Buoni spesa e benzina, rimborsi spese scuola e altre spese welfare: dove si trovano nella CU?

Molti dipendenti delle imprese ricevono benefit rientranti nel welfare aziendale. Si tratta di un insieme di utilità come, ad esempio, i buoni benzina o i buoni spesa. Oppure i pacchetti di viaggi, i rimborsi per gli abbonamenti ai trasporti pubblici o quelli per le spese universitarie o scolastiche. E, proprio nel periodo di pandemia, i datori di lavoro hanno accelerato l’utilizzo di questi bonus per massimizzare le leve fiscali dei redditi dei propri dipendenti. Tutte queste voci si trovano nella Certificazione unica (Cu) emessa dal datore di lavoro a favore dei propri dipendenti.

Premi e benefit aziendali per i lavoratori dipendenti: quali sono?

Oltre ai buoni visti in precedenza, i datori di lavoro possono utilizzare modalità alternative ai fini della detassazione dei premi di risultato. Lo consentono i commi dal 182 al 189 dell’articolo 1, della legge numero 208 del 2016 (legge di Bilancio 2016). Secondo i commi richiamati, i datori di lavoro possono, anche mediante l’intermediazione dei sindacati e in virtù di specifici accordi, riconoscere ai lavoratori alle dipendenze dei premi di risultato che vanno collegati ai migliori risultati raggiunti dall’impresa in termini di redditività, di produttività, di efficienza e di qualità, sia in riferimento agli obiettivi aziendali che a quelli individuali. Gli accordi con le sigle sindacali, inoltre, possono disciplinare le modalità con le quali i premi di risultato in danaro possano essere convertiti in una serie di beni o di servizi.

Rimborso spese del datore di lavoro ai dipendenti: cosa fare in sede di dichiarazione dei redditi?

Questi premi beneficiano della detassazione ai fini fiscali. Infatti, viene applicata una imposta sostitutiva pari al 10% al posto della tassazione ordinaria. Inoltre, è possibile che i datori di lavoro possano riconoscere ai propri dipendenti per i risultati raggiunti il rimborso totale o parziale di spese sostenute anche per i propri familiari. In quest’ultimo caso, i familiari possono procedere alla deduzione o detrazione Irpef nel momento in cui presentino la dichiarazione dei redditi. E, pertanto, i dipendenti dell’azienda, per la propria dichiarazione dei redditi, possono inserire le sole spese effettivamente a proprio carico.

Dove si trovano i rimborsi delle spese nella Certificazione unica?

Le spese che il datore di lavoro rimborsa si ritrovano nella Certificazione unica. Ovvero, ad esempio, quelle rimborsate nel 2021 si possono ritrovare nella Certificazione unica del 2022. La sezione di questi beni e servizi è quella dei “Rimborsi di beni e servizi non soggetti a tassazione” come disciplina l’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) ai punti 701, 702, 703, 704, 705 e 706. In questa sezione, dunque, il contribuente trova i rimborsi relativi alle spese, al di là che sia stato compilata la sezione “Somme erogate per i premi di risultato”.

Modello 730 di dichiarazione dei redditi: cosa si trova al punto 701 della Certificazione unica?

In particolare, al punto 701 della Certificazione unica il contribuente può verificare di quali benefit o rimborsi ha beneficiato nell’anno di imposta ai fini dell’Irpef. Ad esempio, nella dichiarazione dei redditi del 2022 con spese rimborsate (mediante il principio di cassa) nel 2021, si possono ritrovare:

  • nel quadro E del modello 730 di dichiarazione dei redditi le spese rimborsate nel 2021;
  • per le spese degli anni prima, ad esempio del 2020, il contribuente ritrova quelle per le quali aveva già provveduto alla detrazione nella dichiarazione dei redditi dello scorso anno; l’importo rimborsato ai fini della tassazione separata va indicato nel quadro “D” del modello 730 del 2022.

