Chiarimenti dell’Inps sull’integrazione salariale

Una circolare dell’Inps chiarisce ciò che la riforma del lavoro ha deliberato relativamente all’integrazione salariale.

La Riforma Fornero, infatti, ha esteso questo trattamento anche alle imprese che precedentemente potevano essere ammesse solo con specifici provvedimenti legislativi ovvero:

  • imprese esercenti attività di commercio con più di 50 dipendenti;
  • agenzie e operatori di viaggio e turismo con più di 50 dipendenti;
  • imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti;
  • imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero di dipendenti;
  • imprese del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti.

La riforma ha anche messo a regime l’indennità di mancato avviamento al lavoro nel settore portuale e modificato i requisiti di accesso per le imprese in procedura concorsuale.
E’ stata anche abrogata la normativa riguardante il rilascio della dichiarazione di immediata disponibilità.

La Legge Fornero dispone la decadenza del trattamento di integrazione salariale se il beneficiario rifiuta di essere avviato ad un corso di formazione o riqualificazione o in caso di mancata regolare frequenza senza giustificato motivo.

Vera MORETTI

Cosa cambia nel 2013 per la pensione anticipata

La pensione anticipata, ovvero la ex pensione di anzianità, diventa sempre più difficile da raggiungere, visto che, nel 2013, ci vorranno 4 mesi di contributi in più rispetto al 2012.
Ai 3 mesi di adeguamento, infatti, si aggiunge 1 ulteriore mese, come previsto dalla Riforma Fornero.

Nel dettaglio, ciò significa che per le donne ci vogliono 41 anni e 5 mesi di contributi, mentre per gli uomini 42 anni e 5 mesi.
E nel 2014 si aggiungerà un altro mese, mentre nel 2016ci sarà il nuovo adeguamento alle aspettative di vita, che fino al 2019 avrà scadenza triennale e poi diventerà biennale.

Per averne diritto bisogna aver cessato il rapporto di lavoro dipendente, mentre non è richiesta la cessazione dell’attività svolta in qualità di lavoratore autonomo.
La pensione anticipata decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, che si può presentare online (dal portale INPS, con PIN e codice fiscale), per telefono (numero verde 803164) o tramite intermediari (enti di patronato o intermediari riconosciuti dall’INPS).

A seconda che il contribuente abbia iniziato a lavorare prima o dopo il 31 dicembre 1995, cambia il sistema di calcolo dell’importo della pensione:

  • contributivo: per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre ’95;
  • retributivo: per chi aveva già 18 anni di contributi il 31 dicembre ’95;
  • misto: per chi non aveva 18 anni di contributi a fine ’95, si applica il retributivo per la quota maturata fino a fine ’95 e il contributivo per le anzianità maturate successivamente.

Inoltre, se chi ha iniziato a lavorare prima della fine del 1995 va in pensione prima dei 62 anni, perde l’1% per ogni anno di anticipo (rispetto ai 62 anni) per i primi due anni, e il 2% per ogni anno successivo:

  • taglio dell’1% per chi si ritira a 61 anni,
  • del 2% per chi va in pensione a 60 anni,
  • del 4% per chi va in pensione a 59 anni,
  • del 6% per chi si ritira a 58 anni.

Questo taglio si applica solo alla quota retributiva della pensione. Quindi:

  • per chi aveva 18 anni di contributi nel ’95, la riduzione vale per tutte le anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011;
  • per chi non aveva 18 anni di contributi nel dicembre ’95, la riduzione si applica sulla quota maturata al 31 dicembre ’95.

Chi invece ha iniziato a lavorare dopo il primo gennaio 1996 ha l’intera pensione calcolata con il sistema contributivo, quindi anche se si ritira prima dei 62 anni non ha nessuna decurtazione dell’assegno.

Vera MORETTI

Le novità della Riforma Fornero sui contratti a termine

Per contrastare la precarietà, e rendere i contratti a termine meno appetibili alle aziende, la Riforma Fornero ha introdotto alcune modifiche con l’obiettivo di favorire le assunzioni a tempo indeterminato.

In particolare, la legge stabilisce che “il contratto a termine possa essere siglato solo in presenza di una valida giustificazione e che venga convertito a tempo indeterminato ove prosegua per un certo periodo dopo la scadenza, imponendo quindi una specifica pausa tra la sua scadenza e la stipula di un nuovo contratto a tempo determinato“.

