Rinuncia all’eredità: non è valida se non si presenta l’inventario

Sei stato chiamato all’eredità avente ad oggetto beni di cui già sei in possesso? In questo caso si perde la possibilità di rinunciare all’eredità se non si redige l’inventario entro 3 mesi.

Cos’è la rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità è uno strumento dato ai chiamati all’eredità allo scopo di poter decidere se effettivamente entrare nell’asse ereditario di un soggetto. I motivi della rinuncia possono essere di varia natura, ad esempio si può trattare di motivi di ordine morale, come nel caso in cui una persona non ha voluto avere a che fare con un congiunto e decide di non volere i suoi beni neanche dopo la morte della persona. Possono però essere anche motivi di ordine economico, ovvero se si ha il sospetto che il patrimonio sia incapiente rispetto ai debiti contratti dal soggetto, si può decidere di non accettare l’eredità.

Qualunque sia il motivo di tale scelta, è necessario rispettare delle procedure specifiche e in una recente pronuncia la Corte di Cassazione ha stabilito che chi vuole rinunciare all’eredità deve fare l’inventario. La regola generale prescrive che la rinuncia deve essere effettuata entro 10 anni dall’apertura della successione testamentaria. Vi sono però delle eccezioni e oggi ci interessa una di esse, cioè il caso in cui il chiamato sia già in possesso dei beni.

Rinuncia all’eredità quando gli eredi sono già in possesso dei beni

Nel caso in esame occorre fare delle precisazioni. Trova applicazione l’articolo 485 del Codice Civile il quale stabilisce che coloro che per vari motivi sono in possesso dell’eredità entro tre mesi dall’apertura della successione devono fare l’inventario. Se non procedono in tal senso, l’eredità si intende accettata e quindi si perde la possibilità di esercitare la rinuncia all’eredità. Se gli eredi hanno iniziato a redigere l’inventario, ma non riescono a completarlo nell’arco di 3 mesi, possono chiedere al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non può eccedere i tre mesi.

Questo è il caso che interessa nel concreto, cioè i chiamati all’eredità erano già in possesso dei beni. Si verifica ciò nel caso in cui Tizio lasci, ad esempio, in eredità al figlio Caio una casa e costui vive già nella casa, oppure un’azienda che il soggetto già dirige, un terreno che già coltiva.

Ordinanza n°36080 Corte di Cassazione

Nel caso trattato con l’ordinanza n. 36080/2021, l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto a notificare collettivamente agli eredi del contribuente una cartella di pagamento. Gli eredi avevano proposto ricorso e si erano opposti alla stessa indicando come motivazione la rinuncia all’eredità con efficacia retroattiva, in applicazione dell’articolo 521 del codice civile, presentata però successivamente alla notifica.

Il tribunale in primo e in secondo grado (Commissione Tributaria Provinciale e Regionale), avevano accolto la tesi del contribuente. La CTR aveva addirittura azzardato come motivazione il fatto che non vi era la prova sufficiente del fatto che gli eredi avessero il possesso dei beni. L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che il domicilio fissato presso l’immobile oggetto dell’eredità poteva essere considerato prova del possesso.

A questo punto l’Agenzia delle Entrate si rivolge alla Suprema Corte che capovolge le pronunce del giudice di prime e seconde cure.

Secondo l’Agenzia delle Entrate gli eredi non avevano provveduto a dimostrare di avere presentato l’inventario dei beni nei termini previsti e di conseguenza erano divenuti eredi a tutti gli effetti.

La Corte di Cassazione ha effettivamente sposato la tesi dell’Agenzia delle Entrate, la questione è stata quindi rimandata alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione che dovrà quindi dirimere la questione.

Come comportarsi in caso di eredità

In sintesi, se non si vuole essere esposti al rischio di dover pagare i debiti del de cuius è necessario provvedere ad accettare con beneficio dell’inventario, oppure rinunciare all’eredità. Se però si è già in possesso dei beni dell’eredità occorre entro tre mesi redigere l’inventario. Se non si provvede si sarà tenuti a pagare i debiti del de cuius. nel nostro caso erano verso l’Agenzia delle Entrate, ma potrebbero esservi anche altri creditori che comunque potrebbero aggredire l’eredità e in caso di incapienza i beni degli eredi.

