Quale regime fiscale per una partita IVA, dal forfettario all’ordinario

Quando in Italia un soggetto apre una partita IVA, dietro può esserci un libero professionista, un artigiano, un piccolo imprenditore o un lavoratore autonomo. Così come la partita IVA può essere associata anche ad una media impresa e ad una grande impresa.

In base alla caratteristica dell’attività imprenditoriale, ed anche in ragione delle sue dimensioni, in Italia a fronte dell’apertura della partita IVA scatta pure il regime fiscale applicabile. Al riguardo c’è da dire che attualmente una partita IVA è associabile a tre possibili regimi fiscali. Vediamo allora quali sono i regimi fiscali per una partita IVA, e pure quali sono anche le condizioni per rientrarci.

Ecco quali sono in Italia i 3 regimi fiscali per una partita IVA

Nel dettaglio, attualmente in Italia i tre regimi fiscali possibili, per i titolari di partita IVA, sono tre. Ovverosia il regime fiscale forfettario, il regime fiscale semplificato ed il regime fiscale ordinario. Con il regime fiscale forfettario che, di fatto, è attualmente in Italia l’unico regime agevolato che permette, nel rispetto dei requisiti di accesso previsti, il pagamento di una tassa piatta al 15% sul reddito imponibile.

Con un limite di ricavi annui al di sotto della soglia dei 400.000 euro, invece, è possibile accedere al regime fiscale semplificato che, tra l’altro, non prevede l’obbligo di redigere il bilancio aziendale. Il regime fiscale ordinario è invece quello naturale, nel senso che, per le partite IVA, è quello che impone il rispetto, per un’azienda, di tutti gli obblighi che sono previsti e imposti dal codice civile.

Da cosa dipende la scelta del regime fiscale per un’impresa

Per la scelta del regime fiscale, quindi, ci sono tanti fattori da valutare. Dal tipo di impresa al volume dei compensi e dei ricavi annui. Passando anche per i costi da sostenere. Per esempio, il regime forfettario è favorevole perché sui ricavi o sui compensi, fino alla soglia dei 65.000 euro annui, si paga una tassa piatta.

Pur tuttavia, questo regime potrebbe anche non essere conveniente nel caso in cui l’attività imprenditoriale preveda rilevanti costi detraibili e/o deducibili per i quali il regime forfettario prevede invece delle forti limitazioni. Inoltre, il regime fiscale forfettario, per rientrarci, fissa pure dei paletti anche quel che che riguarda il costo del lavoro.

Partite Iva forfettarie e a regime ordinario: come si calcola l’imposta su acquisti e vendite?

Come si calcola l’imposta dovuta dalle partite Iva a seconda che aderiscano al regime forfettario o a quello ordinario? Il regime forfettario è, ad oggi, quello più gettonato per decidere di aprire un’attività autonoma o da libero professionista. Sono infatti notevoli i vantaggi, in termini di imposte e di semplificazioni fiscali, a favore del sistema di favore delle partite Iva. Secondo le ultime rilevazioni effettuate dall’Osservatorio sulle partite Iva, nello scorso anno sono state 239 mila le posizioni aperte aderenti al regime forfettario. L’aumento è stato dell’11% rispetto al 2020. Il che significa che circa il 43% delle nuove aperture di partite Iva è stata effettuata verso il regime di flat tax che assicura un’aliquota d’imposta del 15% (del 5% per i primi cinque anni di nuova attività).

Vantaggi nella scelta della partita Iva a regime di flat tax: semplicità di contabilità

Tra i vantaggi riscontrabili nell’apertura della partita Iva a regime forfettario (o di flat tax) rispetto a quella a regime ordinario c’è la semplicità della contabilità.  Le partite Iva a regime forfettario, infatti, hanno una gestione dell’Iva di molto differente rispetto ai lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Gli autonomi in regime di flat tax non addebitano l’Iva nella fattura alla propria clientela nel momento in cui vendono una prestazione o un bene.

Partita Iva flat tax, non c’è bisogno di liquidazioni periodiche o dichiarazioni dell’Iva

Inoltre, nel caso di acquisto di un bene o di una prestazione, i forfettari non devono detrarre l’Iva pagata in fattura, come avviene nel regime ordinario. Ciò, dunque, dal punto di vista operativo e contabile rappresenta un vantaggio non di poco conto nella gestione della partita Iva. Infatti, non è necessario effettuare le liquidazioni periodiche dell’Iva. Inoltre, il professionista o l’autonomo forfettario non devono presentare la dichiarazione Iva per i contribuenti.

