Made in Italy in mostra all’Icff

Si è svolta, tra il 17 e il 20 maggio a New York presso il Jacob K. Javits Convention Center la 26esima edizione di Icff International Contemporary Furniture Fair, fiera internazionale del mobile contemporaneo.

Per capire l’importanza dell’evento, occorre spiegare che Icff è la principale piattaforma nel Nord America per il design internazionale e globale, che raccoglie una selezione dei migliori prodotti e delle ultime tendenze, sia per il segmento home che per il contract.

Se, come è ovvio, la maggioranza degli espositori provengono dagli Stati Uniti, sono presenti anche marchi provenienti da Canada, Regno Unito, Italia, Olanda, Austria, Belgio, Francia, Norvegia, per un totale di seicento espositori da 38 paesi, per un pubblico di interior designers, architetti, rivenditori, rappresentanti, distributori, facility manager, che hanno fatto registrare circa 30mila presenze.
Undici le categorie di settore, che comprendono arredi, sedute, tappeti, luci, outdoor, materiali, rivestimenti, accessori tessuti, tessile, cucina e bagno.

Tra i brand italiani presenti in fiera, ricordiamo Arflex, De Castelli che ha fatto il suo debutto all’ICFF, Seletti, Rotaliana, Antolini, oltre a un nutrito gruppo di aziende del settore ceramico, riunite nel padiglione multimarca Ceramics of Italy organizzato da Confindustria Ceramica e dall’Agenzia italiana per la promozione del commercio.

Negli stand di Ceramics of Italy ventitré importanti produttori italiani – tra cui Appiani, Ceramica Bardelli, Ceramiche Refin, Cotto d’Este, Emilceramica, Fap, Mosaico+, Sant’Agostino, Simas – che hanno potuto esporre in altrettanti corner aziendali le ultime novità di prodotto e le tecnologie più innovative delle piastrelle e dell’arredobagno Made in Italy.

Il mercato del Nord America è, considerato il più importante al mondo per consumo di prodotti di design e di arredamento, e il trend in crescita è molto incoraggiante, nonostante si tratti di compratori molto attenti ed esigenti, soprattutto quando si tratta di alta qualità.
E, in questi casi, le garanzie del Made in Italy rappresentano un notevole biglietto da visita..

I marchi italiani sono stati protagonisti di eventi che, nei giorni del Salone, hanno animato la Grande Mela, in particolare negli showroom di Soho e del Village.
Molteni, ad esempio, ha presentato il divano Controra e la scrivania Segreto nel flagship store di Greene Street, Lema ha allestito da Dom Interiors (Crosby Street) uno spazio con le novità presentate al Salone, come la vetrina Galerist di Christophe Pillet e il tavolo Shade di Francesco Rota.

Altri appuntamenti anche presso gli showroom di B&B Italia (Greene Street e 58th Street), Cassina (Wooster Street), Boffi con Living Divani (Greene Street), FlexForm (56th Street).

Tra le attrazioni più apprezzate c’è stato Wanted Design, esposizione collettiva di marchi, eventi, installazioni, ambientata nel Terminal Stores Building sull’11th Avenue: sessanta i marchi selezionati da tutto il mondo, tra cui gli italiani Moroso, Cappellini, Gufram, Alessi, Seletti.

Vera MORETTI

Bando per le imprese digitali italiane

Le imprese attive nel settore digitale che sorgono nelle province di Milano e Monza Brianza sono oltre 18mila, operanti nella produzione di computer e software ma anche nelle telecomunicazioni, ma anche in servizi di informazione, e pari al 60% del totale lombardo.

Milano, inoltre, è regina dell’hi-tech a livello nazionale, ma tra le prime dieci città c’è anche Monza Brianza, che quindi detiene un personale primato anche a livello Paese.

Per le imprese digitali italiane, i mercati più importanti verso cui rivolgersi sono Stati Uniti e Canada e, a questo proposito, Milano e Monza Brianza insieme totalizzano un export di quasi 300 milioni di euro nel 2013 mentre l’import arriva a piu’ di 340 milioni per un interscambio complessivo di circa 640 milioni di euro, il 76% del totale lombardo.
In crescita in particolare l’export di Monza e Brianza (+2,3% rispetto all’anno precedente).

