Pensione di reversibilità, chi deve ricevere il rimborso?

Buone notizie per i pensionati che ricevono l’assegno di reversibilità, o pensione superstiti, del coniuge deceduto. Arriva il ricalcolo delle somme dovute e non ancora versate dall’Inps. Dopo la storica sentenza del 2022 che sancisce l’incostituzionalità dei tagli, cambia tutto.

Reversibilità, ai pensionati spettano maggiori somme

La legge 335 del 1995, comma 41 dell’articolo 1, riforma Dini, prevede un limite alla cumulabilità tra i propri redditi e i redditi derivanti dalla pensione di reversibilità o pensione superstiti. Il taglio prevede:

  • chi percepisce una pensione o reddito da lavoro superiore a 3 volte l’assegno minimo riceve il 75% della pensione del coniuge deceduto;
  • percipienti il quadruplo dell’assegno minimo ottiene il 60%;
  • chi percepisce fino a 5 volte l’assegno minimo, ottiene il 50% della pensione di reversibilità.

L’erede non ha diritto a ottenere le ulteriori somme che sono quindi perse.

Questo meccanismo è stato però ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza 162 del 2022 in quanto viola il principio di ragionevolezza previsto dall’articolo 3 comma 2 della Costituzione.

Il divieto di taglio delle pensioni non è però assoluto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui, in caso di cumulo tra pensione ai superstiti e redditi, «non prevede che la decurtazione effettiva della pensione non possa essere di misura superiore alla concorrenza dei redditi stessi».

Come sarà calcolata la pensione e gli arretrati?

Con la circolare 108 del 2023 l’Inps si adegua a tali principi e sottolinea che “l’Istituto procederà al riesame d’ufficio dei trattamenti pensionistici interessati, laddove l’importo delle trattenute abbia superato l’ammontare dei redditi aggiuntivi annuali di riferimento, riconoscendo il trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al citato articolo 1, comma 41, con la pensione ai superstiti nel limite della concorrenza dei relativi redditi.

Sottolinea che ai pensionati saranno corrisposte le maggiori somme comprensive di arretrati, interessi legali e/o rivalutazione monetaria nei limiti della prescrizione quinquennale, da calcolarsi a ritroso dalla data di riliquidazione del trattamento, fermi restando gli effetti di eventuali atti interruttivi della prescrizione. Naturalmente per ogni anno si deve fare riferimento all’importo previsto per l’assegno sociale per l’anno stesso.

Leggi anche: Assegno sociale 2024, importi, requisiti e limiti

Pensione di inabilità: differenze con invalidità civile, assegno ordinario. Guida

Le misure di sostegno in favore di persone con patologie di varia natura sono diverse e hanno presupposti diversi. Purtroppo in questo campo c’è molta confusione, soprattutto sull’assegno ordinario di invalidità, invalidità civile e pensione di inabilità. Cercheremo quindi di fare chiarezza su questi punti.

Cos’è la pensione di inabilità e requisiti

La pensione di inabilità è una prestazione economica che può essere richiesta da lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi iscritti all’assicurazione generale INPS e lavoratori parasubordinati. Affinché possa essere riconosciuto tale diritto, è necessario avere un’anzianità contributiva di almeno 5 anni (260 contributi settimanali ) di cui almeno 3 anni (156 settimane) versati negli ultimi 5 anni.

Il riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità è incompatibile con qualunque prestazione lavorativa,  sia con lavoro dipendente, con l’iscrizione alla Camera di Commercio, ad albi professionali, nei coltivatori diretti, negli elenchi degli operai agricoli. Appare evidente da questa introduzione alla pensione di inabilità che la stessa costituisca un diritto esclusivamente per soggetti che non abbiano una residua capacità lavorativa. Il lavoratore deve quindi essere colpito da un’infermità o una patologia che sia causa di una permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro.