Tassazione a confronto partite Iva flat tax e ordinarie: il vantaggio del forfettari

Un vantaggio consistente della partita Iva a regime forfettario risiede nel confronto di tassazione a proprio favore rispetto al regime ordinario. In primis la tassazione è più bassa per alcune tipologie di contribuenti forfettari come gli artigiani e i commercianti. Le due categorie possono godere di uno sconto opzionale del 35% sui contributi versati all’Inps annualmente. Le altre categorie rientranti nella flat tax non hanno lo stesso sconto contributivo ma una percentuale che per il 2022 è pari al 25,72% calcolata sull’imponibile ottenuto forfettariamente, e dunque non su tutti i ricavi percepiti. Inoltre, la tassazione è esclusa dalle aliquote Irpef e si applica al 15% o al 5% nei primi cinque anni di attività.

Gestione dell’Iva nel regime ordinario e semplificato: quali vantaggi?

Rispetto alla partita Iva a regime forfettario, gli autonomi del regime ordinario e semplificato devono applicare l’Iva sulla cessione dei beni o sulla prestazione dei servizi. Dunque, autonomi e professionisti devono addebitare l’Iva verso il cliente che sta acquistando il bene o il servizio e poi versarla allo Stato ogni tre mesi od ogni mese. Allo stesso tempo, sugli acquisti di beni e di servizi le partite Iva ordinarie devono detrarre l’Iva pagata dal totale dell’Iva dovuto sulle vendite. Il che significa che ogni bene venduto o servizio reso genera un’Iva a debito il cui importo viene detratto dall’Iva pagata sugli acquisti dai fornitori. E pertanto, almeno parte dell’Iva pagata ai fornitori può essere recuperata.

Partite Iva a regime ordinario, il meccanismo dell’Iva a debito e a credito

Quest’ultimo passaggio dell’Iva a debito e a credito rappresenta una valutazione di non poco conto nella scelta tra partita Iva a regime forfettario o a regime ordinario. Infatti, la partita Iva forfettaria può convenire ai lavoratori autonomi che non hanno tanta Iva da detrarre. A maggior ragione che, in questa situazione, hanno una più ampia semplificazione nella gestione dell’Iva, non dovendo procedere con il versamento mensile (o trimestrale) e con la dichiarazione Iva. Tale regime, tuttavia, può non produrre gli stessi vantaggi nel caso in cui il lavoratore autonomo procede con investimenti e acquisti che generano un notevole quantitativo di Iva a credito. Con il regime di flat tax questo credito verrebbe perduto. Al meccanismo dell’Iva a credito e a debito, si aggiunge la tassazione del regime ordinario che deve essere calcolata secondo le normali aliquote Irpef.

Partite Iva a regime forfettario e ordinario: quale scegliere?

Al contrario, la partita Iva a regime forfettario è certamente non vantaggiosa se gli investimenti e gli acquisti per svolgere l’attività sono notevoli. In questi casi, sarebbe meglio scegliere un altro regime di partita Iva. Ma nella scelta deve certamente essere fatta una valutazione dell’imposta, di sicuro più alta nel regime ordinario. E dunque chiedersi se il recupero dell’Iva compensa la maggiore imposizione fiscale del regime ordinario.

Regime forfetario: si rientra dopo essere transitati al regime ordinario?

Il regime forfetario consente a chi ha una partita IVA di avere una tassazione agevolata, ma devono essere rispettati dei limiti di fatturato. Vedremo ora che per chi perde i requisiti è comunque possibile rientrarvi dopo essere transitati al regime ordinario.

Caratteristiche regime forfetario

Chi decide di aprire una partita IVA ha due possibilità: il regime ordinario e il regime forfettario, o forfetario. Il regime forfettario come tutti sanno è un regime agevolato riservato a coloro che hanno un fatturato non superiore a 65.000 euro e hanno spese, tra cui quelle per il personale (contratto a tempo determinato, indeterminato, a progetto, collaborazione) non superiori a 20.000 euro l’anno. Nel momento in cui vengono meno tali condizioni si passa al regime ordinario, ma dall’anno successivo rispetto a quello in cui sono stati superati i limiti. Ciò che molti si chiedono è: ma se dopo essere passato al regime ordinario maturo nuovamente i requisiti per il forfettario, posso ritornare? Cercheremo di chiarire ora tale dubbio.

Rientrare al regime forfetario dopo essere transitati al regime ordinario: si può

In questo caso trova applicazione il comma 54 dell’articolo 1 della legge 190 del 2014 che regola il regime forfettario. Il comma sottolinea che i contribuenti possono ritornare al regime forfetario nel caso in cui l’anno precedente rispetto a quello in cui si chiede il rientro abbiano maturato un fatturato che rientra nei limiti previsti da esso e non abbiano superato i limiti di spesa. Di conseguenza, un contribuente che nel 2022 vuole ritornare al regime forfettario può farlo se nel corso del 2021 ha fatturato meno di 65.000 e sostenuto spese per il personale e lavoro accessorio inferiori a 20.000 euro, cioè ha maturato i requisiti per tale regime agevolato.

