Pil ancora in discesa in Italia

Il Pil italiano è stato ritoccato, ancora per difetto, dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: la previsione per il 2013 è di una contrazione di 1,8 punti percentuali, che vanno a sommarsi al -2,4% del 2012.

Dall’ultimo Economic Outlook: “La recessione italiana si trascinerà nel 2013 con gli effetti dell’inasprimento di bilancio e delle condizioni del credito che zavorrano l’attività“.

Una ripresa, seppur lieve, è attesa per il 2014, quando il prodotto interno lordo salirà, o almeno si spera, dello 0,4%. Per l’Eurozona si prevede un -0,6% nel 2013 e un +1,1 nel 2014.

Rispetto alle stime di un mese fa, dunque, le previsioni sono scese ulteriormente, a causa delle perdite nel settore bancario, anche se sembra in arrivo un leggero miglioramento dalla liquidazione dei debiti pregressi della PA nei confronti delle imprese.

Sono invece più ottimistiche le previsioni sui conti pubblici, soprattutto relative al deficit, stimato ora perfettamente in linea con i parametri europei sia quest’anno che il prossimo.
Ora per il 2013 l’Ocse stima un disavanzo di bilancio al 3% del Pil, con un abbassamento al 2,3 sul 2014. Quasi invariate invece le attese sul debito pubblico: lieviterà dal 127% del Pil nel 2012 al 131,7 nel 2013 e al 134,3 per cento nel 2014.
Per quanto riguarda la disoccupazione, per il 2013 l’Ocse stima un aumento all’11,9%, mentre sul 2014 è atteso un ulteriore e netto incremento al 12,5.

Vera MORETTI

Aumento Iva, Confcommercio: 26mila negozi a rischio

A causa del previsto aumento dell’Iva dal 21% al 22% ben 26mila negozi rischiano di sparire entro la fine del 2013.

A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi di Confcommercio, che rivede la previsione del saldo natalità-mortalità delle imprese del commercio al dettaglio alla luce dell’aumento dell’Iva. Un aumento che riguarda circa il 70% dei consumi totali e che sarebbe una mazzate per imprese e famiglie.

Se il Governo andrà avanti con l’aumento dell’Iva, gli aggravi di imposta sui portafogli delle famiglie italiane saranno pari a 2,1 miliardi di euro nel 2013 e 4,2 miliardi nel 2014.

Secondo Confcommercio, l’aumento dell’Iva potrebbe portare 26mila imprese del settore ad abbassare una volta per tutte le saracinesche. Ecco perché il presidente dell’associazione, Carlo Sangalli, ha chiesto di “evitare un’altra calamità sui consumi“, perché la domanda “che fra investimenti e consumi, muove l’80 per cento del Pil, ora è ferma: alzare l’aliquota significa assestarle un ultimo, letale, colpo. Alle aziende in crisi serve un segnale forte è quel segnale non c’è“.

Basterà questo ennesimo grido a far suonare un campanello d’allarme nella testa del governo?

Aumento Iva, altro che entrate record!

Volete sapere che cosa succederà davvero alle casse dello Stato con l’aumento dell’Iva al 22%? Altro che recuperare quella bella cifra tra i 2 e i 4 miliardi di euro che si aspetta il governo. L’effetto sarà ben altro e la manovra rischia di essere del tutto inutile, se non addirittura dannoso per l’Erario.

Secondo il presidente di Confesercenti Marco Venturi, l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva, previsto per l’1 luglio prossimo, potrebbe portare a una diminuzione del gettito di 300 milioni di euro. Una stima che porta Venturi e la sua associazione a bocciare l’innalzamento al 22% dell’imposta, definendolo “l’ennesimo passo falso” in materia fiscale.

Secondo Confesercenti, le stime sono state effettuate a parità di transazioni, mentre alcuni beni interessati dalla modifica dell’aliquota, hanno dei trend di vendita in calo anche del 10%, una percentuale che l’aumento dell’Iva potrebbe deprimere ulteriormente. Caso mai, secondo l’associazione l’obiettivo dovrebbe essere quello di stimolare i consumi, riportando l’aliquota ordinaria al 20%, come era fino all’agosto del 2011.