La pensione di inabilità non è cumulabile con rendite vitalizie erogate dall’INAIL, si tratta in questo secondo caso di rendite erogate in seguito a infortunio sul lavoro che abbiano portato a una menomazione permanente che siano però legate allo stesso evento. Questo implica che se la rendita è erogata, ad esempio per la perdita di un braccio sul lavoro, ma la pensione di inabilità sia invece collegata ad altra patologia, magari anche successiva, si possono continuare a percepire entrambi gli importi.

La pensione di inabilità spetta a coloro che hanno incapacità di deambulare autonomamente e a coloro che necessitano di assistenza continuativa per lo svolgimento delle azioni quotidiane. Viste le peculiarità di questa prestazione, occorre sottolineare che la pensione di inabilità è compatibile con la percezione dell’assegno per l’assistenza personale e continuativa (il classico accompagnamento).

Come si calcola l’importo della pensione di inabilità?

L’importo si calcola aggiungendo all’importo maturato in base all’anzianità contributiva, contributi ulteriori fino al raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione.

Cos’è l’assegno ordinario di invalidità e requisiti

L’assegno ordinario di invalidità (IO) si differenzia dalla pensione di inabilità per il fatto che è di spettanza di coloro che hanno la perdita di almeno 2/3 della capacità lavorativa, in riferimento comunque alla tipologia di lavoro effettivamente svolto. Questo implica che, a differenza della pensione di inabilità, vi è una residua capacità lavorativa e quindi non è incompatibile con lo svolgimento di attività di lavoro o professionale. Da ciò deriva che si può essere iscritti in ordini professionali, si può svolgere lavoro dipendente con mansioni che siano comunque compatibili con la propria disabilità.

Il rinnovo

Si ottiene il riconoscimento a percepire l’assegno ordinario di invalidità a fronte di una infermità permanente di natura mentale o fisica. L’assegno viene corrisposto per un periodo di 3 anni, su domanda dell’interessato può essere prorogato per ulteriori 2 periodi di 3 anni ciascuno. Dopo la terza proroga diventa definitivo. Il rinnovo deve essere chiesto dal beneficiario nel periodo intercorrente tra i sei mesi antecedenti e i 120 giorni successivi alla scadenza del triennio. In caso di omissione si decade dal beneficio. Deve essere ricordato che in qualunque momento l’INPS può sottoporre a revisione il titolare della prestazione, come disciplinato dall’art. 9 della Legge 222/1984 .

Se il lavoratore dopo l’inizio della percezione dell’assegno ordinario di invalidità continua a svolgere attività lavorativa, l’accertamento sanitario avviene con cadenza annuale. I requisiti contributivi sono gli stessi previsti per la pensione di inabilità.

Il periodo in cui si è fruito dell’assegno ordinario di invalidità, se erogato senza il lavoratore abbia continuato l’attività lavorativa, viene considerato utile ai fini del raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Raggiunti tali requisiti viene quindi trasformato in pensione di vecchiaia e quindi gli importi sono “aggiornati”.

Sottilineiamo ora che l’importo dell’assegno ordinario di invalidità non è fisso, ma come per la pensione ordinaria dipende dalla situazione contributiva del titolare. Non è previsto un requisito anagrafico per ottenere tale trattamento e neanche un requisito economico. Viene riconosciuto semplicemente a coloro che hanno un’infermità da cui residui meno di un terzo di capacità lavorativa.

Invalidità civile: differenze con l’assegno ordinario di invalidità

L’assegno ordinario di invalidità a sua volta non deve essere confuso con l’invalidità civile. L’invalidità civile è una prestazione assistenziale, viene erogata in favore di coloro che hanno una percentuale di invalidità di almeno il 33%. Le prestazioni a cui si ha però diritto dipendono dal grado di invalidità:

  • dal 33% al 73% si ha diritto ad assistenza sanitaria ed agevolazioni fiscali;
  • dal 46%  iscrizione nelle liste speciali dei Centri per l’Impiego per l’assunzione agevolata;
  • per percentuali dal 66% all’esenzione dal ticket sanitario;
  • dal 74% al 100% si ha diritto a prestazioni economiche.

