Pensione integrativa: cosa si ottiene con la previdenza complementare?

L’adesione ai fondi pensione non significa solo garantirsi una pensione di scorta una volta lasciato il lavoro per la vecchiaia, ma si possono prendere in considerazione anche altre opzioni per disporre del capitale versato. È infatti possibile trasformare l’intera posizione individuale in una rendita periodica. Ma anche ottenere somme fino alla metà del capitale accumulato in un’unica soluzione. Infine, si può richiedere l’intero capitale in presenza di determinate condizioni.

Ecco le possibilità della pensione integrativa

L’obiettivo principale di chi aderisce a un fondo pensione rimane quello di disporre delle somme accumulate per garantirsi una rendita integrativa una volta maturati i requisiti per la pensione di vecchiaia o, comunque, della pensione obbligatoria. Tuttavia è possibile ricorrere ad altre modalità di erogazione della prestazione per disporre delle somme versate.

Fondo pensione, cosa avviene al raggiungimento dei requisiti della pensione?

Nel momento in cui il contribuente al fondo pensione matura i requisiti per la pensione obbligatoria, con almeno cinque anni di partecipazione al fondo, può:

  • trasformato quanto versato nel fondo pensione in una rendita periodica e vitalizia, ricevendo ogni mese una pensione integrativa di quella obbligatoria;
  • ricevere fino al 50% del capitale accumulato in un’unica soluzione, continuando poi a usufruire del restante montante sotto forma di pensione integrativa mensile;
  • in alcuni casi, ovvero per gli iscritti al fondo pensione prima del 29 aprile del 1993, si può ricevere l’intero capitale accumulato.

Pensione integrativa, servono almeno 5 anni di contribuzione al fondo

Per poter accedere alle possibilità concesse dall’adesione al fondo pensione sono necessari cinque anni di contribuzione alla previdenza complementare. Il requisito può essere ridotto a tre anni nel caso in cui il contribuente abbia cessato l’attività lavorativa, perfino in mancanza della maturazione dei requisiti per la pensione obbligatoria.

Quali sono i fattori della scelta della pensione integrativa?

La scelta di aderire a un fondo pensione e quella successiva, di come utilizzare il capitale accumulato al raggiungimento dei requisiti della pensione obbligatoria, è puramente personale. Normalmente, l’adesione a un fondo pensione rappresenta una valutazione personale sulla base delle proprie esigenze. Di regola, chi versa a un fondo pensione lo fa perché intenzionato a incrementare il proprio futuro assegno di pensione, una volta terminata l’attività lavorativa. Diversamente, la liquidazione in un’unica soluzione (anche se parziale) rappresenta la soluzione per far fronte a spese impreviste o a investimenti futuri.

Pensione integrativa, da chi viene erogata?

La rendita mensile corrispondente all’adesione alla previdenza complementare viene erogata direttamente dal fondo pensione o, in alternativa, dall’impresa assicuratrice convenzionata con il fondo stesso. In tutti e due i casi, l’importo mensile proviene da un calcolo matematico che dipende dal capitale accumulato e dal coefficiente di trasformazione. Quest’ultimo parametro dipende dall’aspettativa di vita calcolata al momento del pensionamento, dai costi applicati e dal tasso tecnico di rendimento minimo garantito.

Pensione integrativa: l’anticipo della rendita per spese sanitarie o ristrutturazione prima casa

Infine, oltre alle possibilità che il risparmiatore ha a disposizione alla maturazione dei requisiti della pensione obbligatoria, vi sono situazioni nelle quali è possibile richiedere parte del capitale accumulato prima del raggiungimento dei requisiti previdenziali. Pertanto, il risparmiatore può richiedere in anticipo somme già nel periodo di accumulo. Si tratta di situazioni nelle quali il contribuente ha la necessità di sostenere delle spese sanitarie, oppure coprire la ristrutturazione o l’acquisto della prima casa. Infine si può richiedere un anticipo al fine di sostenere il reddito nel caso in cui subisca la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa.

Adesione al fondo, il reintegro nel caso in cui si richiedano anticipi del montante

In queste casistiche, l’adesione al fondo pensione può rivelarsi un investimento futuro nel caso in cui si presentino spese impreviste o comunque situazioni in cui sia necessario utilizzare dei risparmi accumulati. Naturalmente, nel caso in cui il risparmiatore decidesse di farsi anticipare dal fondo determinati capitali, ne risulterebbe ridotta la posizione individuale. La conseguenza è quella di una riduzione del montante a disposizione del contribuente al momento della pensione. È tuttavia possibile procedere con il reintegro delle somme prelevate.

Previdenza complementare e possibilità di accedere alla Rita

Ulteriore opzione per il lavoratore che decide di aderire alla pensione integrativa è quella della Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita). Si tratta di un’altra formula previdenziale complementare, in presenza di determinati requisiti stabiliti dalla legge. La Rita consente di ottenere un’erogazione frazionata (rendita mensile) del montante dei contributi versati dal risparmiatore. La si può ottenere dalla richiesta di rendita fino al momento in cui maturi la pensione di vecchiaia.

Pensione integrativa: firmato accordo col Fondo Perseo Sirio, dipendenti pubblici iscritti anche con il silenzio assenso

Previdenza complementare con silenzio assenso per i dipendenti della pubblico impiego assunti dopo il 1° gennaio. È stato firmato nella giornata del 16 settembre 2021 l’accordo per l’adesione al fondo Perseo Sirio a favore dei dipendenti della Pubblica amministrazione. L’intesa permette ai neoassunti a tempo indeterminato a partire dal 2019 di poter beneficiare dell’adesione alla previdenza complementare. Sono esclusi dalla possibilità di adesione al fondo i dipendenti che abbiano beneficiato di progressioni di carriera o che continuino a mantenere il previgente regime di Trattamento di fine servizio.

Pubblica amministrazione, chi può aderire alla previdenza complementare Perseo Sirio

L’accordo definisce la regolamentazione riguardante le modalità di espressione delle volontà di adesione al fondo di previdenza complementare Perseo Sirio. In tutto, solo nel 2019, i nuovi assunti sono stati circa 64 mila. Si tratta di personale immesso a partire dal 2 gennaio 2019. Oltre all’assunzione, per aderire al fondo, è necessario che l’amministrazione pubblica per la quale si lavora abbia aderito al fondo stesso. Si tratta del personale delle Regioni, degli enti locali, del Servizio sanitario nazionale, dei ministeri, della Presidenza del Consiglio dei ministri, delle Agenzie fiscali, degli Enti pubblici non economici, delle Università e Ricerca, del Cnel e dell’Enac.

Chi rimane escluso dal fondo pensione Perseo Sirio

Rimane escluso dall’adesione al Fondo Perseo Sirio chi:

  • ha beneficiato di progressioni di carriera;
  • il personale che continua a mantenere il regime di Trattamento di fine servizio (Tfs) per la continuità del rapporto previdenziale;
  • chi è già iscritto al fondo per precedenti rapporti di lavoro.

