ma occorre guadagnare una pensione minima annuale di 10.920 euro. Pertanto, se all’età di uscita per la pensione di vecchiaia non venisse raggiunto il requisito economico della pensione, l’accesso al trattamento si sposterebbe in avanti finché non si maturi il requisito richiesto. È previsto un limite di età, in ogni modo, per il raggiungimento di questo requisito.

Aspettativa di vita, come determina chi può andare in pensione anticipata di vecchiaia per invalidità?

Gli adeguamenti periodici dei requisiti anagrafici dettati dalla speranza di vita non si applicano ai lavoratori che perdono il titolo abilitativo per raggiunti limiti di età. La speranza di vita, tuttavia, si applica alla pensione di vecchiaia anticipata per invalidità. Quest’ultima formula di uscita è riservata ai dipendenti del settore privato con un indice di invalidità di almeno l’80% e si può agganciare non più a 55 anni di età per le donne e a 61 per gli uomini come in passato, ma alle rispettive età di 56 anni e di 61 anni. La misura, infatti, consiste in una deroga al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ordinaria, e non per uno specifico trattamento per invalidità.

 

 

Con 20 anni di contributi posso smettere di lavorare?

Oggi entriamo nel mondo del lavoro e della possibilità di pensionamento, in merito ai contributi. Una volta acquisiti 20 anni di contributi si può smettere di lavorare? Scopriamolo nel dettaglio nei prossimi paragrafi.

Contributi ed età minima pensionabile

Per rispondere alla domanda di base di questa nostra rapida guida, ovvero se con 20 anni di contributi è possibile smettere di lavorare, basta sapere che 20 anni di versamenti sono sufficienti.

Sostanzialmente, quindi la risposta a questa domanda è “Sì”, con 20 anni di contributi si può smettere di lavorare. Tuttavia, occorre tenere conto che per andare in pensione, occorrono dei requisiti anagrafici.

Vediamo quali sono i trattamenti pensionistici che possono essere raggiunti perfezionando il solo requisito relativo alla contribuzione:

  • la pensione anticipata ordinaria, che si ottiene con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, previa attesa di un periodo di finestra di 3 mesi; il requisito di contribuzione può essere raggiunto anche sommando i versamenti accreditati presso gestioni previdenziali diverse, comprese le casse dei liberi professionisti;
  • la pensione anticipata precoci, che si ottiene con 41 anni di contributi ed è riservata ai lavoratori con almeno 12 mesi di contribuzione da effettivo lavoro accreditata prima del 19° anno di età, appartenenti a determinate categorie tutelate; anche questa pensione si può ottenere attraverso il cumulo dei versamenti presenti in casse diverse e prevede un periodo di finestra di 3 mesi;
  • la pensione di anzianità in regime di totalizzazione, che si ottiene con 41 anni di contribuzione complessivi (tra le diverse gestioni previdenziali d’iscrizione), attraverso l’ attesa di una finestra di 21 mesi.

Leggi anche: Pensione anticipata di soli contributi e pensione anticipata contributiva: le differenze

20 anni di contributi: quali pensioni

Quindi, con i canonici 20 anni di contributi versati, quali sono le pensioni che si possono acquisire?

La risposta è piuttosto semplice, ovvero la pensione di vecchiaia ordinaria che può essere raggiunta con:

  • il compimento di 67 anni di età;
  • e 20 anni di contributi versati.

Il requisito di 20 anni di contribuzione si può raggiungere anche utilizzando i seguenti contributi:

  • contributi figurativi (maternità, servizio militare, disoccupazione, cassa integrazione e malattia);
  • contributi volontari;
  • contributi da riscatto;
  • la modalità di uso di cumulo dei contributi, ovvero la facoltà di sommare gratuitamente la contribuzione presente in gestioni previdenziali differenti.

Va fatto notare che il calcolo interamente contributivo va applicato alle seguenti categorie:

  • chi opta per tale ricalcolo della pensione;
  • chi è privo di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995;
  • chi opta per il computo di tutta la contribuzione presso la gestione Separata.

Mentre nel caso di coloro che non posseggono contributi al 31 dicembre 1995 possono ottenere la pensione di vecchiaia con:

  • almeno 71 anni di età;
  • un minimo di 5 anni di contributi.

In ultimo, ma non ultimo, va ricordato che dal primo di gennaio del 2023, l’età pensionabile potrebbe salire, rispetto ai parametri attuali, nel caso vengano riscontrati dall’Istat incrementi della speranza di vita media. Gli adeguamenti sono difatti biennali.

Il requisito pari a 20 anni di contributi previdenziali resta invece invariato, datosi non soggetto all’applicazione dell’adeguamento all’aspettativa di vita. Tale requisito, di 20 anni di contributi, potrebbe subire modifiche solo qualora la legge disponga delle variazioni specifiche.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla possibilità e modalità pensionabile, quindi di smettere di lavorare, con il versamento di 20 anni di contributi lavorativi.

Pensioni integrative, vantaggi e rischi dell’adesione al fondo previdenziale

Le pensioni integrative, oltre a rappresentare una soluzione per mantenere il tenore di vita che si ha durante gli anni di lavoro, rappresentano anche un’opportunità di risparmio e di differenti vantaggi. Infatti, in vista di mantenere un livello di reddito simile a quello che si ha durante lo svolgimento del lavoro, la previdenza complementare va a integrare la futura pensione obbligatoria. Ma, durante gli anni in cui si effettuano i versamenti al fondo pensione, è possibile ottenere dei contributi dal proprio datore laddove sia previsto dal contratto di lavoro.