A differenza dell’assegno ordinario di invalidità e della pensione di inabilità, in questo caso non si tiene in considerazione il requisito contributivo, inoltre l’importo dell’invalidità civile è fisso e riconosciuto a coloro che hanno un’invalidità dal 74% al 100%, cioè non è determinato in base ai contributi.

Per conoscere gli importi leggi l’articolo: Adeguamento indennità di invalidità 2022: piccoli importi maggiorati.

Ci sono inoltre limiti reddituali, cioè non ha diritto alla percezione dell’assegno di invalidità civile chi supera determinati limiti di reddito. Tali limiti variano anche in base alla tipologia di invalidità quindi non è questa la sede per approfondire questo tema.

Revisione e rivedibilità

Cambia anche la procedura per la revisione, solitamente nel verbale di accertamento si dispone la rivedibilità e la commissione indica anche il limite temporale entro il quale si prevede la nuova visita. Lo stesso varia da 2 a 5 anni, dipende dall’età e dalla patologia che hanno portato al riconoscimento dell’invalidità civile. Anche questa è una differenza rispetto all’assegno ordinario di invalidità. La rivedibilità solitamente si applica anche a coloro che hanno patologie irreversibili. Solo per alcune patologie indicate nel Decreto Ministeriale del 2 agosto 2007, in ottemperanza dell’articolo 25, comma 8, della Legge n.114/14 è esclusa la rivedibilità. Anche questa è una differenza rispetto all’assegno ordinario di invalidità.

La reversibilità: quando spetta?

Un’altra differenza tra pensione di inabilità e invalidità civile è data dalla reversibilità, infatti la pensione di inabilità essendo una prestazione economica previdenziale legata alla situazione contributiva è reversibile, quindi in caso di morte il coniuge e gli aventi diritto possono accedere alla pensione superstiti.

Non è reversibile neanche l’assegno ordinario di invalidità.

Assegno ordinario di invalidità: nella trasformazione in pensione di vecchiaia l’importo cambia?

L’assegno ordinario di invalidità è riconosciuto ai lavoratori che perdano almeno 2/3 della capacità lavorativa, ma cosa succede al momento in cui maturano i requisiti per la pensione? In particolare: cambia l’importo percepito in seguito alla trasformazione?

Cos’è l’assegno ordinario di invalidità?

L’assegno ordinario di invalidità, da non confondere con l’indennità di invalidità civile, è una prestazione economica, non reversibile, riconosciuta ai lavoratori dipendenti e autonomi, sono esclusi i lavoratori del settore pubblico. La disciplina di questo istituto è contenuta nella legge 222 del 1984.

Il diritto a percepirlo è riconosciuto ai lavoratori che abbiano maturato almeno 5 anni di anzianità contributiva, di cui 3 nel quinquennio precedente rispetto al momento in cui si presenta l’istanza. Per ottenere l’assegno ordinario di invalidità è inoltre necessaria la perdita di almeno 2/3 della capacità lavorativa a causa di un’infermità fisica o mentale. La sentenza della Corte di Cassazione 7770/2006 ha sottolineato che la riduzione delle capacità lavorativa non deve essere valutata avendo come riferimento le tabelle utilizzate per l’invalidità civile, ma avendo come punto di riferimento le mansioni generalmente svolte dal soggetto che presenta l’istanza.

Per ottenere l’assegno ordinario di invalidità non sono previsti requisiti anagrafici. Ci sono invece dei limiti inerenti la durata, infatti lo stesso viene corrisposto per 3 anni ed è  prorogabile su richiesta del lavoratore. Naturalmente la proroga avviene solo nel caso in cui persistano i requisiti che hanno portato al riconoscimento dell’assegno. Dopo tre conferme, quindi dopo nove anni, si rinnova automaticamente, infine al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia si trasforma automaticamente in tale misura. La differenza è data dal fatto che l’assegno ordinario di invalidità non prevede reversibilità, mentre la pensione di vecchiaia sì, inoltre vi è anche un adeguamento dal punto di vista economico.

