Debiti della Pubblica Amministrazione ancora troppo alti

I tempi che la Pubblica amministrazione impiega per pagare le imprese fornitrici di beni e servizi si stanno restringendo, ma ancora non hanno raggiunto una soglia che possa essere considerata accettabile.
Nel 2016, infatti, è stata registrata una media di 58 giorni, che, sebbene sia calata sensibilmente rispetto agli anni precedenti, è ben lontana dalla normalità.

Considerando che 58 giorni rappresentano la media nazionale, è ben facile capire che ci siano ancora molte zone del Paese dove i ritardi con cui gli enti pubblici pagano gli imprenditori sono molto più profondi e critici. Infatti, due terzi delle amministrazioni non salda le fatture entro i termini fissati dalla legge, che sono di 30 giorni, con l’eccezione di 60 giorni per gli enti del sistema sanitario nazionale.

Tra le regioni più ritardatarie, spicca il Molise, dove gli enti pubblici pagano in 107 giorni. Un abisso rispetto alle aziende della Provincia autonoma di Bolzano dove l’attesa è di 36 giorni.

Per quanto riguarda le province, primato negativo spetta a Catanzaro, dove la pubblica amministrazione salda le fatture in 111 giorni. Virtuose sono invece Mantova e Sondrio, dove gli imprenditori vengono pagati in 25 giorni.

Ma non bastano gli esempi positivi per togliere l’Italia dalla vetta della classifica europea per il maggiore debito commerciale della pubblica amministrazione verso le imprese, una somma che tocca i 3 punti di Pil, vale a dire il doppio della media europea.

La situazione è intricata, ma urge trovare una soluzione, poiché non possiamo essere sempre i fanalini di coda. A questo proposito, Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato, sostiene che si potrebbe trovare un accordo applicando la compensazione diretta ed universale tra i debiti e i crediti degli imprenditori nei confronti dello Stato.

Vera MORETTI

Cgia dice no alle assunzioni nella PA

In vista delle nuove assunzioni previste dalla Pubblica amministrazione, c’è chi storce il naso e vorrebbe che, prima di assumere nuove risorse, la PA provvedesse ad azzerare i debiti nei confronti delle aziende fornitrici, che attualmente ammontano a 64 miliardi di euro, di cui 34 esistenti a causa di ritardi nei pagamenti.

A questo proposito si è espresso Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia, che ha voluto replicare duramente alle dichiarazioni di Angelo Rughetti, Sottosegretario alla Pubblica amministrazione, il quale ha ipotizzato quasi 500.000 nuovi assunzioni nel pubblico impiego in sostituzione di altrettanti statali che nei prossimi 4 anni andranno in pensione.

Queste le parole di Zabeo: “A causa dei mancati pagamenti della Pa negli ultimi anni sono state migliaia e migliaia le imprese private che lavorano per lo Stato ad essere state costrette a licenziare una parte dei dipendenti perché non in grado di sostenerne i costi. Quindi, prima di lanciare promesse dal vago sapore elettorale, sarebbe bene conoscere e risolvere i danni che causa la Pa al sistema privato che, in termini economici, non ha eguali nel resto d’Europa”.

E questo quanto aggiungo da Renato Mason, segretario della Cgia: “La nostra Pa non solo paga con un ritardo inaccettabile, ma quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore. Insomma, oltre al danno anche la beffa. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti di ogni giorno. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto dal 2011, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime aziende, soprattutto quelle di piccola dimensione”.

Vera MORETTI

Sanità in netto ritardo con i pagamenti ai fornitori

Un debito di 22,9 miliardi di euro è quanto la sanità italiana ha accumulato nei confronti dei suoi fornitori.
Nonostante sia in calo, il debito non rientra ancora sui limiti fisiologici, con criticità urgenti soprattutto nel Mezzogiorno, dove le Asl sono in evidente affanno con i pagamenti, e ciò mette in seria difficoltà molte piccole e medie imprese.