Dipendenti del pubblico impiego, come si aderisce al fondo Perseo Sirio

Per aderire al Fondo Perseo Sirio, i dipendenti del pubblico impiego hanno due modalità. La prima consiste manifestando esplicitamente la volontà di adesione, anche attraverso il sito web, nelle forme e con le modalità consuete. La parte innovativa dell’accordo sottoscritta nella giornata del 16 settembre 2021 riguarda il silenzio assenso. Pertanto, all’atto dell’assunzione, il lavoratore riceve l’informativa dall’amministrazione sulle modalità di adesione. Nell’informativa, che deve essere menzionata nel contratto individuale, deve essere presente il riferimento al silenzio assenso.

Sito internet per aderire al Fondo Perseo Sirio

Il link per l’iscrizione al fondo è presente nell’informativa. Sul portale è possibile consultare le informazioni previste dai regolamenti Covip e accedere alla modulistica per aderire volontariamente. Inoltre, le amministrazioni devono rendere disponibili i moduli per la “non adesione”. Nei sei mesi successivi all’assunzione, se il dipendente pubblico non ha manifestato alcuna volontà (e non ha ancora firmato nemmeno il modulo della “non adesione”), viene iscritto automaticamente al Fondo a decorrere dal primo giorno del mese susseguente alla scadenza dei sei mesi di tempo.

L’adesione con silenzio assenso al fondo di pensione integrativa

Le amministrazioni, trascorsi i sei mesi dall’assunzione, entro il giorno 10 del mese successivo, comunicano al fondo i nominativi dei lavoratori iscritti con la modalità silenzio assenso, ovvero i dipendenti che non abbiano fatto adesione volontaria e non abbiano espresso la propria “non adesione” tramite gli appositi moduli. Entro 30 giorni dalla comunicazione ricevuta dall’amministrazione, il Fondo comunica al dipendente l’adesione mediante silenzio assenso. Nella comunicazione, il fondo specifica:

  • l’avvenuta adesione e la relativa data di decorrenza dell’iscrizione;
  • i flussi finanziari attivati e quelli attivabili;
  • il comparto destinatario del flusso di finanziamento al quale il lavoratore ha aderito col silenzio assenso;
  • la documentazione contenente il Regolamento Covip;
  • le modalità di recesso.

Recesso dei dipendenti pubblici dal Fondo di pensione complementare

I dipendenti del pubblico impiego che sono stati iscritti al Fondo Perseo Sirio con il silenzio assenso hanno 30 giorni di tempo dalla comunicazione di adesione per esercitare il diritto di recesso. Infatti, entro il giorno 10 del mese dalla comunicazione di adesione, il fondo invia alle amministrazione i nominativi dei dipendenti che hanno esercitato il diritto di recesso nel mese precedente. Il recesso è indispensabile per non attivare i flussi finanziari relativi al fondo di pensione complementare.

Pubblica amministrazione, adesione con silenzio assenso al fondo pensione integrativa

Per i dipendenti del pubblico impiego che sono stati iscritti al fondo pensione con il silenzio assenso e non hanno esercitato diritto di recesso nei termini stabiliti – ovvero entro un mese dall’avvenuta iscrizione – l’amministrazione di appartenenza inizierà a versare i contributi datoriali e il contributo a carico del lavoratore entro il secondo mese susseguente di comunicazione dell’adesione. Dall’attivazione del flusso dei contributi, l’amministrazione di appartenenza attiva le comunicazione all’ente previdenziale Inps.

Esempio di lavoratore assunto nella Pa e adesione al fondo previdenziale complementare

Un lavoratore assunto in una pubblica amministrazione il 1° dicembre 2021, ad esempio, nello stesso giorno riceve informativa del Fondo Perseo Sirio. Il 31 maggio 2022 scadono i sei mesi decorsi i quali, in caso di silenzio e di mancata domanda di “non adesione”, il lavoratore risulta iscritto. L’iscrizione al fondo, dunque, avrà luogo il giorno 1° giugno 2022. Entro il 10 luglio 2022 il fondo invia comunicazione all’amministrazione degli iscritti con silenzio assenso. Il lavoratore ha tempo fino al 9 agosto 2022 per esercitare il diritto di recesso. Il 10 settembre successivo il fondo comunica all’amministrazione l’elenco degli iscritti “consolidati”. Infine, entro il 30 novembre l’amministrazione attiva il flusso contributivo e le comunicazioni all’Inps.

 

Pensione integrativa, a chi conviene aderire alla previdenza complementare e quando

A chi conviene aderire alla previdenza integrativa dei fondi pensione e in quale momento? Sono questi due tra i maggiori quesiti che si pongono i lavoratori nel momento in cui devono decidere se affidarsi a una futura pensione “di scorta” e a partire da quale età.

Perché si ricorre alla pensione integrativa?

Il ricorso alla pensione integrativa è dettato innanzitutto dalla motivazione di mantenere nel tempo una mensilità adeguata alle proprie esigenze e al tenore di vita condotto. Infatti, quando un contribuente va in pensione da lavoro, l’assegno mensile potrebbe non soddisfare le proprie necessità. Da qui l’esigenza di integrare la propria pensione futura con un assegno maturato sulla base dell’adesione volontaria ai fondi pensione.

Con l’aumento della speranza di vita le pensioni sono spalmate su più anni

La tendenza del ricorso alla previdenza complementare è tanto più ampia quanto maggiori sono i dubbi sulle pensioni da lavoro. Le pensioni pubbliche, infatti, continuano a subire nel tempo aumenti dei requisiti di uscita e diminuzione della rata mensile. A partire dagli anni ’90 il progressivo aumento della speranza di vita, e dunque l’incremento della vita media a partire dai 65 anni di età, ha avuto come conseguenza  l’allungamento del periodo in cui si beneficia della pensione, oltre a un maggior numero di anni di contributi da versare durante la vita lavorativa.

Previdenza integrativa: adesione perché le pensioni sono sempre più basse

Inoltre, proprio l’allungamento della vita da pensionato unito al forte rallentamento della crescita economica (con conseguente riduzione del peso dei contributi versati durante la vita lavorativa), ha imposto dei cambiamenti ai meccanismi previdenziali italiani. Il risultato ottenuto è quello che, progressivamente, si esce a un’età sempre più alta con un mensile di pensione sempre più basso a causa di coefficienti di trasformazione tendenzialmente al ribasso.

Contribuenti e futuro tenore di vita: l’integrazione dei fondi pensione

Con il superamento del sistema previdenziale retributivo, inoltre, le rivalutazioni delle future pensioni non saranno più legate, in alcun modo, all’aumento delle retribuzioni. In questo scenario di progressivo aumento della speranza di vita e di riduzione dell’assegno di pensione, il contribuente preoccupato del proprio tenore di vita futuro rappresenta il profilo più sensibile alle possibilità offerte dalla previdenza complementare.

Come sapere di quanto sarà l’importo mensile della pensione?

Il primo passaggio da compiere è conoscere quale sarà l’importo della propria pensione nel momento di uscita dal mondo del lavoro. L’Inps, ma anche altri siti specializzati in pensioni, ha creato una piattaforma (la Busta arancione) all’interno del proprio portale istituzionale per avere una stima di quello che sarà il futuro assegno previdenziale. Oltre all’importo prospettato per la pensione, dalla simulazione si può ricavare anche il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria.