Come si calcola l’importo dell’assegno ordinario di invalidità?

L’importo dell’assegno ordinario di invalidità si misura sulla base dei contributi effettivamente versati dal lavoratore.

Se il lavoratore ha maturato dei contributi prima del 1996 si adotta il criterio misto (contributivo e retributivo) per il calcolo dell’ammontare. In questo caso se prima del 1996 il lavoratore aveva maturato almeno 18 anni di contributi, il sistema retributivo si applica fino al 2011, mentre se prima del 1996 i contributi maturati erano meno di 18 anni, il calcolo retributivo si applica fino al 1996.

Per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 il calcolo è interamente contributivo.

Fatta questa premessa, la normativa stabilisce che, se applicando i criteri visti il risultato è una assegno ordinario di invalidità di valore inferiore al minimo previsto dalle singole gestioni, il contributo mensile sarà adeguato al minimo. Vi sono però dei correttivi:

  • per i soggetti coniugati e non separati legalmente l’integrazione ora vista non spetta se il reddito complessivo supera di tre volte il minimo per la gestione a cui appartiene il richiedente;
  • l’integrazione inoltre non spetta a coloro che hanno ulteriori redditi propri di importo superiore a due volte il valore previsto per la pensione sociale.

A questo punto occorre ricordare che coloro che, nonostante il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità continuano a svolgere attività lavorativa, possono andare incontro a una riduzione degli importi. La stessa è del 25% per coloro che dichiarano redditi compresi tra 4 e 5 volte il minimo dell’assegno sociale e del 50% per coloro che dichiarano redditi superiori a 5 volte il minimo sociale. Per il 2022 il trattamento minimo sociale è 523,83 euro.

Nella trasformazione in pensione di vecchiaia, l’importo cambia?

Maturati i requisiti per la pensione di vecchiaia, l’assegno ordinario di invalidità viene automaticamente trasformato in pensione di vecchiaia. Ciò porta dei vantaggi, infatti se prima del riconoscimento del sostegno economico erano maturati dei contributi, l’assegno viene appunto calcolato su questo, con la possibile integrazione vista prima.

Nel frattempo, visto che residua della capacità lavorativa, il lavoratore può continuare a maturare dei contributi a fini pensionistici. Nel momento della trasformazione dell’assegno dovranno essere considerati anche tali contributi e questo porterà a un aumento dell’assegno riconosciuto.

Non ci sarà aumento nel caso in cui invece il percettore non abbia maturato ulteriori contributi e quindi abbia cessato ogni attività lavorativa.

Con la trasformazione dell’assegno ordinario di invalidità in assegno di pensione viene meno anche un altro svantaggio, avevamo visto in precedenza che vi era una riduzione degli importi nel caso in cui residuava al lavoratore capacità lavorativa e lui riusciva ad ottenere un reddito imponibile. Con la trasformazione non c’è più questa decurtazione quindi l’assegno sarà percepito per intero anche nel caso in cui il soggetto ha altre entrate.

Infine, come già anticipato, una volta trasformato l’assegno ordinario di invalidità in assegno di pensione matura anche il diritto a percepire la pensione superstiti o di reversibilità.

Pensione superstiti, o di reversibilità: a chi spetta e a quanto ammonta

La pensione superstiti, o reversibilità, è una quota di pensione che viene riconosciuta ai “superstiti” cioè ai parenti del defunto, ci sono però delle condizioni affinché si possa ottenere questo assegno e soprattutto può goderne anche l’ex coniuge. Vediamo la casistica.