Il gettito necessario a coprire questo ammanco non dovrebbe essere trovato, come al solito, innalzando aliquote o introducendo nuove tasse, ma intervenendo su sprechi ed evasioni. In occasione dell’assemblea elettiva di Confesercenti Toscana, Venturi è stato chiaro: “Lasciate perdere l’Iva e colpite con decisione la corruzione denunciata da tempo immemorabile dalla Corte dei Conti ed il fenomeno del sommerso che inquina, con la presenza della criminalità, l’economia e la convivenza civile. In questo modo daremmo maggior respiro ai conti pubblici e più forza al valore della legalità“.

Dal 2007 ad oggi – ha proseguito Venturi, per effetto del rigonfiamento monetario dei redditi, il Fisco ha incassato ingiustificatamente 10 miliardi di euro in più di imposte, circa 530 euro a nucleo familiare. Si deve stare molto attenti a non far salire ancora la rabbia dei piccoli imprenditori, che è già da tempo ai livelli di guardia“. E ditelo a noi di Infoiva, che ogni giorno ascoltiamo questo grido di rabbia…

Su l’Iva, giù i consumi

Un’altra voce ferocemente contraria all’aumento dell’aliquota Iva al 22% previsto per luglio è quella di Comitas, l’associazione italiana delle microimprese. Secondo l’associazione il punto percentuale in più determinerà, a regime, una stangata per le famiglie italiane fino a 349 euro annui. Ecco perché Comitas ha chiesto al Governo Letta di bloccare il provvedimento, che “rappresenterebbe una disgrazia per cittadini e imprese”.

In base ai calcoli di Comitas, l’aumento dell’Iva peserà in modo particolare sui nuclei familiari composti da 5 persone, determinando a parità di consumi rispetto allo scorso anno, un aggravio di spesa pari a 349 euro su base annua. Le famiglie con 4 componenti dovranno invece beccarsi una maggiore spesa di circa 279 euro annui, contro i 209 euro di un nucleo di 3 persone.

A questi dati, secondo Comitas, è necessario aggiungere gli effetti negativi che l’incremento dell’Iva determinerà sui consumi: con tutta probabilità le famiglie reagiranno al rincaro dei prezzi riducendo gli acquisti, con un’ulteriore contrazione dei consumi compresa tra il -2,5% e il -3%.

Proprio la riduzione dei consumi aggraverebbe lo “stato comatoso” di migliaia di esercizi commerciali, che pagano il prezzo di acquisti costantemente in declino e un potere d’acquisto degli italiani che è ormai ridotto al lumicino: se non sarà evitato l’aumento dell’Iva di luglio, conclude Comitas, almeno 50mila negozi saranno costretti a chiudere i battenti entro la fine dell’anno.

d.S.

Aumento dell’Iva, il grido delle imprese

Sicuramente quello che fa più rumore mediaticamente riguardo all’aumento dell’Iva al 22% dall’1 luglio prossimo è la stangata che colpirà e famiglie, specialmente quelle meno abbienti. Non dimentichiamo però che questo punto percentuale in più sarà una maledizione anche per le imprese, già provate pesantemente dalla crisi e dalla mancanza di domanda interna.

Proprio per questo motivo imprese di tutti i settori sono scese in campo contro il detestato aumento. Dai distributori di alimentari ai giocattoli, dalla musica alle imprese del mondo agricolo e dei servizi (ossia tutti i settori merceologici i cui beni saranno colpiti dall’aumento), diverse associazioni hanno scritto al presidente del Consiglio Letta chiedendo di scongiurare l’aumento dell’Iva e dare ai consumatori e alle imprese un segnale forte di sostegno, in un momento di estrema difficoltà.

Afi, Agrinsieme, Ancc Coop, Ancd Conad, Assogiocattoli, Ceced Italia, Centromarca, Federalimentare, Federdistribuzione, Federlegnoarredo, Fimi  e Univideo sostengono che l’aumento di un punto di Iva provocherebbe un ulteriore rallentamento dei consumi deprimendo ancora di più la domanda interna, che deve al contrario essere rilanciata per far ricrescere il Pil.

Si legge nella lettera: “Le più recenti stime effettuate da centri studi e istituti specializzati indicano, a regime, l’impatto di questa misura in un aggravio di costi pari a oltre 160 euro a famiglia, fatto tanto più grave in considerazione delle 9 milioni di famiglie che versano in situazioni di difficoltà economica, di cui 5 milioni a rischio povertà”.