Il tasso di sostituzione per capire se è necessario ricorrere alle pensioni integrative

Il tasso di sostituzione esprime il rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo stipendio (o il reddito per i lavoratori autonomi). Pertanto, è l’indicatore che maggiormente descrive quale sarà la futura pensione rispetto allo stipendio in termini percentuali. Ad esempio, a fronte di uno stipendio attuale di 1200 euro e con un tasso di sostituzione pari al 70%, la futura pensione sarà di 840 euro.

Quanti dei contributi versati torneranno indietro sotto forma di pensione?

La simulazione Inps che consente di avere una stima della futura pensione (da ripete periodicamente per i cambiamenti che intervengono nella vita lavorativa) potrebbe rappresentare un primo indizio per il ricorso alla previdenza complementare. Quanto ritorna indietro dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa? Chi dalla simulazione ottiene un  risultato non soddisfacente, può giocarsi la carta della previdenza complementare. L’obiettivo è quello di avere un’alternativa previdenziale per poter beneficiare, in futuro, di una rendita che vada a integrare la pensione pubblica.

Fondo pensione: in che modo aderire?

Non è necessario che la rata mensile dei contributi versati a un fondo pensione sia elevata. Invece, è consigliabile spalmare la contribuzione complementare su un numero più ampio possibile di anni. Anche un importo non elevato può rappresentare, per un numero elevato di anni, una formula di previdenza e di risparmio soddisfacente. Inoltre, se si sceglie di aderire a un fondo pensione in giovane età è possibile aderire a fondi più rischiosi, ma con un rendimento più elevato. Diversamente, più si è vicini all’uscita per la pensione e maggiormente si vira verso fondi più sicuri e con rendimenti meno elevati.

Quali sono i vantaggi dell’adesione al fondo pensione in età giovanile?

Un aspetto del “quando aderire” è rappresentato dai vantaggi riservati ai più giovani. Infatti, meno elevata è l’età di partecipazione al fondo pensione e maggiori sono i benefici della previdenza complementare. Sono almeno quattro i vantaggi che possono riscontrarsi in un’adesione di lunga data:

  • la rivalutazione assicurata dai fondi con i connessi vantaggi della deducibilità fiscale;
  • La deducibilità fiscale per i versamenti previsti periodicamente per la partecipazione al fondo;
  • la possibilità di accedere a quanto già versato nel caso in cui si dovessero presentare situazioni di difficoltà;
  • il reintegro del capitale nei periodi più favorevoli.

Quanto si può avere in più di pensione con la previdenza complementare?

Con la stima della propria futura pensione è più facile scegliere, tra i fondi pensione, quello che potrà garantire l’integrazione utile a mantenere un tenore di vita adeguato. Per conoscere di quanto si può integrare la pensione con la previdenza complementare esistono sul web numerosi comparatori. Questi strumenti servono a mettere a confronto tra loro le diverse formule di pensione integrativa. L’attenzione va posta sulla soluzione che massimizza il rapporto dei costi di accesso ai rendimenti.

TFR in azienda: il datore di lavoro può investirlo? Ci sono rischi?

Il TFR, o Trattamento di Fine Rapporto, è una porzione di retribuzione la cui riscossione viene differita al momento della fine del rapporto di lavoro, ad esempio per dimissioni o pensionamento. Nel tempo queste somme accantonate sono state disciplinate in diverso modo, tra le varie opportunità vi è quella di lasciare il TFR in azienda per poi riscuoterlo al termine del rapporto di lavoro, ciò che molti si chiedono è: il datore di lavoro può investire il TFR lasciato in azienda?

Cos’è il TFR

Il TFR è una spettanza del lavoratore dipendente del settore pubblico e del settore privato ed è anche conosciuto come liquidazione o buonuscita. Per calcolare il suo importo occorre tenere in considerazione la retribuzione annua e dividerla per il coefficiente 13,5, infatti la normativa stabilisce che il TFR annuale debba essere pari e comunque non superiore a tale somma. A tale somma deve essere sottratto lo 0,50%  che deve finanziare il sistema previdenziale del fondo di garanzia come stabilito dall’articolo 2 comma 8 della legge 297 del 1982. Il TFR per un breve lasso di tempo è stato liquidato, a richiesta, anche in busta paga, ma l’INPS con Messaggio 2791 del 2018 ha precisato che non è più possibile fruire di tale opzione in quanto il legislatore non ha provveduto a prorogarla.

Come gestire il TFR: è consigliato lasciarlo in azienda?

In materia un’ importante riforma si ha con il decreto legislativo 252 del 2005 in cui la gestione del TFR è riformulata con l’obiettivo di stimolare i lavoratori a utilizzare il TFR per avere una pensione integrativa. Questa modifica è stata essenziale anche perché gli importi delle pensioni maturate sono andati via via scemando a causa delle riforme del sistema pensionistico. In passato il TFR restava in azienda e il datore di lavoro normalmente lo investiva nella stessa azienda, ad esempio per acquistare nuove strumentazioni e poi provvedeva a liquidare le somme ai lavoratori accedendo a risorse aziendali proprie, naturalmente al momento di versare gli importi c’era il rischio di non avere liquidità.

Oggi è tutto cambiato ed è il lavoratore di fatto a scegliere come investire la propria liquidazione durante il dispiegarsi del rapporto di lavoro.

Occorre ricordare che la riforma entra in vigore il primo gennaio 2007 e le somme accantonate prima di tale data restano soggette alla vecchia disciplina e quindi possono restare in azienda e possono essere ancora oggi liquidate alla fine del rapporto di lavoro. Fatta questa premessa, occorre ricordare che il TFR, in seguito alla riforma, può essere  lasciato in azienda ( che li gestisce solo in alcuni limitati casi)  oppure investito in fondi di investimento chiusi o aperti. Il lavoratore ha sei mesi di tempo dall’inizio del contratto di lavoro per scegliere, con il modello TFR2, come utilizzare il TFR che matura di anno in anno.

Il lavoratore come può investire il TFR?

Di conseguenza il lavoratore può:

  • scegliere di devolvere il TFR maturando a un fondo pensione che sceglie lui e indicandolo in modo esplicito, al momento di andare in pensione riceverà quindi il TFR come pensione integrativa;
  • Può non esprimere alcuna scelta e in questo caso si applica il principio del silenzio assenso e il datore di lavoro accantona il TFR presso fondo pensione previsto dagli accordi o contratti collettivi e, nel caso in cui siano disponibili più fondi, presso il fondo a cui hanno aderito la maggior parte dei lavoratori dell’azienda;
  • Infine può decidere in modo esplicito di lasciarlo in azienda. In questo caso si verificano due ipotesi:
  1. se l’azienda ha meno di 50 dipendenti può trattenerlo e poi versarlo al momento della cessazione del rapporto di lavoro ( se l’azienda dovesse avere difficoltà economiche, ottenere le somme potrebbe essere difficile);
  2. se l’azienda ha almeno 50 dipendenti deve invece devolvere il TFR man mano che matura al Fondo di Tesoreria dell’INPS. Il lavoratore può controllare in modo costante l’ammontare del proprio TFR lasciato al Fondo INPS attraverso il sito dell’INPS, occorre accedere all’area personale MyINPS. Ricordiamo che dal primo ottobre 2021 non è possibile accedere con il PIN, ma solo con lo SPID, e visitare l’area del sito “servizio consultazione posizione personale da lavoro dipendente”.