Punto 702 della Certificazione unica: quali spese sono comprese?

Nel punto 702 della Certificazione unica, il contribuente può verificare le varie spese rimborsate. Il totale di queste spese è visualizzabile al punto 704. In particolare, il datore di lavoro indica mediante codici le varie tipologie di spesa. Nel dettaglio il codice:

  • 13, riguarda le spese universitarie;
  • 15 i costi sostenuti per l’assistenza personale di soggetti non autosufficienti. Si tratta di persone che non possono compiere i normali atti della vita quotidiana;
  • 30 per i servizi a favore dei soggetti sordi;
  • 33 per le spese inerenti gli asili nido;
  • 40 per i costi sostenuti per acquistare gli abbonamenti ai trasporti pubblici. Tali spese sono sostenute sia per i trasporti pubblici locali che per quelli regionali o interregionali.

Come verificare che la spesa sia stata rimborsata a favore del lavoratore dipendente?

Per verificare che una spesa sia stata rimborsata al lavoratore alle dipendenze è necessario constatare che il datore di lavoro abbia compilato il punto 706 della Certificazione unica. Se invece il rimborso si riferisce a spese sostenute dai familiari, il campo popolato sarà quello al punto 705.

Rimborso dei contributi assistenziali e previdenziali nella Certificazione unica

Infine, il rimborso dei contributi assistenziali e previdenziali nella Certificazione unica si ritrovano al punto 703 della Certificazione unica con il codice “3” accompagnato dal codice fiscale del datore di lavoro al punto 705. Si tratta di spese sostenute a favore degli addetti all’assistenza personale di familiari non autosufficienti oppure anziani.

Come riavere acconto in caso di contratto non rispettato?

Spesso può capitare di pagare un prodotto o un servizio con un acconto, ancor prima che esso venga erogato. Ma, in tal caso cosa si può fare per riavere il proprio acconto, quando il contratto non è stato rispettato? Scopriamolo assieme nella nostra guida di seguito.

Come riavere il proprio acconto

Partiamo subito col dire che la mancata esecuzione di una prestazione concordata costituisce quello che tecnicamente viene definito inadempimento contrattuale, ovvero un illecito di natura civilistica a fronte del quale non è possibile presentare una denuncia alla polizia o ai carabinieri, a meno che la controparte non abbia agito con dolo, cioè con l’intenzione di truffare il cliente, nascondendo l’inganno, attraverso raggiri e manovre artificiose. Quindi, per trasformare l’illecito civile in uno penale sarebbe necessaria una condotta attiva volta a far cadere in errore la controparte. Una vera e propria frode o truffa.

In ogni modo, è consentito comunque procedere alla risoluzione contrattuale e quindi alla restituzione delle somme già versate in acconto.

Ma come ottenere questo acconto? Andiamo a vedere le possibili tappe con cui procedere.

Eseguire lettera di diffida

Nel momento in cui il contratto indicava una data in cui la prestazione doveva essere eseguita, l’inadempimento si realizza giuridicamente esattamente allo scadere di quella data. Per cui, non sarà necessario alcun sollecito per poter agire contro il debitore. 

In caso contrario, se nel contratto non è indicata una data precisa, allora sarà necessario diffidare il debitore con una raccomandata a/r. o con una pec. 

La lettera di diffida diviene dunque essenziale per chiarire al debitore il proprio interesse a ottenere, nel minor tempo possibile, l’esecuzione del contratto, specificando che, in caso contrario, ci si riterrà in automatico sciolti da ogni vincolo. 

Quindi, nella lettera andrà specificato un termine di scadenza, entro il quale adempiere. Solitamente si parla di 15 giorni di tempo, periodo oltre il quale il contratto si considererà risolto. E quindi, dovrà avvenire il risarcimento dell’acconto sborsato dal cliente.

Qualora la lettera, con la richiesta di restituzione dell’anticipo già versato, non dovesse sortire alcun effetto, allora sarà indispensabile ricorrere al giudice. Il cliente insoddisfatto avrà due opzioni.