Requisiti per la pensioni superstiti

La pensione superstiti, o di reversibilità, viene riconosciuta ai parenti del defunto (coniuge, ex coniuge, parte dell’unione civile, figli, in alcuni casi anche i genitori e i fratelli/sorelle), si tratta di una quota del trattamento pensionistico INPS maturata dal defunto e versata per principio solidaristico ad alcuni parenti. Viene riconosciuto sia nel caso in cui il defunto era già titolare del trattamento pensionistico, sia nel caso in cui ancora non era “pensionato”. L’ammontare dell’assegno di reversibilità dipende da numerose varianti, in primo luogo dai contributi effettivamente versati e quindi dal trattamento pensionistico effettivamente maturato, in secondo luogo dipende dal numero dei superstiti che hanno diritto a percepire l’assegno stesso.

Affinché maturi il diritto a percepire la pensione superstiti o di reversibilità devono verificarsi delle condizioni:

  • il defunto deve aver versato all’INPS almeno 15 anni di contributi o, nel caso di lavoratore autonomo iscritto all’INPS, 780 contributi settimanali;
  • in alternativa, deve aver versato almeno 5 anni di contributi nel periodo immediatamente precedente la morte o 260 contributi settimanali per i lavoratori autonomi.

In presenza di tali requisiti i parenti hanno diritto alla loro quota di reversibilità, ma vediamo chi sono costoro.

A quanto ammonta la quota della pensione superstiti?

La quota di reversibilità è:

  •  del 60% del trattamento a cui avrebbe diritto il de cuius nel caso in cui a beneficiarne sia solo il coniuge;
  • dell’80% nel caso in cui con il coniuge concorra un figlio;
  • 100% nel caso in cui i beneficiari siano il coniuge e almeno 2 figli.
  • 15% per ogni altro familiare diverso dal coniuge o dai figli (ad esempio i genitori, fratelli e sorelle) vedremo in seguito quando tali soggetti possono ottenere la reversibilità o pensione superstiti).

Per quanto riguarda i figli si tratta di: legittimi, naturali, adottati, affiliati, in corso di riconoscimento al momento della morte, figli non riconosciuti ma che percepivano il mantenimento in vita.

Quando i figli maggiorenni possono percepire la pensione superstiti?

I figli maggiorenni possono percepire la quota di pensione superstiti solo in limitati casi:

  • fino a 21 anni per coloro che frequentano la scuola media superiore di 2° grado;
  • fino a 26 anni nel caso in cui frequentino l’università;
  • senza limiti d’età nel caso in cui si tratti di figli inabili.

Quando i genitori e i fratelli/sorelle possono percepire la quota di reversibilità?

La quota di pensione superstiti può essere riscossa da genitori e fratelli e sorelle, in primo luogo solo nel caso in cui non ci sia concorrenza con coniugi, ex coniugi.

I genitori possono percepire tale assegno solo se hanno superato 65 anni di età, non sono titolari di un trattamento pensionistico e alla morte del figlio erano fiscalmente a suo carico.

Fratelli e sorelle possono percepire la pensione superstiti nel caso in cui non vi siano coniugi e figli, siano celibi/nubili e al momento della morte siano a carico del defunto.

Infine, possono ottenere la pensione di reversibilità anche i nipoti, ma devono essere a carico del defunto al momento del trapasso.

Per ottenere la pensione di reversibilità superstiti occorre presentare online la domanda all’INPS, è possibile inoltre avvalersi dell’assistenza di patronati e CAF.

La quota di pensione di reversibilità per l’ex coniuge

Una questione difficile da dirimere è quella inerente l’ex coniuge, infatti la legge è chiara nell’ammettere che anche costui abbia diritto ad avere una quota di pensione di reversibilità, ma solo nel caso in cui fosse titolare di un assegno di mantenimento, mentre se tale diritto non gli è stato riconosciuto, ad esempio perché gli è stata addebitata la separazione, oppure nel caso in cui avesse una situazione economica parallela o migliore rispetto al defunto o, infine, perché aveva preferito un assegno una tantum, non ha diritto all’assegno di reversibilità o pensione superstiti. Il coniuge divorziato per poter accedere alla quota di reversibilità non deve essere passato a nuove nozze. Ciò che invece non è chiaro è a quanto ammonta la quota di reversibilità se ci sono in concorso coniuge superstite ed ex coniuge?