Naturalmente il consiglio è provare a non uscire dal regime forfetario in modo da non perdere i benefici della tassazione agevolata, la stessa infatti è al 5% per i primi 5 anni di attività e passa successivamente al 15%. Attualmente per il regime forfetario ancora non è prevista l’obbligatorietà della fatturazione elettronica, l’obbligo potrebbe però arrivare nei prossimi mesi, molto probabilmente dal terzo trimestre dell’anno 2022 oppure direttamente dal 2023.

Per gli approfondimenti è possibile leggere:

Regime Forfetario: quali sono le attività escluse? Ecco l’elenco

Obbligo di fattura elettronica per i forfettari: Ultime notizie

Costi della fatturazione elettronica per i forfettari obbligatoria e tempistica

 

Partita Iva: passaggio da un regime a un altro, come funziona?

Come funziona il passaggio da un regime a un altro della partita Iva? Le partite Iva che abbiano i requisiti per poter aderire al meccanismo forfettario ma che non ne siano interessate, possono fuoriuscire da questo regime. In tal caso, si può adottare il regime ordinario della determinazione delle imposte sui redditi e di quella sul valore aggiunto.

Come avviene la scelta di aderire al regime ordinario di partita Iva?

Nel caso, dunque, che si voglia rinunciare alla partita Iva a regime forfettario per aderire a quella ordinaria è necessario comunicarlo nella dichiarazione annuale dell’Iva. Si procede con la scelta dello specifico campo del quadro VO della dichiarazione Iva che deve essere presentata. Tuttavia, il beneficiario che rinunci al meccanismo forfettario di partita Iva, oltre al regime ordinario, può scegliere quello semplificato.

Partita Iva a regime semplificato: che cos’è?

Possono aderire al regime semplificato di partita Iva:

  • le persone fisiche;
  • le società di persone;
  • gli enti non commerciali.

Per l’adesione è necessario che nel precedente esercizio il volume dei ricavi o dei compensi sia stato inferiore a 400 mila euro per le attività relative alla prestazione di servizi. Per le altre attività il limite è di 700 mila euro. Chi aderisce alla partita Iva a regime semplificato non deve tenere il libro giornale.

Il regime ordinario delle partite Iva: chi è obbligato?

La partita Iva a regime ordinario deve essere obbligatoriamente posseduta dai contribuenti che abbiano superato i limiti dei compensi e dei ricavi previsti per la contabilità semplificata. Sono altresì obbligate le società di capitali. Nel caso in cui una partita Iva che avrebbe i requisiti per il regime forfettario opti per il regime ordinario, permane il vincolo di tre anni. Al trascorrere del triennio, il regime si rinnova in maniera tacita per ogni anno susseguente. Il regime ordinario permane finché ci siano le condizioni della sua applicazione.

Dal regime di contabilità semplificata a quello forfettario delle partite Iva

Un contribuente che scelga di aderire al regime di contabilità semplificata della partita Iva può nuovamente tornare al regime forfettario. Lo può fare a partire dall’anno successivo a quello di adesione alla contabilità semplificata e non deve attendere il trascorrere dei tre anni. Rimane, in ogni modo, da verificare che abbia i requisiti per la partita Iva forfettaria e che non vi siano cause ostative.

Quando la partita Iva ordinaria può adottare il regime forfettario senza attendere i tre anni?

Ai passaggi tra regimi fiscali delle partite Iva è necessario specificare il funzionamento di un determinato meccanismo. Il contribuente che non ha i requisiti per adottare il regime forfettario deve transitare sul regime ordinario del reddito o nella contabilità semplificata. Si può tornare sempre al regime forfettario (in presenza dei requisiti richiesti) senza attendere il decorso dei tre anni pur trovandosi nel regime ordinario. Il legislatore, in questo caso, ha concesso la possibilità del transito perché la partita Iva ha adottato un passaggio che non è una sua opzione.

Partite Iva, cosa avviene nel passaggio dal forfettario al regime ordinario?

Risulta altresì importante stabilire cosa avviene nel passaggio dal regime forfettario delle partite Iva a quello ordinario. Il regime forfettario consente la rettifica dell’Iva per gli anni nei quali l’Imposta sul valore aggiunto è stata già detratta perché richiesto dall’ordinario. In questo modo, il meccanismo della rettifica permette la coerenza della detrazione avvenuta nei periodi susseguenti a quelli nei quali tale detrazione sia stata determinata. In tal caso si procedere ricalcolando l’imposta detraibile e versandola oppure recuperandone la differenza rispetto alla detrazione originaria.

Rettifica della detrazione Iva nel passaggio dal regime ordinario a quello forfettario

La rettifica della detrazione Iva deve essere eseguita sempre quando si passa dal regime ordinario di partita Iva a quello forfettario. Infatti, il primo consente la detrazione dell’Iva, il secondo no. Pertanto, l’Iva inerente i servizi e i beni non ancora ceduti o usati, deve essere rettificata in un’unica soluzione. Non si attende l’utilizzo dei beni e dei servizi. La rettifica dei beni ammortizzabili va fatta quando non siano stati superati i quattro anni dopo l’entrata in funzione dei beni stessi. In alternativa il termine sale a dieci anni dalla data di acquisto. Se si tratta di fabbricati o di loro porzioni, può essere adottato il termine di rettifica dei dieci anni.