Reversibilità della pensione integrativa: a chi spetta?

Tuttavia, il fatto di poter disporre di una futura pensione aggiuntiva non rappresenta l’unico vantaggio riservato a chi investe nella previdenza complementare. Innanzitutto, la stessa pensione integrativa è reversibile al coniuge o agli eredi indicati dal sottoscrittore. Ma anche nella fase di accumulo del risparmio, il capitale può essere riscattato in un’unica soluzione dagli eredi designati dal sottoscrittore.

Previdenza complementare, la possibilità di scegliere la prestazione pensionistica

Ulteriore vantaggio spettante a chi investe nella previdenza complementare è la possibilità di scegliere il tipo di prestazione da ricevere dal fondo pensione stesso. Infatti, a seconda delle esigenze del sottoscrittore, è possibile richiedere tutto il capitale versato in un’unica soluzione nei casi previsti dalla legge oppure riceverne la metà, lasciando il rimanente alla rendita integrativa mensile. Se non si richiede parte o tutto il capitale, la rendita mensile andrà a integrare la pensione garantendo un tenore di vita simile a quello goduto durante gli anni di lavoro e di accumulo.

Flessibilità dell’investimento del risparmio nei fondi pensione: sospensione e riduzione importi

Tra i vantaggi di investimento del risparmio in un fondo pensione c’è la possibilità di accumulare con una certa flessibilità. Ciò significa che è possibile sospendere oppure modificare gli importi o la periodicità con la quale si effettuano i versamenti nella fase di accumulo. In caso di sospensione si possono riattivare i versamenti senza subire delle penalizzazioni.

Si può richiedere parte dei soldi versati al fondo pensione durante la fase di accumulo?

Il sottoscrittore del fondo pensione può anche richiedere una parte delle somme risparmiate e accantonate nel fondo pensione. Si tratta di eventi normalmente determinati da esigenze improvvise legate alle situazioni familiari, come ad esempio un’imprevista spesa sanitaria. Ma anche per ragioni lavorative, come può succedere nel caso del licenziamento. Ulteriori somme possono essere anticipate dal fondo per l’acquisto della prima casa.

Previdenza complementare, il vantaggio della deducibilità fiscale delle somme versate al fondo pensione

Tra i vantaggi dell’adesione alla previdenza complementare sono da inserire quelli fiscali. Infatti, i contributi che il sottoscrittore versa al fondo pensione sono deducibili dai redditi Irpef fino a un massimo di oltre 5.160 euro all’anno. Pertanto, nella fase di accumulo del risparmio nel fondo pensione si pagano da subito meno imposte sui redditi. Entro lo stesso limite si può sfruttare la deduzione anche sui versamenti effettuati a vantaggio dei familiari a carico fiscalmente. Inoltre, la pensione integrativa è tassata con un’aliquota che varia dal 15% al 9%: la percentuale scende a seconda degli anni in cui il sottoscrittore ha partecipato al fondo pensione.

Quali sono i rischi per il sottoscrittore di un fondo pensione?

Tuttavia, l’investimento dei propri risparmi nel fondo pensione non è esente da alcuni rischi. Questi ultimi sono relativi alla possibilità che la pensione complementare che si ottiene quando si esca dal lavoro risulti insufficiente rispetto alle aspettative del sottoscrittore. In particolare può risultare che i versamenti effettuati e la durata del periodo in cui il sottoscrittore ha partecipato al fondo pensione non siano adeguati.

Il rischio di sbagliare investimento nell’adesione al fondo pensione

Può capitare, inoltre, che la linea di investimento che il sottoscrittore del fondo pensione ha scelto risulti non adeguata e ottimale rispetto all’età del sottoscrittore stesso o al suo profilo. Infatti, al momento dell’adesione al fondo, il sottoscrittore sceglie come il fondo pensioni debba investire i propri risparmi se in titoli azionari, obbligazionari oppure se adottare una soluzione intermedia. Nel caso di un sottoscrittore agli ultimi anni di lavoro vengono consigliate, di norma, soluzioni non troppo remunerative ma poco rischiose.

Adesione al fondo pensione: il rischio di costi alti o di impossibilità di utilizzo di quanto accantonato

Possono verificarsi altri rischi legati all’adesione a un fondo pensione. Innanzitutto che il fondo scelto applichi dei costi troppo elevati rispetto al profilo del sottoscrittore. Oppure che vengano previste delle limitazioni nell’uso delle somme accantonate e, dunque, che l’utilizzo possa essere consentito solo per specifiche finalità. Importante poi, per un sottoscrittore, controllare che non sia prevista l’irrevocabilità della scelta di aderire alla previdenza complementare.

Previdenza complementare, il rischio di non avere informazioni sui prodotti di investimento

Infine, è sempre bene ricevere tutte le informazioni in maniera dettagliata prima di aderire al fondo pensione. Può capitare, infatti, di ricevere delle informazioni insufficienti per capire correttamente il funzionamento del fondo pensione e le sue finalità. Nella fase di sottoscrizione, inoltre, è indispensabile che al soggetto vengano fornite tutte le informazioni sui prodotti di investimento presenti sul mercato.

Fondi pensione, quali sono i documenti informativi per l’adesione e quale investimento scegliere?

Prima di aderire a un fondo pensione è importante leggere attentamente tutta la documentazione informativa che il fondo stesso mette a disposizione dei nuovi sottoscrittori. Inoltre risulta utile compilare il Questionario di autovalutazione. Con questo strumento l’interessato, prima di aderire al fondo, può scoprire quanto ne sappia della previdenza complementare e quali potrebbero essere le linee di investimento più adatte alle proprie esigenze.