Tra le cause di questo problema davvero spinoso c’è anche la disparità delle forniture, che, come ha dichiarato Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, “continuano ad essere acquistate con forti differenze di prezzo tra le varie regioni. Se, come ha avuto modo di denunciare la Fondazione Gimbe, nella sanità italiana si annidano circa 22,5 miliardi di euro di sprechi, è verosimile ritenere che una parte dei ritardi nei pagamenti sia in qualche modo riconducibile alle distorsioni sopra descritte. In altre parole, non è da escludere che in alcune regioni, in particolar modo del Sud, avvengano degli accordi informali tra le parti per cui le Asl o le case di cura impongono ai propri fornitori pagamenti con ritardi pesantissimi, ma a prezzi superiori rispetto a quelli, ad esempio, praticati nel settore privato”.

Renato Mason, segretario della CGIA, ha poi aggiunto: “Nonostante l’ammontare degli sprechi, sarebbe sbagliato generalizzare. E’ importante sottolineare che la nostra spesa sanitaria pubblica è inferiore di un punto percentuale di Pil rispetto a quella francese e di 0,5 punti rispetto a quella britannica. Inoltre, l’ottima qualità del servizio reso a molti cittadini italiani, soprattutto del nord Italia, non ha eguali nel resto d’Europa”.

Guardando le cifre, la sanità regionale più indebitata è quella del Lazio, con 3,8 miliardi di euro, seguita dalla Campania con 3 miliardi di euro, la Lombardia con 2,3 miliardi, la Sicilia e il Piemonte entrambe con 1,8 miliardi di euro ancora da onorare.
Considerando invece la popolazione residente, primo è il Molise, con 1.735 euro pro capite. Seguono il Lazio con 644 euro per abitante, la Calabria con 562 euro pro capite e la Campania con 518 euro per ogni residente.

Peggiore pagatrice dell’anno scorso è stata la Asl del Molise, che ha pagato i propri fornitori con un ritardo medio ponderato di 390 giorni. L’Asp di Catanzaro, invece, ha saldato i propri debiti dopo 182 giorni, mentre l’Asl Napoli Centro dopo 127 giorni. Le aziende sanitarie più virtuose, invece, sono state l’Usl Umbria 1 e l’Azienda sanitaria universitaria di Trieste. Addirittura in questi due casi il saldo è avvenuto con anticipo, rispettivamente di 24 e 13 giorni.

Considerando i tempi di pagamento relativi alle forniture di dispositivi medici, del 2016, in Molise il saldo della fattura è avvenuto mediamente dopo 621 giorni, in Calabria dopo 443 giorni e in Campania dopo 259 giorni.
In teoria, i pagamenti delle strutture sanitarie dovrebbero avvenire entro 60 giorni dall’emissione della fattura, ma nessun valore medio regionale rispetta questo termine e per questo motivo da giugno 2014 è stata aperta dalla Commissione europea una procedura di infrazione contro l’Italia, ritenuta responsabile d aver violato la Direttiva europea sui ritardi di pagamento entrata in vigore nel marzo 2013, ad oggi ancora in corso.

Vera MORETTI

I ritardi delle PA più deleteri dell’evasione fiscale

L’economia italiana è ancora pesantemente penalizzata dal malfunzionamento della Pubblica Amministrazione, che rende difficile, se non quasi impossibile, una ripresa concreta e forte.
L’Ufficio Studi della Cgia ha inoltre azzardato che i danni dell’inefficienza della PA sono superiori rispetto a quelli recati dall’evasione fiscale, una vera e propria piaga dell’Italia.

La Cgia, nella sua analisi, ha puntualizzato che il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 42 miliardi di euro l’anno, mentre i debiti della PA nei confronti dei fornitori sono di 64 miliardi, di cui ben 34 dipendono dai ritardi nei pagamenti.
Inoltre, il peso della burocrazia penalizza soprattutto le piccole e medie imprese per un importo di 31 miliardi all’anno, mentre gli sprechi e le inefficienze che affliggono la nostra sanità hanno raggiunto 23,6 miliardi all’anno. E la lentezza della giustizia civile costa al paese ben 16 miliardi di euro.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia, ha dichiarato: “E’ possibile affermare con buona approssimazione che gli effetti economici derivanti dal cattivo funzionamento della nostra Amministrazione pubblica siano superiori al mancato gettito riconducibile all’evasione tributaria e contributiva che, secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sottrae alle casse dello Stato attorno ai 110 miliardi di euro ogni anno. E’ altresì verosimile ritenere che se recuperassimo una buona parte dei soldi evasi al fisco, la nostra macchina pubblica funzionerebbe meglio e costerebbe meno. Analogamente, è altrettanto plausibile ipotizzare che se si riuscisse a tagliare sensibilmente la spesa pubblica, permettendo così la riduzione di pari importo anche del peso fiscale, molto probabilmente l’evasione sarebbe più contenuta, visto che molti esperti sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti”.