Il TFR lasciato in azienda si rivaluta automaticamente ogni anno dell’1,5% a cui si aggiunge il 75% del tasso di inflazione, ma tale rendimento è solitamente inferiore a quello dei fondi di previdenza complementare. La tassazione sul TFR è comunque più elevata rispetto a quella prevista in caso di devoluzione ai fondi di previdenza complementare.

TFR in azienda: il datore di lavoro può investirlo?

In effetti ad oggi l’unico caso in cui l’azienda ha la disponibilità diretta delle somme accantonate è quello in cui vi sono meno di 50 dipendenti. Tale condizione è comune a oltre il 90% delle aziende italiante Il lavoratore che inizialmente ha deciso di lasciare la liquidazione in azienda, in un secondo momento potrà decidere di investirlo in un fondo pensione chiuso o aperto, mentre nel caso in cui il lavoratore abbia inizialmente deciso di investirlo, non può cambiare idea e decidere di lasciare il TFR in azienda.  L’INPS ha chiarito che può essere devoluto ai fondi pensione anche il TFR pregresso.

TFR in Azienda: cosa succede se l’azienda non liquida le somme?

Il datore di lavoro deve liquidare le somme, su istanza del lavoratore, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, se gli investimenti del datore sono stati poco fortunati, il rischio di non avere il TFR è alto. Nel caso di mancato versamento nei termini, ricordiamo che gli stessi sono previsti nel CCNL di settore e che comunque il TFR deve essere chiesto prima di 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore può comunque agire per ottenere le somme anche attraverso il Fondo di Garanzia dell’INPS per il trattamento di fine rapporto, questo però ha un accesso limitato, infatti ci sono delle condizioni. In particolare si può chiedere l’erogazione tramite il fondo nel caso in cui l’azienda sia sottoposta a procedure di fallimento, come il concordato preventivo o la liquidazione coatta amministrativa.

Se l’azienda non è sottoposta a procedure concorsuali/fallimentari il lavoratore deve impegnarsi per ottenere le somme dal proprio datore di lavoro tramite procedure esecutive e potrà accedere al fondo solo nel caso in cui dimostri di aver percorso tutte le strade possibili per ottenere il TFR dal datore di lavoro, ma le stesse non hanno avuto esito positivo.

A questo punto occorre ricordare che il datore di lavoro potrebbe anche omettere il versamento ai fondi pensione, in questo caso è onere del lavoratore controllare che i versamenti siano eseguiti e in caso di mancato versamento è bene sollecitare il datore di lavoro affinché li esegua e, se l’esito è negativo, può procedere per vie legali.

Previdenza complementare, quanto bisogna versare per avere una ‘pensione di scorta’?

Quanto è necessario versare per avere in futuro una pensione di scorta? Il riferimento è alla pensione integrativa che permette di integrare l’assegno previdenziale una volta maturati i requisiti di uscita da lavoro. Tuttavia, l’importo stimabile su quanto versare per avere una soddisfacente pensione integrativa non è univoco, ma dipende da vari parametri.

In base a cosa si sceglie l’importo da versare per la pensione integrativa?

Incidono nella scelta di quanto versare per la pensione integrativa più fattori. Innanzitutto l’importo della pensione integrativa nel momento in cui spetta la prestazione previdenziale. In seconda battuta, di quanto si incrementa la pensione lavorativa decidendo di ricorrere anche alla pensione integrativa. Inoltre nella scelta va considerato anche il numero di anni che spettano di contribuzione per l’accumulo ai fini della prestazione integrativa. Infine, il rendimento netto derivante dalla propria scelta.

Come si procede per la scelta di quanto versare per la pensione integrativa

Il primo passaggio da compiere è quello di stimare la propria pensione lavorativa una volta che matureranno i requisiti per l’uscita da lavoro. È importante, in questo senso, tenere sotto controllo le simulazioni della “Busta arancione” dell’Inps, lo strumento che permette di stimare quale sarà l’importo mensile della futura pensione. Ottenuta l’informazione, è necessario immaginare di quanto dovrebbe essere l’incremento della pensione lavorativa versando alla previdenza complementare. Si tratta di un calcolo del tutto personale, basato sul proprio tenore di vita e sulle spese previste in futuro.  Dunque la pensione integrativa, insieme alla pensione pubblica, dovrebbe consentire di non perdere la situazione economica che il contribuente ha durante la vita lavorativa.

Pensione integrativa: è necessario considerare per quanto tempo bisogna versare contributi

Naturalmente, tra i fattori di scelta rientra anche la durata della contribuzione alla previdenza complementare. Nella scelta bisogna tener presente che tanto più alto è il numero di anni di versamenti al fondo pensione, tanto maggiore è la somma che si accumulerà per la vita futura da pensionati. Non è necessario versare mensilmente somme elevate: con contributi relativamente contenuti negli anni si può accumulare una buona somma.

Pensione integrativa: i vantaggi della fiscalità

Se al beneficio futuro di avere una pensione integrativa si aggiungono i vantaggi fiscali derivanti dai versamenti il gioco è fatto. In particolare, il contribuente ha la possibilità di beneficiare della deducibilità fiscale fino a 5.164 euro all’anno sui versamenti sostenuti. L’importo netto del contributo sarà pertanto inferiore a quanto realmente accantonato presso il fondo pensione.

Previdenza complementare: non solo pensione futura, ma anche rendimento dell’investimento

La scelta di aderire a un fondo pensione non deve essere valutata solo ai fini della futura pensione di scorta, ma anche dal punto di vista del rendimento dell’investimento fatto. In linea di massima, una delle regole principiali per chi aderisce ai fondi pensione è quella di valutare la partecipazione a proposte più rischiose ma con più alti rendimenti quanto più si è lontani dalla pensione lavorativa.

Contribuente vicino alla pensione, quanto si può rischiare con i fondi più redditizi?

Viceversa, per chi è più vicino all’uscita da lavoro è consigliabile puntare su soluzioni meno redditizie, ma sicuramente meno rischiose. L’obiettivo è quello di avere un rendimento che nel tempo possa essere il più bilanciato possibile. Il punto ottimale, dunque, è quello in cui il contribuente riesce a mantenere in linea la scelta dell’adesione al fondo pensione con il livello di rischio che è disposto ad accettare.

I rendimenti dei fondi pensione cambiano nel tempo

Naturalmente, la scelta di adesione a un fondo pensione non è per sempre. Ovvero si può rimodulare strada facendo il proprio percorso di contribuzione. Questo dipende anche dal fatto che i rendimenti attesi nel tempo possono variare. A far decidere al contribuente di provare a fare qualche cambiamento sul piano contributivo della pensione integrativa può concorrere il proprio patrimonio e gli anni che spettano prima della pensione. Per questo motivo nessuna scelta è vincolante.

