Sfratto, l’incubo dei proprietari quando ci sono degli “intoccabili”

Lo sfratto è un procedimento lungo e a volte costoso. Tuttavia in alcuni casi diventa un vero e proprio incubo in base alle caratteristiche degli inquilini.

Sfratto, in cosa consiste?

Lo sfratto in diritto è un atto giuridico con il quale, nell’ambito di un rapporto di locazione, il proprietario chiede ad un inquilino di restituire l’immobile. Di solito lo sfratto viene richiesto in due casi:

  • morosità;
  • conclusione della locazione.

Si ha il primo caso quando l’inquilino non rispetta le regole del contratto e non paga la mensilità. Quando questo supera almeno due mensilità di canone non versato il proprietario può rivolgersi all’avvocato per avviare la procedura di sfratto appunto. In questo caso oltre all’ordinanza di rilascio dell’immobile il proprietario può richiedere anche un decreto ingiuntivo per cercare di recuperare tutti i canoni di locazione non versati.

Mentre per la conclusione della locazione (legge 27 luglio 1978 n. 392) il provvedimento può essere richiesto dopo la scadenza del contratto, ed il conduttore non ha rilasciato l’immobile. Lo sfratto per finita locazione può essere richiesto anche prima della scadenza naturale del contratto, anche per condanna del futuro.

Tutti gli inquilini possono essere sfrattati

Quando un inquilino non paga l’affitto iniziano i problemi per il pacifico accordo tra le parti. Purtroppo c’è chi non paga perché non riesce ad arrivare a fine mese, e chi invece vuole fare il “furbetto”. E cioè godersi la casa altrui senza pagare proprio nulla. Tanto che sono davvero intasate le aule di tribunale per discutere le cause legate alle locazioni. Questo non fa altro che rallentare la giurisprudenza, anche dopo aver fallito la mediazione tra le parti.

Ad oggi secondo la legge il proprietario è autorizzato ad avviare un processo legale contro l’inquilino che non ha adempiuto ai propri obblighi dopo 20 giorni. Anche se prima di procedere dal procedimento legale vengono fatti diversi solleciti di avviso. Tutto sommato sembra che tutto l’iter potrebbe esaurirsi in un anno, anche se a volte con l’aiuto della polizia proprio per procedere allo sgombero dell’immobile. E questo lo dimostrano anche tutte le trasmissioni televisive in cui si denuncia la lentezza della legge per riavere il proprio immobile.

Sfratto, sono tutti sfrattabili, o quasi

Tutti gli inquilini sono sfrattabili. Anche perché in teoria sono tutti uguali davanti alla legge. Però è anche vero che ci sono alcuni inquilini che sono più tutelati dalla legge. E’ il caso in cui all’interno di un immobile ci sono bambini oppure minori di età inferiore ai 18 anni. Spesso lo sgombero è possibile solo se i servizi sociali hanno già identificato una residenza alternativa, e questo potrebbe prevede diverso tempo.

Altro caso di difficoltà di sfatto c’è quando gli inquilini sono soggetti disabili. In questo caso il giudice può anche impedire lo sgombero se questo può avere ripercussioni sulla salute dello stesso. Stesso discorso anche per l’inquilino che ha età superiore a 70 anni. Sebbene queste circostanze possano ritardare il processo di sfratto, è comunque possibile completarlo dopo anni di causa legale. Ma occorre affidarsi alla legge se si vuole far valere i propri diritti.

 

 

 

Quando non si può sfrattare l’inquilino?

Quando il proprietario di un immobile ad uso abitativo decide di concederlo in locazione all’inquilino, solitamente, le due parti stipulano un contratto di affitto regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate (nel caso la locazione sia superiore a trenta giorni). Il costo di registrazione dipende dal regime fiscale per cui hanno optato le parti (regime ordinario o cedolare secca).

Il contratto di locazione deve essere redatto in forma scritta e non necessariamente sottoscritto davanti a un notaio. A volte, per sicurezza, la redazione e la stipula avvengono presso un avvocato.

Ogni contratto di locazione ha una durata stabilita dalla legge. Se l’affitto riguarda un’abitazione principale, esso dura quattro anni + quattro (proroga) con le due parti che sono libere di stabilire il canone sulla base del marcato. Oppure tre anni + due di proroga con un canone mensile che deve rispettare alcuni vincoli.