Per conoscere la procedura per eseguire correttamente la rinuncia all’eredità, leggi l’articolo: Rinuncia all’eredità: caratteristiche, limiti e procedura

Prelievo dal conto corrente del defunto: è ammesso?

Quando un congiunto viene meno è necessario regolare i vari rapporti patrimoniali dello stesso. Di fatto nell’immediato può essere necessario avere delle somme disponibili per far fronte a spese immediate, ad esempio quelle funebri che sono rilevanti. In questi casi la prima cosa che fanno il coniuge/convivente e i figli o altri parenti stretti, è tentare un prelievo dal conto del defunto per far fronte a tali oneri, ma il prelievo dal conto corrente del defunto è ammesso?

Prelievo dal conto del defunto: non si può fare

Alla domanda:  il prelievo dal conto corrente del defunto è ammesso? La risposta più semplice è no, ma di fatto, la banca non è tenuta a informarsi sulle condizioni di salute del suo correntista e, fino a quando non riceve la comunicazione di decesso del correntista, non interviene sul blocco del conto.

D’altronde, la comunicazione deve essere effettuata dagli eredi anche tramite PEC, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno o di persona, ma di certo non è il primo pensiero degli stessi, tranne nel caso in cui sospettino delle attività di prelievo poco consone e quindi si premurino di comunicare alla banca il decesso.

In caso di morte di un congiunto non si possono fare operazioni al bancomat dal suo conto

In caso di morte di un correntista si possono verificare diverse ipotesi, cercheremo di delineare le più comuni. Certamente può essere difficile fare dei prelievi dal conto corrente del defunto direttamente in banca, tranne nel caso in cui si tratti di un soggetto cointestatario del conto oppure con delega, ma di fatto per chi conosce il PIN fare dei prelievi all’esterno tramite bancomat è un’operazione davvero facile e può invece essere difficile risalire in seguito a chi in effetti ha operato sul conto, in questo caso si è però di fronte a un reato. D’altronde è abitudine comune condividere il PIN con il coniuge e in molti casi anche con i figli.

La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza 20678/2017 ha sottolineato che per un figlio non cointestatario del conto del genitore, effettuare prelievi al bancomat con la carta del genitore è reato, ma c’è un esimente nel caso in cui si dimostri che in realtà era stato il genitore a fornire la carta e i codici per il prelievo e per questa ragione il soggetto riteneva di poter operare in tal senso.

In caso di morte questo comportamento deve essere considerato scorretto infatti la pratica consona è avvisare la banca, che blocca il conto tranne i pagamenti costanti, ad esempio nel caso in cui sul conto ci sia la domiciliazione delle utenze. Il conto deve essere bloccato anche nei confronti del cointestatario e di chi ha delega di firma. Si aprono quindi le pratiche successorie, mentre generalmente la banca autorizza il pagamento esclusivamente delle spese funebri.

Cosa succede se dopo la morte e prima della comunicazione alla banca vengono prelevate delle somme?

La prima cosa da sottolineare è che eventuali prelievi non espongono la banca al rischio di dover restituire le somme, anche perché qualunque erede poteva comunicare il decesso alla banca (Corte di Cassazione ordinanza n. 7682/21 del 19.03.2021). Si può però agire nei confronti di chi ha prelevato le somme e fare quindi in modo che le stesse ricadano nell’eredità. Le azioni possono essere esercitate anche nei confronti del cointestatario che abbia svuotato il conto. Su questo punto occorre precisare che se il soggetto che preleva ha anche la qualità di erede, l’aver prelevato esclude la possibilità che in seguito possa rinunciare all’eredità e quindi dovrà anche pagare i debiti del defunto.

Se vuoi saperne di più sulla rinuncia all’eredità leggi l’articolo: rinuncia all’eredità: caratteristiche limiti e procedura

In tutti questi casi è possibile agire in sede civile per far imputare le somme prelevate all’eredità e quindi procedere alla divisione della stessa. Inoltre nel caso in cui si ritenga che il conto sia stato svuotato con dolo e quindi con il preciso intento di danneggiare gli altri coeredi, è possibile presentare anche querela e quindi far aprire un procedimento penale per appropriazione indebita, la querela deve essere presentata entro 3 mesi dalla conoscenza dei fatti.