Formule di adesione alla pensione integrativa tramite il datore di lavoro: l’accordo collettivo aziendale

In tema di quanto pagare per avere una buona pensione integrativa futura non vanno dimenticate le adesioni ai fondi pensione rientranti in accordi collettivi o regolamenti aziendali. L’accordo collettivo al fondo pensione consente all’aderente di beneficiare anche del contributo versato dal proprio datore di lavoro. L’entità del versamento di quest’ultimo è stabilito proprio dall’accordo aziendale. La condizione da rispettare è quella che il lavoratore deve versare, a sua volta, quanto stabilito dall’accordo stesso o, in alternativa,  un importo maggiore.

Adesione contrattuale al fondo pensione: il lavoratore sceglie se versare

Diversamente dall’accordo, con l’adesione contrattuale (e in presenza di versamenti fatti già dal datore di lavoro al fondo pensione a favore del dipendente) il lavoratore può decidere se contribuire e di quanto deve essere la sua rata mensile. Dunque l’obbligo di accantonamento al fondo pensione vige solo sul datore di lavoro, ma il lavoratore può decidere di incrementare la propria quota di adesione.

Fondo pensione, adesione tramite il Trattamento di fine rapporto (TFR)

L’obbligo o la decisione del lavoratore di integrare i versamenti al fondo pensione nei casi di accordo o di adesione contrattuale può essere ottemperata attraverso il Trattamento di fine rapporto. Infatti, il lavoratore può integrare la propria posizione versando il proprio Tfr futuro, in tutto o in parte. Tuttavia, se il lavoratore dovesse decidere di aderire con il solo Tfr non potrà avvalersi della contribuzione del datore di lavoro. Pertanto, al lavoratore spetta la scelta di contribuire anche di tasca propria: solo in questo caso, il datore di lavoro è obbligato a contribuire per la sua parte. I limiti e le modalità di contribuzione, tuttavia, devono essere previsti dagli accordi aziendali di riferimento.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità delle partite Iva forfettarie

I lavoratori autonomi che adottano la partita Iva in regime forfettario non possono sfruttare tutte le detrazioni e le deduzioni fiscali contemplate nel regime ordinario della partita Iva, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori. Tuttavia, anche chi rientra nel regime forfettario può avvalersi di deduzioni e detrazioni fiscali nel caso di altri redditi sui quali sono dovute le imposte Irpef. Rientrano in questo campo di applicazione l’ulteriore reddito da lavoro dipendente o da locazione, purché senza cedolare secca.

Pensione integrativa e regime forfettario

Nel caso del regime forfettario, l’adesione alla pensione integrativa, dunque, non comporta l’applicabilità della deduzione fiscale dei contributi versati al fondo pensione. La deducibilità, tuttavia, è possibile sugli ulteriori altri redditi soggetti a Irpef. L’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica è prevista sulla parte di contributi non dedotta.

Esenzione fiscale della prestazione finale del fondo pensione

Tuttavia, anche nel caso del regime forfettario di partita Iva è prevista l’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica futura. Infatti, nell’erogazione della prestazione previdenziale si deve considerare:

  • che la prestazione è soggetta a ritenuta con aliquota agevolata, tra il 15 % e il 9% a seconda della durata, in anni, di partecipazione al fondo pensione;
  • che la ritenuta è esente, in parte, da tassazione.

Base imponibile prestazione pensione integrativa soggetta a ritenuta

Il vantaggio, anche per le partite Iva a regime forfettario, consiste nel fatto che sulla base imponibile della futura prestazione pensionistica, e sulla quale andrà applicata la ritenuta d’imposta, dovrà essere escluso quanto già tassato precedentemente. Dunque, risultano esenti dalla prestazione pensionistica:

  • i rendimenti già tassati nella fase in cui si sono versati i contributi;
  • i contributi che il contribuente non ha dedotto ficalmente.

Partita Iva con regime forfettario: come funziona la deducibilità dei contributi al fondo pensione

Un contribuente con partita Iva a regime forfettario che abbia versato al fondo pensione contributi per 4.500 euro, dunque, non potrà godere, a differenza degli altri regimi di partita Iva, della deduzione fiscale sui contributi versati. In ogni caso, il contribuente dovrà procedere a inoltrare al fondo pensione la comunicazione dei “contributi non dedotti“. Il lavoratore autonomo deve presentare la comunicazione non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale i contributi sono stati versati. L’importo che deve contenere la comunicazione è pari a 4.500 euro, ovvero al totale annuo dei contributi pagati al fondo.

Contribuenti forfettari: esenzione fiscale della prestazione pensionistica

Come già detto in precedenza, i 4.500 euro versati al fondo pensione, pur non essendo deducibili nel momento in cui sono stati versati, rappresentano l’esenzione fiscale della futura prestazione pensionistica. E pertanto, il contribuente in regime forfettario, con la comunicazione dei contributi non dedotti, dichiara al gestore del fondo di non essersi avvalso della deducibilità fiscale dei contributi versati. Ma godrà della detassazione totale per 4.500 euro una volta che avrà ottenenuto la prestazione previdenziale complementare.

Deducibilità contributi pensione integrativa per partite Iva ordinarie

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Un contribuente che versi al fondo pensione contributi per 3.000 euro l’anno, ottiene la deducibilità fiscale dei versamenti per lo stesso importo.  I contributi versati al fondo non superano il limite massimo della deducibilità, fissato in 5.164,57 euro. Non dovrà presentare alcuna comunicazione al fondo pensione per contributi non dedotti, ma cambia la fiscalità della futura prestazione pensionistica. Infatti, all’ottenimento della pensione integrativa i rendimenti saranno tassati.

Pensione integrativa: quali vantaggi per la partita Iva ordinaria?

Diverso è, inoltre, il caso di un contribuente, in regime di partita Iva ordinaria, che versi contributi al fondo pensione superiori al limite di deducibilità. Ad esempio, un lavortore autonomo che versi 7.000 euro annui a fronte del massimo deducibile di 5.164,57 euro. Proprio il limite costituisce dunque, il massimo della deduzione fiscale dei contributi versati in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la differenza tra quanto versato e il massimo, pari a 1.835,37 euro, deve essere comunicata al fondo pensione. La comunicazione dovrà avvenire per mettere al corrente dei contributi che il contribuente non ha dedotto.

Futura pensione complementare di chi lavora con partita Iva

In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente si avvarrà, nella futura prestazione complementare, di una quota esente da tassazione rappresentata dai contributi che non sono stati dedotti fiscalmente. E pertanto, nella base imponibile soggetta a ritenuta d’imposta sulla futura pensione integrativa, dovranno essere sottratti i contributi che non sono stati dedotti fiscalmente negli anni di accumulo. Nel caso in questione, tali contributi sono pari proprio a 1.835,57 euro.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità

La pensione integrativa permette di ottenere un risparmio vantaggioso grazie ai benefici assicurati dalla deducibilità fiscale dei contributi versati al fondo pensione dal reddito Irpef risultante nella dichiarazione dei redditi annuale. Infatti, i contributi che vengono versati annualmente permettono di diminuire l’imponibile fiscale ai fini Irpef.

