Monti incontra Hollande, vertice nella città eterna

 

La politica è protagonista quest’oggi da Roma a Bruxelles, fin oltreoceano. E’atteso tra qualche ora infatti il rendez-vous nella città eterna fra il Presidente del Consiglio Mario Monti e Monsieur Le Président François Hollande. Mentre da Bruxelles Mario Draghi infiamma le Borse di mezza Europa. Barack Obama si prepara invece a occupare la sua sedia, quella di candidato presidente, in quel di Charlotte, North Carolina. Riuscirà il democratico Obama a superare l’esame? Intanto, a combattere tra quiz e domande impossibili ci pensano oggi 77mila aspiranti dottori pronti ad affrontare il temuto test d’ingresso a Medicina.

IERI

Alemanno hic et nunc: il sindaco di Roma non molla la poltrona. Gianni Alemanno smentisce la notizia diffusa da Repubblica secondo cui l’ex premier Silvio Berlusconi lo avrebbe invitato a non ricandidarsi a sindaco della Capitale. ‘Hic manebimus optime’, ‘qui staremo benissimo’ o meglio ‘la poltrona non si molla’, recita la scritta sotto lo scatto pubblicato ieri su Twitter da Alemanno, che si è fatto ritrarre nel suo ufficio, di spalle, seduto sulla sua poltrona da sindaco, imitando il celebre scatto di Barack Obama in risposta alla sedia vuota di Clint Eastwood.

Draghi infuoca le Borse: chiusura in positivo e spread in discesa per le Borse Europee dopo le parole Mario Draghi. “Gli acquisti di titoli di Stato fino a 3 anni non costituiscono un finanziamento monetario agli Stati” aveva sentenziato il Presidente della BCE a porte chiuse davanti ad alcuni parlamentari. Quando il pettegolezzo salva l’Euro.

Bobo, l’uomo da 1 milione di …: “se telefonando io potessi di…ventare milionario”. Incasso a 6 zeri per l’ex attaccante dell’Inter Bobo Vieri, che ha ricevuto 1 milione di euro di risarcimento da Telecom e dal club Nerazzurro per la vicenda riguardante le intercettazioni e lo spionaggio dei tabulati telefonici a suo danno. Domanda: facendo due conti, quanto finirebbe allora nelle tasche dell’ex premier Berlusconi?

OGGI

Monti – Hollande: tȇte à tȇte romano alle 13 per i due Presidenti (maschi) più influenti dell’Eurozona. Si tratta del secondo incontro bilaterale fra Francia e Italia in pochi mesi, lo scorso 31 luglio Monti è stato infatti ospite di Hollande all’Eliseo. Non perde tempo nemmeno la cancelliera tedesca Angela Merkel, che incontrerà proprio quest’oggi a Berlino il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, lo stesso che domani pomeriggio sarà a Parigi da Hollande. Quando si dice: siamo tutti una grande famiglia.

Test di Medicina: 77mila per (solo) 10mila e 173 posti. Sono gli aspiranti chirurghi, pediatri, oculisti, odontoiatri etc. di tutta Italia che oggi tenteranno di realizzare il proprio sogno. O di vederlo infranto. Un ammesso ogni 7. Nemmeno il tempo di restare sotto osservazione. Perché in Italia si è dentro o fuori. E se facessimo come in Francia dove gli studenti vengono tutti ammessi al primo anno, ma sopravvivono solo quelli in grado di superare gli esami per arrivare al secondo?

Obama in rosa: sarà lei, la First Lady Michelle Obama, ad aprire questa sera la Convention del Partito Democratico a Charlotte, in North Carolina. Domani sera Michelle cederà invece il palco all’ex presidente Bill Clinton, mentre occorrerà attendere giovedì per vedere Barack Obama. Il Presidente in carica ha scelto però, per la sua investitura ufficiale, un luogo dal nome un poco infausto: Bank of America Stadium. Odiatissimo dai ragazzi di OccupyWallStreet, lo stadio si prepara ad essere invaso dagli OccupyCharlotte.

DOMANI

Del Piero fra i canguri: è quasi fatta. Rumors confermati riguardo al possibile trasferimento dell’ex capitano bianconero a Sidney. Gol a segno entro giovedì?