Cosa contiene il Questionario di autovalutazione della previdenza complementare?

Le domande contenute nel Questionario di autovalutazione permettono inoltre di fare un’analisi sulla capacità di risparmiare del sottoscrittore del fondo pensione. È importante rispondere esattamente alle domande contenute per tracciare anche un orizzonte temporale che separa il sottoscrittore dalla pensione stessa. Infine, per il tipo di investimento da perseguire con la pensione complementare, il Questionario permette anche di dare importanti indicazioni sulla propensione al rischio. Con le risposte al Questionario, e in base al punteggio ottenuto, si può avere un profilo del sottoscrittore e della soluzione più idonea per l’adesione al fondo.

Adesione alla previdenza complementare, quali sono i documenti informativi?

Prima di aderire alla previdenza complementare, all’interessato verranno consegnati vari documenti. In primis, le informazioni chiave per l’aderente, documento che spiega in modo semplice quali siano le più importanti caratteristiche della formula previdenziale. In questo documento sono riportate le informazioni sulle linee di intervento, sui costi, sui rendimenti che sono stati raggiunti nei passati anni. Inoltre, nel documento è presente la Scheda dei costi. Si tratta di un foglio riepilogativo di tutte le spese che dovranno essere sostenute dall’aderente durante la sua partecipazione al fondo pensione.

Quale pensione si può ottenere dalla previdenza complementare?

È ovvio che il sottoscrittore di un fondo voglia sapere anche quale sarà il risultato della sua adesione alla previdenza complementare. Per quante informazioni è indispensabile prendere visione del documento “La mia pensione complementare“. Qui si trovano le stime della pensione integrativa che si potrà ricevere nel momento in cui si va in pensione da lavoro. La stima della pensione integrativa viene fatta attraverso calcoli, ipotesi e simulazioni definiti dalla Commissione di Vigilanza sul Fondi Pensione (Covip).

Quale linea di investimento scegliere per la previdenza complementare?

La previdenza complementare ha diverse linee di investimento corrispondenti a differenti combinazione di rischio e di rendimento. Chi è interessato ad aderire a un fondo pensione può scegliere la linea di investimento che maggiormente soddisfa le proprie aspettative prendendo in esame comparti differenti tra loro. Si può optare su una linea di investimento garantita che offra garanzie di rendimento minime o di restituzione di quanto versato al verificarsi di specifici eventi come, ad esempio, l’uscita dal lavoro per il pensionamento. Ma si può optare per linee di investimento obbligazionarie, con destinazione dei risparmi principalmente in obbligazioni, o azionarie, con investimento principalmente in azioni. Infine si può scegliere una linea bilanciata, che permetta un investimento nella stessa percentuale in obbligazioni e in azioni.

Opzioni da considerare nella scelta del tipo di investimento della previdenza complementare

La varietà di possibilità di investimento dei propri risparmi nella previdenza complementare implica dunque la conoscenza delle varie opzioni. La scelta, infatti, definirà la propria esperienza con il fondo pensione e, in particolare, con l’investimento stesso in termini di durata dell’adesione e di combinazione tra rendimenti e rischi. Proprio rendimenti e rischi possono essere valutati in base al periodo di tempo nel quale si decide di fare l’investimento e dunque sul come il sottoscrittore impiegherà le proprie risorse future. Quindi, è indispensabile tener conto degli anni che mancano al pensionamento, del patrimonio personale e del reddito a disposizione e delle aspettative future dell’investimento.

Cosa può avvenire in base al tipo di investimento fatto nella previdenza complementare?

La scelta su un investimento di tipo azionario può offrire dei guadagni potenzialmente più elevati nel lungo periodo, ma anche delle oscillazioni più evidenti da un anno all’altro. Il che significa che questo tipo di investimento può generare, anno per anno, rendimenti molto alti alternati a periodi bassi o addirittura nulli. Chi sceglie questo tipo di investimento dovrebbe mettere in conto un periodo abbastanza ampio della durata dell’investimento stesso per fare in modo che gli anni nei quali i rendimenti risultino più bassi possano essere recuperati da anni di rendimenti alti.

Cosa avviene se si sceglie di investire in obbligazioni per la propria pensione integrativa?

Se invece la scelta ricade su un investimento di tipo obbligazionario, i rendimenti potrebbero risultare più contenuti rispetto all’investimento di tipo azionario. Anche in questo caso, è necessario verificare i rendimenti ottenuti nel lungo periodo. Rispetto a un investimento azionario, in ogni modo, quello obbligazionario offre delle oscillazioni meno evidenti. Di conseguenza, questa scelta può essere dettata da un profilo di sottoscrittore solo in parte rischioso. E, nello specifico, se si ha l’intenzione di investire per un numero di anni limitato nella previdenza complementare, è bene che il rendimento abbia oscillazioni limitate.

Scelta del tipo di investimento nell’adesione al fondo pensione

Come si può notare, dunque, la scelta del tipo di investimento conseguente alla volontà di aderire alla previdenza complementare implica la valutazione di diversi fattori. Il Questionario di autovalutazione serve proprio a fare chiarezza “sul come” si voglia che i propri risparmi vengano investiti dal fondo pensione. Ci si può affidare a un percorso appositamente studiato dal fondo per avere la migliore risposta possibile nel caso in cui ci si trovi ad avere difficoltà nella scelta dell’investimento. Il fondo pensione può essere di aiuto nella scelta del finanziamento in base all’età e all’ottimizzazione dei rischi rispetto alle aspettative di rendimento.