Pensione integrativa: tetto di deducibilità fiscale

I contributi vanno detratti al reddito dichiarato prima dell’applicazione dell’aliquota progressiva prevista. Ciò comporta una diminuzione delle imposte da pagare. Il beneficio ha un tetto massimo corrispondente a 5.164,57 euro all’anno. Entro questo tetto, i contributi dovuti annualmente possono essere dedotti.

Deducibilità fiscale e calcolo base imponibile ai fini Irpef

Ai fini del calcolo dell’Irpef, la deducibilità fiscale delle pensioni integrative necessita del calcolo della base imponibile. Quest’ultima rappresenta il reddito complessivo netto sul quale il contribuente applica l’aliquota progressiva spettante. La base imponibile si compone da quanto segue:

  • dalla somma dei singoli redditi lordi (fondiari, da lavoro dipendente, da lavoro autonomo, di impresa e da redditi diversi);
  • alla somma dei redditi devono essere sottratti gli oneri deducibili, quindi anche i versamenti fatti nell’anno di imposta al fondo pensione;
  • infine va dedotta anche l’abitazione principale.

Aliquote su base imponibile ottenuta con le deduzioni del fondo pensione

Alla base imponibile così ottenuta il contribuente si vede applicare le aliquote crescenti per scaglioni di reddito. Con la deduzione dei versamenti fatti al fondo pensione, l’imposta dovuta sarà meno gravosa perché va a detrazione della base imponibile. In particolare, per scaglioni di reddito:

  • fino a 15.000 euro si applica l’aliquota del 23%;
  • per lo scaglione successivo, da 15.0001 a 28.000 euro di reddito, si applica l’aliquota del 27%;
  • da 28.001 a 55.000 euro si applica l’aliquota del 38%;
  • per il successivo, da 55.001 a 75.000, l’aliquota prevista è del 41%;
  • oltre i 75.000 euro di reddito è prevista l’aliquota del 43%.

Calcolo Irpef per scaglioni di reddito

Se un contribuente dichiara un reddito lordo dell’anno precedente pari a 25.000 euro, fino a 15.000 euro paga l’aliquota del 23%, dunque 3.450 euro. Per lo scaglione successivo, ovvero da 15.001 a 28.000 euro (in questo caso fino a 25.000 euro), l’aliquota prevista è del 27%, per una tassa corrispondente di 2.700 euro. Il totale dell’imposta Irpef dovuta dal contribuente è di 6.150 euro.

Contributi versati al fondo pensione: la deducibilità nella base imponibile

Nel caso del contribuente, alla base imponibile vanno detrati gli oneri deducibili. Tra questi, la normativa permette di dedurre i contributi versati al fondo pensione ogni anno ai fini della prestazione integrativa. Il limite, come già ricordato, è di 5.164,57 euro. Pertanto, il contribuente che abbia un reddito complessivo pari a 25.000 euro (e che abbiamo visto avrebbe un ammontare di tasse da pagare pari a 6.150 euro) potrà dedurre i contributi al fondo pensione, pari ad esempio, a 3.000 euro.

Quanto si risparmia di tasse con la deducibilità della previdenza complementare?

Con la deduzione dei 3.000 euro dei contributi versati al fondo pensione la base imponibile si riduce a 22.000 euro. Pertanto, le tasse dovute dopo la deduzione scendono a 5.340 euro per un risparmio fiscale totale pari a 810 euro.

Deducibilità fiscale: anziché pagare tasse si provvede alla pensione integrativa

La pensione integrativa permette, dunque, una convenienza fiscale associata alla vantaggiosa scelta di mettere dei soldi da parte in vista della futura pensione. Da un’altra ottica, dei 3.000 euro portati in detrazione della base imponibile perché già versati al fondo pensione, effettivamente ne sono stati versati 2.190 euro. La differenza costituisce, evidentemente, la riduzione delle imposte dovute annualmente.

Deducibilità fiscale: maggiori vantaggi per i giovani

Il vantaggio di aderire alla pensione integrativa e dedurre le quote dei versamenti al fonto è maggiore per i giovani. Infatti, per chi è alla prima sua occupazione, la deducibilità totale è pari a  7.746,86 euro. Si tratta di 2.582,29 euro annui oltre il limite previsto. Inoltre, la quota non sfruttata fino al tetto della deducibilità pari a  5.164,57 euro costituisce un bonus da utilizzare sulle dichiarazioni dei redditi future. Si tratta del bonus deducibile addizionale per i primi cinque anni.

Il bonus deducibile addizionale per i giovani alla prima occupazione

Ammettiamo che un giovane alla prima occupazione versi al fondo pensione 3.000 euro all’anno. Nei primi cinque anni di iscrizione al fondo, potrà maturare il bonus deducibile addizionale pari a 2.164,57 euro x 5 anni, ovvero 10.822, 85 euro. I 2.164,57 euro sono ottenuti dalla differenza tra il tetto massimo ordinario e quanto versato al fondo (5.164,57 euro – 3.000 euro).

Utilizzo del bonus deducibile addizionale

Il bonus deducibile addizionale può essere utilizzato in deduzione a partire dal sesto anno di partecipazione al fondo pensione. Il limite di utilizzo è per i successivi 20 anni.

Cosa succede se si versa al fondo pensione più del limite di deducibilità?

Cosa avviene se i contributi versati al fondo pensione superano il limite previsto per la deducibilità del fondo pensione? Le quote eccedenti il limite fiscale devono essere comunicati al fondo pensione attraverso la “Comunicazione dei contributi non dedotti”. Il contribuente deve trasmettere la comunicazione entro il 31 dicembre dell’anno susseguente a quello nel quale è stato fatto il versamento.

Fondi pensione aperti: di cosa si tratta e a chi convengono

La pensione continua ad essere il “sogno proibito” di molti italiani in cassa integrazione, di disoccupati, di precari e di lavoratori a nero. Tutte categorie che impazzano nella nostra bella penisola, ancor più in un periodo di travagliata pandemia che dal 2020 ha travolto il sistema economico e sociale del paese. Andiamo a scoprire, con questa efficace guida, cosa sono i fondi pensione aperti e a chi convengono.

Fondi pensione aperti: di cosa si tratta?

Partiamo già col dire che con un fondo pensione parliamo di una forma di previdenza sociale istituita da banche o imprese di assicurazione, sotto forma di patrimoni autonomi e separati da quelli istituiti e vengono destinati al pagamento delle prestazioni di coloro che vi sono iscritti. La loro utilità consiste nel destinare parte dei risparmi del contribuente all’ integrazione della sua pensione di base e ricevere una pensione complementare, anche reversibile. E quindi, agevolare l’uscita dal mondo lavorativo e affrontare la pensione.

Come funzionano i fondi pensione aperti

I fondi pensione aperti permettono ad ogni iscritto di avere un conto pensionistico personale su cui finiscono i propri versamenti contributivi. Le somme che vi sono versate saranno custodite presso un depositario autorizzato (ovvero una banca o un’impresa di investimento) e, dunque, investite nei mercati finanziari, allo scopo di ottenere rendimenti che nel tempo accrescano il capitale accantonato e permettano di conseguire prestazioni pensionistiche integrative rispetto alla previdenza obbligatoria. Va, inoltre aggiunto che le prestazioni di cui il contribuente potrà beneficiare dipenderanno dall’importo complessivo dei contributi versati, dalla durata di tale periodo, dai costi sostenuti e dai rendimenti ottenuti con l’investimento sui mercati finanziari.

