Fondi pensione: cosa sono, come funzionano e chi può aderire

I fondi pensione sono una possibilità sempre più valida per chi vuole crearsi una contribuzione integrativa, ma cosa sono e chi vi può aderire e soprattutto come funzionano? Andiamo a scoprirlo, in un tempo in cui la tanto ambita e desiderata pensione sembra essere diventata un piccolo enigma per tanti italiani.

Fondi pensione: di cosa si tratta

Con i fondi pensione parliamo di una tipologia di investimento che permette di garantire un reddito alla fine della propria attività lavorativa. Ma, da oggi il lavoratore può decidere se destinare anche solo una parte (e non tutto il cucuzzaro) del suo Tfr ad un fondo pensione grazie alle novità previste dal Ddl Concorrenza. Dunque, un vero e proprio investimento nel fondo pensione porta ad un implemento della previdenza complementare. E sempre più italiani, specie in questo periodo di magra che prosegue da mesi indimenticabili (causa Covid-19) stanno pensando di aderire ad una previdenza complementare, chiedendosi come funzionano i fondi pensione. E quindi, diamo risposta a tale amletico quesito.

Cos’è, dunque, un fondo pensione?

Il fondo pensione non è altro che una forma di previdenza complementare privata, istituita da banche, imprese di assicurazione, società di intermediazione mobiliare e società di gestione del risparmio. Essi sono destinati al pagamento delle prestazioni agli iscritti, costituiti sotto forma di patrimonio autonomo dalla società istitutrice.

E come funziona un fondo pensione?

Il fondo pensione prevede un individuale fondo pensionistico su cui fare confluire i propri versamenti di contribuzione. Le somme contributive versate dal “futuro pensionato” sono custodite presso un depositario autorizzato (quindi una banca o un’impresa di investimento) e poi investite nei mercati finanziari, allo scopo di ottenere rendimenti che nel corso del tempo possano fare accrescere il capitale messo da parte e quindi  permettere di conseguire prestazioni pensionistiche integrative rispetto alla previdenza obbligatoria. Ovviamente, maggiore sarà il periodo di versamento, maggiori saranno gli importi versati e le quote di investimento finanziario e superiore sarà la quota di cui beneficiare.

Ma chi può aderire ad un fondo pensione?

Coloro che possono aderire al desiderato fondo pensione sono i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, ma anche lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori o soci di cooperative, ai quali non debbano essere previsti fondi aziendali e nemmeno di categoria o settore. Anche chi già possiede una pensione, ma vuole disporre di un secondo “salvadanaio” può aderire ad un fondo pensione. In pratica, non ci sono vincoli di alcun tipo e non vi è richiesto di rispondere a delle specifiche caratteristiche o di attenersi a dei parametri minimi di reddito. Insomma, un fondo pensione è per tutti, un po’ come un diamante che però è per sempre. A patto che abbiate un lavoro da cui poter attingere abbastanza contributi da versare, s’intende.

Tipologie di fondo pensione

Detto ciò, occorre sapere che vi sono diverse tipologie di fondo pensione, differenti per il tipo di gestione e destinazione dei fondi, ma come scegliere quello migliore è curiosità di tutti. Valutare, dunque due parametri da tenere bene d’occhio:

  • costi: nel tempo possono erodere il risparmio previdenziale ed è per questo che è importante scegliere un fondo pensione poco oneroso
  • rendimenti: avere un’idea della storia statistica per prevederne il rendimento futuro

Dunque, con questo breve quadro in molti, vi sarete fatta una esaustiva idea su come dare atto ad un fondo pensione. Ora non vi resta che scegliere quello giusto e attendere di passare tra qualche anno a miglior vita, inteso come una vita migliore in cui godervi il meritato riposo e i sudati risparmi, grazie al vostro fondo pensione.

Previdenza complementare: come e perché aderire alla pensione integrativa

Ormai, in un paese che caracolla e che annaspa su più piani lavorativi, la pensione è diventata l’unico appiglio sicuro per chi vi è già approdato e quasi una chimera per chi, invece, ancora la vede da lontano. E c’è in tutto ciò chi si interroga su quali garanzie economiche possa dargli una previdenza complementare, quando sarà il sacro fatidico momento pensionistico. Dunque, andiamo a scoprire cosa attende a chi vorrà aderire alla pensione integrativa.