Pensione integrativa, quale migliore investimento se mancano pochi o tanti anni alla pensione?

In linea generale, più si è giovani e lontani dalla pensione e più si possono adottare profili di rischio maggiormente elevati. Eventuali rendimenti al di sotto delle proprie aspettative possono essere recuperati da anni di rendimenti alti. Il lungo periodo della scelta di aderire a un fondo pensione aiuta pertanto a prendere decisioni anche più rischiose nell’ottica di risultati più elevati nel tempo. Chi invece è più vicino alla pensione potrebbe optare per soluzioni di investimento a basso rischio per meglio salvaguardare l’investimento stesso da oscillazioni negative dei mercati finanziari.

Previdenza complementare, cosa avviene quando si va in pensione?

L’accumulo del capitale con le rate versate alla previdenza complementare ha il massimo risultato nel momento in cui si va in pensione da lavoro. Ma cosa succede quando si smette di lavorare? E quali sono le possibilità che hanno gli aderenti al fondo pensione che hanno versato contributi per anni? Ecco tutte le opzioni possibili.

Cosa si può fare del capitale accumulato nella previdenza complementare quando si va in pensione da lavoro?

Nel momento in cui si va in pensione da lavoro e si hanno almeno cinque anni di partecipazione al fondo pensione, si può decidere di:

  • trasformare il 100% della posizione individuale in rendita, in modo da ricevere un assegno di pensione complementare che va a integrare la pensione lavorativa;
  • ricevere subito e tutto in una soluzione fino a un massimo del 50% del capitale versato e accumulato nel tempo e destinare la restante parte alla rendita;
  • liquidare tutto il capitale accumulato se si rientra nei casi previsti dalla legge. In particolare, questa opzione è possibile se il capitale accumulato risulti esiguo. Oppure se si è un vecchio sottoscrittore. In quest’ultimo caso bisogna essere iscritto alla previdenza complementare non più tardi del 29 aprile 1993 a fondi pensione che erano stati già istituiti entro il 15 novembre 1992.

Cosa valutare prima di prendere una decisione su come impiegare il capitale accumulato della previdenza complementare

Nel momento in cui si va in pensione da lavoro è importante, dunque, valutare attentamente quale opzione scegliere in merito al montante accumulato nella previdenza complementare. Il primo passaggio consiste nel pensare bene a quali saranno le esigenze personali nel periodo in cui non si svolgerà più alcuna attività lavorativa. Se la scelta ricade nell’ottenere una rendita vitalizia, l’assegno mensile che si riscuoterà andrà a integrare quello della pensione lavorativa. E, inoltre, la rendita è reversibile sia nei confronti del coniuge che di un’altra persona indicata dal sottoscrittore del fondo pensione.

Previdenza complementare: cosa avviene se si decide di prelevare tutto il montante accumulato subito?

Se la scelta ricade sull’ottenere tutto il capitare in un’unica soluzione, si potranno soddisfare le necessità del breve periodo dopo il pensionamento. Ma si corre il rischio di non avere entrate a sufficienza per mantenere lo stesso tenore di vita in futuro con la sola pensione da lavoro. Tuttavia, il montante accumulato con la previdenza complementare può servire, in determinate situazioni, a ottenere la rendita prima di andare in pensione da lavoro.

Previdenza complementare, le possibilità di anticipare la rendita rispetto alla pensione di vecchiaia

Infatti, se mancano meno di cinque anni alla pensione di vecchiaia dei 67 anni e si hanno almeno cinque anni di versamenti alla previdenza complementare, si può richiedere che le prestazioni previdenziali del fondo vengano anticipate. Questa possibilità può essere sfruttata anche nell’ipotesi in cui si è disoccupati da oltre 24 mesi oppure ci si trovi nella situazione di invalidità permanente che impedisce di svolgere un’attività lavorativa. Si tratta del meccanismo della Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) che permette di richiedere al fondo di previdenza complementare di ricevere la rendita in anticipo rispetto al conseguimento della pensione di vecchiaia.

Quando si può ottenere un riscatto del montante versato alla previdenza complementare?

Rispetto all’attesa della maturazione della pensione di vecchiaia, il sottoscrittore di un fondo di previdenza complementare può richiedere un riscatto di quanto versato. In particolare:

  • può chiedere un riscatto del 100% di quanto versato nel caso di invalidità permanente. Oppure per la situazione di disoccupazione di oltre 48 mesi;
  • in alternativa per dimissioni, per licenziamento e per decesso del sottoscrittore del fondo pensione.

Inoltre si può richiedere un riscatto parziale, fino alla metà del capitale accumulato per disoccupazione per oltre 12 mesi e da meno di 48 mesi nel caso in cui il datore di lavoro ricorra alla mobilità, alla cassa integrazione guadagni straordinaria o ordinaria.

Riscatto laurea per titolo ottenuto prima del 1996: si può con il costo agevolato di 5.265 euro?

Si può riscattare la laurea ai fini pensionistici per un titolo conseguito prima del 1996 richiedendo il riscatto agevolato previsto dal decreto numero 4 del 2019? La risposta è positiva. Il contribuente può riscattare la laurea pagando 5.265 euro per ogni anno di studio di laurea (escluso gli anni fuori corso). Ma è necessario conoscere i vantaggi e gli svantaggi di chi scelga questa opzione.

