Le tasse mascherate dello Stato

Che lo Stato sia spesso ladro, è convinzione che Infoiva ha da tempo. E, a dimostrazione del fatto che la nostra convinzione è anche una solida realtà, arriva un’analisi effettuata dall’Ufficio studi della Cgia dalla quale emerge che nel 96% dei casi le tasse pagate dalle famiglie dei lavoratori dipendenti sono prelevate alla fonte – dalla busta paga o incluse nei beni o nei servizi acquistati -, mentre solo il restante 4% è versato al fisco attraverso un’operazione di pagamento allo sportello, sia esso bancario o postale.

Nel dettaglio, la Cgia ha calcolato che nel 2016 la famiglia tipo presa a modello dell’analisi (marito e moglie lavoratori dipendenti con un figlio a carico) pagherà circa 17mila euro di tasse, un carico fiscale a dir poco vergognoso.

Nello specifico, il marito preso come modello è un operaio specializzato con reddito da lavoro dipendente pari a 22.627 euro (circa 1.513 euro/mese per 13 mensilità), mentre la moglie è impiegata in una piccola azienda artigiana, con reddito da lavoro dipendente pari a 17.913 euro (circa 1.235 euro/mese).

La famiglia in questione alle prese con le tasse abita in un appartamento di 94 mq calpestabili, la cui rendita catastale è di 522 euro, e possiede due auto, di cilindrata pari a 1.800cc e 1.200cc con le quali vengono percorsi rispettivamente 15.000 km e 5.000 km all’anno. Ecco il dettaglio delle tasse pagate, suddiviso in 3 voci.

prelievo “alla fonte”. Pesa il 65% carico fiscale annuo, 11.098 euro. Comprende i versamenti dei contributi previdenziali Inps, Irpef e le addizionali regionali e comunali Irpef;

tasse “nascoste”. Pesano il 31% del carico fiscale annuo, 5.230 euro. Iva, accise collegate alla benzina e alle bollette di luce e gas, tasse e imposte comprese nell’assicurazione auto, nei bolli dei conti correnti e dei dossier titoli, canone Rai;

tasse “consapevoli”. Pesano il 4% del carico fiscale annuo, 696 euro. Bollo auto e Tari.

Con questa analisi, la Cgia ha voluto sottolineare come lo Stato ladro sia bravo a farci pagare le tasse senza farci apparentemente soffrire, come se fosse un vampiro buono. Ricorda Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia: “Nel momento in cui ci rechiamo in banca o alle poste per pagare il bollo dell’auto, la Tari o l’Imu, psicologicamente percepiamo maggiormente il peso economico di questi versamenti rispetto a quando subiamo il prelievo dell’Irpef o dei contributi previdenziali direttamente dalla busta paga. Nel momento in cui mettiamo mano al portafoglio prendiamo atto dell’entità del pagamento e di riflesso scatta una forma di avversione nei confronti del fisco. All’opposto, quando i tributi vengono riscossi alla fonte, l’operazione è astrattamente meno indolore, perché avviene in maniera automatica”.

Canone Rai in bolletta, ecco il decreto attuativo

Sul canone Rai in bolletta si è detto e si è scritto di tutto. Proteste, ritardi, poca chiarezza. Ora, per provare a mettere un freno al bailamme di voci, arriva il decreto attuativo sul canone Rai, inviato dai ministeri dell’Economia e dello Sviluppo Economico all’Autorità per l’Energia e al Consiglio di Stato, che dovranno esprimere i loro pareri.

Il decreto attuativo mette anche a tacere le lamentele delle società elettriche che nei mesi scorsi avevano sollevato dubbi sull’incertezza normativa e sulle modalità della fatturazione e della riscossione del canone Rai in bolletta. Le società riceveranno infatti dall’Agenzia delle Entrate 14 milioni quest’anno ed altrettanti nel 2017; risorse rese subito disponibili come una sorta di “risarcimento” per la gestione del canone Rai in bolletta della luce.

Ma le novità su questa rapina di Stato che interessano più da vicino i contribuenti sono altre. Confermati, come ormai sanno anche i sassi, l’importo (100 euro) e la prima scadenza (60 euro a luglio 2016). È poi bene sapere che il titolare del contratto di fornitura di energia elettrica diventerà titolare anche dell’abbonamento televisivo, poiché sarà effettuata una voltura automatica.