Quando cessa il regime forfettario di partita Iva?

Il regime forfettario della partita Iva cessa a iniziare sempre dall’anno successivo. Non può cessare nel corso dell’anno, come avveniva in precedenza con il regime dei minimi, già abrogato nel 2016. Pertanto, l’adozione di un nuovo regime di partita Iva decorre dall’anno successivo a quello nel quale si sono manifestati i motivi per i quali si è avuta la fuoriuscita.

Partite Iva, dalla riforma fiscale sconto medio di 202 euro e abolizione Irap

Per le partite Iva e i lavoratori autonomi gli sconti Irpef attesi dalla riforma fiscale per il 2022 si attesteranno mediamente in 202,40 euro all’anno. Lo sconto salirà per redditi che arrivano a 50 mila euro a circa 810 euro. E scompare l’Irap che, mediamente, comporta un esborso di 1360 euro all’anno.

Partite Iva e lavoratori autonomi, la riforma fiscale vale uno sconto medio di 202,40 euro

La revisione delle aliquote Irpef, che scenderanno da 5 a 4, porterà sconti fiscali anche alle partite Iva, oltre ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. La riforma fiscale, attesa nella giornata del 7 dicembre 2021 per il voto al Senato, segnerà uno sconto fiscale Irpef che varia da 62 euro a 810 euro all’anno, con una media di 202,40 euro. Per le partite Iva che non hanno potuto o voluto passare al regime forfettario, con flat tax al 15% (o al minimo del 5%), lo sconto sarà mediamente inferiore del 16,7% rispetto al vantaggio fiscale attestato ai lavoratori dipendenti. Questi ultimi avranno uno sconto medio di 243 euro.

Irpef, quali sono le nuove aliquote in arrivo con la riforma fiscale del 2022?

Le nuove aliquote della riforma fiscale, sia per i lavoratori dipendenti che per quelli autonomi e i pensionati, saranno quattro:

  • da 0 a 15.000 euro l’aliquota rimarrà del 23%;
  • da 15.001 a 28.000 euro l’aliquota si abbasserà dall’attuale 27% al 25%;
  • da 28.001 a 50.000 euro la riduzione sarà di tre punti, ovvero dal 38% di Irpef al 35%;
  • infine per redditi oltre i 50.000 euro si verserà il 43%;
  • scompare la precedente classe che andava dai 55.001 ai 75.000 euro del 41%, con applicazione del 43% per redditi superiori.

Quanto risparmieranno le partite Iva con  la riforma delle aliquote Irpef?

Dalle stime di calcolo del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), i risparmi di imposta Irpef per le partite Iva varieranno da un minimo di 62 euro a un massimo di 810 euro. Il risparmio minimo di 62 euro riguarderà le partite Iva che abbiano un volume di ricavi a 15 mila euro. Il massimo del beneficio fiscale si ha in corrispondenza di redditi di 50 mila euro: il risparmio sarà di 810 euro.

Differenza di sconti fiscali tra partite Iva e lavoratori dipendenti con la riforma 2022

Il divario di sconto fiscale tra i lavoratori autonomi e i dipendenti è spiegato da varie ragioni. Innanzitutto, a pesare sono le detrazioni: per i lavoratori dipendenti sono più alte, andando a inglobare, per redditi fino a 40 mila euro, anche l’ex bonus di Renzi di 80 euro (poi passato a 100 euro). Varia anche il punto più alto di beneficio fiscale: se per i lavoratori autonomi il maggior vantaggio si ha in corrispondenza di redditi di 50 mila euro, per i lavoratori dipendenti il picco si ha a 40 mila euro.

Cambia la no tax area: per i lavoratori autonomi sale a 5.500 euro

Varia anche la no tax area dei lavoratori autonomi, che sale dai 4.800 euro attuali a 5.500 euro. Si allarga, dunque, la platea di lavoratori con redditi bassi che non è soggetta a imposizione. Per i lavoratori dipendenti la no tax area sale a 8.500 euro.

Riforma fiscale: quali partite Iva risparmiano di più?

La curva dei vantaggi fiscali delle partite Iva segna uno sconto progressivo all’aumentare dei redditi a partire dai 15.000 euro. Il vantaggio fiscale è massimo in corrispondenza dei redditi di 50.000 euro, scendendo poi progressivamente. L’ultima classe di risparmio, in termini fiscali, è quella dei redditi di almeno 75 mila euro: per tutti, autonomi e dipendenti, lo sconto vale 270 euro annui.

Quanto risparmiano le partite Iva di tasse e imposte con la riforma fiscale?