Riscatto laurea, si perdono le quote retributive pensione con il pagamento agevolato

Infatti, il riscatto agevolato della laurea per anni prima del 1996 comporta il passaggio del lavoratore alle regole del sistema previdenziale contributivo. Lo svantaggio, dunque, deriverebbe dalla perdita delle quote retributive per gli anni di lavoro svolti entro il 31 dicembre 1995. O addirittura fino al 2012 per i contribuenti retributivi puri, ovvero che abbiano almeno 18 anni di contributi versati prima della fine del 1995. Pertanto, alcuni periodi lavorativi verrebbero calcolati con il sistema contributivo anziché con il più vantaggioso sistema retributivo.

Conviene a un lavoratore con più di 50 anni riscattare la laurea per la pensione futura?

Si può considerare un lavoratore nato nel 1968 che lavori a tempo indeterminato da novembre del 1995 (prima dell’entrata in vigore del regime previdenziale contributivo del 1° gennaio 1996), con 4 anni di corso di laurea da riscattare prima del 1996 e con un anno di militare già riscattato. Senza il riscatto della laurea, il lavoratore andrebbe in pensione di vecchiaia nel 2037; per la pensione anticipata dei 42 anni e 10 mesi di contributi l’uscita da lavoro arriverebbe dopo la pensione di vecchiaia e dunque non sarebbe un’ipotesi da prendere in considerazione.

Quanto conviene riscattare la laurea per andare in pensione prima?

Ma riscattando gli anni di laurea, il lavoratore potrebbe andare in pensione anticipata nel 2034. Accorcerebbe dunque la propria permanenza a lavoro di tre anni rispetto alla pensione di vecchiaia. In questo caso, dunque, il contribuente farebbe bene a procedere con la richiesta all’Inps del riscatto della laurea. Tuttavia, diversa è la quantificazione del vantaggio nel pagare il riscatto stesso con le agevolazioni del decreto 4 del 2019.

Quanto costa riscattare la laurea con l’onere agevolato del decreto 4 del 2019?

Innanzitutto, la comparazione è proprio sul costo del riscatto della laurea. Con l’onere agevolato del decreto 4 del 2019, il lavoratore pagherebbe 5.265 euro per ogni anno di corso. Ma in questo calcolo tra costi e benefici bisogna misurare anche la perdita dovuta alla rinuncia delle quote retributive per un calcolo della pensione futura da fare interamente con il metodo contributivo. In alternativa, il costo del riscatto potrebbe essere calcolato con il metodo della riserva matematica. In questo caso, entrano nel calcolo fattori come il reddito che il lavoratore consegue con il suo lavoro.

Cosa bisogna sapere sul riscatto della laurea prima di inviare la domanda all’Inps?

In soccorso dei contribuenti per i dubbi relativi al riscatto della laurea, l’Inps ha previsto strumenti che consentono di fare delle stime sui vantaggi e sugli svantaggi dell’operazione. Il servizio Inps consente dunque di procedere a una stima ai fini del diritto della pensione e del calcolo di tutte le prestazioni pensionistiche trasformando gli anni di corso di laurea in anni contributivi. A tal proposito, prima di inoltrare la domanda di riscatto laurea, si può utilizzare il simulatore presente sul sito dell’Istituto di previdenza.

Simulatore Inps calcolo della pensione con o senza il riscatto della laurea

Il simulatore dell’Inps, infatti, permette di avere informazioni personalizzate e, in base a queste, ottenere risposte su:

  • il costo da pagare per riscattare la laurea;
  • la possibilità di rateizzare il costo della laurea;
  • la decorrenza della propria pensione futura con le varie opzioni di uscita, sia con il riscatto della laurea che senza;
  • di quanto beneficerà l’importo dell’assegno pensionistico futuro con il riscatto rispetto all’ipotesi che non si faccia alcun riscatto.

Tutte le risposte che fornisce il simulatore dell’Inps sarebbero di aiuto al lavoratore del quale abbiamo fatto l’esempio per procedere con la scelta.

Riscatto della laurea, quali regole è necessario seguire?

Per l’utilizzo del simulatore dell’Inps sul calcolo del riscatto della laurea e sulle varie opzione previdenziali di uscita è necessario avere qualche informazione su ciò che si può fare e ciò che non è previsto dalla normativa. Ad esempio, gli anni di riscatto sono solo quelli previsti dal corso di laurea. Non si possono aggiungere al riscatto, pertanto, periodi fuori corso.

Riscatto laurea, quali titoli si possono riscattare e per quali periodi?

Non si possono riscattare, altresì, periodi che sono già coperti dalla contribuzione obbligatoria. Si possono riscattare, invece, i diplomi universitari. Pertanto vanno bene anche i diplomi di durata dai due ai tre anni. Per i diplomi di laurea la durata deve essere compresa tra i 4 e i 6 anni. I diplomi di specializzazione, conseguiti dopo la laurea, si possono riscattare per un periodo non inferiore ai 2 anni. Si possono riscattare anche i dottorati di ricerca e le lauree triennale (oltre alla laurea magistrale e specialistica). Infine, si possono riscattare i diplomi rilasciati dagli Afam (Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale).

Come vanno in pensione artisti e lavoratori dello spettacolo?

Quali sono i requisiti affinché gli artisti e i lavoratori dello spettacolo maturino il diritto di andare in pensione? Proprio durante l’anno 2021 sono stati modificati alcuni requisiti di calcolo per le pensioni a decorrere decorrere dal 1° agosto scorso. La novità più consistente riguarda il requisito contributivo minimo per il diritto a un anno intero di anzianità utile per la pensione.

Pensioni lavoratori dello spettacolo, come calcolare le giornate lavorative?