Rischio evasione azzerato, quindi? Non proprio. Non sono esclusi casi di utenti morosi per la sola parte di bolletta relativa al canone Rai. Per costoro non ci sarà il tanto invocato distacco dell’erogazione dell’energia elettrica ma il gestore elettrico si limiterà a chiedere il sollecito del pagamento, lasciando all’Agenzia delle Entrate l’onere di irrogare sanzioni o avviare azioni coatte di recupero delle somme.

La barzelletta però riguarda i casi, previsti dal decreto, di famiglie i cui consumi di energia potranno risultare pari a zero. Ebbene, saranno comunque tenute a pagare il canone Rai con fatture “almeno una volta ogni 4 mesi”, recita il decreto. Se non è una rapina questa…

Confermate le esenzioni dal pagamento del canone Rai chi non ha un apparecchio televisivo, per chi ha più di 75 anni o un reddito familiare massimo di 8mila euro lordi/anno. Confermate anche le modalità di comunicazione alla Rai della propria condizione di esenti: tramite posta normale all’indirizzo Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale 1, Sportello Sat, Corso Bolzano n. 30, 10121, Torino (meglio se con raccomandata a/r) o tramite posta elettronica certificata all’indirizzo DP.1TORINO@PCE.AGENZIAENTRATE.IT). Poi è bene incrociare le dita e sperare che l’azienda non continui a vessare con la richiesta di pagamento o con verifiche “sul campo” dell’identità del richiedente o della presenza di un televisore.

Infine, siccome in Italia quando si fanno i fighi con le novità non sempre queste funzionano, una parte minoritaria di cittadini continuerà a pagare il canone Rai come sempre: in un’unica soluzione con bollettino postale. Si tratta degli abitanti di alcune isole (in rigoroso ordine alfabetico: Alicudi, Capraia, Capri, Favignana, Filicudi, Giglio, Lampedusa, Levanzo, Linosa, Lipari, Marettimo, Panarea, Pantelleria, Ponza, Salina, Stromboli, Tremiti, Ustica, Ventotene, Vulcano), che scontano il fatto che la loro rete elettrica non è interconnessa a quella nazionale. Per loro la scadenza per il saldo del canone Rai è fissata al 31 ottobre. Chissà poi perché…

Pressione fiscale, l’allarme di Confcommercio

Quando non ci pensa la Cgia a far i conti della pressione fiscale invereconda cui è sottoposto il nostro Paese, ecco venire in soccorso della verità la Confcommercio. E lo fa con una denuncia senza appello: secondo l’ultima ricerca Confcommercio-Cer su finanza pubblica e tasse locali, dal 1995 al 2015, la pressione fiscale in Italia è passata dal 40,3% al 43,7% e le tasse locali sono passate da 30 miliardi a 103 miliardi di euro, +248%, mentre le tasse centrali sono balzate da 228 miliardi a 393 miliardi, +72%. Roba da terzo mondo.

Il dettaglio della ricerca dice poi che le imposte sugli immobili sono aumentate del 143%, passando da 9,8 miliardi a 23,9 miliardi di euro, mentre dal 2011 al 2015 la tassa sui rifiuti è aumentata del 50%.

E non è finita qui, perché anche per quest’anno la pressione fiscale è destinata ad aumentare, poiché Confcommercio stima che nel 2016 le imposte sugli immobili e sui rifiuti faranno registrare un aumento complessivo dell’80% rispetto al 2011, da 15,4 a 27,8 miliardi.

Il commento a questi dati del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, è impietoso: “Il 2016 sarà un anno difficile, di sfida, perché ci entriamo con un dato inaspettato e deludente sul Pil dell’ultimo trimestre 2015, ma l’Italia ha le carte in regola per crescere in modo soddisfacente, le condizioni sono: abbattimento della spesa pubblica improduttiva per ridurre le tasse a famiglie e imprese e che la legge di stabilità esplichi tutti i suoi effetti competitivi“.

E non è tutto. “Anche se la spesa pubblica corrente si è finalmente ridotta nel 2015 – ha poi aggiunto Sangalli -, gli sforzi fatti non sono sufficienti. La crescita della pressione fiscale indebolisce il nostro sistema produttivo, già stremato da una crisi durissima. Ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie è prioritario. Le nostre imprese, quelle del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti non vogliono e non possono più pagare il conto di enti pubblici inefficienti. E soprattutto non vogliono subire trattamenti discriminatori e penalizzanti nel pagamento delle tasse locali”.