Può capitare che il proprietario di un’abitazione concessa in locazione, non riceva puntualmente il pagamento del canone di affitto o le spese di condominio. In tal caso, può decidere di sfrattare l’inquilino insolvente attraverso una procedura ben precisa. Tuttavia, esistono delle situazioni in cui il proprietario dell’abitazione non può eseguire lo sfratto.

Come funziona uno sfratto

Fermo restando che ci si riferisce a un contratto di affitto regolarmente registrato, il locatore che ha intenzione di sfrattare l’inquilino procederà con l’invio di una diffida, la quale indica la scadenza del pagamento entro cui recuperare le somme dovute. Tuttavia, il proprietario dell’immobile è obbligato ad attendere la sentenza di un giudice.

La notifica dell’atto giudiziario che l’affittuario riceverà è denominata “citazione per convalida dello sfratto per morosità”. Il locatore non potrà ricevere i canoni della locazione fino al pronunciamento della sentenza del giudice.

Solitamente, lo sfratto è dovuto per morosità, ossia per mancato pagamento dell’affitto mensile o delle spese condominiali. Per chiedere lo sfratto:

  • il pagamento di una mensilità non è avvenuto entro 20 giorni dalla scadenza;
  • è saltato il pagamento di due mensilità per le spese di condominio con un ritardo di almeno 60 giorni.

L’opposizione dell’inquilino

Lo sfratto per morosità può essere bloccato solo nel caso in cui l’ammontare richiesto dal locatore è errato; oppure per la richiesta di compensazione tra debiti e crediti se il locatario vanta un credito nei confronti del locatore. O ancora, se viene meno la morosità dell’affittuario o la posizione sia stata effettivamente sanata.

Lo sfratto non può essere eseguito se non esiste alcun tipo di contratto d’affitto. Trattandosi di una locazione “in nero”, il proprietario dell’abitazione non può chiedere il pagamento dei canoni arretrati e l’inquilino può rivendicare la restituzione delle somme pagate.

Tuttavia, il locatore può avviare una causa di occupazione senza titolo con tempi previsti in due o tre anni. Ad ogni modo, il giudice può richiedere il versamento dell’indennità per l’occupazione abusiva durante questo periodo, ma a prezzi inferiori a quelli di mercato.

Come fare in caso di sfratto

Nonostante l’emanazione di un’ordinanza di sfratto da parte di un giudice, potrebbe capitare che l’inquilino decida di non liberare l’abitazione, in tal caso, si procede con l’esecuzione forzata. L’ufficiale giudiziario si presenterà all’indirizzo e intimerà il locatario di andare via.

Se l’ufficiale giudiziario non dovesse trovare nessuno al primo tentativo, dovrà farne un secondo ed eventualmente un terzo per notificare lo sfratto. Qualora non si riuscisse a mandare via l’inquilino semplicemente con i passaggi, l’ufficiale giudiziario può richiedere il supporto delle forze dell’ordine o di un fabbro.

Quando avviene lo sfratto, l’ufficiale giudiziario compila un inventario delle proprietà presenti all’interno dell’abitazione e l’inquilino potrà passare successivamente a ritirarle.

Lo sfratto può essere eseguito anche in presenza di minori, anziani o disabili all’interno dell’abitazione.

Lo sfratto non si può eseguire anche se…

Il locatore dell’abitazione deve dimostrare la persistenza di morosità da parte dell’inquilino, in caso contrario, il procedimento di sfratto viene arrestato.

Se l’inquilino dovesse procedere al pagamento delle somme dovute durante l’udienza del giudice con l’aggiunta degli interessi dovuti, quest’ultimo può interrompere il procedimento di sfratto.

Infine, il locatario può richiedere al giudice un tempo di novanta giorni entro cui effettuare il pagamento delle somme dovute. Trascorso il termine previsto, si procederà con un’ulteriore udienza dove il pagamento delle somme dovute provoca il blocco della procedura di sfratto. Viceversa, andrà avanti il procedimento di sfratto.

Per approfondire l’argomento, potresti leggere anche: 

Come funziona la procedura di sfratto?