Per le pensioni degli artisti, a partire dal 1° luglio 2021 e a decorrere dalle uscite del 1° agosto 2021, l’anno di contribuzione si calcola non più con 120 giornate lavorative, ma con 90. Dei 90 giorni, almeno 60 devono essere stati svolti in attività lavorative nel settore dello spettacolo. I restanti 30 giorni possono essere stati svolti in qualsiasi ambito lavorativo. Ovvero ad attività riconducibili in altre gestioni previdenziali. Sono comprese l’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld) o dei lavoratori agricoli autonomi, ma anche i contributi volontari e figurativi.

Artisti, delle 90 giornate di lavoro, 2/3 devono essere state svolte nello spettacolo

Come specifica il comma 17 dell’articolo 66 del decreto legge numero 73 de 2021, “ai fini dell’accesso al diritto alle prestazioni, i requisiti contributivi da far valere ai fini degli articoli 6 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, numero 1420, devono riferirsi per almeno due terzi ad effettive prestazioni lavorative svolte nel settore dello spettacolo”. Restano escluse da questa norma i ballerini e tersicorei per i quali il calcolo deve essere fatto sulle effettive giornate lavorative svolte nella relativa qualifica (90 su 90).

Lavoratori dello spettacolo, servono 90 giornate lavorative all’anno per i contributi

L’abbassamento delle giornate utili per far valere un anno pieno di contributi è stato operato dal decreto numero 73 del 2021. La legge numero 106 del 2021 ha convertito il decreto. Lo stesso decreto Sostegni bis ha esteso anche l’obbligo assicurativo al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo (Fpls) a nuove categorie di lavoratori. La novità del calcolo dell’anno di contribuzione con 90 giornate lavorate ai fini della pensione riguarda i lavoratori appartenenti al Gruppo A elencati dal decreto ministeriali del 15 marzo 2005. Si tratta prevalentemente degli attori, dei conduttori, dei registi e dei cantanti.

Pensioni spettacolo, come considerare le giornate di lavoro per attività di formazione, insegnamento e promozionali?

La giornata lavorativa rientrante nelle 90 richieste per far valere un anno di contribuzione ai fini della pensione, può riguardare anche le attività di insegnamento o di formazione o quelle a carattere promozionale. Con l’entrata in vigore del decreto Sostegni bis, anche queste attività rientrano nel conteggio delle giornate utili ai fini pensionistici. Il calcolo vale anche se le giornate sono svolte a tempo determinato. Purché si tratti di lavoratori che abbiano le qualifiche professionali per rientrare nel Gruppo A.

Pensione di vecchiaia lavoratori spettacolo con contributi prima del 1996

Chiarito il metodo di calcolo delle giornate lavorative, è necessario verificare i requisiti (ovvero l’età anagrafica e il numero di anni di giornate lavorative) necessari per andare in pensione. Una prima suddivisione dei lavoratori dello spettacolo e degli artisti si può fare in base ai versamenti fatti prima o dopo il 31 dicembre 1995. Per chi ha lavorato entro la fine del 1995, i requisiti della pensione di vecchiaia sono i seguenti:

  • per il gruppo ballo (ballerini, coreografi, tersicorei, assistenti coreografi) fino al 31 dicembre 2024 la pensione di vecchiaia si raggiunge all’età di 47 anni con almeno 20 anni di contributi versati;
  • i registi, i produttori, i bandisti, le maestranze e i tecnici con contratto a tempo determinato e per impiegati, operai e maestranze con contratto a tempo indeterminato, vanno in pensione di vecchiaia a decorrere dai 66 anni e 7 mesi con 20 anni di contributi;
  • il gruppo cantanti, artisti lirici e orchestrali va in pensione a 62 anni (uomini) e a 61 anni (donne) con 20 anni di contributi.

Pensioni lavoratori spettacolo con contributi dopo il 31 dicembre 1995

Per i lavoratori dello spettacolo con contributi versati dopo il 31 dicembre 1995, le regole di pensionamento di vecchiaia sono i seguenti:

  • i lavoratori lavoratori del gruppo ballo con contributi a partire dal 1° gennaio 1996 (sistema “contributivo”) i requisiti della pensioni di vecchiaia sono i medesimi dei lavoratori con contributi entro il 1995;
  • registi, produttori, bandisti iscritti al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo l’età minima di uscita per la pensione di vecchiaia è la medesima (66 anni e 7 mesi).

Pensione anticipata lavoratori dello spettacolo: ecco i requisiti

Per la pensione anticipata dei lavoratori dello spettacolo (cantanti, artisti lirici, orchestrali, atttori, conduttori, direttori d’orchestra e relativi operatori), con contributi entro il 31 dicembre 1995, i requisiti sono i seguenti:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi con 3 mesi di finestra mobile (per gli uomini);
  • 41 anni e 10 mesi di contributi con 3 mesi di finestra mobile (per le donne).

Pensione anticipata artisti e lavoratori spettacolo a 63 anni

I requisiti rimarranno in vigore fino al 31 dicembre 2028. Gli stessi requisiti di uscita sono applicati anche ai lavoratori che hanno iniziato a contribuire dopo il 31 dicembre 1995. Questi ultimi possono, in alternativa, ricorrere alla pensione anticipata contributiva. I requisiti richiesti sono:

  • età minima di 63 anni;
  • 20 anni di contributi versati;
  • assegno di pensione mensile almeno di 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.