Tutte possono partecipare ai bandi voucher economia digitale, appena partito e dedicato alle pmi hi-tech.
I bandi sono promossi da Regione Lombardia, Camera di Commercio di Milano e Camera di Commercio di Monza e Brianza, in collaborazione con Unioncamere Lombardia e Promos, e finanziano la partecipazione ad un percorso strutturato di formazione e accompagnamento personalizzato che culminerà con la realizzazione di missioni esplorative in Usa e Canada.

Le imprese potranno beneficiare di un team di esperti che fornirà loro formazione tecnica, strumenti informativi dedicati, assistenza personalizzata e accompagnamento nel corso di missioni esplorative all’estero, che si svolgeranno nell’autunno 2014.

Questi bandi mirano ad aumentare la competitività delle imprese fuori dai confini nazionali, ma ciò può avvenire solo grazie ad una conoscenza diretta dei mercati esteri più innovativi e strategici.

Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere Lombardia, ha dichiarato: “La passione e l’impegno delle nostre imprese possono trovare nuovi stimoli dal contatto con best practices e potenziali partner internazionali. Vogliamo mettere a loro disposizione i contatti e le competenze di cui il Sistema Camerale dispone, per sviluppare la loro capacità attrattiva in ambito internazionale e la loro competitività”.

Mauro Parolini, assessore al Commercio, Turismo e Terziario di Regione Lombardia, ha aggiunto: “L’economia digitale rappresenta un settore strategico per la competitività del nostro sistema economico, perché capace di creare valore, incremento del Pil, occupazione e crescita dell’export. Le imprese digitali hanno infatti la capacità di massimizzare le potenzialità del web a servizio della performance imprenditoriale e per questo sono un fattore-chiave su cui tutte le economie piu’ avanzate stanno puntando. La Lombardia vanta importanti professionalità in questo settore, che Regione intende sostenere e promuovere. Pertanto, in collaborazione con il Sistema Camerale e Promos lanciamo questi bandi al fine di offrire un percorso di accompagnamento verso l’internazionalizzazione ad aziende che – per cultura e capacità proprie, limiti dimensionali e strutturali e, a volte, offerta di servizi non coerente con le necessità”.

Ha commentato Pier Andrea Chevallard, segretario generale della Camera di Commercio di Milano: “Innovazione e internazionalizzazione sono due leve determinanti su cui puntare per aiutare la competitività elle nostre imprese. La Camera di commercio di Milano, attraverso la sua azienda speciale Promos per le attività internazionali, opera sostenendo e accompagnando le aziende lombarde sui mercati esteri. E questo bando dedicato alle imprese del settore digitale può essere un utile strumento per sviluppare nuove competenze e sinergie”.

Ha poi concluso Carlo Alberto Valli, presidente della Camera di Commercio di Monza e Brianza: “In un momento come quello che stiamo vivendo in cui l’internazionalizzazione rappresenta un asset strategico per la ripresa. E’ necessario valorizzare e promuovere i percorsi di accompagnamento delle imprese verso i mercati esteri. Per questo, come Camera di Commercio intendiamo sostenere il settore dell’economia digitale attraverso la formazione indirizzata al business internazionale”.

Vera MORETTI

Le 10 verità sulla competitività dell’Italia

L’Italia è tra i cinque Paesi che, al mondo, possono vantare un surplus commerciale manifatturiero superiore a 100 miliardi di dollari.

Questo dato è una delle 10 verità che riguardano la competitività del Belpaese, secondo un’indagine condotta da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, illustrata da Marco Fortis, vicepresidente Fondazione Edison, e Ermete Realacci, presidente di Symbola, e che punta a “sfatare i tanti luoghi comuni che non rendono giustizia al nostro Paese e rischiano di distogliere l’attenzione dai suoi reali problemi. Dal 2008 il nostro fatturato estero manifatturiero è cresciuto (+16,5%) più di quello tedesco (+11,6%)”.

Oltre all’Italia, gli altri quattro Paesi sono Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud, mentre Francia (-34 mld), Gran Bretagna (-99) e Usa (-610) vedono la bilancia commerciale manifatturiera pendere al contrario, secondo i dati del Wto.