Il Segretario della CGIA, Renato Mason, ha voluto aggiungere: “Al netto degli interessi sul debito, nel 2017 la spesa pubblica in Italia dovrebbe attestarsi sui 773 miliardi di euro e, come ricordano molti esperti, il tema della sua razionalizzazione continuerà a rimanere centrale anche nei prossimi anni. Infatti, nonostante l’impegno e gli sforzi profusi in questi ultimi tempi, i risultati giunti dalla spending review sono stati importanti, ma non ancora sufficienti. Secondo una nostra elaborazione, in questa legislatura, sebbene ci sia stato il blocco delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, i risparmi strutturali ottenuti sono stati pari a 30,4 miliardi di euro. Nel frattempo, però, la spesa corrente al netto degli interessi è aumentata di 31,8 miliardi”.

Vera MORETTI

Italia ancora in ritardo per i pagamenti delle PA

L’Italia è ancora in affanno per quanto riguarda i debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti di imprese per beni e servizi.
Rispetto agli altri paesi europei, infatti, il debito commerciale è pari al 3% del PIL, il più elevato di tutti i paesi dell’Unione Europea, tanto da essere il doppio rispetto alla media dell’Eurozona, che raggiunge l’1,5%, e più del doppio rispetto all’1,3% del PIL della Spagna e all’1,2% di Francia e Germania.
Il primato dell’Italia si conferma nonostante il peso dei debiti commerciali sia in diminuzione negli ultimi tre anni, scendendo di 1 punto rispetto al 4,0% del PIL registrato nel 2012.

Ciò emerge dal Documento di Economia e Finanza 2017, dove, nel volume dedicato al Piano Nazionale delle Riforme, si evidenzia che a fronte di 27,3 milioni di fatture ricevute e non respinte dalle oltre 22.000 pubbliche amministrazioni registrate sulla Piattaforma per i crediti commerciali, sono stati acquisiti i dati dei pagamenti per solo 15,4 milioni di fatture: a distanza di cinque anni dall’avvio delle politiche di accelerazione dei pagamenti della PA mancano i dati sui pagamenti per 11,9 milioni di fatture, pari al 43,6% del totale.

Per quanto riguarda i tempi medi di pagamento per saldare, in tutto o in parte, il 56,4% delle fatture per le quali sono stati acquisiti i dati dei pagamenti, sono stati pari a 50 giorni, tempo medio ponderato con gli importi, anche se ci potrebbero essere tempi più critici, considerando che sono state prese in esame le PA più virtuose.

Questo ritardo si verifica nonostante tutte le imprese fornitrici emettano fatture elettroniche nei confronti della Amministrazioni pubbliche.
In Italia, la quota di imprese che emette fatture elettroniche è del 30,3%, percentuale superiore alla media di ben 12,5 punti, che infatti si attesta a 17,8%. La quota dell’Italia sopravanza il 25% della Spagna ed è doppia rispetto al 15,6% della Germania e del 14,9% della Francia.

Vera MORETTI

Incontro tra INT e il sottosegretario per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione

Per affrontare la problematica della mancanza nell’indice INI-PEC degli indirizzi di posta elettronica certificata dei professionisti, una delegazione dell’Istituto Nazionale Tributaristi ha incontrato il Sottosegretario di Stato per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione Angelo Rughetti.

