I morti che fan vivere l’economia

di Davide PASSONI

Forse a qualcuno può essere sembrata insolita la scelta di trattare, in questa settimana a cavallo tra ottobre e novembre, un tema come quello delle imprese funebri in Italia. In realtà, noi di Infoiva ci stavamo pensando da mesi aspettavamo solo che arrivasse l’occasione della settimana dei defunti per poter puntare il nostro faro su un settore che, nel nostro Paese, al di là delle facili ironie e dei sorrisini che molti fanno per esorcizzare il pensiero della morte, conta su numeri, addetti, imprese di tutto rispetto.

Se si pensa che, annualmente, muore in Italia più o meno mezzo milione di persone, viene facile immaginare quanto questa cifra significhi in termini di necessità da soddisfare, servizi da erogare, fatturato, giro di affari complessivo. E se si pensa come questo sia un settore fortemente caratterizzato dalla presenza di piccole imprese, viene altrettanto facile capire perché abbiamo deciso di indagarlo più a fondo con l’occhio di chi guarda all’impresa sana, quale che sia il suo modello di business. Ricordando però, ogni tanto, che sdrammatizzare fa bene…

Leggi l’intervista ad Alessandro Bosi, segretario nazionale Feniof

Leggi l’intervista a Franco Cereda, Presidente dell’Associazione dei Grossisti del Mercato dei Fiori di Milano

Leggi l’intervista a Daniele Contessi, 46 anni, presidente del cda di Outlet del Funerale

Leggi l’intervista a Marco Ghirardotti, presidente di Assocofani

Leggi i numeri del turismo in questo ponte di Ognissanti

Si fa presto a dire bara…

di Davide PASSONI

Lo sapevate che, in Italia, ci sono circa 50 aziende che fabbricano cofani funebri, mentre in Germania solo 2? Che i cinesi ci fanno concorrenza anche in questo settore? Che per ogni bara artigianale servono 25-30 ore di lavoro? Noi no. Ce lo ha raccontato Marco Ghirardotti, presidente di Assocofani, l’associazione dei produttori di cofani funebri.

Che cifre muove il settore dei cofani funebri in Italia in termini di fatturato, addetti, imprese?
Per quanto riguarda i dati specifici relativi alla fabbricazione di cofani funebri, non abbiamo cifre esatte, perché non c’è una banca dati vera e propria. Per quanto riguarda invece i produttori, se a fine Anni ’80 in Italia c’erano circa 240 aziende, oggi se ne contano meno di una 50ina, di cui circa 30 molto piccole e a gestione familiare, dislocate principalmente al Sud. Il 45% del mercato di produzione è attualmente coperto dalle aziende più strutturate, che sono 5 e, come numeri, producono tra i 20mila e i 50mila pezzi all’anno ognuna.

Un numero che copre il fabbisogno nazionale?
I decessi che comunque avvengono annualmente in Italia (fonte Istat) sono nell’ ordine dei 500-550mila con uno scostamento in positivo o in negativo all’incirca del 10% annuo nel corso dell’ultimo decennio, quindi il fabbisogno annuo nazionale si attesta sugli stessi numeri.

E le aziende, come lavorano in questo contesto?
Con un occhio attento a quello che succede in giro. Per esempio, a breve sarà emanata una norma UNI che stabilirà come dovranno essere prodotte le casse funebri in legno: anticipo che la norma ribadirà l’utilizzo esclusivo di legni massicci (come già la legge Italiana in materia prevede), niente multistrato, truciolare e affini, ma con un occhio attento anche all’ambiente ed all’ecologia. Quindi chi ha sempre sognato una bara di cristallo, dovrà rassegnarsi : bella, ma non sarà a norma. Per il resto il prodotto italiano, così come avviene per altri settori, è contraddistinto per la sua qualità e il suo design unico al mondo ed è internazionalmente riconosciuto.