Manuel de Oliveira: 103 candeline spente (pardon quasi 104,  il prossimo dicembre), e una passione immutata per la macchina da presa. Il regista portoghese presenterà domani alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia il suo nuovo film “O Gebo e a Sombra”. Protagonisti? Due grandi dive del passato: Claudia Cardinale e Jeanne Moreau. D’accordo, non giocate a fare la somma delle età dei tre.

Sciopero Treni: preannunciato per domani uno stop di 8 ore per le tratte ferroviare gestite da Trenord. Lo sciopero si svolgerà dalle 9 alle 17. A quando lo sciopero dei pendolari?

Alessia CASIRAGHI

L’Italia non merita di fallire. Noi sosteniamo l’Italia

A volte dalle nostre pagine ci è capitato di non essere d’accordo con quanto affermato dai vertici di Confindustria. Ultimamente, però, su un’affermazione di Emma Marcegaglia ci troviamo d’accordo. Qualche giorno fa la leader degli industriali ha infatti affermato che l’Italia non merita di fare la fine della Grecia, ormai tecnicamente fallita. “Non merita”, appunto, non “non può”. Non merita di fallire. Per diversi motivi.

Intanto, i conti pubblici rispetto all’inizio dell’anno non hanno subito drammatici peggioramenti. Se è vero che il debito di Stato supera i 1900 miliardi di euro e ha una quota nel 2012 in scadenza, compreso il disavanzo, che si aggira intorno al 23,5% dell’ammontare – superiore a quella di ogni altro Paese dell’euroarea, Grecia compresa (che è al 16,5%) – è pur vero che la durata media del debito italiano è la più alta (7,2 anni) e la quota in mani straniere la più bassa, solo al 42%.

Poi, per quanto possa sembrare un inutile mantra, il fatto che i fondamentali economici italiani siano solidi è innegabile; del resto, siamo la prima economia europea per vocazione manufatturiera la seconda per volumi di export. Inoltre, la quota di risparmio privato nelle mani degli italiani è la più alta del mondo, un dato che ci distingue da sempre e che sbattiamo volentieri in faccia a quanti ci accusano di essere un popolo di cicale: l’italiano è formica, caso mai cicale si sono dimostrati i nostri politici negli ultimi 30 anni. Il fatto che li abbiamo votati noi non ci esime da colpe, ma il risultato è che il debito lo hanno fatto loro e quanti come loro hanno ricoperto posizioni istituzionali e amministrative di alto livello: il fatto che vogliano ripianarlo mettendo le mani nelle nostre tasche prima che nelle proprie, è solo un estremo atto di codardia intellettuale.

E ancora. L’Italia non merita di fallire perché è una fonte di contagio formidabile per il mondo e il mondo, nella veste dell’Fmi, non si farà scrupoli a intervenire con i carri armati (figurati, s’intende) per farci cambiare registro prima che sia troppo tardi per tutti. Del resto, un default italiano significherebbe il concreto deragliamento dell’euro che coinvolgerebbe gli altri Paesi in un effetto domino; prima fra tutti la Francia, le cui banche sono le più esposte in quanto a debito italiano in portafoglio e che, in questi giorni, si è sentita bruciare il fondoschiena per via dello scivolone di Standard & Poor’s che ha lasciato intendere un downgrade del Paese. Con Sarkozy terrorizzato di perdere la tripla A tanto quanto Berlusconi è terrorizzato di perdere la propria virilità. E un flop dell’euro tanto tabù non è, visto l’Europa ha una moneta unica ma non una politica economica comune e che Paesi come la grande Germania hanno già fatto i conti di quanto perderebbero o guadagnerebbero uscendo dalla moneta unica, stanchi di pagare sempre e per tutti.

Infine, l’Italia non merita di fallire perché il modo di raddrizzarne i conti e stimolarne la crescita esiste; interventi sulle pensioni di anzianità, dismissioni ciclopiche del patrimonio pubblico, taglio della spesa corrente e dei costi della politica. Interventi duri, in parte antipopolari in parte no, ma la cancrena è troppo avanzata per continuare con le aspirine: ora ci vuole la chemio, dura e aggressiva. Sperando che basti.