Le altre nove verità sulla competitività dell’Italia sono le seguenti:

  • Le imprese italiane sono tra le più competitive al mondo. Su un totale di 5.117 prodotti nel 2012, l’Italia si è piazzata prima, seconda o terza al mondo per attivo commerciale con l’estero in ben 935 (dati Istat, Eurostat, Un Comtrade).
  • L’Italia è tra i paesi avanzati che, nella globalizzazione, ha conservato maggiori quote di mercato mondiale. Mantenendo, dopo l’irruzione della Cina e degli altri Brics, il 71% delle quote di export rispetto al 1999: come gli Usa, mentre il Giappone le ha viste ridotte al 67%, la Francia al 61%, la Gran Bretagna al 55% (dati Wto).
  • Il modello produttivo italiano è tra i più innovativi in campo ambientale. Per ogni milione di euro prodotto dalla nostra economia emettiamo in atmosfera 104 tonnellate di CO2, la Spagna 110, il Regno Unito 130, la Germania 143. Più efficienti anche nel campo dei rifiuti: con 41 tonnellate ogni milione di euro prodotto distanziamo di parecchio anche la Germania (65 t).
  • L’Italia è, in Europa, la meta preferita dei turisti extraeuropei. Il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue, con 54 milioni di notti. Meta preferita di paesi come la Cina, il Brasile, il Giappone, l’Australia, gli Usa e il Canada (dati Eurostat).
  • La zavorra del Pil italiano non è certo la competitività dell’industria, ma il crollo della domanda interna. Il fatturato interno dell’industria manifatturiera italiana ha perso il 15,9% rispetto al 2008, contro lo 0,3% della Germania e a fronte di una crescita del 4,6% in Francia.
  • La crescita degli altri paesi non è fatta di sola competitività, ma anche di debito. Un ruolo decisivo, infatti, lo ha avuto proprio l’aumento del debito: quello aggregato (pubblico e privato) dell’Italia è cresciuto del 61% rispetto al Pil tra il 1995 e il 2012, mentre quello francese cresceva dell’81%, quello britannico del 93%, quello spagnolo del 141% (dati Eurostat).
  • Dagli inizi degli anni ’90 ad oggi la ‘quota di mercato’ dell’Italia nel debito pubblico totale dell’eurozona è costantemente calata. Infatti il peso del nostro debito pubblico rispetto al totale del debito pubblico europeo è sceso dal 28,7% del 1995 al 22,1% del 2013 (dati Commissione Europea).
  • Considerando il debito aggregato (Stato, famiglie, imprese) l’Italia è uno dei paesi meno indebitati al mondo: quello italiano pesa il 261% del Pil. Quello del Giappone il 412%, quello della Spagna il 305%, quello britannico il 284%, quello degli Stati Uniti il 264% (dati Banca d’Italia).
  • Dal 1996 ad oggi l’Italia ha prodotto il più alto avanzo primario statale cumulato della storia: 591 miliardi di euro correnti, ben 220 miliardi in più della virtuosa Germania.

Vera MORETTI

L’export sorride al lusso Made in Italy

Il lusso Made in Italy sembra inarrestabile, soprattutto nei confronti dei mercati esteri, sempre più attratti dai prodotti provenienti del Belpaese, senza esclusione di zona.

Se, infatti, fanno da traino all’export italiano le richieste provenienti da Stati Uniti, Germania e Inghilterra, hanno molto da dire in proposito anche i mercati, ormai non troppo emergenti, di Russia, Corea del Sud e Giappone, con Brasile e Cina in sostanziale ascesa.

Di questo ed altro si è parlato durante il convegno organizzato a Firenze dalla società di revisione contabile e assistenza fiscale internazionale Ernest & Young, che ha creato un dipartimento dedicato a moda e lusso.

Tra i relatori, era presente anche Carloalberto Corneliani, il quale ha dichiarato a proposito: “Io sono fermamente convinto che noi come Made in Italy possiamo occupare solo la fascia premium e lusso del mercato,che rappresenta il 15%. Con la crisi abbiamo perso un 85% del mercato nella fascia medio-bassa, in cui non possiamo più competere. Da noi il costo orario è intorno a 20 euro, in altri paesi, come la Bulgaria, è 5 euro“.