Per evitare l’abuso di questo contratto, sono stati previsti intervalli di maggiore durata nell’ipotesi di successione di contratti e un incremento del costo contributivo, con la prospettiva di una parziale restituzione al datore di lavoro in caso di stabilizzazione del rapporto.
Esiste comunque la possibilità, da parte del datore di lavoro, di stipulare un contratto a tempo determinato senza l’obbligo di nessun tipo di motivazione, ma, in questo caso, deve trattarsi della prima stipulazione e di una durata non superiore ai 12 mesi.

Si tratta, in ogni caso, di un periodo non frazionabile, perciò, se il primo contratto a termine ha durata inferiore al limite massimo, una successiva assunzione sarà possibile solo in presenza di una ragione giustificatrice. In ogni caso, il contratto a termine stipulato senza giustificazione non può essere prorogato.

L’obbligo di giustificazione non sussiste anche nel caso in cui l’assunzione a termine si verifichi nell’ambito di un processo organizzativo con le seguenti caratteristiche: avvio di una nuova attività; lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o proroga di una commessa consistente.

Ciò significa che, in questo particolare caso, la deroga all’obbligo di motivazione trova fondamento non nella durata del contratto ma nella riconducibilità dell’assunzione ad un determinato processo organizzativo, ragion per cui il contratto a tempo determinato a-causale può essere validamente instaurato per una durata superiore a 12 mesi e, forse, anche per i contratti successivi al primo.
Il limite riguarda invece il numero di contratti a termine nei confronti della totalità dei lavoratori dell’azienda, che non può superare il 6%.

Il lasso temporale che riguarda, dopo la scadenza del contratto a tempo determinato, un successivo rapporto di lavoro, ma a tempo indeterminato, è di 30 giorni, se il contratto a termine era inferiore a 6 mesi, fino a 50 giorni se il contratto era superiore a 6 mesi.

Gli intervalli obbligatori tra un’assunzione e l’altra sono di 60 giorni per le fattispecie contrattuali con durata inferiore a 6 mesi e fino a 90 giorni per le fattispecie contrattuali con durata superiore a 6 mesi.
Se questi intervalli non vengono rispettati, il secondo contratto deve essere necessariamente a tempo indeterminato, mentre, nel caso di due assunzioni successive, senza soluzione di continuità, il rapporto viene qualificato a tempo indeterminato a far data dalla stipula del primo contratto.

Il rapporto di lavoro a termine diventa a tempo indeterminato se lo stesso, per l’effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti con lo stesso datore di lavoro, sia complessivamente durato oltre 36 mesi, compresi proroghe o rinnovi; nel computo dei 36 mesi si deve tenere conto anche dei periodi lavorati per il medesimo datore di lavoro in forza di un contratto di somministrazione a termine.

Per quanto riguarda l’indennità dovuta al lavoratore nell’ipotesi di conversione a tempo indeterminato, la Riforma precisa che il relativo importo è onnicomprensivo ossia ha la funzione di ristorare per intero ogni pregiudizio subito dal lavoratore.
In caso di assunzione a tempo determinato, a partire dal 1 gennaio 2013, è dovuto un contributo addizionale pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, ad eccezione delle assunzioni finalizzate alla sostituzione di lavoratori assenti, inerenti ad attività stagionali e nell’ambito del settore pubblico.

Tale contributo addizionale, in misura pari a 6 mensilità, verrà restituito in caso di stabilizzazione del rapporto senza soluzione di continuità alla scadenza del termine; qualora la stabilizzazione avvenga nei 6 mesi successivi al decorso del termine, l’importo restituito sarà ridotto proporzionalmente in considerazione del periodo intercorso tra la cessazione del rapporto e la stipula del nuovo contratto.

Vera MORETTI

I nuovi ammortizzatori sociali del 2013

Il 2013 ha portato, tra le tante novità, anche l’entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali previsti dalla riforma Fornero.

Due sono i capisaldi della riforma: Aspi, Assicurazione sociale per l’impiego, e fondi di solidarietà bilaterali, per i quali il Governo si è impegnato con la legge di stabilità a garantire risorse.