 

Pensioni, l’Inpgi passa all’Inps: ecco cosa cambia per i giornalisti

La previdenza dell’Inpgi passera all’Inps dal 2022. È quanto riportato dal disegno di legge di Bilancio del prossimo anno con evidenti cambiamenti per le pensioni dei giornalisti, ma anche per gli ammortizzatori sociali e le assicurazioni per gli infortuni sul lavoro Inail. In particolare, la legge prevede che le regoli pensionistiche dei giornalisti iscritti all’Inpgi verranno uniformate a quelle vigenti al Fondo pensione dei lavoratori dipendenti dell’Inps con decorrenza dal 1° luglio 2022. Il calcolo della pensione a partire da quella data sarà basato sul meccanismo pro rata.

Cosa cambia per i giornalisti con il passaggio dall’Inpgi all’Inps?

Le novità per le pensioni dei giornalisti ricadono sulle quote di pensione dopo il 30 giugno 2022. Fino a quella data, infatti, le quote di pensione saranno calcolate seguendo le medesime regole attualmente in vigore da parte dell’Inpgi. A decorrere dal 1° luglio 2022 subentreranno le regole dell’Inps. La differenza tra i regimi adottati dai due istituti previdenziali risiede innanzitutto nel metodo di calcolo della pensione. Infatti, l’Inpgi ha adottato il meccanismo di calcolo della pensione contributivo solo dal 2017. Lo stesso metodo contributivo è in vigore per chi è iscritto alla gestione delle pensioni Inps per tutti già dal 2012, dopo l’approvazione della legge Fornero. Il che significa che dal 2012 ad oggi non vi sono contributi calcolati con meccanismi diversi (misto o retributivo) da quello contributivo.

Pensioni Inpgi, quando potranno uscire da lavoro i giornalisti?

Con il passaggio della previdenza dall’Inpgi all’Inps le pensioni in essere non subiranno delle modifiche. È quanto stabilisce l’articolo 28 del disegno di legge del Bilancio 2022 che, però, ne detta anche le novità e a chi sono rivolte. Il regime pensionistico che vige al momento all’Inpgi verrà uniformato a quello dell’Inps, ad eccezione dell’applicazione del meccanismo pro rata. Ciò significa che anche i giornalisti andranno in pensione di vecchiaia a 67 anni di età con 20 anni di contributi, come avviene per gli iscritti all’Inps. Inclusi gli aggiornamenti dell’età di uscita dovuti all’applicazione del meccanismo della speranza di vita.

Come cambia la pensione dei giornalisti passando all’Inps?

Il cambiamento delle pensioni dei giornalisti con il passaggio dall’Inpgi all’Inps comporta un innalzamento dei requisiti di uscita. Infatti, attualmente i giornalisti vanno in pensione di anzianità maturando almeno 40 anni e cinque mesi di contributi e 62 anni e cinque mesi di età. Con il passaggio all’Inps, dal 1° luglio 2022 per uscire anticipatamente dal lavoro saranno necessari 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e con 41 anni e 10 mesi per le donne. Ciò significa che chi matura i requisiti per l’uscita entro il 30 giugno 2022 potrà andare in pensione con gli attuali requisiti richiesti dall’Inpgi. Chi matura i requisiti successivamente, dovrà seguire le regole previdenziali dell’Inps, sia per la pensione di vecchiaia che per quella anticipata.

Ammortizzatori sociali Inpgi con il passaggio all’Inps: cosa cambia?

Il passaggio del regime previdenziale Inpgi all’Inps comporta dei cambiamenti anche per gli ammortizzatori sociali e le assicurazioni sugli infortuni. Per entrambi gli istituti è stato decretato un regime transitorio. Ciò significa che dal 1° luglio 2022 e fino a tutto il 2023 agli iscritti Inpgi continuerà a essere applicata la normativa vigente dell’istituto previdenziale di appartenenza, anche se l’erogazione delle prestazioni avverrà sempre da parte dell’Inps e dell’Inail. Dopo il 2023 entrambi gli istituti erediteranno le regole già in vigore per gli iscritti al Fondo pensione lavoratori dipendenti.

Pensioni e metodi di calcolo: guida al sistema misto

La riforma di Elsa Fornero (legge numero 201 del 2011) ha riordinato i sistemi di calcolo delle pensioni prevedendo tre sistemi relativi all’assicurazione generale obbligatoria: quello retributivo, quello contributivo e il misto. Nel sistema retributivo rientrano i lavoratori che abbiano versato contributi per almeno 18 anni entro il 31 dicembre 1995. Diversamente, chi ha iniziato a lavorare e a versare contributi dal 1° gennaio 1996 rientra nel sistema contributivo puro.

Quali lavoratori rientrano nel sistema misto per il calcolo delle pensioni?

Tra i due sistemi contributivi, la normativa ha previsto il meccanismo previdenziale misto. Si tratta del metodo di calcolo delle pensioni riservato ai lavoratori che, al termine del 1995, non avevano maturato ancora i 18 anni di contributi necessari per rientrare pienamente nel sistema retributivo. In parte, dunque, la loro pensione è calcolata anche con il sistema contributivo.

Come si calcola la pensione con il sistema misto?

La pensione per i lavoratori del sistema misto si calcola sommando i due sistemi di calcolo. Nel dettaglio, si sommano i contributi versati fino al 31 dicembre 1995 con il sistema retributivo con quelli versati a partire dal 1° gennaio 1996 con il contributivo. E pertanto, la pensione sarà il risultato dei contributi versati prima del 31 dicembre 1995 (sia per la quota A che per quella B del sistema retributivo) e i contributi versati dopo il 31 dicembre 1995 con il metodo contributivo.