Questa mancanza ha finora creato problematiche operative ai professionisti, in particolare ai tributaristi, per l’invio delle pec per l’antiriciclaggio all’Agenzia delle Entrate, l’invio dei dati al sistema TS, le comunicazioni da e per Equitalia.
Si tratta di problematiche risolte, fortunatamente, ma che non avrebbero avuto bisogno di aggiustamenti se nell’indice INI-PEC fossero inserite anche le pec dei professionisti c.d. associativi.
Inoltre anche la Pubblica Amministrazione, con l’inserimento delle pec dei professionisti della L.4/2013, avrebbe a disposizione tutti gli indirizzi di posta elettronica certificata di tutti i soggetti economici del Paese, con riduzione di costi e tempo in caso di invio di atti e documenti ai predetti soggetti.

Riccardo Alemanno, presidente INT, presente all’incontro insieme al Vice Presidente Costantino Bianchi, ha voluto sollecitare l’attenzione del Sottosegretario Rughetti, usando queste parole: “Tra gli indirizzi PEC, inseriti nell’indice INI-PEC, non sono presenti quelli dei professionisti di cui alla Legge n.4 del 2013. Certo, la legge istitutiva l’INI-PEC prevedeva, per la prima predisposizione, solo gli indirizzi di imprese (segnalati tramite le CCIAA) e quelli dei professionisti ricompresi in ordini o collegi (segnalati tramite gli albi), però e già dal 2013 che si continua far presente, al MISE, e su ciò è stata anche presentata una interrogazione parlamentare, che altrettanti, anzi, un numero ancora maggiore di professionisti (professioni non ricompresi in ordini o collegi L.4/2013) non sia incluso nell’indice. Non sarebbe convenienza, anche per la Pubblica Amministrazione, avere a disposizione gli indirizzi di tutti i soggetti economici? Con l’inclusione dei professionisti suddetti, tra cui i tributaristi, tutti i soggetti economici del nostro Paese sarebbero rintracciabili tramite l’indirizzo PEC dalla P.A. Non era questo l’obiettivo, cioè risparmiare tempi e costi?”.

Il Sottosegretario Rughetti si è reso disponibile ad interessarsi alla problematica, impegnandosi a fare un’ulteriore verifica, per poi confrontarsi con INT nelle prossime settimane.

Vera MORETTI

La situazione precaria della PA italiana

Che la nostra Pubblica Amministrazione non goda di buona salute, già lo sospettavamo, ma, forse, speravamo che la situazione non fosse proprio disperata.
E invece, confrontata con i paesi europei, ne viene fuori un panorama a dir poco desolante: in pratica, solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni paesi dell’ex blocco sovietico sono messi peggio di noi, ma il nord Europa per noi rappresenta un esempio inarrivabile.

Si tratta di una speciale classifica che tiene conto di una serie di caratteristiche, a cominciare dalla qualità dei servizi ricevuti, ma anche l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione.
Oltre ai dati medi nazionali, questa indagine consente di verificare anche le performance di ben 206 realtà territoriali. Il risultato finale è un indicatore che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (1° posto in Ue) al -2,658 della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206° posto). Il dato medio Ue è pari a zero.

L’Italia non è presente nelle prime trenta posizioni, per trovare la prima regione italiana si deve scendere al 36esimo posto, con Trento. Di seguito troviamo la Provincia autonoma di Bolzano al 39°, la Valle d’Aosta al 72° e il Friuli Venezia Giulia al 98°. Appena al di sotto della media Ue si posiziona al 129° posto il Veneto, al 132° l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre regioni italiane.

Il Sud ha una situazione particolarmente critica: ben sette regioni si collocano, infatti, nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178° posto, la Basilicata al 182°, la Sicilia al 185°, la Puglia al 188°, il Molise al 191°, la Calabria al 193° e la Campania al 202° posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano uno score peggiore della Pa campana. Tra le realtà meno virtuose anche una regione del Centro, il Lazio, che si piazza al 184° posto della graduatoria generale.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi CGIA, ha commentato così questi risultati: “Con una Pa di questo livello gli effetti negativi si fanno sentire anche nel settore privato. Quando ci rapportiamo con il pubblico i ritardi, le informazioni inesatte, le procedure inutilmente complicate o addirittura vessatorie sono all’ordine del giorno. Tutto ciò si traduce in perdite di tempo e di denaro, magari per pagare consulenti in grado di aiutarci ad evadere tutta una serie di pratiche burocratiche spesso ridondanti. Ne risentono sia i comuni cittadini sia le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, con danni che si ripercuotono sul sistema-Paese”.