Per questo, perché siamo un popolo capace e tenace e per tanti altri motivi, noi pensiamo che l’Italia non meriti di fallire e non possa farlo. Siete con noi? Firmate virtualmente il nostro manifesto facendo Like sulla pagina Facebook SOSTENIAMO L’ITALIA.

ITALYNEWSWEEK

Il Presidente Silvio Berlusconi si è dimesso.

Dopo un breve colloquio con il Presidente Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi si è dimesso. Prima di recarsi al Colle, il Premier si è chiuso in una lunga consultazione con gli stati generali del Popolo delle Libertà, quindi poco prima delle 21:00 al Colle, per rasseganre le dimissioni e discutere alcune condizioni per la nascita del nuovo governo Monti (?).

Prima delle dimissioni però c’è stato il sì del Parlamento alla legge di stabilità. È stato questo l’ultimo atto parlamentare del Governo Berlusconi prima delle dimissioni, decise martedì scorso al Quirinale dal Presidente del Consiglio dopo il voto della Camera sul Rendiconto generale della Camera su cui la maggioranza a Montecitorio si è fermata a 308.

I voti favorevoli alla Camera alla legge di stabilità, sono stati 380, i contrari 26 e 2 le astensioni. Subito dopo, a chiudere definitivamente a tempo di record la sessione annuale di bilancio, è arrivato il sì definitivo al ddl di Bilancio e alla Nota di variazione, con 379 voti a favore, 26 contrari e 2 astensioni. Oltre a Lega e Pdl i sì sono arrivati dall’opposizione del terzo polo, i no da Italia dei Valori. Il Pd non ha partecipato al voto. Ora Berlusconi è pronto a passare il testimone a Mario Monti. La palla adesso passa al Presidente Napolitano.

I bene informati dicono cheBerlusconi, forte di una maggioranza parlamentare, potrebbe chiedere al Capo dello Stato alcune garanzie prima della nomina di Monti come suo successore: che il nuovo Governo tecnico resti in carica per la sola attuazione dei punti chiesti dall’Europa; la non candidatura dei futuri ministri del Governo tecnico; la presenza di Gianni Letta come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Sarà Vero?

 

 

 

Il Governo vacilla: anche la Lega getta la spugna e punta su Alfano

Il governo Berlusconi ha le ore contate. Almeno così pare dopo che le ultime indiscrezioni lasciano trapelare che anche nella Lega Nord si stia facendo largo l’idea di un governo di transizione guidato dal delfino Alfano, coadiuvato alla vice-presidenza da Roberto Maroni. A fare da ambasciatore per conto della Lega è stato Roberto Calderoli che proprio nel tardo pomeriggio si è recato a Villa San Martino ad Arcore, dove il premier si era “rifugiato” dopo la travagliata mattinata romana (con lo spread che prima sale, poi scende e poi risale…). Secco e categorico, il Premier pare aver risposto picche al ministro Calderoli, rispedendolo a via Bellerio. Il Ministro sembra minimizzare parlando non di un passo indietro bensì di un passo a lato. Ad ogni modo domani si torna a Roma, per capire cosa ne sarà di questo Governo, che di certo non sembra godere di buona salute. E chissà la notte non porte a più miti consigli i dissidenti del PDL, visto che domani alla Camera c’è da votare la fiducia. Insomma, ha da passa’ ‘a  nuttata!

Come votano le partite Iva?

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di marzo del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 28 febbraio 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Alessandro AMADORI*

Nell’ambito delle sue attività di monitoraggio dell’opinione pubblica, Coesis Research ha recentemente verificato (gennaio 2011) le intenzioni di voto di un campione di 300 elettori, appartenenti al popolo delle partite Iva. La metodologia utilizzata è stata quella dell’intervista telefonica Cati (Computer Aided Telephone Interviewing), integrata da sei colloqui clinici di approfondimento qualitativo. L’obiettivo è stato quello di individuare come si distribuiscono le preferenze elettorali in questo segmento cruciale della popolazione italiana, anche in rapporto ai recenti sviluppi del “caso Ruby”.