Concorrenza dall’estero?
Con la globalizzazione anche questo settore ha visto l’ingresso di nuovi soggetti produttivi esteri.  Infatti quasi la metà dei prodotti che sono presenti  oggi sul mercato italiano e che vengono utilizzati dalle imprese di pompe funebri italiane provengono da Paesi come Cina, Romania, Croazia, Repubblica Ceca e Guatemala. Sono prodotti di qualità molto inferiore rispetto alla nostra  ma chi li commercializza , poiché attualmente non esiste l’obbligo di certificarne e dichiarane la provenienza, spesso li propone senza le dovute indicazioni o, peggio ancora, li spaccia per italiani.

Ah, la globalizzazione anche qui…
La concorrenza è forte e la lotta spesso impari, soprattutto per quanto riguarda il prezzo. In questo campo la manualità è ancora molto presente  e determinante sulla qualità della lavorazione e di conseguenza la componente prezzo della manodopera varia notevolmente in funzione di ciò; i costi orari dei Paesi emergenti non sono minimamente paragonabili a quelli che invece devono sostenere le aziende Italiane. Per non parlare poi dei costi inerenti alla sicurezza del lavoro e per l’ambiente, tasse etc…

Italians do it better anche in questo caso?
Naturalmente!! Il cofano di Luciano Pavarotti, quello di Lucio Dalla e anche quello dell’ ex presidente russo Eltsin sono usciti dalle nostre aziende. Per combattere la concorrenza estera ci dobbiamo posizionare sul mercato con prodotti medio – alti, offrendo alle imprese un mix di design-qualità e innovazione a un prezzo conveniente.  Nota dolente però è che in controtendenza stiamo assistendo a un abbassamento generale del livello della “gestione” del defunto, dovuta principalmente e sempre più spesso al depauperamento dei valori morali che hanno contraddistinto le generazioni che ci hanno preceduto. In pratica, ci sono meno attenzione e sensibilità da parte dei dolenti nei confronti dei propri cari passati a miglior vita. Non per ultima la cremazione, nata come una scelta filosofica della morte, e che sta diventando sempre più spesso invece quasi una forma di smaltimento del cadavere.

Curiosità: quanto lavoro c’è dietro a un cofano funebre?
Se pensiamo a cofani prodotti secondo processi industriali, per ciascuno di essi servono minimo 9-10 ore di lavoro effettivo, che possono diventare 25-30 o anche più per quelli prodotti con processi artigianali. Non va dimenticato però che a monte di ciò c’è la materia prima: il legno. Per poter produrre un cofano serve una preparazione meticolosa del materiale che deve essere innanzitutto perfettamente stagionato. Questa operazione indispensabile per la perfetta riuscita del manufatto, può iniziare anche 2 anni prima della prima piallatura della tavole necessarie alla realizzazione della cassa.

Allora chi dice che sono solo di quattro assi inchiodate, valore commerciale massimo 400 euro, sbaglia?
Se fossero realmente quattro assi inchiodate lo direi anch’io. Le faccio un esempio. Per la cassa funebre utilizzata per le esequie del cardinal Martini, (realizzata da una azienda  associata Assocofani e fra le più quotate al mondo), la componente del puro materiale utilizzato superava ampiamente, a mio parere, i 1000-1500 euro; se a questi aggiungiamo le oltre e 80 ore di lavoro artigianale per la realizzazione della stessa, lascio immaginare ai lettori quale possa essere il prezzo giusto per tale prodotto, sicuramente non il prezzo delle quattro assi inchiodate.

C’è export per i cofani funebri italiani?
Sì, esportiamo all’estero, ma dobbiamo andare su mercati remunerativi. Già ad esempio tutti i mercati ricchi ma di fede musulmana sono tagliati fuori, visto che non utilizzano le bare ma sudari. C’è la Russia, per esempio, gli Usa, ed esportiamo molto in Germania e in Svizzera, dove però il cliente tipo dei nostri prodotti, spesso è una famiglia di emigranti italiani. Pensi che in Germania ci sono più decessi dei nostri ma sono solo 2 produttori.