La giurisprudenza in caso di concorrenza tra coniuge superstite ed ex coniuge

La Corte di Cassazione sul punto ha fatto una ricognizione degli elementi da valutare al fine di ripartire la quota di reversibilità con l’ordinanza 8263 del 2020. In questa ha stabilito che, tenendo in considerazione la legge 898 del 1973 che regola il divorzio e in particolare gli articoli 9 e 5, per ripartire le quote della reversibilità tra più coniugi è necessario tenere in considerazione:

  • la durata del rapporto di coniugio;
  • le condizioni dei coniugi;
  • entità dell’assegno di mantenimento di cui era titolare l’ex coniuge;
  • durata delle convivenze pre-matrimoniali ( già tenuta in considerazione dalla Corte di Cassazione nella sentenza 5268 del 26 febbraio 2020). Deve però essere precisato che la sentenza della Suprema Corte 26358/2011 precisa che deve trattarsi di convivenza stabile ed effettiva);
  • la differenza di età tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato in quanto questa incide anche sulla capacità lavorativa delle parti;
  • il contributo personale dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ( in particolare deve essere tenuto in considerazione quanto ciascun coniuge abbia contribuito alla crescita del patrimonio familiare).

Corte di Cassazione: è importante evitare paradossi

Secondo la Corte di Cassazione nel determinare la quota di reversibilità per l’ex coniuge si deve evitare di cadere nel paradosso e cioè riconoscere una quota che sia del tutto inadeguata a sopperire alle più elementari esigenze di vita, inoltre si deve evitare che la quota di pensione superstiti sia sproporzionata rispetto all’assegno di mantenimento di cui godeva in precedenza. La Corte inoltre ribadisce che deve essere data rilevanza anche alla convivenza more uxorio verificatasi, nella controversia oggetto di sentenza, dopo la separazione dall’ex coniuge, ma prima che fosse pronunciata la sentenza di divorzio e questo perché in tale frangente temporale si era già manifestata la volontà del defunto di sostenere economicamente la persona che poi sarebbe diventata coniuge. La convivenza prematrimoniale secondo l’orientamento della Corte di Cassazione ha la funzione di correttivo nel determinare in modo adeguato le spettanze del coniuge e dell’ex coniuge.

 

 

Pensioni di reversibilità e indiretta ai superstiti, i limiti di reddito del 2021

Alla morte di un contribuente, lavoratore o pensionato, i familiari più stretti hanno diritto a una pensione. Si tratta di una prestazione riconosciuta dall’ordinamento giuridico al coniuge e ai figli, e subordinatamente, ai genitori del defunto di almeno 65 anni, ai fratelli e alle sorelle inabili. Non è richiesto alcun requisito contributivo particolare al defunto in quanto già titolare di una prestazione pensionistica (di vecchiaia, di anzianità o di inabilità). In tal caso la prestazione spettante ai superstiti si chiama pensione di reversibilità

Pensione di reversibilità e pensione indiretta

Nel caso in cui il defunto era ancora un lavoratore (non ancora titolare di pensione) con non meno di 780 settimane di contributi o 260 settimane di versamenti dei quali almeno 156 nei cinque anni precedenti la data della morte, ai superstiti spetta la pensione indiretta. Inoltre, il mancato raggiungimento dei requisiti contributivi del defunto presso un ulteriore fondo previdenziale presso il quale il defunto ha contribuito fa scattare la pensione supplementare indiretta, spettante al solo superstite già beneficiario di prestazione di reversibilità o indiretta. 

Reversibilità, cosa succede se il coniuge ha altri redditi?

