I manager italiani favorevoli allo smart working

Una ricerca realizzata da Regus, il principale fornitore globale di spazi di lavoro flessibili, con il coinvolgimento di manager e professionisti di tutto il mondo, ha fatto emergere il mood degli imprenditori circa la riduzione dei costi della gestione degli uffici, per utilizzare queste risorse in investimenti per la crescita e per nuovi posti di lavoro.

Si tratta di quello che viene definito smart working, che prevede anche lo svolgimento di alcune attività da remoto, poiché non è necessaria la presenza in ufficio, e che porta, come conseguenza, ad un notevole risparmio di spazi, tempi e denaro, che può dunque essere convogliato in progetti che riguardano il futuro e l’innovazione.

L’84% degli intervistati italiani, e l’81% della media globale, ritiene che i governi dovrebbero contribuire a promuovere la diffusione di contratti di lavoro agile favorendo lo svolgimento delle mansioni da remoto con modalità organizzative flessibili nei tempi e negli orari.
Secondo l’86% degli imprenditori e manager i governi dovrebbero incentivare il lavoro agile attraverso agevolazioni fiscali, poiché lo ritengono uno strumento che può favorire la crescita del PIL e incentivare l’occupazione.

Ovviamente, lo smart working è ben visto anche e soprattutto nei confronti dell’occupazione femminile, laddove si può favorire il rientro dalla maternità e permettere di bilanciare al meglio gli impegni lavorativi e la gestione dei figli.
Inoltre, il lavoro da remoto potrebbe favorire l’integrazione di nuove leve, soprattutto giovani, nel mondo del lavoro, e risolvere, seppur in parte, il problema della disoccupazione.

Mauro Mordini, country manager di Regus in Italia ha dichiarato: “lo smart working può svolgere un ruolo determinante per stimolare l’economia e per far crescere l’occupazione, in particolare nel nostro paese. Attraverso la riduzione di costi fissi per la gestione rigida di uffici e spazi lavoro, spesso sovradimensionati e inutilizzati, le imprese possono così liberare risorse da reinvestire nella crescita e nell’occupazione. Grazie a modalità organizzative del lavoro che prevedono agilità e flessibilità si consente inoltre a molte persone, in particolare le mamme, di poter conciliare al meglio la loro vita professionale e personale e di poter continuare a rimanere nel mondo del lavoro e di contribuire allo sviluppo economico del paese nel suo complesso“.

Vera MORETTI

I professionisti e la tecnologia

professionisti hanno da tempo nella tecnologia una compagna di lavoro inseparabile. Grazie ai nuovi sistemi di messaggistica istantanea e di condivisione di file, tempi, metodi e organizzazione del lavoro sono cambiati radicalmente anche pensando solo a 5 anni fa.

Dinamiche molto interessanti, che hanno spinto Regus, il principale fornitore di spazi di lavoro flessibili, a condurre un’indagine sull’utilizzo e la confidenza che si ha con la tecnologia sul posto di lavoro.

L’indagine di Regus è stata condotta su un campione di oltre 44mila manager e professionisti che, in 100 Paesi, hanno parlato del loro rapporto con la tecnologia. Per quanto riguarda l’Italia, l’89% degli intervistati dichiara di usare strumenti tecnologici per la condivisione di file e di documenti, superando di poco il risultato della media mondiale, attestata sull’86%.

Tra questi, vince a mani basse Dropbox con il 64,1% (media mondiale 56%), seguito da Google Drive con il 48,2% (43% nel mondo) e da WeTransfer che in Italia tocca una media del 35,3% contro una media mondo che è quasi la metà, 18%. Si ritagliano un loro spazio anche la tecnologia di Google Hangouts (21,4% in Italia, 22% nel mondo) e Microsoft Remote Desktop (14,9% in Italia, 19% nel mondo). A parte questi ultimi due strumenti, come si vede, noi italiani siamo un passo avanti.

L’indagine Regus ha anche esplorato il rapporto tra i manager e la messaggistica istantanea, tecnologia particolarmente importante per i professionisti che si trovano molto spesso a lavorare in mobilità e non dalla propria postazione. Ebbene, stando ai dati rilevati dalla ricerca Regus, il 96% dei manager e professionisti italiani ha utilizzato almeno uno strumento di messaggistica istantanea nell’ultimo mese.