Canone Rai in bolletta, che barzelletta!

Come si suol dire… il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Nel nostro caso il diavolo è il governo, le pentole il canone Rai in bolletta elettrica, i coperchi le modalità per la riscossione da parte delle imprese elettriche.

Sì, perché dopo gli annunci in pompa magna dell’ok al ladrocinio del canone Rai in bolletta da parte dell’Esecutivo, si scopre ora che le imprese elettriche “non sanno cosa fare” per riscuoterlo, o meglio, per girare al Fisco quanto riscosso. Parole del presidente di Assoelettrica, Chicco Testa.

Infatti ministero dell’Economia e Mise avrebbero dovuto emanare un decreto ad hoc entro il 14 febbraio, con il quale specificare le modalità con cui le imprese elettriche avrebbero girato al fisco gli introiti del canone Rai, ma questo decreto non è arrivato.

Siamo al 15 febbraio – ha detto Testa -, ma le imprese del settore ancora non sanno come dovranno esigere il canone Rai che il governo ha voluto inserire nelle bollette dell’energia elettrica. Il rischio è che si arrivi impreparati alla scadenza del prossimo luglio”.

Le imprese – ha proseguito Testa parlando dei problemi legati al canone Rai in bolletta – devono predisporre i necessari sistemi informatici per emettere le nuove fatture modificate, bisogna incrociare le banche dati, occorre chiarire una lunga serie di problemi che ancora non sono stati sciolti, dalla questione dei ritardati pagamenti, alla morosità, dall’eventualità di un cambio di fornitore ai pagamenti parziali, dai reclami ai contratti non residenti. Insieme a Utilitalia, abbiamo preparato un documento circostanziato che elenca tutti i problemi aperti, ma il ministero per lo Sviluppo economico ancora non ci ha dato risposta. E il tempo ormai stringe”.

Il gran banchetto delle addizionali

Se lo stato è ladro, le amministrazioni locali possono essere da meno? No di certo, specialmente se anche loro sono vittime dei tagli e delle ruberie dello stato centrale. Ecco allora che, per rifarsi, mettono le mani nelle tasche dei cittadini contribuenti sudditi con uno dei meccanismi per loro più redditizi: le addizionali.

Secondo calcoli effettuati dall’Ufficio studi della Cgia, dal 2010 ad oggi il gettito derivante dall’applicazione delle addizionali Irpef ha subito un aumento spropositato: quello relativo alle addizionali regionali ha fatto registrare un +34%, quello delle addizionali comunali un +54%. E per il 2016 il gettito totale per comuni e regioni è stimato in oltre 15 miliardi.

L’analisi della Cgia è stata effettuata sul prelievo di queste imposte locali sulle retribuzioni di alcune categorie di dipendenti, pensionati e sui redditi dei lavoro autonomo di residenti in circa 100 Comuni capoluogo di provincia.

Relativamente alle addizionali comunali Irpef, queste sono passate da 2,9 miliardi di euro del 2010 agli oltre 4,4 miliardi del 2014. Sono 63 i comuni capoluogo di provincia che, lo scorso anno, hanno applicato le aliquote al livello massimo consentito dello 0,8%, dopo che nel biennio 2009-2010 erano state bloccate. Una decina di comuni ha aumentato il prelievo nel 2015 rispetto al 2014.

Le addizionali regionali sono passate da un’aliquota base dello 0,5% nel 1998 e nel 1999 allo 0,9% del 2000 fino all’1,23% del 2011. Su fronte dell’autonomia tributaria delle regioni, fino al 2013 l’aliquota base poteva essere incrementata dello 0,5%, fino all’1,73%, mentre nel 2014 e nel 2015 le Regioni hanno potuto innalzarle rispettivamente dell’1,1% e del 2,1%.

Commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “Per l’anno venturo con la legge di Stabilità 2016 il Governo ha deciso di bloccare gli eventuali aumenti delle imposte locali solo per le regioni che non si trovano in deficit sanitario. Considerato che sono otto quelle sottoposte ad un piano di rientro dal disavanzo per la spesa sanitaria, per molti contribuenti vi è comunque il pericolo di subire un ulteriore aumento del prelievo, visto che per il 2016 il fabbisogno sanitario nazionale è stato rideterminato con un risparmio di spesa di quasi 1,8 miliardi di euro”.