Le stime di risparmio, in termini fiscali, delle partite Iva con la revisione delle aliquote Irpef si attesta rispettivamente:

  • per i redditi fino a 15.000 euro all’anno, il risparmio è del 2,48%;
  • su redditi di 30.000 euro annui, lo sconto è del 3,24%;
  • per i redditi di 50.000 euro lo sconto è del 5,63%;
  • redditi di 75.000 euro hanno un beneficio dell’1,07%.

Partite Iva, in arrivo l’azzeramento dell’Irap

L’altra faccia della moneta per i lavoratori autonomi e le partite Iva è rappresentata dall’azzeramento dell’Irap. In questo caso, a beneficiare della mancata imposta sono circa un milione di microimprese, persone fisiche e ditte individuali che non dovranno più pagare l’imposta regionale. L’investimento per il governo dell’azzeramento dell’Irap ha un costo complessivo di oltre 1,3 miliardi di euro.

 

Partita Iva, cosa fare per passare al regime forfettario nel nuovo anno da quello ordinario?

Cosa devono fare e verificare le partite Iva per passare al più conveniente regime forfettario nel prossimo anno se provengono da quello ordinario? È necessario procedere a delle verifiche e controlli per poter capire se si può rientrare nel meccanismo agevolato che consente di beneficiare dell’Irpef al 5% o al 15% dal 2022. Ciò in considerazione del fatto che per le partite Iva non dovrebbero esserci grandi sconvolgimenti nella relativa normativa. Proprio in virtù dei vantaggi previsti dai commi 54-89 dell’articolo 1 della legge numero 190 del 2014, molti professionisti potrebbero prendere in considerazione il transito verso il regime forfettario.

Partite Iva, passare al regime forfettario: viene meno l’obbligo di rimanere per tre anni nel regime ordinario

A favorire il passaggio dal regime ordinario della partita Iva a quello forfettario è innanzitutto il cadere dell’obbligo di permanenza nell’ordinario per tre anni. Ciò anche in deroga a quanto prevede il comma 70 dell’articolo 1 della legge numero 190 del 2014. Infatti, la norma prevede che le partite Iva del regime ordinario rimangano vincolate per almeno tre anni al regime fiscale. Questa norma ha l’eccezione in quanto stabilito dalla Direzione dell’Agenzia delle entrare Emilia Romagna con la risposta all’interpello numero 909 1960 del 27 settembre 2021. I professionisti che abbiano un regime ordinario possono, infatti, optare per il cambio al più vantaggioso regime forfettario anche prima del decorrere dei tre anni di vincolo.

Scelta della partita Iva a regime forfettario: il vincolo dei ricavi

Nel passaggio dal regime ordinario di partita Iva al forfettario è indispensabile verificare i ricavi. Il limite fissato dal regime forfettario è di 65 mila euro annui, superati i quali non è possibile l’accesso. Il limite di ricavi deve essere calcolato dai professionisti applicando solo il meccanismo di cassa: ciò quindi, a prescindere dalle fatture emesse, comporta che nel calcolo debbano essere considerati gli incassi effettivi nel 2021 per verificare la possibilità di accesso, nel 2022, al regime forfettario.

Passaggio dal regime forfettario di partita Iva al regime ordinario e viceversa

Peraltro, la possibilità che si entri ed esca dal regime forfettario di partita Iva a seconda degli incassi percepiti nell’anno può ripetersi nel corso del tempo. Ad esempio, una partita Iva aperta a regime forfettario, che sia stata obbligata dal superamento dei 65 mila euro di ricavi ad accedere al regime ordinario, può tornare al regime forfettario nell’anno successivo a quello nel quale non abbia superato il limite dei ricavi. Pertanto, le partite Iva che nel 2021 siano state obbligate al passaggio al regime ordinario per ricavi superiori ai 65 mila euro nel 2020, nel 2022 potranno tornare nel forfettario se nel 2021 non hanno superato la soglia di ricavi. Fa eccezione il regime minimo del 5%: una volta usciti, non si può più rientrare.

I requisiti per passare dal regime ordinario a quello forfettario della partita Iva

Gli altri requisiti per i passaggio della partita Iva dal regime ordinario a quello forfettario sono disciplinati dal comma 9 della legge numero 145 del 2019. Detti requisiti sono validi per tutte le posizioni delle partite Iva a regime forfettario. In particolare, la norma prevede come condizione di accesso, i limiti di spesa affrontati per il personale dipendente pari a 20 mila euro al lordo. Nello stesso limite devono rientrare anche le spese per il lavoro accessorio.

Un ulteriore requisito per il passaggio dal regime ordinario a quello forfettario della partita Iva è quello relativo ai rapporti con i datori di lavoro. In questo caso, il divieto riguarda le partite Iva a regime ordinario che si avvalevano o si avvalgono di rapporti con il datore di lavoro nello svolgimento della propria attività. Il limite temporale di detto divieto riguarda gli ultimi due periodi di imposta precedenti. Il divieto non è assoluto, ma relativo. Infatti, è necessario verificare che quanto incassato nei rapporti con il datore di lavoro non superi il 51% del totale dei compensi della partita Iva.