Se il coniuge svolge attività lavorative o possiede altri redditi, sia la pensione di reversibilità che quella indiretta subiscono delle riduzioni. Normalmente, i due trattamenti sono di importo pari al 60% della pensione percepita dal defunto o di quella maturata nel caso dell’indiretta. Tuttavia, in presenza di altri redditi personali, superiori a tre volte il trattamento minimo stabilito dall’Inps, la quota della prestazione spettante al coniuge si riduce di percentuali tanto più alte quanto più elevato è il reddito percepito. 

Percentuali di riduzione pensione di reversibilità o indiretta

Le percentuali di riduzione della pensione di reversibilità o di quella indiretta in presenza di altri redditi sono stabile dal comma 41 dell’articolo 1  della legge 225 del 1995 (Legge Dini). Secondo il richiamato comma, le riduzioni sono pari al 25, al 40 e al 50% della prestazione spettante nel caso in cui il reddito del superstite sia maggiore, rispettivamente, di tre, quattro o cinque volte il trattamento minimo dell’Inps. Tale limite di trattamento è stabilito per annualmente e deve essere calcolato sulle tredici mensilità.

Riduzione della pensione di reversibilità per redditi del coniuge superiori a 20.107,62 euro

Nell’anno 2021, per non subire alcuna decurtazione della pensione di reversibilità o indiretta, è necessario che il coniuge superstite non superi il limite di reddito pari a 20.107,62 euro. Nel caso in cui il coniuge dovesse superare questa soglia annua, la riduzione della prestazione (il 60% della pensione percepita dal coniuge defunto oppure quella maturata fino al momento della sua morte) sarà del 25% per un ammontare dei redditi del beneficiario da 20.107,62 euro a 26.810,16 euro. Ciò significa che l’importo spettante al coniuge superstite non sarà del 60% ma del 45% della pensione maturata dal defunto, risultato ottenuto applicando la riduzione del 25%. 

Limite di reddito che il coniuge non deve superare per ridurre della metà la prestazione di reversibilità

Per redditi del coniuge superstite superiori, la percentuale di decurtazione della prestazione spettante come reversibilità o pensione indiretta è ulteriormente più alta. Pertanto, la presenza di redditi prodotti nell’anno da 26.810,16 euro a 33.512,70 euro, fa salire la percentuale di riduzione al 40%. Ne consegue che l’importo spettante al vedovo o alla vedova sarà pari al 36% (e non il 60%) della pensione maturata dal defunto. Il taglio della prestazione può arrivare fino al 50% per redditi annui di importo superiore a 33.512,70 euro. In tal caso, la prestazione di reversibilità corrisponde alla metà (il 30%) di quanto sarebbe spettato in assenza di redditi o per redditi entro i 20.107,62 euro. 

Pensioni di reversibilità, i redditi da prendere in considerazione

I redditi da prendere in considerazione ai fini della riduzione della prestazione di pensione di reversibilità o indiretta sono quelli assoggettati all’Irpef. Gli importi vanno presi al netto dei contributi assistenziali e previdenziali, ma rientrano ai fini del calcolo il trattamento di fine rapporto e le relative anticipazioni, i redditi della casa di abitazione e le competenze arretrate sottoposte alla tassazione separata. Tuttavia, non va considerato l’importo della pensione ai superstiti sulla quale va effettuata eventualmente la riduzione stessa. 

Il superstite deve presentare la dichiarazione reddituale per la pensione di reversibilità

Sia al momento della domanda di pensione di reversibilità o indiretta, che negli anni successivi, il coniuge deve presentare la dichiarazione reddituale che attesti i redditi percepiti nell’anno di riferimento. Dalla dichiarazione si calcola la riduzione da applicare alla prestazione del defunto. Le riduzioni scattano sempre nei casi di prestazione spettante solo al coniuge, ovvero ai genitori o ai fratelli e sorelle del defunto. Diversamente, la riduzione non scatta nel caso in cui i titolari della prestazione siano i figli, minori, studenti oppure inabili, ancorché in concorso con il coniuge del defunto.  In quest’ultimo caso, l’ordinamento giuridico permette la possibilità di cumulare per intero la prestazione del defunto con eventuali altri redditi.