Qualche precisazione sul canone Rai

Premessa doverosa e obbligatoria, anche se ci segue da tempo lo sa: Infoiva odia il canone Rai. Imposta anacronistica, anticoncorrenziale e vessatoria, il canone Rai avrebbe dovuto essere abolito da almeno 30 anni, mentre l’attuale governo, indorando la pillola con il pretesto dello sconticino (da 113,50 a 100 euro all’anno, 95 nel 2017) lo ha infilato nella bolletta elettrica, come ormai sanno anche i sassi.

Siccome però siamo anche un giornale di servizio, proviamo a mettere da parte il nostro disgusto verso il canone Rai e a ricordare brevemente quali sono le novità, le scadenze, le sanzioni ecc. che il nuovo corso del balzello di Viale Mazzini inaugura in questo 2016.

  • Il pagamento sarà bimestrale in abbinata alla bolletta elettrica, a partire (solo per quest’anno) dal mese di luglio, quando nella fattura del gestore dell’elettricità troveranno 70 euro in più;
  • Pagheranno il canone Rai i possessori di un televisore per utenze domestiche residenziali (non commerciali), anche se residenti all’estero ma in possesso di una casa in Italia dove si trova un televisore, oltre ai titolari di locali pubblici con un televisore (canone speciale);
  • Niente canone Rai per chi possiede tablet, pc, smartphone e altri device elettronici dai quali poter fruire contenuti televisivi;
  • Sanzioni fino a 500 euro per gli evasori;
  • Sanzione di 4,47 euro (1/12 dell’importo per ogni semestre) per chi paga in ritardo, entro i 30 giorni successivi alla data di scadenza;
  • Sanzione di 8,94 euro (1/6 dell’importo per ogni semestre) per chi paga in ritardo dopo i 30 giorni successivi alla data di scadenza;
  • Niente canone Rai sulla seconda casa. Qualora fosse affittata, il pagamento del canone spetta agli inquilini, anche se il contratto dell’energia elettrica è intestato ai proprietari dell’immobile.

Natale anticipato per il Fisco

Chi ha detto che il Natale arriva il 25 dicembre? Per il Fisco e per lo Stato ladro, invece, Gesù Bambino si è presentato mercoledì 16 dicembre e ha portato in dono una camionata di soldi sotto forma di ritenute Irpef, di Iva, di Tari, di Imu e Tasi: 37,2 miliardi.

A fare i conti di quanto è entrato nelle casse dello Stato ci ha pensato, ancora una volta, la Cgia, il cui Ufficio studi ha calcolato un ammontare di 13 miliardi di euro di sole ritenute Irpef di dipendenti e collaboratori. Una cuccagna per il Fisco.

Non sono bruscolini nemmeno i soldi derivati dal prelievo dell’Imu sugli immobili strumentali e sulle seconde e terze case: si tratta di un gettito, per Comuni ed erario, di 9,6 miliardi di euro. L’Iva di novembre versata al Fisco da imprese e lavoratori autonomi è invece pari a 9,1 miliardi di euro.

Capitolo Tasi e Tari. Da queste due simpatiche imposte i Comuni hanno incassato rispettivamente 2,3 e 1,8 miliardi di euro, mentre le ritenute Irpef dei lavoratori autonomi hanno garantito all’erario 1 miliardo di gettito. In fondo all’elenco delle depredazioni rimangono voci apparentemente secondarie, ma fonte di introiti non indifferenti per il Fisco italiano: 231 milioni di euro dall’imposta sostitutiva della rivalutazione del Tfr e 162 milioni di euro dalle ritenute dei bonifici per le detrazioni Irpef.

Una spoliazione che ha colpito con eguale ferocia sia le imprese, sia le famiglie, come ha ricordato il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo: “In linea di massima le imprese, i lavoratori autonomi e i dipendenti hanno subito un prelievo di 20,3 miliardi. Tra Iva, Imu, Tasi e Tari, invece, le famiglie hanno versato direttamente, o attraverso le imprese come nel caso dell’imposta sul valore aggiunto, 16,9 miliardi di euro”.