Passaggio dal regime ordinario al regime forfettario

Come passare dal regime ordinario al regime forfettario? Le indicazioni arrivano dall’Agenzia delle Entrate, la quale ha comunicato che i soggetti intenzionati a passare nel 2016 nel regime forfettario non dovranno dare alcuna comunicazione preventiva.

Per il passaggio al regime forfettario, al momento della compilazione del Modello IVA 2016 (relativo al periodo d’imposta 2015), dovranno segnalare al rigo VA14 che quella in fase di compilazione è l’ultima dichiarazione precedente l’applicazione del regime forfettario.

Sempre nel Modello IVA 2016, ma al rigo VF56, dovranno anche rettificare la detrazione Iva ai sensi dell’art. 19 bis 2 del D.p.r. 633/72. Nella loro dichiarazione dei redditi dovranno seguire le regole indicate nell’art. 1 comma 66 della L. 190/2014, relative alle quote residue dei componenti di reddito la cui tassazione/deduzione è stata rinviata.

Lo stesso dovranno fare per i ricavi e i compensi di competenza del 2015, incassati nel 2016, che parteciperanno alla determinazione del reddito relativo al 2015.

In soggetti che nel 2015 erano nel regime ordinario nonostante avessero i requisiti per accedere al forfettario, potranno accedere al regime agevolato durante l’anno in corso senza dover attendere il periodo di 3 anni.

Se i soggetti emettono fatture con Iva nel 2016, possono rimediare emettendo la rispettiva nota di credito, senza che ciò impedisca al contribuente di accedere al regime forfettario.

Ecco le modifiche agli studi di settore

Per quanto riguarda gli studi di settore, l’Agenzia delle Entrate ha portato alcune modifiche sulla modulistica.

Ecco quali quadri si presentano con le novità più rilevanti:

  • QUADRO A – “Personale addetto all’attività”: è stato cambiato per adeguarlo alla nuova metodologia di stima dei soci amministratori. In particolare, si introducono: – 2 nuovi righi denominati “Soci amministratori” e “Soci non amministratori” al posto dei precedenti “Soci con occupazione prevalente nell’impresa” e “Soci diversi da quelli di cui al rigo precedente”; – il nuovo rigo “Associati in partecipazione”, che sostituisce quelli presenti in precedenza, ovvero “Associati in partecipazione che apportano lavoro prevalentemente nell’impresa” e “Associati in partecipazione diversi da quelli di cui al rigo precedente”.
  • QUADRO F– “Elementi contabili”: le modifiche riguardano i dati relativi gli amministratori e le royalties. Inoltre, in seguito alle novità introdotte dal DL 70/2011 riguardo la deducibilità delle spese di importo < € 1.000 relativi a contratti a corrispettivi periodici di competenza di 2 periodi d’imposta l’agenzia nella C.M. 30/2012 invita gli Uffici a tener conto del nuovo criterio di deducibilità applicabile dal 2011.
  • QUADRO Z– “dati complementari”: nei modelli di alcuni studi delle attività professionali sono state richieste informazioni più precise riguardo alle prestazioni/incarichi per le quali, nel corso dell’anno, sono stati percepiti solo pagamenti parziali rispetto all’intero compenso pattuito per lo svolgimento della singola prestazione. Per questo motivo, in relazione a ciascuna tipologia di attività, vengono richiesti: – il numero dei soli incarichi/prestazioni per i quali nell’anno 2011 sono stati percepiti solo acconti e/o saldi (pagamenti parziali); – la percentuale dei compensi derivanti dagli incarichi/prestazioni per i quali sono stati percepiti solo pagamenti parziali, in rapporto ai compensi complessivamente percepiti nel 2011.
  • QUADRO X– “altre informazioni ”: ai fini dell’applicazione dei correttivi anti-crisi (DM 13/06/2012), devono essere indicati alcuni dati specifici che permettano a Gerico di rimodulare la stima dei ricavi o compensi sulla base degli stessi correttivi. In particolare, è richiesto di indicare: – i “Ricavi dichiarati ai fini della congruità relativi al periodo di imposta 2010” (per l’applicazione del correttivo relativo all’applicazione della normalità economica); – di compilare alcune voci di costo relative ai periodi 2009 e 2010.
  • QUADRO V– “Ulteriori dati specifici ”: è prevista una apposita casella da barrare qualora i contribuenti nel 2009 o 2010 abbiano cessato di avvalersi del regime dei minimi. In particolare, occorre barrare la casella presente a rigo V04 (per le imprese) ovvero V01 (per i lavoratori autonomi). Al riguardo, l’agenzia precisa che tali soggetti, oltre a barrare la relativa casella del quadro V, dovranno fare attenzione a fornire alcuni dati contabili, da indicare nei quadri F, G e X, senza tenere conto degli effetti derivanti dal principio di cassa, applicato nei periodi di imposta precedenti e correlato al citato regime.