Lo sfratto è un’ordinanza emessa da un giudice su ricorso del locatore che intima al conduttore di liberare l’immobile. Questo atto giuridico avviene a causa di morosità, per avvenuta scadenza del periodo di locazione, per necessità o inosservanza delle regole contrattuali. Analizziamo come funziona la procedura di sfratto per ognuna delle motivazioni.

Sfratto per morosità

L’inquilino è moroso quando si verifica un ritardo nel pagamento del canone di locazione di almeno venti giorni. Ovviamente, per avviare lo sfratto è necessario che il contratto sia regolarmente registrato e che indichi l’importo del canone.

Il primo step da compiere per il proprietario dell’immobile consiste nell’invio di una diffida tramite una raccomandata con ricevuta di ritorno nella quale si sollecita il pagamento di quanto dovuto ancora dal conduttore entro una data stabilita che solitamente corrisponde a quindici giorni.

Se l’inquilino non paga nonostante la diffida ricevuta, il locatore deve rivolgersi a un avvocato per avviare la procedura legale che consiste nell’intimazione di sfratto e nella citazione in udienza per la convalida.

Qualora il locatario moroso non dovesse presentarsi in tribunale nel giorno fissato per l’udienza, oppure non dovesse opporsi, lo sfratto è da ritenersi convalidato e il giudice stabilisce la data entro la quale l’abitazione deve essere lasciata.

Nel giorno dell’udienza, l’inquilino può anche chiedere il termine di grazia, ossia un periodo entro il quale saldare le rate arretrate.

Nel caso in cui il locatario si opponesse alla convalida dello sfratto, competerebbe al giudice la decisione di rinviare la procedura.

L’eventualità migliore per il proprietario, è che l’inquilino saldi il debito, mettendo fine al procedimento di sfratto.

LEGGI ANCHE: Cosa rappresenta la locazione e differenze con l’affitto

L’atto di precetto

Se a seguito dell’ordinanza di sfratto emessa dal giudice, l’inquilino moroso dovesse non pagare, né liberare la casa, il locatore può notificargli attraverso un avvocato, l’atto di precetto in cui impone di lasciare l’immobile entro una data non inferiore ai dieci giorni a partire dalla ricezione dell’atto.

Una volta scaduto il termine senza che l’inquilino abbia proceduto alla liberazione dell’immobile, si procede con l’esecuzione forzata dello sfratto. Tale azione viene effettuata da un ufficiale giudiziario, eventualmente con l’ausilio delle forze dell’ordine, che recandosi presso l’abitazione esegue di fatto lo sfratto, facendo anche cambiare la serratura.

Sfratto per necessità e violazione

Come già accennato inizialmente, il proprietario può intimare al conduttore di lasciare l’immobile per proprie necessità. Ad esempio, in caso di cessione a soggetti terzi. La procedura di sfratto è abbastanza rapida per tale eventualità, ma il proprietario è tenuto ad utilizzare la casa per il motivo richiesto entro un anno dalla relativa liberazione, altrimenti potrà essere sanzionato.

Il locatore può pretendere che l’immobile venga liberato dal conduttore, anche nel caso di grave inadempimento. Accade quando si verifica una sublocazione non autorizzata, per danni o violazione delle regole condominiali. In tal caso, la legge prevede lo scioglimento del contratto di locazione che prevede la stessa procedura applicata per lo sfratto.

Tempi e costi dello sfratto

I tempi di esecuzione dello sfratto sono variabili, molto dipende dalla condotta dell’inquilino. Volendo essere ottimisti, ossia quando la procedura non trova ostacoli, servono un paio di mesi. Tuttavia, è risaputo che spesso si presentano degli intoppi. Infatti, il proprietario dell’immobile ne rientra in possesso, mediamente dopo cinque mesi.

Per quanto concerne i costi da sostenere per l’esecuzione di uno sfratto, anche in questo caso, dipende dagli ostacoli che si presentano nel corso della procedura. Ad ogni modo, sono da affrontare le spese di giustizia, la parcella dell’avvocato e le varie notifiche.

In quali casi lo sfratto non può essere eseguito?

L’inquilino non è obbligato ad abbandonare l’abitazione quando riceve la diffida da parte del locatore o la citazione di un giudice del tribunale civile. Infatti, se procede a saldare le rate arretrate eviterà lo sfratto. Inoltre, è suo diritto chiedere al giudice novanta giorni di tempo per pagare il debito.