L’aumento dell’Iva avrebbe infatti effetti pesanti sul settore distributivo, su quello della produzione industriale, sull’agricoltura e sul mondo dei servizi, con conseguenze anche sui livelli occupazionali. Le associazioni firmatarie auspicano che il Governo, pur in una situazione di difficoltà nel recuperare risorse, trovi una soluzione definitiva a questo difficile problema, dando così un chiaro segnale ai consumatori italiani e alle imprese che hanno ancora la volontà di investire in questo Paese”. Dura farsi ascoltare…

Iva killer. Prime vittime le famiglie, poi le imprese

Chi pagherà l’aumento dell’Iva al 22%? In prima battuta le famiglie e, conseguentemente, le imprese e l’intero sistema produttivo italiano. È quanto ipotizza la Cgia di Mestre, secondo la quale se il Governo non riuscirà a scongiurare l’aumento, gli aggravi di imposta sulle famiglie saranno pesantissimi: 2,1 miliardi di euro nel 2013, 4,2 miliardi nel 2014.

La Cgia stima che, ipotizzando che i comportamenti di consumo delle famiglie italiane misurati secondo le rilevazioni Istat rimangano immutati, per un nucleo costituito da 3 persone l’aggravio medio annuo sarà di 88 euro. Nel caso di un nucleo familiare di 4 persone, l’incremento medio sarà invece di 103 euro.

Visto che per il 2013 l’aumento dell’Iva interesserà solo il secondo semestre, per l’anno in corso gli aumenti di spesa saranno la metà: 44 euro per la famiglia da 3 persone e 51,5 euro per quella da 4.

Quali saranno i principali beni e servizi a rincarare dall’1 luglio? Ricordando che il passaggio dal 21% al 22% dell’Iva ordinaria non inciderà sulla spesa dei beni di prima necessità come alimentari, sanità, istruzione, casa (ai quali si applica l’Iva al 10% o al 4%, o non si applica affatto), la Cgia stima che saranno vino e birra tra le bevande; e poi carburanti, riparazioni dell’auto, abbigliamento, calzature, mobili, elettrodomestici, giocattoli e computer.

Ecco perché, secondo la Cgia, i rincari che peseranno di più sulle famiglie italiane si verificheranno quando si farà il pieno all’auto o la si farà riparare (33 euro all’anno per una famiglia di tre persone, 39 euro per 4 persone), si acquisteranno capi di abbigliamento e calzature (18 euro all’anno per una famiglia di 3 persone, 20 euro per 4) o si acquisteranno mobili, elettrodomestici o articoli per la casa (13 e 17 euro).

Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario dell’organizzazione mestrina, “bisogna assolutamente scongiurare questo aumento. Se il Governo Letta non lo farà, corriamo il serio pericolo di far crollare definitivamente i consumi che ormai sono ridotti al lumicino con gravi ripercussioni economiche non solo sulle famiglie, ma anche su artigiani e commercianti che vivono quasi esclusivamente della domanda interna. Rispetto al 2011 la riduzione della spesa per consumi delle famiglie italiane è stata del 4,3%, una variazione negativa molto superiore a quella registrata nel biennio 2008-2009, quando, al culmine della recessione, i consumi avevano segnato una caduta tendenziale del 2,6%“.

Iva al 22%, perché? Fisco, ovvero quando il buon senso finisce in un cassetto

di Davide PASSONI

Siamo ancora tutti qui a chiederci perché. Perché il governo ha deciso di portare famiglie e imprese al collasso innalzando di un punto percentuale l’Iva. Una tagliola che scatterà tra poco più di un mese, se non ci dovessero essere clamorosi ripensamenti e retromarce da parte dell’Esecutivo.

Esecutivo che, a onor del vero, sembra voler trovare una copertura alternativa per i soldi che dovrebbe incassare dall’aumento dell’imposta. Si parla di 2 o 3 miliardi, ma al momento l’orientamento è quello di lasciare che scatti l’Iva al 22%. Semplicemente perché i soldi in alternativa non ci sono.

Del resto, se nella campagna elettorale prima e subito dopo la formazione del governo poi si è tanto parlato di Imu (tra abolizione e sospensione), sulla necessità di evitare la mazzata dell’Iva nessuno si è mai pronunciato. E i risultati si vedono ora, con lo spettro del 22% che si avvicina sempre di più.

E allora torniamo all’inizio. Perché? Perché quando si tratta di imposte e fisco, in Italia il buon senso viene sempre lasciato nel cassetto? A nessuno sfugge il fatto che la crisi bastarda nella quale ci dibattiamo è frutto anche e soprattutto di un crollo di domanda interna e di consumi, che come in domino perverso porta con sé crollo della produttività e dell’offerta, crollo del potere d’acquisto delle famiglie, crisi di liquidità per le imprese. Bene, e allora perché a chi dovrebbe decidere dei destini fiscali sfugge il fatto che aumentare l’Iva significa deprimere ulteriormente i consumi e aumentare la spirale recessiva che sta portando il Paese al dissesto?