A queste parole ha fatto eco Claudio Marenzi, di Herno: “L’Italia è l’unico paese occidentale con una filiera produttiva intatta. Ma c’è bisogno di una legislazione europea per tutelare il Made in Italy“.

Senza internazionalizzazione non c’è crescita e esempio lampante è Santoni, che, investendo nell’export, sta registrando una crescita del 10-15% all’anno.

Invece si avvicina la possibilità reale della quotazione per la Stefano Ricci, confermata da Niccolò Ricci, AD della griffe: “Tre anni fa, passando un certo fatturato, abbiamo iniziato a parlare di una possibile quotazione in borsa e ora stiamo valutando per l’anno prossimo o il 2016. Non c’è una necessità, ma è più un discorso di valorizzazione dei primi 40 anni di un’azienda sana che cresce“.

Buone notizie anche sul fronte del fatturato del settore moda che dovrebbe chiudere il 2014 con un fatturato di 62 miliardi di euro (+5,4%), trainato dall’export che ha superato la quota del 50%.
C’è invece una certa sofferenza nel comparto delle aziende familiari: nel 1995 le aziende del settore a struttura familiare superavano il 70% del totale, mentre oggi la quota è al 30%. Quelle in salute che oggi sono alla seconda generazione sono il 30%, mentre quelle alla terza generazione sono solo il 15%.

Vera MORETTI

Piemonte leader per innovazione

Se gli italiani sono un popolo di creativi, quando si tratta di innovazione storcono il naso e rimangono ancorati alle loro tradizioni.
L’esempio più lampante viene dalla valutazione sull’innovazione appena pubblicata dalla Commissione Europea, che boccia il Belpaese senza possibilità di replica.

Non solo l’Italia non può competere con Svezia, Danimarca, Germania e Finlandia, ovvero i Paesi che, più di altri, hanno dimostrato di voler investire su innovazione e tecnologia, ma a stento tiene il passo con la Grecia, che notoriamente non brilla per essere all’avanguardia.

La problematica principale è la spaccatura tra le regioni, con il Mezzogiorno che arranca e alcune realtà del nord che, invece, si distinguono per progetti e proposte interessanti ed in grado di tener testa ai “primi della classe” a livello europeo.
Esempio lampante è quello di Piemonte, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, che hanno dimostrato di saper orientare i propri fondi e formare i giovani, ma soprattutto di voler studiare e programmare per ridurre il divario che ancora esiste tra Europa e Stati Uniti e Giappone.
In realtà, il gap si sta assottigliando, anche se molto lentamente, non solo a causa di Paesi ancora molto indietro quanto ad innovazione, ma anche per il passo lungo con cui procedono Paesi come la Corea del Sud, tanto da vantare un tasso di crescita dell’innovazione del 6% nel periodo 2006-2013, quando in Europa è solo del 2,7%.

Antonio Tajani, commissario europeo per l’industria, chiede che vengano introdotte riforme ad hoc: “Quando c’è un fardello fiscale così forte sulle imprese è difficile investire molto in innovazione e ricerca. La Commissione ha sempre raccomandato al governo italiano, e credo continuerà a farlo, di ridurre la pressione fiscale sul sistema produttivo“.

Tra i punti deboli dell’Italia c’è la poca collaborazione tra studenti ed imprese, mentre pubblicazioni scientifiche, brevetti e licenze vendute all’estero rappresentano veri punti di forza del nostro Made in Italy.
A preoccupare, sono soprattutto gli investimenti di venture capital e la spesa per l’innovazione non legata alla ricerca e sviluppo.
La buona notizia riguarda i piemontesi, che sono vicini ai Paesi migliori da almeno quattro anni, con il Mezzogiorno in affannoso recupero nei confronti della Lombardia.

Tajani, a questo proposito, ha dichiarato: “In Piemonte c’è un tessuto industriale forte che ha permesso di resistere meglio alla crisi rispetto ad altre realtà nazionali. La presenza della Fiat è stata importante come tutto il sistema delle piccole imprese, hanno fatto la differenza mentre il Paese faticava“.