Ma quanto costa aprire un fondo pensione aperto?

Bisogna precisare che costi applicati da un fondo pensione, avranno un impatto significativo sulla prestazione che chiederai. E’, dunque, importante consultare la “Scheda dei costi” nel documento “Informazioni chiave per l’aderente”, che sarà consegnato al momento dell’adesione per valutare i relativi costi del fondo pensione.

Chi può aderire ad un fondo pensione aperto?

Precisiamo che chiunque, senza esclusione, può aderire all’apertura di un fondo pensionistico. Può essere fattibile sia in misura individuale che collettiva. Potendo anche iscrivere i relativi familiari a carico. Se il contrato di lavoro dell’iscritto rende possibile l’iscrizione a un fondo pensione aperto sarà possibile aderire secondo le modalità previste dai contratti collettivi di lavoro, dagli accordi o dai relativi regolamenti aziendali, per un adesione collettiva. Nel caso di quest’ ultima opzione (di adesione collettiva) potrà avvenire anche in modalità di tacito accordo. I lavoratori pubblici possono aderire ai fondi aperti solo su base individuale, così come i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

Ci sono agevolazioni fiscali e quali?

Sono riconosciute alcune agevolazioni fiscali nel caso di un apertura di fondo pensionistico:

  • contributi versati sul fondo pensione sono deducibili dal reddito IRPEF fino ad un totale di 5.164,57 euro all’anno, quindi si pagheranno subito meno imposte sui redditi. Entro lo stesso limite si può, inoltre, portare in deduzione anche i versamenti effettuati a favore di familiari fiscalmente a carico
  • rendimenti della gestione finanziaria sono tassati con un’aliquota massima del 20% anziché del 26% come per la maggior parte delle forme di risparmio finanziario;
  • la pensione complementare e il capitale hanno una tassazione con un’aliquota agevolata che andrà a variare tra il 15% e il 9% in base agli anni di partecipazione al fondo
  • le anticipazioni o i riscatti della posizione individuale per poter fronteggiare le spese impreviste personali o familiari sono tassati con un’aliquota agevolata che andrà a variare tra il 15% al 9% in base al numero di anni di partecipazione;

Concludiamo, con un piccolo sunto sulle possibili prestazioni che si possono ottenere da un fondo pensione aperto. Quando arriva il momento del pensionamento, dopo aver conseguito almeno 5 anni di partecipazione al versamento sul fondo pensionistico, si potrà ottenere la totalità del capitale accumulato. Ovvero, ciò che costituirà la pensione complementare. Oppure fino al 50% di quanto ammonta, con il restante tramutabile in rendita.

Fondi pensione preesistenti: cosa sono, come funzionano e chi può aderire

I fondi pensione preesistenti sono stati fondati in Italia il 15 novembre 1992, come forma di previdenza complementare. Per lo più, sono istituiti in grandi aziende o in gruppi societari (multinazionali, assicurazioni o banche) o per determinate categorie di lavoratori. L’adesione avviene in base al regolamento aziendale o agli accordi collettivi.

Se è previsto dal fondo, è possibile iscrivere anche i familiari a carico. L’iscrizione può essere fatta presso l’azienda in cui si lavora e la sede del fondo pensione oppure per via telematica in alcuni casi. Il fondo pensione preesistente è reversibile a favore del coniuge o di altri beneficiari indicati, ma può servire anche per affrontare delle difficoltà lavorative o personali.

Adesione a un fondo pensione preesistente: come funziona

Il fondo pensione preesistente prevede che ogni iscritto abbia un conto pensionistico individuale, su cui affluisce la contribuzione versata. I relativi importi vengono investiti dal fondo al fine di conseguire buoni rendimenti che possano far aumentare il capitale nel tempo. Le prestazioni che saranno conseguite dipenderanno dall’ammontare totale dei contributi versati, dalla durata del periodo di contribuzione, dai costi sostenuti e dai rendimenti ottenuti con l’investimento.

E’ possibile versare il proprio contribuito al fondo pensione preesistente, tramite la quota annua del TFR, come previsto dagli accordi, il contributo individuale anche in misura maggiore a quanto previsto dagli accordi e il contributo aggiuntivo dell’azienda. In assenza del versamento del proprio contributo, non si ha diritto a ricevere il contributo aziendale. Si può scegliere di investire i propri risparmi tra investimenti garantiti, obbligazionari, azionari e bilanciati offerti dal fondo. La scelta che può essere modificata nell’importo e nel tipo di investimento durante la fase di adesione dipende dall’entità del rischio che si è disposti ad assumere e agli anni che mancano per raggiungere la pensione.

Quanto costa l’adesione e quali prestazioni si possono ottenere

I costi di adesione al fondo pensione preesistente hanno un’elevata incidenza sulle prestazioni chieste. E’ importante informarsi preventivamente, consultando il sito COVIP si possono trovare indicazioni utili. Quando il lavoratore che ha dato la sua adesione al fondo giunge al momento del pensionamento, avendo accumulato cinque anni di partecipazione al fondo, può ricevere tutto il capitale accumulato in rendita che costituirà la pensione complementare; fino a un massimo del 50% del montante accumulato in capitale e il restante in rendita; tutta la propria posizione in capitale, ma solo se il 70% del montante accumulato dà una rendita annua inferiore al 50% dell’assegno sociale.

Anticipi e riscatti: casi, quando, quanto e tassazione

ANTICIPI

  • Spese sanitarie straordinarie comprovate e correlate a interventi e terapie conseguenti a gravissime condizioni (anche per i figli e il coniuge), in qualsiasi momento e fino al 75% del capitale accumulato, con tassazione variabile tra il 9% e il 15% a seconda degli anni di partecipazione alla previdenza complementare.
  • Acquisto e ristrutturazione documentati della prima casa (anche per i figli), dopo 8 anni di partecipazione al fondo pensione, fino al 75% del capitale accumulato, con una tassazione del 23%. Motivi familiari o personali dopo 8 anni di partecipazione alla previdenza complementare, fino al 30% del capitale accumulato, c0n una tassazione del 23%.

RISCATTI

Invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo o inoccupazione superiore ai 48 mesi, dimissioni o licenziamento, decesso dell’aderente, in qualsiasi momento si verifichi la suddetta situazione, tutto il capitale, con tassazione del 23% per dimissioni e licenziamento, tra il 9% e il 15% negli altri casi, a seconda degli anni di partecipazione al fondo.

Per inoccupazione tra 12 e 48 mesi, in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a mobilità, cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria, in qualsiasi momento si materializzi la situazione, fino al 50% del capitale, con una tassazione tra il 9 e il 15% a seconda degli anni di partecipazione al fondo pensione.