Ha aggiunto Renato Mason, Segretario della CGIA: “La sanità al Nord, le forze dell’ordine, molti centri di ricerca e istituti universitari italiani presentano delle performance che non temono confronti in tutta l’Ue. Tuttavia è necessario rendere più efficienti i servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, affinché siano sempre più centrali per il sostegno della crescita, perché migliorare i servizi vuol dire elevare il prodotto delle prestazioni pubbliche e quindi il contributo dell’attività amministrativa allo sviluppo del Paese”.

Vera MORETTI

Gli sprechi della Pubblica Amministrazione italiana secondo la CGIA

L’Ufficio Studi della CGIA ha voluto stimare e quantificare le uscite che l’Amministrazione Pubblica italiana potrebbe, invece, risparmiare se venisse utilizzata una maggior oculatezza.
Si tratta di una cifra enorme, perché la stima riguarda 16 miliardi di euro all’anno che potrebbero essere tranquillamente non spesi, che si raddoppierebbe probabilmente, se si potessero quantificare le spese riducibili ai falsi invalidi, a chi percepisce deduzioni/detrazioni fiscali non dovute o alla cattiva gestione del patrimonio immobiliare.

Ma non basta: se la nostra Amministrazione pubblica avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità e nella giustizia, solo per fare alcuni esempi, il nostro Pil aumenterebbe di 2 punti, ovvero di oltre 30 miliardi di euro, all’anno.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, ha dichiarato: “Dopo aver approvato in fretta e furia una legge di Bilancio molto generosa sul fronte delle uscite, ora, dopo la richiesta da parte dell’Ue di correggere i nostri conti pubblici per 3,4 miliardi, il Governo decide di recuperarli agendo soprattutto sul fronte delle entrate. Non sarebbe il caso, invece, di intervenire in misura più aggressiva nei confronti della spesa pubblica improduttiva che risulta avere ancora dimensioni molto preoccupanti ?

Renato Mason, segretario della CGIA, ha poi aggiunto: “Ricordo che l’80 per cento circa delle merci italiane viaggia su gomma. E’ vero che grazie al rimborso delle accise gli autotrasportatori, solo quelli con mezzi sopra i 35 quintali, possono recuperare una parte degli aumenti fiscali che subiscono alla pompa. Tuttavia, nel caso scattassero gli incrementi di accisa, potrebbero verificarsi dei rincari dei prodotti che troviamo sugli scaffali dei negozi e dei supermercati del tutto ingiustificati, penalizzando soprattutto le famiglie a basso reddito”.

Vera MORETTI

 

Debiti delle PA: a quanto ammontano?

La Cgia ha cercato si rispondere al quesito che riguarda i debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti dei fornitori, che ancora non sono stati livellati, nonostante l’avvento, ormai due anni fa, della fatturazione elettronica.

Non ci sono dati ufficiali, poiché l’ammontare complessivo del debito viene monitorato solo dalla Banca d’Italia, e si tratterebbe di debiti, nei confronti delle aziende private, di 65 miliardi di euro, anche se si tratta di numeri che ancora non tengono conto del 2016.

Nonostante le cifre siano ancora alte, il fenomeno si è comunque ridotto negli ultimi anni, grazie soprattutto agli interventi messi in campo nel biennio 2013-14. In questo periodo, infatti, sono stati stanziati 56,2 miliardi di euro: agli enti debitori sono stati messi a disposizione 44,6 miliardi di euro (pari al 79 per cento del totale) in quanto alcuni enti non ne hanno fatto richiesta.

I pagamenti, il cui aggiornamento è comunque fermo al 20 luglio 2015, hanno toccato quota 38,6 miliardi, pari a quasi l’86% delle risorse messe a disposizione. Ma, in ogni caso, l’importo del debito rimane ancora spaventoso e non ha eguali nel resto d’Europa.