Vera MORETTI

Il vino italiano re dell’export

Se, da una parte, rimangono i Paesi dell’Unione Europea quelli maggiormente interessati ai prodotti agroalimentari italiani, va detto che l’attenzione dei Paesi extra Ue nei confronti della nostra gastronomia sta crescendo sensibilmente.

Tra i prodotti che maggiormente hanno visto ingrandire il volume delle loro esportazioni c’è soprattutto il vino, che piace a russi, cinesi, americani ed australiani.
Verso queste popolazioni, infatti, le vendite sono aumentate regolarmente negli ultimi dieci anni, e i margini di miglioramento sono ancora molto elevati.

Nonostante la concorrenza diretta con la Francia, ma anche con Cile, Australia e Sudafrica, l’export di vini italiani ha saputo reggere il passo, e, anzi, registrare percentuali positive a doppia cifra, soprattutto in Francia (13,9%) e Regno Unito (12,4%), mentre Paesi dell’Est come la Polonia fanno rilevare un interesse crescente per i vini di qualità Made in Italy (+9,5% nei primi 9 mesi dello scorso anno).

I migliori risultati appartengono ai distretti delle Langhe, Roero e Monferrato in Piemonte, del prosecco di Conegliano-Valdobbiadene in Veneto e del Chianti in Toscana.

Paolo Scavino, azienda vitivinicola della regione del Barolo, ha assicurato con Sace 72.000 euro di forniture di vino commissionate da un’impresa di Hong Kong; Luciano Sandrone, azienda agricola specializzata nella produzione di Nebbiolo del Barolo e Roero, ha assicurato con Sace 18.000 euro di forniture di vino rosso (un totale di 780 bottiglie) commissionate da un’impresa cinese; Marenco, azienda di Strevi (Alessandria) specializzata nella produzione e commercializzazione di vini pregiati, ha assicurato 6.300 euro di forniture di vino a Taiwan.

Anche le produzioni della Toscana riscontrano un grande successo, dall’America Latina all’Asia.
Barone di Ricasoli ha ottenuto con la garanzia di Sace un finanziamento da 2,5 milioni di euro per i propri piani di crescita all’estero; Le Crete, azienda vinicola senese ha assicurato oltre 80.000 di euro alcune forniture di vino rosso in Messico; Franceschi Leopoldo, azienda vinicola di Montalcino ha assicurato oltre 25.000 di euro vendite di vino commissionate da due società cinesi.

Ma anche il Veneto non sta a guardare: Bisol, azienda trevigiana attiva nella produzione e commercializzazione di prosecco, ha ottenuto con la garanzia di Sace un finanziamento di 1 milione di euro per i piani di crescita in Italia e all’estero.
Zonin, nota casa vinicola di Vicenza attiva nella produzione di vini e spumanti, ha ottenuto con la garanzia di Sace due linee di credito del valore complessivo di 1 milione di euro per i propri piani di crescita negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

I vini della Puglia stanno muovendo i loro primi passi a livello internazionale: Sace ha garantito un finanziamento da 500.000 euro a favore di Cantine due Palme per l’acquisto di uve destinate alla produzione di vino pregiato per i mercati esteri e per sostenere i costi di partecipazione alla fiera Vinitaly.

Vera MORETTI

Cifre da record per l’export del cibo Made in Italy

Nessuna crisi per il cibo Made in Italy, che, soprattutto quando si tratta di esportazione, non conosce rivali.

Coldiretti, con un’indagine condotta da Istat, ha reso noto, infatti, che i prodotti agroalimentari italiani hanno raggiunto, nell’anno appena trascorso, la quota record di 33 miliardi di euro.

La maggior parte dei prodotti nostrani partono alla volta dei Paesi dell’Unione Europea, per un valore stimato di 22,5 miliardi (+5%), ma anche negli Stati Uniti le vendite sono andate benissimo, con 2,9 miliardi (+6 per cento), così come nei mercati asiatici (+8 per cento, 2,8 miliardi) e in quelli africani dove si è avuto un incremento del 12 per cento, arrivando a quota 1,1 miliardi.

I risultati migliori arrivano però dall’Oceania, dove, nonostante l’importo contenuto, le esportazioni sono aumentate del 13%.