Quanto pesano sul vostro settore le strette fiscali operate sulle imprese?
Che dire, siamo tutti nella stessa barca (o nella stessa bara? ndr). Del resto, fino a 4 o 5 anni fa veniva riscontrata nel settore una bassa insolvenza nei pagamenti, mentre oggi sono in aumento anche per noi. Imprese che negli anni scorsi hanno sostenuto grossi investimenti, oggi possono trovare non poche difficoltà a marginare come un tempo, fermo restando che i mutui a loro tempo sottoscritti devono essere onorati e questo spesso può comportare conseguenti difficoltà economiche.

Si dice sempre che il vostro è un settore che non conosce crisi: quanto c’è di vero e quanto no?
Come tutti i luoghi comuni è… un luogo comune. Negli ultimi anni sono sorte molte nuove imprese di onoranze funebri che oggi che si trovano a dividere il mercato il quale, grosso modo, è sempre la stesso (penso sia il settore più contingentato che esista!). Le quote quindi diventano più piccole e, di conseguenza, chi è poco strutturato o che gode di quote minori, soffre di più.

Outlet del funerale sì, funerale low cost no

di Davide PASSONI

C’è una scena non rara cui può capitare di assistere nella metropolitana di Milano; persone che, dandosi di gomito e facendo risatine ammiccanti alzano il cellulare e fotografano quella che, a loro avviso, è una pubblicità a dir poco singolare: l’Outlet del Funerale, funerali completi da 1499 euro. Eppure l’iniziativa è seria, come tante idee imprenditoriali, e, in una settimana in cui il focus è sull’impresa del caro estinto, Infoiva non poteva non andare a bussare alla porta di questa realtà per capire il perché e il percome di una business idea che pare avere successo. Come ci conferma Daniele Contessi, 46 anni, dottore commercialista e presidente del cda della società.

Quando ha avuto questa idea imprenditoriale?
Siamo nati nel 2010, ma non siamo certo i soli che operano questa scelta, ci sono altre aziende che pubblicizzano funerali low cost. Il nostro è infatti un settore in cui il prezzo è sempre stato un tabù, quasi mai viene pubblicizzato e, quando succede, è di solito un prezzo civetta, utilizzato per agganciare il cliente. Una volta presentata la fattura, il prezzo che si trova a dover pagare è differente. Noi invece pubblicizziamo il prezzo, lavoriamo per pacchetti e ciò che un cliente vede è quello che effettivamente pagherà. Capisce che la cosa non ci mette in buona luce con i nostri concorrenti.

Bassi prezzi = maggiore concorrenza ma anche minore qualità?
Non ci proponiamo come low cost, ma come outlet: una parola che dà l’idea del risparmio ma non della scarsa qualità, mentre low cost è il contrario. Il nostro marchio ci serve per il marketing, la pubblicità dei prezzi è il nostro punto di forza.

E funziona?
Abbiamo un ottimo ritorno, perché siamo un’azienda gestita in modo classico, imprenditoriale. Alla fine delle nostre competenze diamo un questionario valutativo al cliente, il quale esprime un giudizio che alla fine pubblichiamo sul nostro sito. Serve come “controllo qualità”.

Lei commercialista che si dà alle pompe funebri: bizzarro o calcolato?
L’idea è nata perché conosco il settore. Sono un commercialista, avevo molti clienti che operano nel ramo delle onoranze funebri e capivo che la sua debolezza stava proprio nei prezzi e nella scarsa trasparenza; per cui un giorno mi sono detto: perché non creare un outlet del funerale?

Ecco, perché?
Perché il mercato è ingessato, poco trasparente e il cliente è quasi sempre scontento: vendere qualcosa a chi è in una situazione di fragilità psicologica è facile, se poi il venditore è bravo ti fa pure venire il rimorso se risparmi sul funerale del tuo caro. Ragion per cui si vendono servizi a prezzi folli: la media dei prezzi di mercato non è in linea col ritorno effettivo che uno ha, a mio avviso.

Le imprese di pompe funebri fanno cartello?
Non c’è solo un cartello, ma una cultura costruita in tal senso: per non far affrontare il problema della morte alla gente, che non si deve formare un’idea del mercato e fare un benchmark preventivo prima di decidere dove acquistare. Senza pubblicizzare i prezzi o lasciare un preventivo firmato, la gente resta nell’ignoranza. Perché gli uffici delle imprese di pompe funebri sono tetri? Perché nessuno ci deve mettere piede per farsi fare preventivi.