Il locatario può anche opporsi allo sfratto, quindi, non deve lasciare l’immobile nel momento in cui dimostra di aver pagato il debito prima della notifica di intimazione. Oppure documentando l’esistenza di un credito vantato nei confronti del proprietario (per esempio in caso di anticipo spese che avrebbe dovuto sostenere quest’ultimo). Inoltre, contestando l’importo complessivo delle somme richieste dal locatore (capita in caso di pagamenti effettuati in parte a nero).

TI POTREBBE INTERESSARE LEGGERE ANCHE: Cos’è e chi può dare lo sfratto?

Cos’è e chi può dare lo sfratto?

Mandare via un inquilino da un’abitazione contro la sua volontà, può risultare complicato. Non è infrequente che il proprietario e locatore dell’immobile debba ricorrere allo sfratto. Ma di cosa si tratta nello specifico e chi si sono i soggetti che possono darlo, lo scopriamo in questo articolo.

Cos’è lo sfratto?

Lo sfratto è rappresentato dall’ordine di un giudice del tribunale civile, conseguenza di ricorso da parte del locatore, con il quale viene imposto al locatario di lasciare la casa presa in affitto.

L’emissione di sfratto avviene a seguito di determinate violazioni commesse dal conduttore rispetto al contratto di locazione. Stiamo parlando di un ritardo di almeno venti giorni nel pagamento del canone di affitto, anche se per una sola mensilità. Inoltre, per scadenza del predetto contratto contestualmente al mancato abbandono dell’immobile.

In caso di pagamento ritardato, si avvia la procedura per morosità. Nel secondo caso, si procede alla sfratto per conclusa locazione.

In ambo i casi, il procedimento è abbastanza veloce e consta nello svolgimento di una o due udienze, ad avvenuta sentenza delle quali, in mancata opposizione da parte del locatario, il giudice emette l’ordine di lasciare l’immobile.

Per le violazioni del contratto di locazione diverse dalle due suddette, chi ha locato l’immobile deve intraprendere un ordinario giudizio civile per la risoluzione contrattuale. In tal caso, la procedura di sfratto è più lunga.

Chi può dare lo sfratto

Se qualcuno potesse nutrire dubbi in merito, diciamo subito che lo sfratto può essere dato solo dal locatore. Questi è il proprietario della casa e in quanto tale è l’unico soggetto ad aver sottoscritto il contratto di locazione con il conduttore, al quale quest’ultimo è obbligato ad adempiere.

Anche nel caso in cui il locatario avesse preso in affitto un appartamento all’interno di un condominio, violandone il regolamento, l’amministratore non può chiedere a un giudice lo sfratto, ma solo una condanna per violazione delle regole condominiali ed eventuale risarcimento del danno.

Anzi, il proprietario e locatore dell’appartamento è responsabile nei confronti del condominio e anche della condotta dell’inquilino. Pertanto, tocca a lui far rispettare il regolamento e se ci sono le condizioni e la volontà di farlo, chiedere lo sfratto.

Infatti, il locatore ha la possibilità di far ricorso al tribunale per chiedere un’emissione di sfratto, nel caso il conduttore non abbia provveduto al saldo di almeno due mensilità del condominio per un minimo di due mesi e per un importo superiore a due mensilità del canone di locazione.

E’ bene precisare, che è il locatore dell’abitazione a dover versare le spese di condominio in quanto proprietario dell’appartamento. Successivamente può rivalersi nei confronti del locatario.

Ad ogni modo, resta bene inteso che solo il locatore può chiedere lo sfratto dell’inquilino e per i seguenti motivi:

  • mancato pagamento del canone o di scadenza del contratto a cui non sia seguita la liberazione dell’immobile attraverso un procedimento rapido;
  • violazione delle regole del condominio ma solo con procedura ordinaria.

I tempi dello sfratto

Dalla richiesta di sfratto presentata al giudice dal locatore della casa, alla convalida dello stesso passano poche settimane. Tuttavia, per la vera e propria liberazione dell’immobile i tempi possono essere molto più lunghi. infatti, dopo l’udienza di convalida dello sfratto, il giudice stabilisce una data di ultimo rilascio prima procedere con un’esecuzione forzata.