Il prospetto delle “Imprese multiattività” può comunque essere compilato anche se i ricavi derivanti dalle attività non prevalenti non superano il 30% dei ricavi complessivi.

Per i soggetti che sono usciti dal regime dei minimi e che sono esercenti attività d’impresa, si rileva uno sfasamento tra il principio di “cassa” operante nel regime dei minimi e quello di “competenza” del regime ordinario.

Questo sfasamento potrebbe comportare delle distorsioni nei risultati degli studi di settore applicati in termini di congruità dei ricavi e posizionamento rispetto agli indicatori di coerenza e di normalità economica.
Per evitare questi effetti negativi, sono state previste particolari modalità di applicazione degli studi di settore, differenziando a seconda che l’uscita dal regime sia intervenuta nel 2011 ovvero nel 2010 o 2009.

Vera MORETTI

Regime dei minimi: tutte le novità

di Alessia CASIRAGHI

Regime dei minimi dopo la Riforma: tantissime le novità, perché l’accesso è ora limitato ad un numero molto più ristretto di contribuenti, che potranno beneficiare di un’ imposta sostitutiva del 5%.

Il regime dei minimi, introdotto con Finanziaria 2008 (Legge 244/2007) per snellire il carico tributario dei contribuenti più piccoli, prevedeva l’esenzione del versamento Irpef e relative aliquote regionali e comunali, dell’Iva e dell’Irap e l’applicazione di un’imposta sostitutiva agevolata, inizialmente del 20% e ora passata al 5%, sul reddito calcolato secondo principio di cassa.

I requisiti di accesso generale al regime dei minimi prevedevano:

• Essere titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo ed aver conseguito ricavi o compensi, nell’anno solare precedente, non superiori a 30.000 euro
• Non aver effettuato cessioni all’esportazione o operazioni assimilate
• Non aver sostenuto spese per lavoro dipendente o per collaboratori, o erogato somme sotto forma di utili di partecipazione agli associati
• non aver acquistato, nei 3 anni precedenti, beni strumentali di valore complessivo superiore a 15.000 euro (inclusi contratti di appalto e di locazione)

Ma quali sono le principali novità di accesso introdotte dalla riforma? Per accedere al nuovo regime dei minimi occorrerà:

• Aver intrapreso intraprendono un’attività d’impresa dopo il 1° gennaio 2008
• La validità di applicazione del regime dei minimi è garantita fino ad un massimo di 5 anni o riguarda unicamente gli under 35
• Non aver esercitato, nei 3 anni precedenti la costituzione dell’azienda, altra attività artistica, professionale o d’impresa
• la nuova attività intrapresa non deve configurarsi come mera prosecuzione di un’attività svolta precedentemente sotto forma di lavoro dipendente o autonomo (fanno eccezione i casi di praticantato obbligatorio), soprattutto non deve prevedere l’utilizzo degli stessi beni usufruiti nell’attività precedente, come pure gli stessi spazi o gli stessi clienti

L’ultimo punto merita un ulteriore approfondimento, in quanto non fa riferimento alcuno al caso di un lavoratore dipendente, che dopo aver appreso un’arte o un mestiere, sceglie di mettersi in proprio esercitando un’attività simile o identica al lavoro svolto in precedenza.

Chi non può usufruire del nuovo regime dei minimi?

  • soggetti non residenti in Italia
  • soggetti che effettuano operazioni di cessione di terreni edificabili, fabbricati o porzioni di esso e mezzi di trasporto nuovi
  • soggetti che esercitano le seguenti attività:
  •  Editoria
  •  Telefonia pubblica
  •  Agenzie di viaggio e turistiche;
  • Agriturismi
  • Intrattenimenti e giochi
  • Agricoltura e attività connesse alla pesca
  • Rivendita documenti di trasporto pubblico e di sosta
  • Vendita all’asta o rivendita di beni usati, oggetti d’arte, da collezione e antiquariato.
  • Vendita sali e tabacchi
  •  Commercio di fiammiferi
  • Vendite a domicilio.

Come si accede formalmente al regime dei minimi?

I soggetti che hanno avviato o sono in procinto di avviare un’attività di impresa che rispetta i requisiti sopra citati, dovrà comunicare la propria scelta del regime dei minimi nella dichiarazione di inizio attività tramite il modello AA9.

In attesa dell’approvazione formale dell’accesso al regime dei minimi, i titolari d’azienda potranno utilizzare il modello AA9/8, avendo cura di barrare la casella denominata “Contribuenti minori”, presente nel quadro B. In caso di errore o dimenticanza, sarà rettificare la propria dichiarazione originaria entro e non oltre 30 giorni, direttamente presso l’ufficio di competenza.