L’Aspi sostituisce di fatto le prestazioni di disoccupazione ordinaria non agricola a requisiti normali, disoccupazione ordinaria non agricola a requisiti ridotti, disoccupazione speciale edile e indennità di mobilità.

A beneficiarne sono i lavoratori che possiedono un rapporto di lavoro in forma subordinata e che involontariamente hanno perduto il proprio posto di lavoro, ma anche gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato.

Secondo il ministro del Lavoro Elsa Fornero, “in un quadro di forte difficoltà dal punto di vista sociale, l’entrata in vigore da gennaio della riforma degli ammortizzatori sociali potrà contribuire a ridurre l’ansia e il disagio di molte famiglie”.

L’indennità spetta ai giovani e a coloro che hanno lavorato almeno 13 settimane degli ultimi 12 mesi, senza ulteriori requisiti.

Un cambiamento importante riguarda i contributi Inps che tutti i datori di lavoro dovranno versare ai lavoratori, anche quelli che prima erano esenti.

Entro il 16 febbraio prossimo, i contributi ordinari Inps sugli stipendi di gennaio subiranno una maggiorazione dell’1.61% per finanziare la nuova indennità di disoccupazione. Per le collaborazioni a progetto, come per quelle coordinate e continuative, l’aliquota Inps dovuta alla gestione separata aumenta del 2%, fino a un massimo di 1.922,98 euro.

Vera MORETTI

Norme per i contratti di lavoro con partita Iva

Il Ministero del Lavoro ha voluto chiarire, con una circolare, alcuni aspetti della Riforma del Lavoro riguardanti i contratti di assunzione e le categorie di professionisti esclusi dalla norma.

Esistono, infatti, alcune condizioni che determinano l’obbligo di trasformazione del contratto della partita IVA in collaborazione a progetto o in lavoro a tempo indeterminato, ribadendo l’inversione dell’onere della prova.

La prestazione lavorativa resa da un titolare di partita IVA è da considerarsi un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano due delle seguenti circostanze:

  • durata superiore a otto mesi nell’arco dell’anno solare: si tratta di 241 giorni lavorati, anche se non continuativi;
  • corrispettivo superiore all’80% di quanto complessivamente percepito dal collaboratore nell’anno solare: la disposizione serve a individuare e scoraggiare situazioni di mono-committenza;
  • postazione fissa di lavoro presso una sede del committente: la circolare precisa che sono comprese anche quelle ad uso non esclusivo.

Non scatta la trasformazione del contratto nei casi prestazione lavorativa:

  • connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività: il “grado elevato” delle competenze e le rilevanti esperienze possono essere comprovate da titoli di studio, qualifiche o diplomi da apprendistato, qualifiche o specializzazioni attribuite da un datore di lavoro per almeno dieci anni;
  • svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte un minimale annuo che per il 2012 è pari a 14mila 930 euro.

Non si parla di subordinazione nemmeno nel caso di prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di professioni regolamentate da un ordine, collegio, albo.

Coloro che sono in possesso di partita Iva, ma non dei requisiti richiesti, devono considerare la propria posizione come contratto a progetto, ma in questo caso occorre sempre basarsi sulla Riforma del Lavoro e le nuove norme che regolano i contratti di questo tipo.
Questo significa che se la “falsa” Partita IVA non rispetta nemmeno i requisiti del contratto a progetto, il contratto di lavoro diventa automaticamente a tempo indeterminato.

Ciò che è davvero cambiato è l’inversione dell’onere della prova, perché non è più il lavoratore a dover dimostrare che in realtà il rapporto di lavoro maschera un tempo indeterminato a un’altra forma contrattuale, ma è l’azienda che deve eventualmente dimostrare il contrario.

Vera MORETTI

Inarcassa chiede di investire per crescere

La crisi non può passare se l’economia del Paese rimane stagnante.

Per questo, può essere fondamentale, anche in questo periodo difficile, investire in innovazione e cercare di creare opportunità di lavoro per i giovani.
Anche Inarcassa, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri e architetti liberi professionisti, la pensa in questo modo e, per questo, chiede maggiori investimenti.