Tra i settori che piacciono di più c’è il vino, con 5,1 miliardi, pari a +8%, seguito da ortofrutta fresca (4,5 miliardi di euro), che cresce del 6%, mentre l’olio che fa segnare un +10% che porta il valore complessivo a 1,3 miliardi.
Aumenta pure la pasta che rappresenta una voce importante del Made in Italy sulle tavole straniere con 2,2 miliardi (+4% ).

Per quanto riguarda il vino, piace anche ai principali concorrenti, come la Francia, dove gli acquisti sono cresciuti dell’11%, Stati Uniti (+8%), Australia (+21%) e nel Cile (+66%).
Lo spumante si afferma in Cina (+101%) ma anche in Gran Bretagna (+50%) e in Russia (+31%), mentre la birra ha registrato forti incrementi nei paesi nordici, a cominciare dalla Germania (+66%), la Svezia (+19%), e l’Olanda (+9%).

Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, ha dichiarato: “Il record fatto registrare dall’export è il frutto del lavoro di un tessuto produttivo ricco, capillare, che coinvolge milioni di uomini e che rende l’Italia competitiva anche all’interno dei processi di mondializzazione dell’economia e delle idee. Ora occorre che questo patrimonio sia difeso, portando sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e dando completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”.

Vera MORETTI

Richmond alla conquista degli States

Punta oltreoceano Richmond, la linea giovane del marchio inglese John Richmond che è, invece, interamente italiana.

La collezione che si appresta a conquistare gli Stati Uniti, e che è completa di accessori in stile punk-rock, borse e scarpe comprese, ha come punta di diamante i jeans, i giubbini e le giacche, dal taglio super moderno, adatte ad un pubblico molto giovane.

Anche i prezzi si differenziano rispetto alla prima linea di John Richmond, poichè sono ribassati del 30-40%.
Quando si tratta di linee giovanili, infatti, l’accessiblità dei prezzi rappresenta una conditio sine qua non. E se così non fosse, stenterebbe a decollare, indipendentemente dalla qualità.

Prima tappa di quella che si preannuncia come un tour di successo è stata l’apertura di una grande boutique di 450 metri quadrati sulla Quinta Strada, all’angolo con la 56esima, a fianco di Abercrombie&Fitch e di fronte agli store di Giorgio Armani e Dolce e Gabbana.

Per l’allestimento di questa boutique non si è badato a spese: sono stati investiti 7 milioni di dollari e la firma dell’architetto Christophe Pillet, che si era già occupato della boutique di Parigi del marchio.

In questo caso, a colpire è la vetrina, unica ma enorme: 12 metri di lunghezza che non passeranno certo inosservati.
L’interno, invece, si contraddistingue con i colori tipici della maison, che digradano dal bianco al grigio, fino al total black, molto in stile rock, ma senza perdere la sua anima british.
E sopra la boutique, ecco lo show-room, che è stato studiato apposta per diventare, dalla prossima stagione, il quartier generale per tutta la distribuzione americana del brand.

Tutto ciò che verrà esposto nel negozio newyorkese avrà l’etichetta 100% Made in italy, poiché i capi saranno tutti prodotti a Forlì dalla Falber Fashion, l’azienda costituita di recente da Saverio Moschillo, l’imprenditore italiano che, insieme alla figlia Alessandra, produce il marchio inglese e che fu il primo a scoprirlo, ormai più di vent’anni fa.

La nuova società ha acquisito la produzione dell’abbigliamento John Richmond, denim compreso, più la Black Label, gli accessori e la linea bimbo. Tutto questo, sommato alle licenze per occhiali, profumi e calzature, crea un business di 300 milioni di euro.

L’apertura dello store sulla Quinta Strada non è che l’inizio, poiché il progetto prevede che siano ben dieci le boutique da far sorgere negli Stati Uniti, senza ovviamente dimenticare la prima linea, quella del prêt-à-porter di lusso di John Richmond.