E il fenomeno delle imprese funebri che si presentano in anticipo alle famiglie del moribondo o che, negli ospedali, si propongono per gestire le esequie?
Certo che esiste. Portantini e infermieri a volte sono pagati dalle imprese di pompe funebri che chiamano a casa prima che il caro muoia, ma non riusciamo a far denunciare alle persone queste cose. Se non si cerca di fermare questi comportamenti, ci andiamo di mezzo tutti noi operatori onesti. Da 300 a 400 euro per avere le soffiate sui malati terminali, pazzesco.

Roba che non vi appartiene, giusto?
Noi ne siamo rimasti fuori e, mi passi il termine, contribuiamo a peggiorare il sistema: se togliamo mercato agli altri, i prezzi di queste segnalazioni infami si alzano e di questo passo il sistema collasserà.

Come vede questo settore da addetto-non addetto ai lavori?
Io faccio il consulente, implemento idee e le porto avanti. Il settore presenta margini di redditività fuori da ogni logica e chi può ci si infila. Se la gente si fermasse a riflettere e si informasse, manderebbe in rovina buona parte degli operatori; putroppo rimane la remora a chiedere i prezzi in anticipo, resta il rimorso di sentirsi, mi scusi il termine, dei pezzenti se si risparmia sull’estremo saluto al caro morto. Le pompe funebri sono aziende di servizi, bisogna avere il coraggio di parlare chiaro in termini di valore di ciò che si vende. Come mi si può dire che una cassa costa 5mila euro? Sono 4 assi di legno inchiodate, se ne costa 300-400 è tanto.

Uh, sicuro?
Mi dica lei: se le imprese campano bene con 4-5 funerali al mese, ossia 4-5 giornate lavorative, più o meno, i conti sono presto fatti.

Non saranno mica tutti dei delinquenti…
Non dico che chi è bravo non ha il diritto di guadagnare, dico che spesso un servizio da 1500 euro nei fatti è pari a uno da 10mila. Quello da 10mila deve valere effettivamente quella cifra per essere erogato, ma quasi sempre non è così.

E allora ecco l’outlet del funerale…
Siamo soci che non c’entrano direttamente col settore ma credono nello sviluppo di questa idea. Stiamo facendo quello che Ikea fa con i mobili e il design. Se qualcuno vuole comprarsi una cucina ben fatta spendendo 3mila euro va da Ikea, se la vuole da 15mila va da un artigiano in Brianza. Lei pensa che uomini e carri che escono per un servizio da 1500 euro e per uno da 5-6mila euro siano diversi? No, sono gli stessi.

Quindi il business funziona? Dove operate?
Il nostro business funziona perché è basato su grandi numeri e perché costiamo poco. Siamo a basati a Sesto San Giovanni ma lavoriamo in tutta la Lombardia.

Progetti di espansione?
Sì, stiamo valutando aperture in altre regioni, ma andiamo con i piedi di piombo. Abbiamo molte richieste di franchising, ma non le stiamo valutando perché vogliamo avere referenti sicuri e per ora ci sarebbe difficile tenerli sotto controllo. Soprattutto, non vogliamo gente che già opera in questo settore.

Quanto vi aiuta la crisi infame che viviamo?
Il discorso crisi non c’entrava quando abbiamo iniziato l’attività, ma ora ci sta aiutando perché tanti dei nostri concorrenti hanno grandi difficoltà a incassare. Pensi che, invece, c’è gente che vuole pagarci subito il giorno del funerale perché si sente in debito per il servizio ricevuto. Noi per policy rifiutiamo pagamenti in giornata.

Imprese funebri tra crisi e tradizione

di Davide PASSONI

Sono gli imprenditori con cui non vorremmo mai avere a che fare, ma prima o poi ci tocca. Buon per loro, altrimenti fallirebbero dopo una settimana dall’apertura della loro attività. Parliamo delle imprese che operano nelle onoranze funebri, un settore che fattura quasi 1 miliardo e mezzo all’anno e che, agli occhi dei più, non ha le dimensioni e l’importanza in termini di giro d’affari che, invece, riveste. Noi di Infoiva, curiosi per natura e “ispirati” dalla settimana che porta alla celebrazione della festa dei defunti, abbiamo posto qualche domanda ad Alessandro Bosi, 42 anni segretario nazionale Feniof, la Federazione Nazionale Imprese Onoranze Funebri, per saperne di più.