L’aggregazione delle intenzioni di voto per schieramenti evidenza questo quadro di atteggiamenti: il partito con il maggiore livello di consenso fra le partite Iva resta il PdL, al 31%; a seguire, nettamente distaccato, il PD, al 19%; al terzo posto troviamo la Lega, attestata su un ragguardevole 15%; poi Fli a un consistente 8%, l’Udc al 7%, l’IdV al 6%, La Destra e Sinistra Ecologia e Libertà entrambe al 4%, il Movimento Cinque Stelle al 2%, la Federazione della Sinistra a poco più dell’1%. Nella popolazione generale italiana, invece, gli atteggiamenti in termini di intenzioni di voto si distribuiscono in questo modo: Centrodestra 43%, Centro 12%, Centrosinistra 31%, Sinistra 11%, Altro 4%.

Dunque, mentre tra le partite Iva l’area del centro/centrodestra pesa per il 65% del totale, nella popolazione generale questo peso scende al 55%. La differenza è di dieci punti percentuali. Il che conferma che, nonostante l’evidente crisi del berlusconismo, l’atteggiamento di fondo del popolo degli “autonomi” resta strutturalmente più favorevole nei confronti dell’offerta di centrodestra.

Insomma, nonostante l’indebolimento di immagine e la perdita di gradimento e fiducia che Berlusconi ha subito, per il momento non si può ancora parlare di una ricaduta davvero pesante di questi fenomeni sul livello potenziale di consenso per l’area di offerta politica che sinora ha avuto nel Cavaliere il suo leader di riferimento. Per inciso, va detto che anche nella popolazione generale la tenuta del centrodestra è, per molti aspetti, superiore alle aspettative. A dimostrazione che i meccanismi del voto, e del consenso, sono fortemente contraddistinti da processi inerziali che rendono lenti e piuttosto difficili gli spostamenti da uno schieramento all’altro.

*amministratore delegato dell’istituto Coesis Research

Il presidente di Confcommercio interviene sui temi della crescita economica

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, in occasione del convegno ‘Imprese lombarde per l’Italia proposte per il rilancio‘ alla presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e dei ministri Paolo Romani, Michela Brambilla, Ferruccio Fazio,Mariastella Gemini e Ignazio La Russa, tenutosi nei giorni scorsi a Milano, ha espresso contrarietà all’ipotesi di diminuzione dell’Irpef e innalzamento dell’Iva, ribadendo l’importanza di snellire la burocrazia e incentivare le giovani imprese: “Ho accolto volentieri l’invito raccolto dal governo a Rete Impresa Italia Lombardia per un confronto con il preside del consiglio e i ministri perchè per noi il problema resta sempre quello: accelerare e irrobustire la crescita. Noi ribadiremo le proposte che in questi ultimi tempi avevamo indicato che prevedono una riforma fiscale, un federalismo fiscale efficiente e solidale per arrivare a raggiungere due obiettivi importantissimi per il mondo che rappresentiamo cioè la semplificazione e la riduzione della pressione fiscale e dare occupazione ai giovani“.

Il presidente ha ricordato come l’Italia abbia necessità di crescere più dell’1% stimato, attraverso un risanamento della finanza pubblica, alleggerendo il debito pubblico e riformando il sistema fiscale e riducendo la pressione fiscale. Doveri difficili da portare a termine ma che vanno necessariamente affrontati.