In una nota redatta dalla stessa cassa previdenziale si legge che “bisogna restituire all’Italia l’occasione di una crescita economica e sociale di qualità, attraverso la progettazione e la realizzazione delle piccole e grandi opere“. Queste parole si traducono in una necessità reale ed oggettiva di aumentare investimenti che possano favorire la formazione e, di conseguenza, la creazione di nuove opportunità di lavoro.

Queste tematiche verranno affrontate mercoledì 28 novembre durante il dibattito “Il mestiere del costruire” previsto a Roma, perché “l’offerta dei liberi professionisti e la domanda, che si auspica crescente anche per gli effetti della recente riforma Fornero, non potranno che divenire complementari“.

Vera MORETTI

Apprendistato, questo sconosciuto…

di Davide SCHIOPPA

Paradossi di un’Italia che non vuole crescere. Non che non può, non vuole. Abbiamo uno dei mercati del lavoro più rigidi d’Europa, pur con tutta la buona volontà del ministro Fornero e della sua riforma, e quando si mettono sul piatto strumenti utili a togliere un po’ di gesso facciamo di tutto per non applicarli.

Parliamo, per esempio, del contratto di apprendistato, al quale Infoiva ha dedicato un focus nella settimana appena trascorsa. Lo abbiamo fatto proprio perché, da più parti, abbiamo letto del disappunto per la mancata o farraginosa applicazione della normativa che regola l’apprendistato e della conseguente difficoltà, da parte delle aziende, a proporre questa tipologia di contratto ai neolaureati o, comunque, ai giovani.

Abbiamo voluto vederci un po’ più chiaro, per capire quanto di vero ci sia in questo impasse e, in effetti, abbiamo constatato che sì, il problema esiste: uno strumento dalle buone potenzialità viene tarpato dalla troppa burocrazia. Ma che futuro ha un Paese così? Non che l’apprendistato sia la formula magica che risolve il problema della disoccupazione giovanile in Italia ma, chiediamo, perché non siamo capaci di fare bene una cosa dall’inizio alla fine? Perché siamo sempre il Paese delle cose fatte a metà? Ai giovani il compito di giudicarlo, quando si troveranno senza un futuro.

Leggi i risultati dello studio di Bachelor sugli annunci di lavoro per neolaureati

Leggi l’intervista al Professor Maurizio Del Conte dell’Università Bocconi

Leggi l’intervista al presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca

Leggi l’intervista a Enrica Carminati, responsabile di Fareapprendistato.it

Microcrediti per le pmi venete

In arrivo finanziamenti alle pmi venete, grazie ad un’iniziativa di Cofidi e Veneto Sviluppo, per un importo compreso tra 5 e 10mila euro.

Si tratta di un piano regionale che prevede la concessione di microcrediti alle imprese locali, il cui bando dovrebbe partire ad inizio di dicembre ed è stato illustrato da Isi Coppola, l’assessore all’Economia e Sviluppo regionale: “A partire dal mese prossimo Veneto Sviluppo sarà pronto per erogare minicrediti da cinque o diecimila euro diretti alle piccole imprese o ai singoli artigiani, in questo modo avranno accesso ai prestiti anche le aziende più piccole e non solo quelle di grandi dimensioni come è successo finora”.

L’iniziativa, meritevole di permettere l’accesso al credito anche alle microimprese, alle quali, in questo periodo di crisi, spesso era interdetto, non ha però trovato il consenso unanime di tutti gli assessori regionali.

Elena Donazzan, assessore al Lavoro, ha ricordato che, a breve, la regione dovrà far fronte alla necessità di risorse per coprire i costi della cassa integrazione in deroga, in previsione del taglio dei fondi statali.
Grazie al dialogo con le associazioni di categoria e con i sindacati siamo riusciti ad estendere gli ammortizzatori sociali ai lavoratori con contratti atipici, ma adesso sarà a rischio la pace sociale, anche a causa della riforma Fornero”.

Vera MORETTI

Apprendistato, costruire i professionisti del futuro

 

Da contratto ‘snobbato’ perchè rigido e normativamente complesso a occasione unica per investire in capitale umano e costruire la propria impresa del futuro. Il contratto di apprendistato vanta un privilegio fondamentale per le aziende, di piccole come di medie dimensioni: l’opportunità di ‘cucirsi su di sè’ le figure professionali del domani, formandole, istruendole e dando loro gli strumenti per costruirsi una vera e propria professionalità.