Qual è lo stato di salute del vostro settore?
Lo stato di salute del nostro settore sconta una problematica. Se è vero che la morte è un evento sociale cui non ci si può sottrarre – pur con alcune variazioni, ogni anno i decessi in Italia sono circa 560mila – quello che cambia, specialmente sulla spinta della crisi, è l’orientamento crescente da parte del cittadino a chiedere forniture e servizi più economici, che significa spesso di minor livello qualitativo. In questo senso, anche l’incremento del ricorso alla cremazione gioca un ruolo importante e comporta, per esempio, la scelta di bare più economiche: che differenza c’è tra una bara che viene bruciata subito e una che, esumata dopo 20 anni, è
completamente sfatta? Scelgo quella che cosa meno. Insomma, cambia l’evidenza pubblica dell’onoranza, ci si orienta verso uno “smaltimento” del defunto più che verso un commiato. Un segno dei tempi.

Tempi di crisi?
Tempi in cui si scelgono funerali più economici e si registra un crescente problema nei pagamenti da parte delle famiglie.

Onoranze funebri in Italia: di che giro d’affari parliamo?
Se si considera il costo medio di un funerale intorno ai 2700 euro, sulla base di 540mila servizi utili svolti durante un anno si arriva più o meno al miliardo e 350 milioni. Resta escluso un indotto su cui l’impresa funebre non ha incidenza e che è pari a 2 miliardi e 800mila euro.

Sarebbe?
Parliamo di budget riferito a interventi di ambito cimiteriale: 1 milione e 300mila euro per marmi e monumenti funebri, 1 milione e 100mila euro per vari diritti comunali e/o sanitari, 400mila euro per l’intervento di fioristi, giardinieri, manutentori ecc.

All’inizio parlava di aumento del ricorso alla cremazione: che cosa comporta?
La cremazione abbassa non in costi del funerale ma del decesso: affidando l’urna ai familiari o disperdendo le ceneri, si evita il pagamento della concessione del loculo cimiterale. Anche se alcune città sono passate da chiedere 0 euro per la creazione a chiederne tra 400 e 500, in base a quella che è una tariffa ministeriale. Questo per evitare fenomeni di lucro sul processo di cremazione.

Funerali low cost: chi li organizza dice che sono paragonabili ai funerali più cari in termini di qualità e servizio. Ha ragione?
Sarò di parte, ma penso di no. Io paragono il servizio funebre alle auto; posso viaggiare da Roma a Milano su una 500 o su una Maybach: a Milano ci arrivo in entrambi i casi, ma secondo lei è paragonabile la qualità del viaggio? Le differenze ci sono eccome. Oggi chi vende un servizio funebre “classico” lo fa perché il cliente ne apprezza la qualità e l'”abbraccio” che ne deriva. L’imprenditore fa una scelta: non essere un trasportatore di defunti ma un erogatore di servizi collaterali che poi, naturalmente, incidono sulla fattura ma anche sulla qualità.

Vabbè, non mi dica che nessuno fa il furbo…
Certo, ricarichi più o meno giustificati ci possono essere, così come ci sono soggetti meno o più virtuosi. Ma, mi creda, un funerale da 2mila euro non è offre un servizio comparabile a quello da 8mila.

C’è chi accusa le imprese di onoranze funebri di fare tra loro cartello nelle varie città. Che cosa risponde?
Che non è assolutamente vero, al di là di quella che è percezione dell’opinione pubblica. Il settore è partecipato da un numero di operatori che è raddoppiato negli ultimi anni, ora siamo circa 6mila; tra questi c’è sicuramente gente “aggressiva”, la concorrenza è tanta e non c’è un tavolo di concertazione per stabilire tariffe unitarie. E questo per il cliente è un bene. Il mio consiglio è quello di chiedere sempre il preventivo a diverse imprese e paragonarli a parità di servizi, prima di effettuare una scelta. Tutti sono capaci di dire “Ti vendo un funerale a 1200 euro”; poi però la fattura è più alta perché comprende voci accessorie non specificate.
La trasparenza è a tutela degli imprenditori virtuosi.