Sangalli ha ribadito contrarietà anche circa nuove tasse proposte dal recente decreto in materia di federalismo municipale, tra cui l’ampia facoltà riconosciuta ai Comuni di procedere all’attivazione della tassa di soggiorno e ancora l’impatto dell’Imu sugli immobili commerciali e produttivi. “Serve più cooperazione tra impresa e lavoro; più cooperazione tra pubblico e privato. Per far crescere l’innovazione e premiare il merito. Anche attraverso l’innovazione dei modelli contrattuali, opportunamente sostenuta da premi di produttività detassati. Bisogna, in particolare, puntare sul rilancio dell’occupazione giovanile sostenendo le imprese più attente ad investire nei giovani e che diano certezza di lavoro“- proseguendo – “ci siamo impegnati – come Rete Impresa Italia Lombardia, le altre associazioni e in collaborazione con i sindacati – a realizzare un Patto per l’occupazione giovanile sfruttando l’avvenimento straordinario come l’Esposizione Universale che, nel nostro Paese, non si verificava da oltre un secolo. Ilpatto prevede un Tavolo tecnico di lavoro che opererà per linee tematiche: leve contrattuali, incentivi fiscali e formazione. Riconosciamo al Governo di aver praticato una politica di bilancio doverosamente attenta all’andamento dei conti pubblici e siamo consapevoli della necessità di perseverare nell’esercizio della disciplina di bilancio. Chiediamo, però, ora uno sforzo straordinario per l’avanzamento del progetto riformatore di questa legislatura. Chiediamo di investire in riforme, di investire sui giovani dando loro certezza di occupazione. Quando cresce l’occupazione giovanile cresce infatti anche il Paese: nel senso piu ampio di questo termine. Chiediamo di investire ogni risorsa compatibile ed utile. Di fare tutti insieme sistema per tornare a crescere“.

Mirko Zago

Nuove imprese fatte da giovani under 35: per tre anni un imposta unica forfettaria del 10%

Un’imposta forfettaria del 10% per i primi tra anni di attività delle imprese costituite da imprenditori under 35:questa è la proposta annunciata dal premier Silvio Berlusconi a sostegno dell’imprenditoria giovanile. “Ne stiamo discutendo con le parti sociali e con Tremonti e questo sarà uno dei punti di discussione nel prossimo incontro con le parti sociali”, ha detto il presidente del Consiglio in conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, per la presentazione di Diritto al futuro, un’iniziativa promossa dal Ministero della Gioventù che poggiando su un finanziamento di 300 milioni prevede cinque decreti per altrettante misure di sostegno finalizzate al lavoro, alla casa, all’imprenditoria giovanile, alla formazione e alle opportunità professionali. Non si tratterà di assistenzialismo generalizzato  chirisce la Meloni, perché per ogni misura è necessario l’impegno diretto dei giovani. “Il primo provvedimento – ha spiegato il ministro – dà la possibilità di un lavoro stabile ai giovani genitori precari”. Si tratta di una “dote” di cinquemila euro che ragazze e ragazzi under 35 possono garantire all’impresa che intende assumerli a tempo indeterminato. Questa iniziativa è sostenuta da un Fondo di 51 milioni e si prevede, pertanto, la creazione di 10.000 posti di lavoro a tempo

indeterminato. Altri 50 milioni sono destinati per l’offerta di garanzie bancarie per l’accesso al mutuo-prima casa in favore di giovani coppie con basso reddito e contratti atipici. Beneficio riservato a coppie coniugate, con o senza figli, o a padri e madri single. Con il decreto ‘mecenati’, si punta, inoltre, attraverso una dotazione di 40 milioni a promuovere il talento di giovani imprenditori valorizzando creatività e innovazione. La misura prevede il cofinanziamento pubblico al 40% di iniziative messe in campo da grandi aziende e fondazioni che decidono di investire sulle capacita dei giovani. L’investimento complessivo, grazie al meccanismo del cofinanziamento, tocca in questo caso i 100 milioni. Il pacchetto introduce, infine, prestiti garantiti per gli studenti meritevoli con erogazioni annuali da 3 a 5 mila euro fino a un massimo di 25 mila euro, grazie a una fondi di garanzia per 19 mila euro e 20 campus per favorire il “job placament”.

fonte: Confcommercio.it

Instabilità politica e crisi, anche la Costituzione ha le sue responsabilità

di Gianni GAMBAROTTA

Forse questa crisi politica che si è aperta di fatto, anche se non ancora ufficialmente, con il discorso di Gianfranco Fini, è davvero diversa dalle altre. Questo interminabile braccio di ferro fra due dei fondatori del Popolo della Libertà, ha messo sotto gli occhi di tutti che c’è qualcosa di profondo, di storico, di radicato che non funziona nel sistema italiano. Per l’ennesima volta un governo cade (a quello attuale non è ancora successo, ma basterà aspettare e non a lungo) non perché l’opposizione lo abbia stretto in un angolo e obbligato a gettare la spugna, ma per la litigiosità interna alla maggioranza che lo sostiene.