Come aderire e se conviene aderire alla previdenza complementare

Molti si chiedono se sarà adeguata ad un buon tenore di vita la propria pensione, dopo il calcolo contributivo. Ecco che quindi scatta il dubbio se aderire o meno ad una pensione integrativa. Bisogna sapere (e ricordare per coloro che già sanno) che le pensioni vengono pagate attraverso i contributi dei lavoratori attivi, i quali avranno di conseguenza, la pensione pagata dal versamento dei contributi dei nuovi lavoratori che entreranno nel mondo del lavoro.

Negli ultimi vent’anni (o poco più) il sistema pensionistico è andato gradualmente ad inaridirsi. Il progressivo allungamento delle aspettative di vita, il calo delle nascite, l’allungamento del periodo di pagamento dei trattamenti pensionistici, il rallentamento della crescita economica e le immancabili crisi finanziarie sono tra le ragioni alla base della necessità di passare dal metodo di calcolo retributivo, attraverso il quale la prestazione pensionistica viene calcolata, in base alla media delle ultime annualità moltiplicata per un coefficiente di “proporzionamento” variabile tra il 2% e lo 0,9% annuo, al meno remunerativo metodo di calcolo contributivo.

Un sistema che premia carriere lunghe e durature, con una logica per cui più si versano e più a lungo lo si fa, i contributi, andranno ad impolpare una pensione più consistente.

I nuovi fondi pensione e la pensione integrativa

Il legislatore ha ben pensato, in questa situazione che ha portato ad una riduzione delle prestazioni della pensione pubblica, di accompagnare provvedimenti più rigidi con delle disposizioni per incentivare la soluzione di pensione integrativa. Ponendosi, dunque, l’obiettivo in teoria di incentivare i lavoratori ad optare per l’adesione alla previdenza complementare e quindi tenere, quando si sarà raggiunta la fase di quiescenza, un buon tenore di vita, simile a quello che tenevano in periodo di attività lavorativa, attraverso una rendita pensionistica integrativa. 

Come si costruisce la pensione integrativa

La tanto ambita e aspirata pensione integrativa la si costruisce, dunque, attuando una sorta di “pensione di scorta”, catalogabile in tre categorie di fondi di pensione:

  • Fondi aperti a cui possono aderire tutti i lavoratori, sia essi dipendenti, sia essi autonomi o liberi professionisti (in modo individuale o in modo collettivo) e anche coloro che non hanno un lavoro, come percettori di redditi diversi o persone a carico; 
  • Fondi negoziali o Fondi contrattuali che vengono istituiti dai contratti di lavoro, ai quali possono aderire i lavoratori dipendenti privati e quelli pubblici della specifica categoria, comparto o base territoriale ed, eventualmente, i loro familiari;
  • PIP (Piani Individuali Pensionistici), ovvero quei piani pensionistici gestiti per via di contratti di assicurazione sulla vita; solo ad adesione individuale, sono essi acquistabili da chiunque.

In pratica, indipendentemente dalla forma di ciascuno di essi, ognuno di questi fondi avrà funzione di “salvadanaio” in cui l’iscritto versa i contributi. Un capitale che, però non rimarrà immobile in attesa dell’età pensionabile, ma potrà essere reinvestito in mercati finanziari. Alla fine, però la posizione conclusiva del sottoscrivente dipenderà quindi da una serie di fattori: 

  • da durata del periodo di versamento
  • dal complessivo importo versato
  • dai costi avuti durante alla partecipazione del versamento
  • dal rendimento (al netto di tassazione) ottenuto con l’investimento sui mercati di quanto versato

Dunque, questo è quanto c’era da sapere sulle aspettative e le modalità di pensionamento integrativo. Ora, potete pure serenamente tornare al lavoro e, magari decidere di attuare da subito la previdenza complementare.

Tfr in busta paga: vantaggi e svantaggi

Di quanto sia ancora fredda l’accoglienza nei confronti dell’ipotesi Tfr in busta paga abbiamo già scritto nei giorni scorsi. Oggi, anche a fronte delle richieste pervenute in redazione, è bene ricordare qualche punto fondamentale relativo all’argomento.

Ricordando che la scelta di destinare parte del Tfr in busta paga è volontaria ma non reversibile (nei 3 anni di durata del piano) e che il Tfr è pari al 6,9% della retribuzione lorda accantonata ogni anno dai lavoratori + uno 0,5% destinato a un fondo di garanzia dell’Inps per erogare ai lavoratori il Tfr anche a fronte del fallimento della propria azienda, ecco qualche dritta per capire meglio i vantaggi o meno del Tfr in busta paga.