E il fenomeno delle imprese funebri che si presentano in anticipo alle famiglie del moribondo o che, negli ospedali, si propongono per gestire le esequie?
Lancio un avvertimento ai cittadini: diffidate di chi, negli ospedali, si propone autonomamente per gestire il servizio funebre. Si tratta di una pratica illegale, truffaldina: non ci sono convenzioni né accordi esclusivi con alcun ospedale in Italia, chi propone il contrario è un delinquente.

Si dice sempre che il vostro è un settore che non conosce crisi: quanto c’è di vero e quanto no?
Si tratta di una frase che vacilla: i problemi di pagamento da parte dei cittadini ci sono. E ci sono anche imprenditori che, nel tempo, hanno fatto investimenti importanti che devono essere ammortizzati in un mercato che, oggi, pare prediligere lo “smaltimento” del morto più che l’onoranza funebre. Un fenomeno che si nota più nelle grandi città, mentre nei paesi è ancora sentita l’importanza del commiato. Un fenomeno che mette in difficoltà un imprenditore, se non riesce a marginare a dovere.

Onoranze funebri, un settore assai vivo. E non stiamo scherzando, proprio no…

di Davide PASSONI

Dei defunti, spesso, ci ricordiamo solo durante questa settimana dell’anno, ma la gente muore anche nelle altre 51. La settimana in cui si celebrano la ricorrenza di tutti i santi e quella dei defunti è anche una settimana nella quale gli operatori del settore delle onoranze funebri hanno un gran bel da fare, più che nei restanti mesi.

Non dimentichiamo che stiamo parlando di un settore nel quale la densità di piccole imprese è assai elevata ed estremamente variegata: si va dalle imprese di onoranze funebri a quelle del marmo per tombe e monumenti, da chi produce e commercializza cofani funebri a chi si occupa degli addobbi floreali per le cerimonie di commiato, dalle fonderie per la produzione degli accessori metallici delle casse ai laboratori per la fabbricazione di apparati tessili. Insomma, un settore vivo (ci si perdoni l’aggettivo, involontariamente equivoco) che, a differenza di quello che è il sentire comune, si evolve, cerca di stare al passo con i tempi, di adattarsi ai cambiamenti, di affrontare le difficoltà, prima fra tutti la pesante crisi economica che stiamo attraversando.

Parliamo di realtà che muovono fatturati importanti; secondo Feniof, la Federazione Nazionale Imprese Onoranze Funebri, le stesse imprese danno lavoro a circa 16mila persone – oltre ad altre 8mila impiegate con contratti a chiamata – e muovono ogni anno un giro di affari di quasi 1 miliardo e mezzo di euro. Giro dal quale resta escluso un indotto, su cui l’impresa funebre non alcuna incidenza, che vale quasi il doppio: 2 miliardi e 800 milioni. Tanta roba.

Un mondo che, come detto, è chiamato a rispondere ai cambiamenti e a reagire alle sfide. Perché anche se le persone continuano a morire (sono circa 560mila i decessi in un anno in Italia), il mondo si evolve, la gente si fa più consapevole e comincia a volere qualità, servizio e ritorno commisurati all’investimento per un funerale. Ecco allora nascere soluzioni nuove per gli addobbi floreali, un’offerta diversa per i cofani funebri, funerali a prezzi ridotti ma a pari dignità di servizio.

Insomma, un mondo che, per noi che parliamo di impresa e professioni, vale la pena esplorare prendendo l’occasione delle festività di inizio novembre senza però dimenticarcene per gli altri 364 giorni dell’anno. Invitiamo anche voi a questa esplorazione, da farsi rigorosamente senza pregiudizifacili ironie: perché se fare impresa è un fenomeno umano, morire è un fenomeno naturale e né sull’uno né sull’altro è consentito scherzare.