Come era prevedibile, stravince Whatsapp, che gli italiani apprezzano ben più degli altri utenti mondiali: 84,4% contro il 54% della media mondiale; lato VoIP vince il decano Skype, che gli intervistati italiani usano nel 73,5% dei casi contro una media mondiale del 60%. Percentuali in linea con il resto del mondo per quanti utilizzano Facebook Messenger, ossia il 48%. E, secondo Regus, c’è gloria anche per Viber (18,4% Italia contro il 13% mondo) e WeChat (5,9% Italia e 11% mondo).

Telelavoro sì, telelavoro no

Una delle parole d’ordine che, in questo nuovo decennio, le aziende sembrano fare propria per aumentare produttività e impegno da parte dei propri dipendenti è telelavoro. Qualcuno lo chiama, all’inglese, smart working o home working, ma la sostanza non cambia. Alla fin fine, il telelavoro consente di lavora da casa o da un altro luogo come se si fosse in ufficio.

Ma come si pone l’Italia di fronte al telelavoro? Secondo un’analisi elaborata dalla School of management del Politecnico di Milano, entro un paio d’anni il 20% delle aziende consentirà ai propri dipendenti di utilizzare lo smart working.

Secondo i ricercatori del Politecnico, che hanno effettuato un’indagine a campione su 211 aziende, il trend di valorizzazione del telelavoro era già iniziato lo scorso anno, quando il 67% delle imprese in Italia ha avviato un progetto di smart working. Un dato che però non deve trarre in inganno; secondo il Politecnico, le imprese che hanno davvero adottato un sistema di lavoro smart esteso a tutti i livelli dell’organigramma aziendale sono solo l’8% del campione oggetto dello studio.

Come si può facilmente immaginare, dallo studio del Politecnico emerge che le realtà più orientate al telelavoro sono le multinazionali o aziende con oltre 500 dipendenti. I settori nei quali il telelavoro trova più spazio sono quelli delle banche, delle telecomunicazioni e dell’IT (e ci mancherebbe altro…) e dell’alimentare, che scelgono di incentivarlo soprattutto perché, come detto all’inizio, gratifica il dipendente e ne aumenta la produttività.

La sorpresa nel rapporto del Politecnico sul telelavoro arriva però sul fronte dei dipendenti. Se, infatti, molte aziende considerano lo smart working un ottimo sistema per il dipendente per conciliare vita e lavoro, è proprio il dipendente a non volere questa impostazione: solo uno su 5, infatti, in base allo studio, aderirebbe al telelavoro. La spiegazione, secondo Fiorella Crespi, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico è soprattutto culturale: “Le radici di questo scetticismo sono da individuare nella diversa cultura aziendale presente nel nostro Paese. A differenza del Nord Europa, si tende a privilegiare la socialità e a sviluppare uno stile di gestione delle risorse incentrato sul controllo diretto del lavoro. C’è ancora la percezione diffusa che la qualità della propria produzione sia strettamente collegata alla presenza in ufficio. Per cambiare la cultura aziendale, c’è bisogno di formazione e di ripensare il modello di leadership”.

Villa: “Lo smart working? Sempre più una necessità”

 

Dopo l’intervista di ieri a Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro dell’Università Bocconi di Milano, e quella al presidente di Federmanager di Giorgio Ambrogioni, oggi abbiamo incontrato l’assessore alle Politiche Educative e Personale del comune di Cinisello Balsamo, Letizia Villa, per discutere sulla proposta di legge  sulla regolamentazione dello smart working. Ormai già da anni la cittadina nell’alta pianura lombarda sta sperimentando con successo il telelavoro con 14 i lavoratori che sono ricorsi a questa formula.

Dott.ssa Villa,  Cinisello Balsamo si è dimostrata lungimirante per quanto riguarda lo smart working..
La nostra amministrazione è sempre stata molto sensibile al tema lavoro ed è disponibile a sperimentare nuove formule. Io credo molto a questa nuova modalità, anche, e soprattutto, negli ambienti della pubblica amministrazione. I risultati per fortuna sono incoraggianti e la proposta di legge depositata alla Camera è la testimonianza di come un nuovo orizzonte per il mondo del lavoro è ormai prossimo.

Come fate a valutare la produttività di un dipendente che non opera nel luogo di lavoro preciso e fisico?
Dobbiamo abbandonare una volta per tutte questa mentalità del controllo ossessivo dei dipendenti, per fortuna ci sono tecnologie che rendono molto rapidi i collegamenti tra datore di lavoro e dipendente per valutare la produttività di quest’ultimo. Lavorare nella più totale serenità, senza nessun tipo di preoccupazione, con un’organizzazione propria delle ore di lavoro, diventerà fondamentale in un futuro prossimo.