Calcolo quota A del sistema pensionistico misto

Per il calcolo della pensione della parte retributiva, si segue il meccanismo della quota A e della quota B. Nel dettaglio, la quota A riguarda i contributi versati entro il 31 dicembre 1992 e il calcolo si effettua individuando la retribuzione media pensionabile settimanale degli ultimi 5 anni di lavoro. Tale retribuzione deve essere rivalutata mediante dei coefficienti stabiliti annualmente dall’Inps e dall’Istat e moltiplicata per le settimane svolte di lavoro entro il 31 dicembre 1992. L’importo ottenuto si moltiplica per il rendimento annuo, solitamente del 2% per ciascun anno di lavoro. Lo stesso meccanismo della quota A è applicato ai lavoratori autonomi, ma la media deve essere fatta sugli ultimi 10 anni di lavoro prima del 31 dicembre 1992.

Quota B nel calcolo del retributivo per il sistema misto

Per le pensioni del sistema misto deve essere calcolata anche la quota B per i contributi versati dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 1995 (fino al 31 dicembre 2011 per i lavoratori del retributivo puro). Su questo periodo di contribuzione, il calcolo si effettua con le seguenti retribuzioni medie:

  • quella degli ultimi 10 anni di lavoro (di 15 per gli autonomi) per chi ha almeno 15 anni di contributi entro il 31 dicembre 1992 ma meno di 18 entro il 31 dicembre 1995;
  • retribuzione degli ultimi 5 anni (260 settimane) prima della decorrenza della pensione (10 anni per gli autonomi) per chi ha meno di 15 anni di contributi entro il 31 dicembre 1992 e meno di 18 anni entro fine 1995;
  • la retribuzione media dell’intera vita lavorativa per i lavoratori che non hanno mai versato contributi prima del 31 dicembre 1992 e, dunque, hanno meno di 18 anni entro fine 1995.

L’importo della retribuzione media annuale deve essere moltiplicato per il coefficiente di rivalutazione e diviso per il numero delle settimane lavorate (52 annuali). L’importo va poi moltiplicato per il numero delle settimane effettivamente lavorate tra il 1° gennaio 1993 e il 31 dicembre 1995.

Calcolo della quota contributiva per i lavoratori rientranti nel sistema misto

Infine, per i contributi rientranti nella quota contributiva (a partire dal 1° gennaio 1996 per i lavoratori del sistema misto), il calcolo prevede:

  • individuazione della retribuzione annua;
  • calcolo per ogni anno mediante l’aliquota di computo, pari al 33% per i lavoratori dipendenti);
  • determinazione del montante contributivo che si ottiene mediante tutti i contributi versati annualmente e rivalutati con il tasso di annuo determinato dall’Istat;
  • applicazione del coefficiente di trasformazione variabile in funzione dell’età del lavoratore al momento della pensione.

Quale pensione per i lavoratori del sistema misto?

Per i lavoratori rientranti nel sistema previdenziale misto, le formule di pensionamento consuete sono la pensione di vecchiaia e quella anticipata. Per la pensione di vecchiaia è necessario che i lavoratori del misto abbiano maturato l’età minima di 67 anni e almeno 20 anni di contributi. Il lavoratore del misto può andare in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi minimi. Le donne del misto hanno la possibilità di anticipare la pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi versati.

Formule di pensione escluse per i contribuenti del misto

Ai lavoratori rientranti nel sistema misto sono escluse alcune formule di uscita riservate ai contributivi puri. Questi ultimi, infatti, possono accedere alla pensione di vecchiaia all’età di 71 anni con 5 anni di contributi versati, possibilità esclusa ai lavoratori del misto. Ai contributivi puri, inoltre, è riservata la possibilità di prepensionamento a 64 anni con 20 anni di contributi. Per questi istituti, un lavoratore del misto può optare di rientrare interamente nel sistema contributivo a due condizioni:

  • che i contributi versati entro il 31 dicembre 1995 siano meno di 18 anni;
  • che al momento della richiesta di entrare nel contributivo il lavoratore abbia contributi per almeno 15 anni entro il 31 dicembre 1995 e per almeno 5 anni dopo questa data.

Come utilizzare i contributi del sistema pensionistico misto

Il lavoratore del sistema misto può utilizzare i contributi accumulati presso più gestioni previdenziale con l’obiettivo di arrivare ai requisiti minimi per la pensione. In particolare può procedere con la ricongiunzione e con il cumulo gratuito. Mediante la ricongiunzione può trasferire in un’unica gestione pensionistica tutti i contributi versati, ad eccezione dei contributi versati alla Gestione separata Inps. Possibilità, quest’ultima, esercitabile attraverso il cumulo gratuito.

Il cumulo gratuito per i lavoratori del misto

Mediante il cumulo dei contributi, i lavoratori del sistema previdenziale misto possono unire gli spezzoni contributivi delle diverse gestioni previdenziali (Assicurazione generale obbligatoria, gestioni speciali dei contribuenti autonomi, Gestione separata, fondi sostitutivi dell’Assicurazione generale obbligatoria e Casse previdenziali dei liberi professionisti) al fine di maturare i requisiti minimi per la pensione di vecchiaia o per quella anticipata.

Lavoratori autonomi del sistema misto: il computo dei contributi

Per i lavoratori autonomi del sistema misto, in alternativa alla ricongiunzione, è possibile richiedere il computo dei contributi. Si procedere con il computo alla Gestione separata accentrando in questa gestione tutti i contributi previdenziali obbligatori, ad esclusione di quelli versati nelle Casse professionali.