In alternativa, i contribuenti minimi possono optare per l’applicazione dell’Iva e delle imposte sul reddito secondo il regime ordinario. In tal caso la scelta dovrà essere comunicata con la prima dichiarazione annuale Iva, per una durata di 3 anni, ma potrà anche avvenire per comportamento concludente, esercitando il diritto alla detrazione dell’Iva. Trascorsi i 3 anni, il contribuente dovrà rinnovare l’opzione di scelta di anno in anno.

Nuovo regime dei minimi: un paradiso?

di Vera MORETTI

E’ entrato in vigore con l’anno nuovo il nuovo regime dei minimi, noto anche come regime “di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità”.
Considerando i tanti vantaggi che comporta, non solo per quanto riguarda adempimenti ultra semplificati, ma anche l’aliquota dell’imposta sostitutiva fissata al 5%, è stato anche definito un paradiso fiscale.

Chi, quindi, avrà la fortuna di accedere a questo “paradiso”?
Innanzitutto le persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa o di lavoro autonomo dal 1° gennaio 2012 o che l’hanno intrapresa successivamente al 31.12.2007.
Alle condizioni previste dal precedente regime dei minimi, la manovra Correttiva ha aggiunto tre ulteriori condizioni:

  • non aver esercitato, nei 3 anni che precedono l’inizio attività, un’attività artistica, professionale o d’impresa (anche in forma associata o familiare);
  • l’attività nuova intrapresa non deve essere una continuazione di un’altra, magari svolta prima come dipendente ed ora come autonomo, tranne, ovviamente, esperienze di tirocinio.
  • è possibile proseguire un’attività d’impresa svolta prima da un altro soggetto purché l’ammontare dei ricavi realizzati nel periodo d’imposta precedente a quello interessato dal regime dei minimi, non sia superiore a 30.000 €.

Coloro che si riconoscono in questa fascia di lavoratori, ma che decidono di rinunciarvi, possono usufruire del regime ordinario, in un’opzione valida per almeno un triennio, previa comunicazione all’Amministrazione finanziaria con la prima dichiarazione fiscale annuale successiva alla scelta operata.
I soggetti che usufruiscono di tale opzione determinano il reddito d’impresa o di lavoro autonomo secondo le modalità ordinarie previste dal TUIR (titolo I capo V e VI), avvalendosi dei regimi contabili ordinario o semplificato. Inoltre, i contribuenti devono porre in essere tutti gli adempimenti contabili ed extracontabili dai quali erano precedentemente esonerati.

Se non si ricorre al regime ordinario, c’è il regime semplificato degli ex minimi. In questo caso l’opzione viene comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata.

Per quanto riguarda il nuovo regime dei minimi, si applica per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro anni successivi. Il Provvedimento del 22.12.2011 ha specificato che per esercizio di attività e per inizio di una nuova attività produttiva, si fa riferimento allo svolgimento effettivo e all’inizio effettivo della stessa, e non alla sola apertura della partita Iva.

In deroga al limite quinquennale di durata del regime, questo potrà essere utilizzato anche oltre il 4° periodo d’imposta successivo all’inizio dell’attività, ma non oltre il periodo d’imposta in cui il contribuente compie il 35° anno d’età.
Ciò significa che, a prescindere dall’età, si può avvalersi del regime per 5 anni da quando l’attività è iniziata e, qualora il contribuente non dovesse avere ancora 35 anni dopo lo scadere del quinquennio, potrà ancora beneficiare del regime.

Una clausola importante prevede che, se si cessa di usufruire del regime agevolato, non è possibile avvalersene in seguito, anche se dovessero sussistere le condizioni.

Tale regola non vale per i soggetti che hanno iniziato l’attività nel 2008 e, pur avendo i requisiti previsti per usufruire del regime dei minimi, hanno deciso di non fruirne, possono cominciare a servirsi del regime di vantaggio per la prossima dichiarazione del 2012, considerando sempre i limiti di 5 anni o, comunque, del 35mo anno di età.

L’aliquota dell’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali per il nuovo regime dei minimi è fissata al 5%.
Il Provvedimento del 22.12.2011 chiarisce che i ricavi e i compensi relativi al reddito oggetto del regime non sono assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta . A tal fine i contribuenti dovranno rilasciare una dichiarazione dalla quale risulta che il reddito in questione è soggetto ad imposta sostitutiva.

Il Provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate del 22.12.2011 ha chiarito che i nuovi minimi, oltre agli adempimenti previsti dall’art. 7 del DM 2.1.2008 (per esempio numerazione e conservazione delle fatture nonché certificazione dei corrispettivi) sono:

 

  • obbligati a manifestare preventivamente la volontà di effettuare acquisti intracomunitari, e quindi devono essere inseriti nell’archivio VIES;
  • esonerati dall’obbligo di effettuazione dello spesometro;
  • esonerati dall’obbligo di comunicazione delle operazioni con Paesi black-list;
  • esonerati dall’obbligo di certificare i corrispettivi se svolgono le attività previste dall’art. 2 del D.P.R. n. 696/1996.