Gli episodi del recente passato sono indicativi. Vi ricordate il primo governo di Silvio Berlusconi? Ottenne la fiducia il 10 maggio del 1994 e cadde il 17 gennaio del ‘95, quando il premier fu costretto a dimettersi per l’uscita della Lega dalla maggioranza. In tutto rimase in carica 252 giorni, neppure un anno. Oppure prendete il secondo governo formato da Romano Prodi, quello che batté Berlusconi alle elezioni politiche del 2006. Nato il 17 maggio di quell’anno, sorretto da una maggioranza composita formata da tanti partiti e partitini, non riuscì neppure a compiere i due anni e si dimise il 7 maggio 2007 perché la coalizione che avrebbe dovuto sostenerlo era in disaccordo su tutto.

Nella prima Repubblica questo copione si ripeteva con sistematicità. I governi, in media, duravano un anno e cadevano anche per motivi molto banali. Si pensava che il passaggio alle seconda Repubblica, l’avvio del bipolarismo avrebbe cambiato la situazione, portato a una maggiore governabilità. I due precedenti citati di Berlusconi e Prodi, e quanto sta avvenendo in questi giorni dimostrano che non è così.

L’Italia deve accettare l’idea che le servono riforme profonde se vuole raggiungere quel minimo di efficienza politica indispensabile per un Paese che aspira a essere moderno. Molti osservatori, giornalisti, editorialisti sostengono che quella italiana è una bellissima Costituzione, che va difesa, che non bisogna dare spazio a chi vuole modificarla. In parte è vero: la Costituzione nata nel 1948 introduce dei principi, dei valori che sono assolutamente positivi e vanno difesi. Ma è anche vero che ha disegnato un meccanismo di gestione del sistema politico che non funziona e difficilmente si metterà a funzionare in futuro. Già in passato si è accettato il principio che una riforma è indispensabile: la Bicamerale era stata concepita per questo, ma senza risultati. Oggi penso che quel cammino andrebbe ripreso.

Paolo Romani è il nuovo Ministro per lo Sviluppo Economico: in bocca al lupo, Ministro.

Il nuovo ministro dello Sviluppo Economico si chiama Paolo Romani, sessantatreenne milanese già parlamentare del Popolo della Libertà e fino a ieri Vice Ministro allo Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni.

Passaggio di consegne ieri (04-10-2010) tra il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il neo ministro Romani, che subentra proprio al premier Berlusconi che per circa quattro mesi, dopo le dimissioni di Claudio Scajola, aveva mantenuto l’interim del dicastero di via Veneto.

Chiusa la lunga vacatio non si fermano però le polemiche della politica, alimentate dalla decisione del premier di promuovere quello che viene considerato dalle minoranze parlamentari un simbolo dell’imprenditoria televisiva privata targata Berlusconi. La battuta più pungente viene da Pier Ferdinando Casini: ”avrei preferito Fedele Confalonieri” ha commentato sarcastico. La maggioranza ha difeso con forza la decisione presa dal premier. Per il ministro delle politiche comunitarie Andrea Ronchi ”è una scelta giusta, che rafforza la solidità del Governo”. Gianfranco Rotondi, ministro per l’attuazione del programma di governo, ha descritto Romani come ”un politico bravo, attento, scrupoloso. Saprà fare bene ed entra in un esecutivo che ha risolto tante emergenze e conseguito risultati importanti”. Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, ha invitato le opposizioni a ”trovare un momento di ragionevolezza e di senso di responsabilità”. ”Dovrebbero comprendere – ha aggiunto – che , almeno sul terreno della ripresa economica, il loro compito dovrebbe essere quello di confrontarsi e concorrere in modo positivo”. Ma si è trattato di un invito caduto nel vuoto prima ancora che fosse pronunciato. Infatti dal Pd  Pier Luigi Bersani accusa il governo ancor prima della nomina ufficiale di essere bugiardo come Pinocchio: ”Mastro Geppetto costruirà in legno il ministero dello sviluppo. La verità è che qualunque ministro venga non troverà più il ministero”. ”La nomina di Romani – ha spiegato Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd al Senato – rappresenta anche simbolicamente l’apice del conflitto di interessi”. Più duro è stato l’atteggiamento dell’Idv, anche se orientato allo stesso filone di critica. ”Berlusconi ha scelto – ha detto il capogruppo alla Camera Massimo Donadi – l’uomo meno adatto perchè è stato il braccio armato di Mediaset nelle istituzioni e il fiduciario del premier per la tutela dei suoi interessi nell’etere”.