In alternativa al riscatto, se non mancano più di 5 anni alla pensione di vecchiaia, si può chiedere al fondo pensione il pagamento di una rendita integrativa temporanea anticipata (RITA). Per beneficiarne deve essere cessata l’attività lavorativa, avere almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare e 20 anni di contribuzione alla previdenza obbligatoria. Si può anche richiederla fino a 10 anni prima dell’età pensionabile, se si è inoccupati da oltre 24 mesi. In ambo i casi, la rendita verrà corrisposta fino al conseguimento dell’età per la pensione di vecchiaia prevista nel sistema pensionistico obbligatorio.

Agevolazioni fiscali

  • La contribuzione al fondo è deducibile dal reddito IRPEF fino a 5.164,57 euro l’anno. Entro la stessa soglia, sono deducibili anche i contributi versati a favore di familiari fiscalmente a carico (non è invece inclusa nel limite di deducibilità la eventuale quota di TFR versato);
  • i rendimenti della gestione finanziaria sono tassati al 20% (limite massimo), rispetto al 26% previsto per molte altre forme di risparmio finanziario;
  • la rendita o il capitale sono tassati tra il 9% e il 15% (dipende dagli anni di partecipazione al fondo). E’ tassata solo la parte corrispondente ai contributi che hai dedotto durante il periodo di partecipazione al fondo pensione e alle quote di TFR);
  • le anticipazioni o i riscatti del capitale accumulato richiesti per affrontare le spese impreviste personali o familiari e sono tassati il 9% e il 15% (dipende dagli anni di partecipazione al fondo); per alcune tipologie di richieste sono tassate al 23%.

Pip: la guida completa sui piani individuali pensionistici

Pip è l’acronimo di piani individuali pensionistici. Una guida completa per conoscere questi prodotti finanziari, chi può aderire e a cosa servono.

Pip: cos’è un piano individuale pensionalistico?

I piani individuali pensionistici sono una forma di previdenza privata proposta dalle compagnie di assicurazione. Fanno parte della contribuzione volontaria. In altre parole, consente di destinare parte dei risparmi ad integrazione della pensione di base. Questo permette di avere una pensione mensile più elevata, in quanto complementare alla prima. Inoltre, questo tipo pensione è anche reversibile, in favore del coniuge, un figlio, o qualsiasi altro destinatario indicato.

I pip permettono anche di affrontare delle spese mediche non previste, ristrutturare casa, gestire dei periodi di inoccupazione o magari agevolare l’uscita dal mondo del lavoro. Possiamo quindi tranquillamente affermare che i pip sono piani di investimento. Sono stati introdotti in Italia, con la legge 8 agosto 1995 n.335.  

Pip: come funzionano?

Il pip è un piano di accumulo che permette di distribuire i risultati di un investimento attraverso una rendita vitalizia al raggiungimento dell’età pensionabile. Una qualsiasi persona può decidere di aprire il proprio piano. A questo punto verserà periodicamente una quota monetaria, che poi vengono gestite dal titolare del fondo.

Esistono infatti, varie imprese e soggetti che offrono soluzioni di questo tipo. A seconda delle caratteristiche del pip si può scegliere di collegare la rivalutazione della pensione individuale ad una gestione separata, a uno o più fondi interni. Ma esiste anche qualche soluzione che è una combinazione delle due precedenti. I fondi pensione interni sono gestiti e dipendono da diversi prodotti finanziari con altrettanti difficili rendimenti.

Chi può aderire al Pip?

I pip sono dei piani volontari, quindi può decidere di accenderne uno chiunque. Non c’è alcuna dipendenza dall’attività lavorativa, dalla presenza o meno di partita Iva o regimi fiscali scelti, o se si è liberi professionisti o dipendenti. In altre parole, chiunque voglia può aderire ad un piano pensionistico volontario, del resto sono somme accantonate, che verranno riscattata, secondo le caratteristiche del prodotto d’investimento. E’ possibile la sottoscrizione ai piani sia recandosi in sede della società ideatrice, ma anche tramite un promotore finanziario o anche tramite web, nei casi previsti.

Come e quando riscattare un piano pensionistico

Prima di ogni cosa è bene chiarire che per riscattare il piano occorre aver raggiunto l’età pensionabile. Ci sono dei casi però che permettono di anticipare questa data. Possono essere così riassunti:

  • dopo 8 anni dall’investimento, è possibile richiedere l’anticipo del 75% in caso di necessità di ristrutturazione o acquisto della prima casa;
  • sempre dopo 8 anni è possibile richiedere il 30% dell’ammontare versato;
  • è possibile ritirare fino al 75% del maturato in caso di gravi situazioni di salute proprie o di un familiare

Infine è bene ricordare che è possibile riscattare il piano sempre in caso di morte del lavoratore. In questo caso la somma verrà agli eredi. Un altro caso di riscatto anticipato è una sopravvenuta incapacità che riduce le capacità lavorative dell’intestatario. E ultimo caso è in riferimento ad un lungo periodo di disoccupazione.

Le agevolazioni fiscali e altre raccomandazioni

Lo Stato italiano riconosce delle agevolazioni fiscali a questo tipo di investimento. I versamenti fatti al pip sono deducibili fino a 5.164, 57 euro l’anno. Entro lo stesso limite è possibile portare anche i contributi fatti nei confronti di familiari a carico fiscalmente. I rendimenti sono tassati al 20%, molto meno rispetto ad altre forme di investimento, che solitamente si orientano al 26%.

Inoltre, sia la pensione che il capitale sono tassati all’aliquota che oscilla tra il 9% ed il 15%. Questo dipende dagli anni del pip. Infine, le anticipazioni o i riscatti per far fronte a spese urgenti sono tassati con l’aliquota agevolata che dal 15% al 9% in base sempre agli numero di anni. Per tutte le altre operazioni la tassazione è del 23%.

Esistono anche soluzioni per minori?

La risposta è si. Esistono anche soluzioni di investimento per minori. Però, in questo caso se da un lato funziona come qualsiasi altro pip, vi sono delle regole di maggiore flessibilità. Infatti, chi sottoscrivere il piano avrà la possibilità di riscuotere il 30% del premio versato, in caso di necessità scolastiche. Ma anche nel caso in cui si voglia avviare una nuova attività imprenditoriale. La persona che avrà fatto i versamenti, anche se non è il beneficiario, potrà godere della deducibilità delle quote versate.

Altre piccole informazioni

Un’altra informazioni importante è che i pip non sono pignorabili e neanche sequestrabili dall’autorità giuridica. Un vantaggio non da poco, perché ciò vale per tutta la durata del piano né prima e né dopo il riscatto. Infine, il piano individuale pensionistico è totalmente reversibile. 

Ciò vuol dire che in caso di morte del contraente può essere interamente riscattato dal coniuge, dai figli o da altri eredi. I fondi di questo tipo rappresentano senza dubbio un valido strumento di investimento del proprio capitale. Pertanto, prima di sottoscriverne uno, è meglio valutare le varie  opzioni. Ad esempio Poste italiane S.p.A., Cattolica gestione previdenza, Allianz, Mediolanum e tanti altri enti offrono il loro prodotto sul mercato. Pertanto, prima di firmare leggere attentamente tutte le clausole contrattuali.