Intanto, al di là dell’inserimento del Tfr in busta paga, le quote accantonate per il Tfr vengono rivalutate annualmente dell’1,5%, cui si sommano i tre quarti del tasso di inflazione. Qualora le quote di Tfr fossero destinate in parte alla costituzione di una pensione privata, la loro rivalutazione dipenderà dal tasso di rendimento del fondo pensione che il lavoratore avrà scelto.

Se l’aspetto della rivalutazione è quello che maggiormente favorisce il Tfr, l’aspetto della tassazione è invece da tenere in considerazione attentamente. È infatti diversa la tassazione del Tfr qualora lo si percepisca alla fine della propria carriera lavorativa, se si sceglie di avere il Tfr in busta paga o se lo si vuol far confluire in un fondo pensione privato. Se il Tfr viene riscattato come liquidazione, la sua tassazione avviene in base all’aliquota media che ha inciso sullo stipendio del lavoratore negli ultimi 5 anni. Se confluisce in un fondo di previdenza integrativa, gode di una tassazione agevolata che arriva fino al 15% della rendita maturata e cala fino al 9% fino a quando si allunga la durata del piano di risparmio.

Come anticipato nei giorni scorsi, invece, lo scenario fiscale meno vantaggioso si ha con il Tfr in busta paga, dal momento che l’aumento dello stipendio sarà soggetto all’Irpef. In sostanza, quindi, di fronte a un aumento dello stipendio mensile garantito dal Tfr in busta paga, la prospettiva di avere alla fine del proprio rapporto di lavoro una liquidazione più bassa e, nell’immediato, un’Irpef più alta fanno pendere la bilancia a favore degli scettici.

Fnaarc: la Fondazione Enasarco deve essere messa in sicurezza

Il 9 maggio scorso presso Ascom Confcommercio Torino, si è svolto un convegno su temi di grande importanza per gli agenti e rappresentanti di commercio: la riforma della Fondazione Enasarco e i nuovi corsi di formazione alla luce della direttiva Bolkestein. Il presidente di Fnaarc Adalberto Corsi ha ricordato: “La messa in sicurezza della nostra Fondazione di previdenza integrativa era ed è un imperativo per la nostra Federazione. Era fondamentale intervenire per garantire il pagamento delle pensioni per un lungo periodo tenuto conto degli obblighi di legge e dell’innalzamento dell’aspettativa di vita”.

Il presidente ha proseguito: Il sacrificio richiesto agli agenti ed alle case mandanti con l’innalzamento delle aliquote contributive è stato necessario. Fnaarc si è battuta affinché l’incremento delle aliquote fosse spalmato in più anni, ed infatti la riforma, che troverà applicazione a partire dal 2012, andrà a regime nel 2020 e la sostenibilità garantita oltre il 2054″.

La legge finanziaria del 2007 ha obbligato le Fondazioni previdenziali di diritto privato, come l’Enasarco, di dotarsi di mezzi propri sufficienti a garantire la sostenibilità per un periodo di 30 anni, con proiezione a 50 anni (la precedente legge richiedeva mezzi propri sufficienti a garantire la sostenibilità per un periodo di 15 anni). La situazione è però critica in quanto mancano sicurezze circa la sostenibilità della Fondazione in vista della nuova legge.

In merito è intervenuto anche il presidente regionale Fnaarc Gino Mattiolo: “con il recepimento della direttiva Bolkestein nell’ordinamento italiano – ha spiegato – è stato chiarito che l’attività dell’agente di commercio può essere avviata solo da persone in possesso di precisi requisiti di scolarità, o professionalità, o di partecipazione ad un corso di formazione, in assenza dei quali le Camere di Commercio non possono iscrivere i richiedenti come agenti di commercio. La direttiva quindi lascia invariati i precedenti requisiti richiesti per lo svolgimento dell’attività, ma elimina il Ruolo Agenti tenuto presso le Camere di Commercio, che costituiva garanzia della professionalità e della moralità dell’agente a tutela della clientela, del preponente e del consumatore finale. Non poteva essere iscritto al Ruolo o ne veniva cancellato, l’agente sottoposto a procedure concorsuali”.