Ma è davvero così? O sarebbero auspicabili altri metodi per favorire un interscambio fertile e di lunga durata tra scuole, università, centri di formazione e imprese?

Infoiva lo ha chiesto a Enrica Carminati, responsabile del progetto Fareapprendistato.it, un sito, realizzato in collaborazione con Adapt e il CQIA dell’Università di Bergamo, che ha lo scopo di promuovere e supportare la corretta implementazione in Italia dell’apprendistato, valorizzandone in particolare la valenza educativa e formativa.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché? Quali sono i suoi limiti?
L’apprendistato sconta l’eredità di contratto “difficile” e “rigido”. In passato le imprese preferivano fare ricorso ad altri strumenti, magari anche più onerosi dell’apprendistato, perché quest’ultimo era complesso da gestire – a causa di un quadro normativo incerto, stratificato e a livello regionale frammentario – oltre che gravato da un eccesso di burocrazia e formalismo. Nel 2011, tuttavia, è intervenuta una profonda e organica riforma della disciplina del contratto di apprendistato, che ha superato molte delle criticità emerse negli anni, consegnando agli operatori un nucleo di regole certe, essenziali e immediatamente operative.
Il principale limite oggi è allora rappresentato dall’assenza, o comunque dall’insufficienza, di una corretta e diffusa informazione sul “nuovo” apprendistato, che ne metta in luce le grandi potenzialità, sia per il tessuto produttivo, sia per noi giovani. Proprio per questo il gruppo di ricerca di Adapt – Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali – ha creato e cura il portale www.fareapprendistato.it, ove è possibile consultare liberamente documentazione utile e dialogare con chi studia e utilizza lo strumento.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro?
Ci sono molteplici ragioni: innanzitutto per la possibilità di investire in capitale umano per costruire la propria impresa del futuro. Questo contratto consente alle imprese di intercettare giovani e giovanissimi al fine di formarsi “in casa” e in base agli effettivi fabbisogni quelle professionalità che spesso il mercato non offre. Inoltre, a seconda della articolazione tipologica che si attiva, può mettere virtuosamente in dialogo il mondo della scuola, dell’università e della ricerca con quello del lavoro, al fine di portare in azienda elevate competenze, che si traducono in competitività e sviluppo. Senza dimenticare, in questo momento di crisi, i generosi incentivi economici e normativi che lo accompagnano.

Ad oggi, alle piccole e medie imprese, conviene stipulare contratti di apprendistato?
Oltre ai vantaggi di cui si è detto, la legge di Stabilità per il 2012 ha introdotto uno sgravio contributivo del 100%, per i primi tre anni di contratto, per le imprese con meno di dieci dipendenti che hanno assunto o assumeranno fino al 31 dicembre 2016 apprendisti. Del resto sono proprio le realtà più piccole ad avere oggi più che mai la necessità, per rimanere nel mercato e crescere, di investire nel futuro, ottimizzando il bilancio tra costi e benefici.

Esistono, secondo lei, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
Io credo che nel nostro Paese non manchino i “buoni” strumenti, tra cui certamente l’apprendistato. Del resto sono state le parti sociali, unitariamente, a condividere, in intese siglate a partire dal 2010 con Governo e regioni, la necessità di rilanciarlo proprio per combattere i preoccupanti fenomeni della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e del disallineamento tra domanda ed offerta.
Quel che serve, invece, sono serie e strutturate politiche a sostegno dell’occupazione giovanile, volte a creare un raccordo tra il mondo dell’istruzione e della formazione, da un parte, e quello del lavoro dall’altra, così da trasformare effettivamente il contratto di apprendistato in una leva di placement.

Il contratto di apprendistato è apprezzato dai giovani?
A volte il contratto di apprendistato è sottovalutato, perché ricondotto all’immagine del “garzone di bottega” o comunque associato, erroneamente, ad attività esclusivamente manuali e di basso profilo. Proprio nei giorni scorsi, sui giornali, si leggeva della volontà del Ministro Fornero di promuovere una campagna per rilanciarne l’immagine, oggi poco accattivante. La maggior parte dei giovani, tuttavia, si informa ed è consapevole che quello di apprendistato è un contratto stabile, che garantisce loro piene tutele e la possibilità di acquisire una professionalità facilmente spendibile nel mercato.