Noi di Infoiva non siamo dei geni, ma lo abbiamo capito. Perché usiamo il buon senso di chi tutti i giorni parla con chi lavora, produce e… si ritrova con un pugno di mosche. Questa settimana vedremo di capire di più su questa maledizione dell’Iva, sperando ma non facendoci illusioni che l’aumento possa in qualche modo saltare, anche all’ultimo. Dopotutto, c’è chi ancora crede a Babbo Natale…

Confcommercio: crescono le imprese associate

Nonostante l’acuirsi della crisi generale nel nostro Paese, la particolare stagnazione delle vendite e delle locazioni degli immobili e in un quadro generale di recessione economica, inasprita dai provvedimenti del Governo che influenzano negativamente i consumi e gli acquisti, la FIMAA, Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari aderente a Confcommercio, vede crescere il numero di imprese associate confermandosi leader nei settori immobiliare, creditizio e merceologico.

Infatti, nel 2011 il totale delle imprese iscritte alla Federazione è di 11.695 e, analizzando i dati del tesseramento, il trend di crescita è del 9% dal 2009 al 2010 e del 10% dal 2010 al 2011. E’ quanto si legge in un comunicato stampa diffuso dalla Federazione stessa che, tra imprenditori, dipendenti e collaboratori, rappresenta oltre 76.000 addetti nel comparto dei servizi alle persone e alle imprese.

Il Segretario Generale FIMAA, Rossano Asciolla, dopo aver reso noti i dati del tesseramento dichiara: “è stata fondamentale la relazione tra FIMAA e Confcommercio. Ciò ha anche favorito la crescita qualitativa della categoria. Credo che la FIMAA oggi sia uno dei “pezzi” più importanti del Sistema Confederale”. Conclude dicendo: “FIMAA è intervenuta nell’ultimo anno da protagonista in tutte le principali sedi istituzionali – Parlamento, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Banca d’Italia – in cui si sono discusse le principali leggi che regolamentano i settori immobiliare e creditizio.”

La Federazione dal 1956 è ormai un punto di riferimento sicuro, anche in questi tempi complessi. FIMAA attraverso le sue attività di tutela, assistenza, consulenza sindacale e l’offerta dei servizi in generale ed anche nel credito, ha consentito a tutti gli agenti immobiliari, ai mediatori creditizi, ai mediatori merceologici e agli agenti in attività finanziaria di far crescere la propria professionalità a garanzia dei cittadini/clienti a cui sono state offerte le migliori prestazioni professionali. Per FIMAA – prosegue la nota – la crescita culturale, la formazione continua, la deontologia professionale sono i valori che vengono posti a garanzia dei consumatori che usufruiscono dei servizi di mediazione delle imprese associate. FIMAA è ben consapevole dell’importanza sociale dell’attività dei propri agenti che nell’interesse di entrambe le parti – quella venditrice e quella acquirente – svolgono un’attività economica su beni di primaria importanza per la popolazione: la casa e il denaro. Per questo è così attenta ai valori ed all’etica professionale.

Il Presidente FIMAA Nazionale Valerio Angeletti commenta: “Sono veramente molto soddisfatto della crescita della nostra Federazione, oggi FIMAA è la più grande associazione di settore e questo risultato è stato raggiunto grazie alla voglia di fare squadra con oltre 17.000 imprenditori e circa 76.000 addetti in totale che operano nel settore su tutto il territorio nazionale. Un dato importante che si consolida grazie al lavoro e all’impegno di tutti i Presidenti Provinciali e della Segreteria Nazionale, che hanno messo a disposizione della Federazione le loro esperienze e conoscenze”.

Lo rende noto la Confcommercio.

Fonte: agenparl.it

Pmi: necessaria la flessibilità in entrata

Le imprese sono in forte difficoltà a causa della crisi, del peso fiscale e della fase recessiva. Una riforma del lavoro troppo dirigista che non tenga adeguatamente conto dei fattori di difficoltà potrebbe produrre effetti inaspettati”.