E’ un modo anche per arginare le differenze di genere?
Certo, la donna è la principale protagonista di questa nuova modalità di lavoro. Seppur moderna, la donna ha sempre il bisogno di districarsi fra un mare di impegni e riuscire a conciliare tutte le attività non sempre è un operazione semplicissima. Siamo vicini ad una svolta nel mondo del lavoro…

Jacopo MARCHESANO

Del Conte: “Il lavoro agile? È più stabile”

In questa nostra settimana alla scoperta del magico mondo dello smart working, partendo dalla proposta di legge delle deputate Mosca, Saltamartini e Tinagli, oggi abbiamo incontrato Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro dell’Università Bocconi di Milano, il quale ha espresso un giudizio «senz’altro positivo» a condizione che si pongano determinate regole perché «sarebbe un errore passare direttamente da una modalità di lavoro standard in un luogo preciso e fisico ad un lavoro ubiquitario e senza una sua dimensione temporale definita, lasciando tutto alla buona volontà del dipendente e del datore di lavoro».

Professor Del Conte, il mercato del lavoro italiano è pronto alla novità?
Ovviamente il lavoro agile non potrà essere applicato a tutte le tipologie di lavoro. Ci sono molte professioni in Italia che in parte possono essere svolte fuori dal luogo di lavoro, mentre altre continueranno nel modo più “tradizionale”. Questa iniziativa credo possa iniziare un percorso che andrà inevitabilmente completato con nuove politiche sul mondo del lavoro, rendendo compatibili le regole attuali con queste nuove modalità lavorative. Sarebbe paradossale pensare di poter passare da una modalità di lavoro in un luogo preciso e fisico ad un lavoro ubiquitario e senza una sua dimensione temporale definita, senza modificare le normative.

Come minimo andranno rivisti i presidi su sicurezza e salute…
Certamente, ci vorrà maggior attenzione per i problemi della salute e della sicurezza, mentre i presidi per questi argomenti sono stati studiati per funzionare all’interno di un’azienda o una fabbrica, non si è ancora pensato a come tutelare i lavoratori che svolgono le proprie prestazioni ovunque.

Il presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni parlava di un approccio culture diverso…
Vanno superate le arretratezze culturali che portano a concepire il lavoro con parametri che ormai dovrebbe essere superati. Oggi ci sono modalità per valutare il lavoro, indipendentemente dal fatto che sia svolto in ufficio o meno, e bisognerebbe imparare ad usarle. Avere un lavoro stabile non significa alzarsi alle 7 del mattino e andare in ufficio, anzi è questo il tipo di lavoro che tenderà a ridursi ulteriormente negli anni. In termini di prospettiva, c’è molta più stabilità in un rapporto di lavoro che ha modalità agili ed estremamente modulari, rispetto al vecchio schema del lavoro in azienda. Iniziamo a ragionare oltrepassando i vecchi stereotipi…

Jacopo MARCHESANO

Milano capitale italiana dello smart working

Pochi giorni dopo la proposta sulla regolamentazione dello Smart Working nei CCNL depositata alla Camera, il comune di Milano, in particolare l’assessore alla Qualità della Vita del Comune, Chiara Bisconti, con il sostegno di una cordata trasversale che include Abi e Cgil, Assolombarda e Sda Bocconi, ha voluto dedicare una giornata al «Lavoro Agile». Molte aziende lombarde hanno aderito e hanno permesso ai loro dipendenti di lavorare da casa senza recarsi negli uffici del capoluogo, così come  200 lavoratori del Comune.

Uno studio della School of Managament del Politecnico di Milano aveva già evidenziato come lo smart working salverebbe la bellezza di 37 miliardi di euro all’anno di spese, tra aumento di produttività ( ben 27 miliardi) e taglio dei costi (altri 10 miliardi). Con benefici per la collettività che andrebbero al di là dell’aspetto puramente aziendale: 4 milioni di euro in meno a carico dei cittadini ed emissioni di CO2 ridotte di 1,5 milioni di tonnellate.