La scadenza del 16 dicembre è stata, per le aziende italiane, l’ennesimo bagno di sangue, considerando che pagano ben 110,4 miliardi di tasse all’anno al Fisco. Un valore che, in Europa, è secondo solo a quello tedesco: secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2012, le aziende tedesche versano in termini assoluti 121 miliardi. Peccato però la Germania abbia circa 20 milioni di abitanti in più dell’Italia e che il riscontro in termini di qualità dei servizi al cittadino e alla società finanziati con il gettito erariale sia impietoso nei confronti del nostro Paese.

Amara la conclusione di Zabeo: “Il peso fiscale in capo alle nostre imprese ha raggiunto livelli non riscontrabili nel resto d’Europa. Nonostante la giustizia sia poco efficiente, il credito venga concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto soglie ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione si confermi la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, lo sforzo fiscale richiesto alle nostre imprese è al top”.

Imu e Tasi tra aliquote e caos

Fiscalmente, quella che stiamo vivendo è una delle settimane più calde dell’anno, soprattutto a causa della scadenza del 16 dicembre con il pagamento del saldo di Imu e Tasi per imprese e famiglie. Uno di quei bei momenti che il Fisco ci regala, grazie a un gioco di prestigio con il quale fa sparire dalle nostre tasche gran parte delle tredicesime prima ancora che ne possiamo godere. Grazie, appunto, a Imu e Tasi.

Il fatto che dal prossimo anno Imu e Tasi saranno abolite pare quasi irrilevante di fronte al fatto che il Fisco ci rende la cose complicate fino all’ultimo. Intanto perché, per il pagamento del saldo di Imu e Tasi, è necessario ricordare che, mentre per l’acconto di giugno il calcolo è stato fatto con le aliquote 2014, ora per il saldo si devono usare le aliquote deliberate nel 2015.

Peccato però che vi sia un 10% circa dei comuni (circa 800) che ha presentato le delibere sulle aliquote di Imu e Tasi fuori tempo massimo, oltre il 30 luglio, e per i quali dovrebbero essere applicate le delibere del 2014. Il che significa meno incassi per loro ma, con i sempre minori trasferimenti dallo Stato agli enti locali, gli amministratori di quei Comuni non rinunceranno agli aumenti.

Una pezza ha provato a mettercela il governo, approvando al Senato un emendamento alla Legge di Stabilità per rendere valide per il 2015 le delibere su aliquote, regolamenti e tariffe adottate dai comuni entro il 30 settembre, solo se pubblicate sul sito delle Finanze entro il 28 ottobre. Semplice? No, perché affinché siano valide, queste delibere devono essere state validate entro il termine di approvazione del bilancio di previsione del comune. Quindi queste delibere sono applicabili? Non si sa, perché sul sito delle Finanze non si fa cenno alla loro applicabilità o meno.

Tutto questo significa che non saranno pochi i contribuenti che non sapranno precisamente a quanto ammonterà il loro saldo di Imu e Tasi. Tanto che il governo, cancellando di fatto l’emendamento del Senato di cui sopra, ne ha annunciato uno nuovo alla Camera che impedirà ai Comuni che hanno presentato gli aumenti delle aliquote Imu e Tasi fuori tempo massimo, di incassare l’extra gettito.

Tutto bene, niente a posto quindi. Come al solito. Perché questo valzer delle aliquote, per quanto limitato a un numero ristretto di comuni, è il simbolo dell’ingordigia dello Stato ladro, per il quale i cittadini sono sudditi prima che contribuenti e per il quale l’importante è far pagare sempre e comunque: se poi ci sono pasticci nel metodo, si aggiustano a colpi di emendamenti.

Tasse su? Colpa della spesa pubblica

Alla fin fine, se aumentano le tasse è sempre colpa dello stato ladro. È un’equazione tanto semplice quanto sconcertante. Se tra il 2000 e il 2014 le entrate tributarie sono cresciute del 38,6% è perché la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è aumentata del 46,5%. Due percentuali nettamente più alte rispetto a quella della crescita del Pil nello stesso periodo: +30,4%. E le tasse aumentano.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, però, al netto di questo inseguimento tra spesa pubblica e tarre, nel nostro Paese la prima è pari al 50,8% del Pil, ossia solo +1,4% rispetto alla media dei paesi dell’Area euro.