Qual è il vero problema del mercato del lavoro in Italia? Pensa sia ancora troppo rigido, specialmente per quanto riguarda i vincoli all’ingresso?
Rispondendo a caldo e di getto, direi che è l’eccessivo costo del lavoro, che influenza e condiziona le scelte imprenditoriali. Al di là di questo, non sono in grado di individuare l’origine ultima dei problemi del nostro mercato del lavoro e nemmeno di trarre a distanza di pochi mesi un bilancio sull’ efficacia e sulla bontà degli ultimi interventi legislativi, che certo hanno aggiunto rigidità in fase di ingresso. Da giovane che si muove in questo mercato e che vede tanti coetanei in difficoltà, penso che questo sia il momento per concentra le energie e attenzione sugli strumenti già operativi e che possono fare la differenza, se valorizzati, tra i quali appunto l’apprendistato.

Alessia CASIRAGHI

 

“Basta lacrime e sangue, ora produttività”

di Davide PASSONI

Apprendistato da panacea per i giovani a palla al piede del sistema? Via, non siamo drastici, il sistema è una palla al piede già di per sé, quello che manca sono regole chiare e certe. Sulle potenzialità inespresse del contratto di apprendistato, Infoiva ha sentito il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dott. Rosario De Luca.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché?
Il problema sta nella diversa e, molto spesso contorta, applicazione nelle varie Regioni italiane. Non bisogna infatti dimenticare che la competenza è stata assegnata a livello regionale e questo non è d’aiuto. La nostra Fondazione Studi ha rilevato, tramite un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di consulenti del lavoro, che sebbene sia possibile sottoscrivere il contratto d’apprendistato in tutte le regioni italiane, si scoprono ritardi nel varo degli strumenti che dovrebbero favorirne la diffusione con la conseguente reticenza dei datori di lavoro a farne uso a causa dei costi elevati e delle difficoltà burocratiche.

Come Consulenti del Lavoro, qual è la vostra posizione rispetto a questa tipologia di contratto?
Assolutamente favorevoli, nonostante le citate difficoltà operative che di fatto ne impediscono o ne rallentano la diffusione. C’è un affannarsi nel dichiarare populisticamente che l’apprendistato è il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma si tratta di pura teoria, non suffragata da alcun riscontro empirico, ma   accompagnata dai numerosi limiti che questo tipo di contratto comporta: dal numero massimo di apprendisti da assumere alla durata minima di 6 mesi.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro? Ci sono, a suo avviso, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
L’apprendistato prevede agevolazioni contributive per l’azienda che lo utilizza. Però, con la riforma Fornero, i datori di lavoro possono assumere apprendisti beneficiando di detti sgravi solo se dimostrano di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza. Purtroppo non sono rimasti molti strumenti ai giovani per entrare nel mondo del lavoro; in pratica c’è solo l’apprendistato, ma l’incompatibile e diversificata gestione regionale lo vanifica.

Pensa che il mercato del lavoro in Italia sia ancora troppo rigido, specialmente riguardo ai vincoli all’ingresso, nonostante gli sforzi del governo?
C’è ancora molto da fare  per consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E questo problema, come gli altri, non si risolve assumendo scelte a tavolino , senza cioè riscontri concreti. I monitoraggi vanno effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Le nostre indagini, ad esempio, attestano che il 63% delle aziende ritiene “difficile” applicare la normativa di settore, mentre il 13% lo considera “inconveniente”.

Situazioni straordinarie come è quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo voi il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Delle tante riforme fatte finora, nessuna incide efficacemente sui problemi reali del Paese che merita interventi strutturali di prospettiva. Per questo, dopo il periodo delle manovre di lacrime e sangue, è giunta l’ora della produttività e degli interventi di sostegno alle piccole aziende e ai lavoratori autonomi, che sono i veri sostenitori dell’occupazione in Italia. E questi interventi devono passare dalla madre di tutti gli interventi: la riduzione del costo del lavoro, che oggi tutti scoprono essere un problema; ma che noi danni definiamo come il freno inibitore della nostra economia.