In casa sindacale il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha accusato il governo di inefficienza: ”più che un ministro ci serve una politica industriale”, avverte. Conciliante la Uil che con Luigi Angletti dà fiducia a Romani: ”ha fatto già il viceministro, non deve quindi inventarsi una politica”. ”Pessima scelta”, invece, per il Codacons a cui fa da contraltare l’elogio della Confapi felice di avere un ministro che conosce le piccole e medie imprese. Da viale Astronomia si tira infine un sospiro di sollievo dopo le critiche rivolte al governo per il permanere di quella casella riempita solo a metà: ”Siamo tutti soddisfatti di avere il nuovo ministro dello Sviluppo Economico, gli facciamo un in bocca al lupo e gli chiediamo di essere operativo immediatamente”, ha detto in serata la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia.

fonte: Ansa

“Liberiamo le imprese”. Sì, ma come? – Atto II

di Davide PASSONI

Ed eccoci qui. Come promesso nell’articolo del 9 luglio scorso, dopo le proposte del presidente del consiglio Silvio Berlusconi per “liberare” le imprese italiane da normative troppo vincolanti e renderle, a suo dire, più agili e competitive sul mercato, vediamo che idee arrivano in tal senso dal maggiore partito di opposizione, il Pd. Punto di partenza può essere, a tal proposito, un intervento che il segretario del partito, Pierluigi Bersani, ha tenuto nei giorni scorsi a Rainews 24, ospite del direttore Corradino Mineo.

Nella prima parte di questa chiacchierata Bersani parte lancia in resta contro la proposta del Cavaliere di modificare l’articolo 41 della Costituzione (ricordata da Berlusconi nell’audio che vi abbiamo proposto la scorsa settimana) definendola una “bolla di sapone” e, senza entrare nello specifico delle proposte del Pd, fa cenno a 4 progetti inseriti tra gli emendamenti alla manovra finanziaria su liberalizzazioni e semplificazione dell’attività d’impresa richiamando le sue mitiche “lenzuolate“, che hanno fatto la felicità di tanti consumatori di sinistra – ma anche di destra, ammettiamolo, suvvia… -, ma che hanno fatto incazzare aziende e multinazionali (telefoniche, farmaceutiche e assicurative in testa). Poi Bersani, imbeccato da Mineo, divaga su crisi, Europa, Fiat, Fiom e redditi di Berlusconi lasciando per strada le proposte a sostegno dell’impresa.

Andiamo dunque da prenderle noi, dal sito del Pd, limitandoci a due documenti significativi: il più fresco, del giugno 2010, con le sei “mini lenzuolate” a favore di imprese e consumatori; il meno fresco, del maggio 2008, con la proposta di legge dell’allora Governo Ombra in materia di “semplificazione dei procedimenti riguardanti l’avvio di attività economiche e la realizzazione di insediamenti produttivi“. Se avrete la pazienza e il tempo di leggerli con attenzione, vi accorgerete di due cose: 1) per il Pd la “lenzuolata” sembra essere un po’ come l’aspirina: qualsiasi sintomo ho, la prendo e vedrai che starò meglio; 2) quando parlano di semplificazione delle pratiche di avvio di un’impresa, Pd e Pdl a tratti non parlano un linguaggio tanto diverso.

E allora, vi chiediamo, oltre alla domanda del nostro sondaggio “che cosa ci vuole per liberare veramente le imprese italiane”: perché è tanto difficile trovare delle soluzioni condivise? Perché continuare a farsi la guerra sulla pelle dell’imprenditore? Su questa pelle restano i segni di una crisi che si fatica a contrastare, sul mercato ma, soprattutto, nel Palazzo; sulla pelle delle poltrone di Palazzo Madama e di Montecitorio resta, al massimo, il segno del lato B dei nostri deputati e senatori. Se ce lo consentite… tra i due non c’è paragone.