Se è in possesso di una prova scritta del proprio credito da restituirsi, come un contratto e la ricevuta di pagamento (costituita anche da un estratto conto da cui risulta il bonifico) potrà fare richiesta al giudice dell’emissione di un decreto ingiuntivo. Si tratta di un ordine di pagamento diretto al debitore che va rispettato entro 40 giorni, a pena di pignoramento. Nei 40 giorni, il debitore potrebbe proporre opposizione e intavolare un giudizio ordinario. 

In mancanza di ciò, invece, il cliente dovrà ricorrere ad un avvocato ed avviare una causa civile.

Cosa accade con contratti online o fuori da locali commerciali

Quando invece i contratti vengono conclusi su Internet, quindi online, od anche porta a porta o in altra forma, che siano «fuori dai locali commerciali» (ossia non dentro un negozio), il codice del consumo, inerente all’articolo 49, prevede che venga indicata espressamente «la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare i servizi» acquistati dal consumatore.

Nel momento in cui questa data non dovesse essere indicata o non viene rispettata, il cliente potrà inviare una comunicazione di diffida, sollecitando il venditore ad adempiere entro un termine (come detto, di norma, 15 giorni), scaduto il quale egli avrà diritto di recedere immediatamente dal contratto.

Questo è, dunque, quanto di più utile e necessario da sapere in merito alla procedura e alle possibilità di riavere il proprio acconto nei casi di contratto non rispettato, per il cliente nei confronti dell’ erogatore o venditore di un prodotto o servizio.

Associazione culturale con scopo di lucro: cosa cambia

L’associazione culturale è un gruppo organizzato di persone e beni finalizzato al raggiungimento di uno scopo di interesse collettivo, senza fini di lucro, ciò vuol dire che se vi sono degli utili gli stessi non possono essere divisi tra gli associati, ma devono restare nell’associazione ed utilizzati per svolgere le attività previste nell’atto costitutivo. Vi sono però delle peculiarità che meritano un accenno, cioè la possibilità di avere dei dipendenti e il rimborso spese e in questi casi si può genericamente parlare di associazione culturale con scopo di lucro.

Associazione culturale con scopo di lucro: esiste?

Si è visto negli articoli precedenti:

Resta ora da chiarire se è possibile avere un’associazione con scopo di lucro e quale forma giuridica è possibile dare a un’associazione che vuole perseguire tali finalità.

La prima cosa da fare è provare a capire cosa vuol dire scopo di lucro: lo scopo di lucro altro non è che la finalità di dividere gli utili che derivano dall’attività svolta. Molti però confondono lo scopo di lucro vero e proprio con i compensi dovuti ai dipendenti e i rimborsi spesa. In linea di massima l’associazione culturale non può dividere gli utili, può però stipulare contratti di lavoro anche in favore degli stessi associati e naturalmente le prestazioni lavorative devono essere retribuite, ma tale attività ha dei limiti altrimenti potrebbe configurarsi una divisione indiretta degli utili.

Contratti di lavoro

L’associazione cultutrale può stipulare contratti di lavoro, sono però previsti dei limiti per evitare una distribuzione indiretta degli utili. In particolare se colui che presta lavoro per l’associazione culturale ha una partita IVA, deve emettere una regolare fattura per il pagamento delle prestazioni. Nel caso in cui non sia un lavoratore autonomo, vi sono diverse possibilità, in pratica è possibile stipulare:

  • un contratto di lavoro subordinato;
  • un contratto di lavoro parasubordinato, ad esempio a progetto;
  • oppure si può stipulare un contratto di collaborazione occasionale.