Secondo Paolo Zabeo, della Cgia, “le tasse hanno inseguito le uscite, al fine di evitare che i nostri conti pubblici saltassero per aria. Con il risultato che il carico fiscale sui cittadini e sulle imprese è aumentato a dismisura per coprire gli aumenti di spesa che, purtroppo, non hanno ridotto le disparità esistenti tra le persone in difficoltà e le classi sociali più abbienti”.

Se dal totale della spesa dello Stato sottraiamo la spesa pensionistica (pari al 16,7% del Pil) e quella per interessi sul debito pubblico (4,9%), le uscite per l’Italia calano al 29,2% del Pil, contro una media dell’Area dell’euro del 33,8%, ben bilanciabile con un aumento moderato delle tasse.

Considerato che le voci di spesa relative alla spesa per le pensioni (non comprimibile nell’immediato) e agli interessi sul debito (non rinviabile) non si possono ragionevolmente ridurre a breve, l’aumento delle tasse è ineluttabile. Naturalmente, concludono dalla Cgia, questa situazione è figlia degli effetti negativi di una spesa pensionistica che in passato è stata molto generosa e di un debito pubblico che, nonostante l’austerità e il rigore di questi ultimi anni, ha continuato a crescere. Così come le tasse

Cgia: lo stato ancora campione di tasse

In fatto di tasse, è più famelico lo stato centrale o sono più sanguisughe le amministrazioni locali? Secondo molti le seconde, mentre in realtà, secondo l’Ufficio studi della Cgia, lo stato rimane ladro assoluto in fatto di tasse, con un totale che è pari a tre volte quello delle tasse locali.

Le analisi dell’Ufficio studi della Cgia dicono infatti che, sul totale delle entrate tributarie incassate dalle amministrazioni centrali, circa il 60% è riconducibile all’Irpef (con una quota di 161,4 miliardi), all’Iva (97,1 miliardi) e all’Ires (31 miliardi), mentre a livello locale ci sono l’Irap (30,4 miliardi), l’Imu/Tasi (21,1 miliardi), l’addizionale regionale Irpef (10,9 miliardi) e l’addizionale comunale Irpef (4,4 miliardi). Nel 2014, su un totale di 485,8 miliardi di entrate tributarie, il 78% se l’è messo in tasca lo Stato centrale e solo il 22% gli enti locali.

Pur sottolineando il fatto che, negli ultimi anni, regioni ed enti locali hanno aumentato le tasse più di quanto non le abbia tagliate l’amministrazione centrale, dalla Cgia fanno sapere che è difficile effettuare un confronto attendibile tra andamento dei trasferimenti allo stato centrale e dinamiche di crescita dei tributi locali, in quanto l’arco temporale considerato (2000-2014) è molto ampio.

Inoltre, il progressivo taglio dei trasferimenti a regioni ed enti locali, l’aumento dell’aliquota dell’addizionale regionale Irpef dello 0,33% disposto dal decreto Salva Italia nel 2011 e le modifiche ad alcune normative come quella che ha ascritto il finanziamento della sanità in capo anche alle Regioni hanno determinato profondi cambiamenti nel rapporto tra enti locali e stato centrale.

Resta il fatto che, secondo Paolo Zabeo della Cgia, “in questi ultimi anni i trasferimenti correnti statali a beneficio di Regioni ed enti locali sono passati dai 53 miliardi di euro nel 2000 ai 35 miliardi nel 2013 , ultimo anno disponibile, con una flessione del 35%, pari a 18 miliardi di euro. Sempre nello stesso periodo, le entrate tributarie a livello locale sono cresciute di 32,6 miliardi. Un importo, quest’ultimo, nettamente superiore ai 18 miliardi di tagli subiti”.

Una tendenza più accentuata negli ultimi sette anni, come sottolinea ancora la Cgia, quando le manovre finanziarie hanno disposto “22 miliardi di tagli nei trasferimenti provenienti dallo Stato (di cui circa 10 miliardi a carico delle Regioni e i restanti 12 miliardi ad appannaggio degli enti locali), cui vanno aggiunti i tagli al finanziamento del fabbisogno del sistema sanitario gestito dalle Regioni per complessivi 17,5 miliardi”.