Il marchio, a dir la verità, è già molto apprezzato all’estero, come dimostrano i successi delle sfilate durante la settimana della moda milanese, e che hanno portato il brand inglese anche nel Middle East, soprattutto in Russia e Cina, dove Moschillo ha un piano di espansione insieme a un partner d’eccezione: Bang Di, il terzo gruppo più importante e influente della Cina sul fronte della moda.

Vera MORETTI

Lezione di export per le imprese reggiane

Scade oggi la possibilità di iscriversi e partecipare al percorso formativo e di approfondimento organizzato dalla Camera di Commercio di Reggio Emilia relativo alle modalità di approccio per esportare in Canada e negli Stati Uniti.

Gli incontri si svolgeranno presso la Sala Grasselli della CdC il 25 novembre, 5 e 16 dicembre dalle ore 14.30 alle ore 18.30.
Il percorso formativo è rivolto alle imprese reggiane che desiderano acquisire gli strumenti adatti ad affrontare il mercato Nord americano.

Due Paesi come Canada e Stati Uniti rappresentano uno sbocco particolarmente interessante, considerando che coinvolge 460 milioni di consumatori e che entrambi vantano un efficiente ed integrato network di distribuzione come pure un’approfondita conoscenza della clientela.

La partecipazione è gratuita ed è riservata ad un massimo di 25 imprese.
Durante i tre appuntamenti si parlerà di analisi delle opportunità, avvio e gestione consapevole del processo di internazionalizzazione con un’area commerciale così vasta e spesso poco conosciuta. L’iniziativa è rivolta alle aziende di tutti i comparti e sarà orientata in base alle necessità specifiche delle imprese aderenti (da segnalare nella scheda di adesione).

Il corso di aggiornamento può anche essere utile qualora le imprese partecipanti decidessero di partecipare a Fancy Food, la fiera che si svolgerà nel 2014 a New York alla quale parteciperà la Camera di Commercio di Reggio Emilia.

Per ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito camerale, dove è scaricabile il modulo di adesione.

Vera MORETTI

Dirigenti PA: gli italiani sono i più pagati

Forse le Pubbliche Amministrazioni italiane non riescono a saldare i debiti che hanno nei confronti delle imprese a causa degli stipendi troppo alti riservati ai loro dirigenti.
Si tratta di un paradosso, ovviamente, ma quello che risulta, invece, reale, è che i dirigenti della nostra PA sono quelli meglio pagati, tra tutti i Paesi Ocse.

Sembra, infatti, che i fortunati percepiscano, in media, una retribuzione di 632 mila dollari l’anno, ovvero tre volte di più rispetto alla media degli altri Paesi, dove la media si ferma a
232 mila dollari.
Al secondo posto, dopo l’Italia, c’è la Nuova Zelanda, dove i dirigenti guadagnano 400 mila dollari all’anno, e al terzo il Cile.
Il distacco con Francia e Germania, rispettivamente quarta e quinta, è ampio, poiché si fermano entrambi intorno a 250 mila dollari.

Perdono il primato invece i dirigenti italiani di secondo livello della pubblica amministrazione, anche se, con 176 mila dollari l’anno, si collocano comunque ben sopra la media Ocse di 126 mila, anche se vengono nettamente superati dagli americani che portano a casa circa 250 mila dollari l’anno.
Retribuzioni più alte rispetto a quelle degli italiani anche per i dirigenti di Olanda, Francia e Belgio.

Risultano sottopagati i funzionari italiani della pubblica amministrazione con 69 mila dollari l’anno contro una media Ocse che sfiora i 90 mila dollari.
Anche per questa fascia primato ai dirigenti degli Stati Uniti con 160 mila dollari l’anno, oltre 100 mila dollari anche per i funzionari pubblici di Belgio, Danimarca, Olanda e Spagna.

Dal rapporto Ocse, inoltre, emerge che i dipendenti pubblici hanno una incidenza inferiore rispetto alla media Ocse, poiché essi rappresentano il 13,7% del totale degli occupati contro il 15,5% della media dei paesi Ocse.
Nei paesi scandinavi i dipendenti pubblici sono circa il 30% del totale degli occupati, in Francia superano il 20% e in Gran Bretagna sono il 18%.
Anche gli Stati Uniti superano l’Italia: ogni 100 occupati 15 lavorano nella pubblica amministrazione.

Vera MORETTI