Ma tra i pro spunta anche qualche contro, per la maggior parte culturale, che avvalora ancor più la tesi espressa nei giorni scorsi dal presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni.Per le aziende, la mancanza di uno spazio fisico limita le procedure di controllo degli impiegati. Per gli assunti, il telelavoro è associato inevitabilmente a precarietà, con i relativi dubbi sulla crescita professionale futura.

Jacopo MARCHESANO

Ambrogioni: “Smart working? Un approccio culturale diverso”

 

In questa nostra settimana dedicata alla proposta delle onorevoli Alessia Mosca (PD), Barbara Saltamartini (NCD) e Irene Tinagli (SC) sulla regolamentazione dello Smart Working nei CCNL, oggi abbiamo incontrato il presidente di Federmanager di Giorgio Ambrogioni per una veloce chiacchierata sull’argomento.

Presidente Ambrogioni, come valuta Federmanager questa nuova modalità di lavoro?
Noi da tempo abbiamo costituito un gruppo di lavoro di tecnici per occuparsi di Telelavoro, siamo convinti che siano indispensabili formule nuove per consentire un rinnovamento all’interno del mercato del lavoro. Ben venga la proposta di legge trasversale depositata da tre deputate che conosciamo e apprezziamo da molti anni, siamo nella direzione giusta.

Quando pensiamo al lavoro da casa facciamo riferimento spesso a lavoratori dipendenti ed impiegati, secondo lei questa nuova modalità potrà essere applicata anche per i manager?
Tutto dipende dal ruolo che il manager svolge in azienda. Ci sono manager che sono responsabili di unità operative e, ovviamente, in questo caso la presenza in azienda gioca un ruolo determinante, ma ci sono anche manager con altri profili che potrebbero tranquillamente lavorare da casa. Moltissimi manager che si occupano di ricerca, di export e della parte legale potrebbero lavorare a casa senza che ci siano particolari differenze. Dobbiamo superare gli schemi, a dir la verità parecchio datati, per i quali se non sei in ufficio è come se non ci fossi. Dobbiamo senza dubbio modificare i nostri modelli organizzativi aziendali.

Meno costi, più produttività: questi gli obiettivi del Telelavoro…
Assolutamente si. Ben gestito e ben coordinato può portare vantaggi notevoli: tempi ridotti e costi minori per l’azienda soprattutto, senza che la produttività di un’azienda ne risenta in alcun modo. Sia nel pubblico sia nel privato, se monitorato, non può che far bene.

Anche in Italia i tempi sono maturi?
Sono più che maturi, anzi siamo quasi fuori tempo massimo. C’è il bisogno assoluto di introdurre dosi massicce di innovazioni dal punto di vista dell’operatività quotidiana, delle relazioni e del modo di concepirci come lavoratori. Mi rendo conto che potranno esserci delle resistenze, ma la strada da intraprendere è questa, nonostante tutto un salto qualitativo nella concezione del ruolo manageriale sarà fondamentale, perché gestire lavoratori da casa significherà una rilettura del proprio modo di fare management da parte nostra e un responsabilizzare molto i dipendenti. Sarà fondamentale un approccio culturale diverso.

Jacopo MARCHESANO

Di più e meglio: lavorare a casa rende

Alessia Mosca del Partito Democratico, Barbara Saltamartini del Nuovo centrodestra, Irene Tinagli di Scelta Civica hanno depositato lo scorso 29 gennaio la proposta di legge che regolamenta lo Smart Working (“Norme finalizzate alla promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro”) nei CCNL (contratti collettivi di lavoro di qualsiasi livello), con specifico accordo economico, strumenti informatici e obblighi di sicurezza su misura, perché come si legge nella proposta «il futuro del lavoro passa per la flessibilità» di orari e sede.

Lo Smart Working viene definito dal comma 2 «prestazione di lavoro subordinato» che si svolge con le seguenti caratteristiche: prestazioni fuori azienda fino al 50% dell’orario annuale, eventuale uso di strumenti informatici e/o telematici per l’attività, niente obbligo di postazione fissa nei periodi di lavoro fuori azienda e il compenso non può essere inferiore a quello previsto per gli altri lavoratori subordinati, a parità, ovviamente, di mansioni.

Nonostante i benefici dello Smart Working siano ormai cosa nota, aumento medio della produttività del 5,5% e risparmi per l’azienda in costi diretti fino a 10 miliardi di euro, la flessibilità nell’orario di lavoro nel nostro Paese è concessa nel 25% delle PMI, e offerta solo nel 10% dei casi.

Jacopo MARCHESANO