Conto cointestato: cosa succede?

Nel caso in cui il conto sia a firma congiunta, il cointestatario non potrà operare su esso. Il conto cointestato con firma disgiunta sicuramente crea qualche imbarazzo al momento del decesso, la prima cosa da sottolineare è che in questi casi si ritiene che ogni soggetto intestatario del conto sia proprietario di una quota di uguale misura, quindi in caso di due intestatari ciascuno è proprietario al 50%, ma la firma disgiunta consente a ciascuno dei due di operare anche sull’intero conto, ecco perché il cointestatario potrebbe svuotare il conto prima di comunicare il decesso. Il conto può comunque essere bloccato, basta la comunicazione alla banca della morte di uno dei cointestatari effettuata da parte di uno dei coeredi, in seguito possono essere compiute operazioni sul conto solo se autorizzate da tutti i coeredi.

Certamente questo può creare dei problemi al cointestatario, facciamo il caso di due coniugi con conto cointestato e firma disgiunta su cui viene si accredita la pensione. Sulle somme giacenti entrambi i contestatari sono proprietari al 50%, quindi solo il 50% deve essere diviso tra i coeredi e tra questi vi è proprio il coniuge, ma di fatto la banca in seguito alla comunicazione del decesso in via cautelativa può bloccare il conto e il cointestatario potrebbe avere difficoltà anche a riscuotere la propria pensione.

Coeredi possono rivalersi su chi ha effettuato i prelievi anche se cointestatario?

I coeredi possono comunque recuperare le somme riscosse dopo la morte, ma solo la quota inerente il defunto, quindi il 50% se sono due intestatari, mentre non possono recuperare le somme prelevate nell’imminenza della morte, tranne nel caso in cui riescano a dimostrare che in realtà il soggetto era privo di capacità di intendere e di volere oppure se le somme sono confluite su un altro conto. In questo secondo caso è possibile dimostrare che vi sia un intento fraudolento.

Nel caso in cui gli eredi vogliano ricostruire i movimenti effettuati sul conto del defunto, devono semplicemente farne richiesta alla banca che non può rifiutare.Per ottenere il rendiconto è necessario presentare un atto notorio da cui emerge la qualità di erede e il certificato di morte.

Rinuncia all’eredità: caratteristiche, limiti e procedura

Si è visto che il diritto successorio prevede diverse tipologie di eredi, cioè i legittimari, gli eredi legittimi e, infine, coloro che sono designati come eredi dal de cuius, ma cosa succede se non si vuole beneficiare dell’eredità? Semplicemente basta effettuare la rinuncia all’eredità.

Cos’è la rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità è una manifestazione di volontà con cui un soggetto (erede legittimo o designato dal testatore) decide di rinunciare.  La rinuncia all’eredità è però un atto molto importante proprio per questo la legge stabilisce una procedura specifica per poterla effettuare, la stessa è indicata nell’articolo 519 del codice civile che stabilisce: la rinuncia all’eredità deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario dove si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni.  La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente.

In poche parole non si può semplicemente dire al proprio fratello che si vuole rinunciare all’eredità, il tutto deve essere formalizzato.

Perché rinunciare all’eredità

Un soggetto può avere diversi motivi per rinunciare all’accettazione dell’eredità, spesso questa manifestazione di volontà è dovuta alla consapevolezza che il passivo supera l’attivo e che quindi l’eredità stessa non basterebbe a pagare i debiti lasciati dal de cuius. In altri casi si può trattare di una rinuncia all’eredità dovuta a motivi morali, ad esempio nel caso in cui i rapporti in vita con quel determinato soggetto non erano amichevoli/cordiali. Un altro motivo che spinge spesso a rinunciare all’eredità è il tentativo di favorire un’altra persona facendo in modo che l’eredità passi direttamente a lui, evitando così di avere 2 successioni consecutive. Ad esempio se Tizio è figlio unico e, alla morte del padre Caio, vuole favorire il figlio Sempronio, può rinunciare alla propria eredità per favorire il figlio.