La legge prevede che il rilascio debba essere fissato entro sei mesi dalla convalida dello sfratto (12 mesi in casi eccezionali). In caso di sfratto per morosità, l’esecuzione viene stabilita entro 2/3 mesi. In ogni caso, molto dipende dalla volontà del conduttore che può fare resistenza anche in caso di esecuzione, così come può consegnare le chiavi e abbreviare notevolmente i tempi.

Qualora l’inquilino dovesse opporsi allo sfratto attraverso una prova scritta, si apre una procedura ordinaria con conseguente sospensione dello sfratto. L’opposizione non fondata su prova scritta, invece, non sospende la liberazione dell’immobile.

Emergenza locatori per le troppe tasse

Ecco un’ altra figlia della crisi economica, l’emergenza locatori.

Un fenomeno preoccupante e sempre più in crescita, quello denunciato dalla Confedilizia che dichiara :”Gli ultimi dati sugli sfratti, che vedono un aumento del 60% dei provvedimenti esecutivi per necessità del locatore, dimostrano che l’aumento di tassazione sugli immobili ha creato una vera e propria emergenza locatori”.

A partire dal 2012 infatti si sta verificando in maniera sempre più progressiva la dismissione dei contratti in essere da parte dei proprietari di immobili dati in affitto. Un nuovo fenomeno che si va ad aggiungere alla scomparsa dell’acquisto di immobili da affittare e al mancato rinnovo dei contratti a termine. Di fatto i proprietari di immobili pur di non pagare tasse su beni che rendono ormai molto poco, preferiscono ritirarli dal mercato affittuario per destinarli alla vendita.

Tale fenomeno preoccupante ha conseguenze altrettanto gravi, a Roma per esempio il comune spende ogni anno 21mila euro per ogni famiglia per la quale debba  provvedere alla sistemazione alloggiativa. I continui sfratti secondo le evidenze di Confedilizia potrerebbe a un aggravio per i comuni italiani pari a due miliardi e mezzo di euro. Una cifra esorbitante, indice sintomatico dell’emergenza.

Francesca RIGGIO

Niente rimborso Irpef per gli affitti non percepiti

Il proprietario-locatore di un locale commerciale non ha diritto al rimborso Irpef relativo ai canoni di locazione non percepiti, anche se ha ottenuto lo sfratto per morosità del conduttore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 651 del 18 gennaio.

La possibilità di non dichiarare i redditi da locazione non percepiti, in base all‘articolo 8 della legge 431/1998, o il diritto al rimborso Irpef, riguarda infatti i soli contratti di locazione a uso abitativo e non a fini commerciale, così come stabilito dalla sentenza 362/2000 della Corte costituzionale.

La regola generale fissata dal Tuir (articolo 23 del Dpr 917/1986, nel testo vigente ratione temporis) prevede infatti che i canoni di locazione devono essere dichiarati, a prescindere dal fatto se siano stati incassati o meno. Nonostante l’introduzione di un’eccezione al principio generale, con l’articolo 8, comma 5, della legge 431/1998, in base alla quale i canoni non percepiti non concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, a patto però che la morosità del locatario risulti dal provvedimento di convalida dello sfratto per morosità, il Ministero delle Finanze specifica però che tale provvedimento entra in vigore per il locatario soltanto dal periodo d’imposta in cui ottiene il provvedimento giurisdizionale, ovvero a partire dalla dichiarazione dello sfratto.

Sull’argomento si sono da sempre confrontati due opposti orientamenti giurisprudenziali:
• il primo, che fa capo alla sentenza 6911/2003, afferma che, in tema di determinazione del reddito dei fabbricati, l’articolo 35 del Dpr 597/1973, laddove stabilisce che il reddito lordo effettivo è costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti, esso riguarda soltanto i criteri applicabili per la revisione della rendita catastale e non può essere invocato sulla tassazione del reddito effettivo di un immobile

• il secondo, propugnato dalla successiva pronuncia 12095/2007, sostiene invece che il solo fatto dell’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idoneo, di per sé, a escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef

Con la sentenza 651 del 18 gennaio 2012, la Corte di Cassazione ha stabilito invece, propugnando per il secondo orientamento, che i canoni di locazione commerciale dovranno essere dichiarati fino alla data in cui è intervenuta la risoluzione del contratto, anche se non incassati per morosità del conduttore.