E’ stato anticipato in precedenza che vi sono dei limiti inerenti tali contratti, in particolare il corrispettivo non deve superare del 20% dei salari e stipendi previsti dal Contratto Collettivo Nazionale per quel tipo di prestazione. In caso contrario si ritiene che in realtà vi sia una distribuzione indiretta di utili vietata dalla legge. Deve essere inoltre sottolineato che non vi è alcuna norma specifica che vieta di assumere, per le mansioni inerenti la realizzazione delle scopo dell’associazione culturale, i soci, anche se membri del comitato direttivo. Naturalmente anche in questo caso devono essere rispettati i limiti previsti dalla normativa altrimenti si può ipotizzare una distribuzione indiretta degli utili.

I rimborsi spesa

Svolgere le attività all’interno dell’associazione comporta per associati e volontari delle spese, in questo caso è possibile ottenere il rimborso spese che non ricade nella divisione degli utili. Ad esempio i soci di una compagnia teatrale potrebbero sostenere in proprio i costi per gli abiti di scena.

Per ottenere il rimborso spese occorre una deliberazione del consiglio direttivo, inoltre le spese effettuate devono essere provate attraverso le “pezze giustificative” , più comunemente chiamate fatture. Le spese devono essere inerenti all’attività svolta. In realtà molte associazioni hanno la cattiva abitudine di stabilire dei rimborsi spesa forfettari, questo comportamento però deve essere considerato a rischio perché potrebbe essere considerato come una divisione degli utili e quindi vietata per tale tipologia di associazione.

Cosa cambia con l’entrata in vigore del Codice del Terzo Settore

Occorre ricordare che con l’entrata in vigore del RUNTS, Registro Unico Nazionale Terzo Settore, che probabilmente avverrà nel 2022, entreranno in vigore nuovi limiti.  In questo caso infatti è previsto che, le associazioni che decidono di avere la forma delle Associazioni di Promozione Sociale, hanno l’obbligo di avvalersi prevalentemente del lavoro dei volontari e nel caso in cui si proceda all’assunzione di dipendenti questi non possono superare il 50% dei volontari e il 5% degli associati. Anche in questo caso non vi è il divieto di assumere associati.

Di fatto, se ci si chiede cosa cambia nel caso di associazione culturale con scopo di lucro e senza tale finalità, occorre sottolineare che sono due “fenomeni” incompatibili, le associazioni non possono avere scopo di lucro, non possono dividere gli utili tra gli associati, possono invece assumere, ma vi sono dei limiti da rispettare questo vuol dire che è improbabile “remunerare” tutti i soci.

Associazione culturale con scopo di lucro e trasformazione in società cooperativa

La strada per evitare tutti i limiti visti è quella di istituire una società cooperativa, in questo caso infatti è previsto che i benefici ricadano direttamente sui soci della stessa e nel caso di cooperative di lavoro, lo scopo è proprio quello di fornire occasioni di lavoro agli associati a condizioni particolarmente favorevoli. Un divieto espresso di assumere soci si ha soltanto nelle associazioni di volontariato.

L’articolo 2500 octies del codice civile prevede però la possibilità di trasformare le associazioni culturali in società cooperative e viceversa. In particolare il comma terzo di questo articolo stabilisce: la trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall’atto costitutivo o, per determinate categorie di associazioni, dalla legge; non è comunque ammessa per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il capitale sociale della società risultante  dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi”.

Come si può notare è quindi possibile trasformare l’associazione in una società e quindi ottenere la divisione degli utili, ma solo nel caso in cui l’associazione non abbia ricevuto contributi pubblici o oblazioni da privati e se l’atto costitutivo non lo vieta espressamente. Deve essere sottolineato che in realtà l’associaizone può essere trasformata in qualunque società di capitali, ma lo schema più simile, a causa dello scopo mutualistico, è quello della società cooperativa.

Se vuoi conoscere le similitudini tra associazione culturale e società cooperative, leggi l’articolo: Associazione culturale e società cooperativa: cosa scegliere?

Per deliberare la trasformazione dell’associazione in società è necessaria una delibera da parte dell’assemblea a maggioranza dei ¾, come stabilito dall’articolo 21 del codice civile.