In audizione presso la Commissione Lavoro del Senato della Repubblica, una delegazione di Rete Imprese Italia guidata dal presidente portavoce Marco Venturi ha illustrato le perplessità del mondo del terziario, del commercio, dell’artigianato e dell’impresa diffusa sul disegno di legge n. 3249 per la riforma del mercato del lavoro. Tra le necessità delle imprese, ha sottolineato Venturi, “la flessibilità in entrata”.

“‘Abbiamo parlato soprattutto – ha detto Venturi – del problema dell’elevata flessibilita’ che serve alle piccole e medie imprese, che sono quelle che danno piu’ occupazione. In questo ddl ci sono meccanismi che aumentano il costo del lavoro, noi dobbiamo mantenere la flessibilita’ per continuare ad occupare”.

Discussi diversi punti critici, tra cui la causale per il tempo determinato, contratto di inserimento, lavoro accessorio, contributo Aspi su apprendistato, lavoro intermittente e fondi di solidarietà bilaterali, licenziamento individuale e lo spostamento in caso di dimissioni degli adempimenti dal lavoratore alle imprese.

Fonte: confesercenti.it

Federauto contro il finanziamento delle auto aziendali

Federauto entra a gamba tesa contro l’ipotesi di finanziare la riforma del mercato del lavoro attraverso l’inasprimento fiscale sulle auto aziendali. E’ incomprensibile che si vogliano ancora attaccare gli autoveicoli, gli automobilisti e ora anche i parchi auto aziendali. Il tutto in uno scenario di forte recessione del mercato auto italiano.

Federauto fa presente che circa un mese fa, per la seconda volta in due anni, ha presentato ad esponenti del Governo un piano organico e triennale per il sostegno della domanda. Questo alla luce del fatto che l’automotive, nel nostro Paese, è un asset fondamentale e imprescindibile fatturando l’11,4% del PIL, contribuendo al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e impiegando, con l’indotto allargato, 1.200.000 addetti.

In particolare, proprio sulle auto aziendali, Federauto ha richiesto di parificarne la fiscalità ai principali mercati europei. L’attuale situazione italiana prevede una quota ammortizzabile e detraibile del 40%, contro il 100% dei maggiori Paesi UE . Oltre a ciò Federauto proponeva un ammortamento anticipato da 4 a 2 anni, per le vetture, e da 5 a 3 anni, per i veicoli commerciali.

“E’ assurdo, inconcepibile, che in un mercato auto in una recessione eccezionale si pensi di inasprire la fiscalità delle auto aziendali per finanziare la riforma del lavoro. Il Governo deve reperire fondi per finanziarla? Suonate a un altro indirizzo, noi abbiamo già dato”. Questo il primo commento di Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che raggruppa i concessionari ufficiali di tutti i marchi commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, veicoli industriali e autobus, che aggiunge: “Il nostro settore è sotto il livello di sopravvivenza sia per la componentistica sia per la distribuzione. Così verranno bruciati centinaia di migliaia di posti di lavoro. L’aumento dell’IVA, dell’imposta provinciale di trascrizione, delle accise sui carburanti, dei pedaggi autostradali e dell’RCA ci sta distruggendo. Stiamo ammazzando la domanda e, di conseguenza, l’intera filiera dell’automobile. Ad ogni modo non possiamo accettare questa impostazione e tutte le Associazioni del settore sono pronte a far sentire la propria voce in Parlamento. Questo provvedimento sarebbe ingiusto e profondamente iniquo.”

Aggiunge Enzo Zarattini, presidente dell’Associazione Concessionari Italiani Bmw: “Se anche le auto acquistate dalle aziende, già svantaggiate rispetto all’Europa, pagheranno un ulteriore dazio, il mercato si contrarrà ulteriormente provocando danni incalcolabili.”

Completa Adolfo De Stefani Cosentino, presidente dei concessionari Mercedes: “La minore deducibilità allontanerà ancora di più l’Italia dal panorama europeo cui spesso ci si riferisce per indicare comportamenti o legislazioni virtuose. Rammento che in Germania la quota ammortizzabile è pari al 100%, a fronte del 40% fino ad ora previsto in Italia. La detraibilità dell’IVA è pari al 100%, con una riduzione al 50% per i professionisti. Sono dati di riferimento indicativi di un approccio totalmente diverso dal nostro e che porta le immatricolazioni annuali di auto intestate a società a pesare per quasi il 40% su un mercato di circa 3,8 milioni.”

Federauto lancia quindi un appello al Governo: se non volete equipararci all’Europa, almeno lasciate tutto come sta.

Fonte: agenparl.it