Questa strada è utilizzata molto anche per salvaguardare il patrimonio, ad esempio nel caso in cui un soggetto abbia un figlio e una moglie ma vuole favorire il figlio evitando che parte dell’eredità del proprio genitore vada al proprio coniuge,  rinunciando all’eredità può fare in modo che tutta la quota passi direttamente al figlio per intero.  Non mancano i casi in cui la rinuncia all’eredità sia un tentativo di evitare che i propri creditori possano aggredire l’eredità, ma come si è già visto, questi possono impugnare la rinuncia all’eredità.

La normativa stabilisce che la rinuncia all’eredità non si possono applicare termini e condizioni (elementi accidentali del contratto), cioè la rinuncia è un atto puro art.520 codice civile.

I termini per l’accettazione dell’eredità

I termini per la rinuncia all’eredità sono gli stessi previsti per l’accettazione e quindi la rinuncia può essere eseguita entro 10 anni dall’apertura della successione. Naturalmente termini così lunghi possono lasciare nell’incertezza molti soggetti, ad esempio se si eredita un fondo agricolo, la mancata accettazione immediata porta i terreni a essere abbandonati (comportarsi come erede e curarli vuol dire che l’accettazione è tacita) oltre al danno economico per sé, ci può essere un danno economico anche per il vicino ( ad esempio nel caso in cui le sterpaglie provocassero un incendio). Proprio per questi motivi la legge ha previsto dei correttivi:  la rinunzia all’eredità deve essere effettuata in termini più brevi in alcuni casi particolari.

Erede in possesso dei beni

Nel caso in cui l’erede sia già nel possesso dei beni deve entro 3 mesi dall’apertura della successione fare l’inventario degli stessi ed entro ulteriori 40 giorni deve dichiarare se intende accettare l’eredità. Nel caso in cui non ottemperi a tali oneri  il soggetto viene considerato erede e perde sia la possibilità di rinunciare all’eredità, sia quella di accettare con beneficio dell’inventario.

L’azione interrogatoria

Alcuni soggetti potrebbero essere interessati a sapere prima che siano trascorsi 10 anni se un determinato soggetto intende o meno accettare l’eredità e quindi possono proporre un’azione interrogatoria. La stessa è prevista dall’articolo 481 del codice civile che stabilisce: “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare“.

L’obiettivo dell’azione interrogatoria è perseguire la certezza dei rapporti giuridici che per il legislatore, si è già visto più volte, è essenziale.

Cosa succede in seguito alla rinuncia all’eredità

Quando si rinuncia alla propria quota di eredità aumentano le quote degli altri eredi, ciò in base all’articolo 521 del codice civile “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato , è ovvio che eliminando un soggetto che avrebbe diritto, crescono le quote degli altri. Deve però essere sottolineato che la rinuncia all’eredità non va ad influire su eventuali legati o su donazioni (la donazione è atto tra vivi). Ciò in linea generica, deve però essere fatta una distinzione tra successione legittima, in assenza di testamento, e successione testamentaria. Nella successione legittima si applica l’articolo 522 del codice civile che stabilisce: Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571.

Il diritto di rappresentazione si applica nel caso in cui il rinunciante sia solo uno degli eredi, ad esempio un figlio in concorso con altri figli, in questo caso la sua quota passa per rappresentazione, ad esempio a un figlio di colui che rinuncia, e in assenza di questi, agli ascendenti. Nel caso in cui non ci siano discendenti e ascendenti del rinunciante, la quota va ad accrescere l’eredità degli altri.

Rinunzia all’eredità in caso di successione testamentaria

Nel caso di successione testamentaria, possono verificarsi diverse ipotesi, la prima è che il testatore abbia già previsto una possibile rinuncia all’eredità e quindi abbia nominato un sostituto, nel caso in cui non siaprevisto il sostituto, si applica il criterio della rappresentazione (art.467 codice civile La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità o il legato), quindi eredita l’eventuale figlio di colui che rinuncia, infine la quota va ad accrescere quella degli altri coeredi.