Qual è il motivo di questi ritardi e di questo debito che sembra destinato a non azzerarsi mai? Renato Mason, segretario della Cgia, punta il dito contro “Le lungaggini burocratiche, il cattivo funzionamento degli uffici pubblici, i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles, l’abuso di posizione dominante del committente e la mancanza di liquidità sono le motivazioni che consegnano al nostro Paese la maglia nera in Ue della correttezza nei pagamenti. Nonostante dal 1° gennaio 2013 la legge stabilisca che il pubblico debba pagare entro 30 giorni, salvo non sia un’azienda sanitaria che allora lo può fare entro 60, queste disposizioni continuano a essere spesso disattese, con ricadute molto pesanti soprattutto per le piccole imprese che dispongono di un potere negoziale molto limitato nei confronti degli enti pubblici. Un problema, è bene sottolinearlo, che, purtroppo, non riguarda solo le transazioni commerciali con il pubblico, ma anche tra aziende private. Un malcostume generalizzato che non ha pari nel resto dell’Ue”.

Vera MORETTI

Italia schiava della pessima Pa

La palla al piede dell’Italia? Sicuramente la burocrazia, ma anche la Pubblica amministrazione non scherza: secondo la denuncia dell’Ufficio studi della Cgia, la sua inefficienza costa oltre 30 miliardi di euro all’anno di mancata crescita.

La nota della Cgia si basa su uno studio realizzato dal Fondo Monetario Internazionale dal quale emerge che se la nostra Pa avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti, oltre 30 miliardi di euro all’anno.

Il forte divario esistente tra il Nord e Sud del Paese sulla qualità/quantità dei servizi erogati dalla nostra Pa, emerge anche dall’analisi dell’Ufficio studi della CGIA su dati relativi a un’indagine condotta dall’Ue sulla qualità della Pa a livello territoriale.

Rispetto ai 206 territori rilevati dallo studio, ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178esimo posto, la Basilicata al 182esimo, la Sicilia al 185esimo, la Puglia al 188esimo, il Molise al 191esimo, la Calabria al 193esimo e la Campania al 202esimo posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano un dato peggiore della Pa campana.

Tra le realtà meno virtuose troviamo anche il Lazio, che si piazza al 184esimo posto della graduatoria generale. Tra le migliori 30 regioni europee, invece, non c’è nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese.

La prima, la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36esimo posto della classifica generale della Pa. La Provincia autonoma di Bolzano al 39esimo, la Valle d’Aosta al 72esimo e il Friuli Venezia Giulia al 98esimo. Appena al di sotto della media Ue troviamo al 129esimo posto il Veneto, al 132esimo l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre.

Questa classifica, segnala l’Ufficio studi della Cgia, è tarata su un indice di qualità che è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici ricevuti, l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione.

Il risultato finale è un indicatore di qualità della Pa che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (primo posto in Ue) al -2,658 della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206esimo posto). Il dato medio Ue è pari a zero.

Nella classifica generale la Pa italiana si colloca al 17esimo posto su 23 Paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico presentano un indice di qualità della Pa inferiore al nostro. A guidare la classifica, invece, sono le Pa dei Paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, etc.).

Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo: “Dagli inizi degli Anni ’90 ad oggi sono state ben 18 le riforme che hanno interessato la nostra Pa. Sebbene le aspettative fossero molte, in tutti questi anni i risultati ottenuti sono stati deludenti. In molti settori la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese è diminuita e nonostante l’avvento del web ci permetta di scaricare molti documenti dal computer di casa, le code agli sportelli, ad esempio, sono aumentate. L’Istat denuncia che, rispetto al 2015, dopo 20 minuti di attesa presso gli uffici comunali dell’anagrafe, oggi la fila si è idealmente allungata di 11 persone e agli sportelli delle Asl addirittura di 18”.

Dalla Cgia, comunque, precisano che sebbene i dati medi non siano particolarmente brillanti, la nostra Pa presenta delle punte di eccellenza in molti settori che non hanno eguali nel resto d’Europa, come la sanità al Nord, le forze dell’ordine e molti centri di ricerca e istituti universitari”.