Buono da 5 milioni con rimborso 65.000 euro: pesante condanna per Poste

Un buono fruttifero postale di 5 milioni di lire vale 65.000 euro e Poste Italiane viene condannata dal Tribunale di Torino a risarcire la risparmiatrice.

Tribunale di Torino condanna Poste Italiane a risarcire con 65.000 euro una risparmiatrice

L’ultima sentenza del Tribunale di Torino in merito all’annosa questione del rimborso dei buoni fruttiferi postali della serie Q emessi dal luglio 1986 al 1995 fa ben sperare i risparmiatori. Una risparmiatrice ha ottenuto il riconoscimento a dover ricevere 65.000 euro, in luogo dei 28.000 che aveva calcolato Poste Italiane. La differenza è di ben 37.000 euro in più che ora Poste Italiane dovrà versare alla risparmiatrice.

Poste Italiane: l’annosa questione dei buoni fruttiferi serie Q/P

Siamo nel 1989 una signora decide di recarsi presso le Poste Italiane per sottoscrivere un Buono Fruttifero Postale con l’importo di 5 milioni di lire. Poste Italiane continua a utilizzare per l’emissione della serie Q i moduli della serie P stampati prima della riduzione dei tassi di interesse avvenuta con decreto ministeriale emanato nel 13 giugno 1986 . Poste Italiane apponeva sul Buono la classica etichetta con i nuovi rendimenti, ma la nuova stampigliatura riguardava solo i primi 20 anni, mentre non si specificavano gli interessi maturati successivamente, cioè fino al trentesimo anno.

Di conseguenza, secondo Poste Italiane comunque si devono applicare i nuovi tassi di interesse più bassi, mentre secondo i tribunali, a tutela del risparmiatore che aveva sottoscritto gli stessi con indicazione attraverso la stampigliatura apposta per i primi 20 anni e interessi successivi calcolati come indicato inizialmente sul buono, il calcolo deve essere fatto seguendo le indicazioni disponibili sul Buono. In questo modo è possibile tutelare l’affidamento e la buona fede del risparmiatore che molto probabilmente non era a conoscenza della normativa e aveva come riferimento, al momento della sottoscrizione, solo le indicazioni presenti sul Titolo.

Maxi condanna per Poste Italiane

Il Tribunale di Torino anche in questo caso ha deciso di riconoscere le ragioni della risparmiatrice e quindi di riconoscere per gli anni successivi al ventesimo gli interessi indicati sul Titolo cartaceo e non quelli previsti da Poste Italiane per la serie Q non correttamente però indicati sul Buono. La signora aveva ricevuto un rimborso di 28.000 euro da Poste Italiane, mentre il Tribunale di Torino, ricalcolando gli interessi, ha riconosciuto che la donna doveva avere 65.000 euro. La signora è stata assistita in giudizio dall’avvocato Fabio Scarmozzino che ha esortato i risparmiatori a controllare i Titoli in loro possesso al fine di evitare ulteriori disguidi e tutelarsi.

Ricordiamo che sono migliaia i risparmiatori che hanno già aderito alla class action contro Poste Italiane e che attualmente si è in attesa del giudizio di ammissibilità dell’azione, ma i risparmiatori possono agire anche individualmente e le sentenze finora pronunciate dall’Arbitro Finanziario e dai Tribunali sono solitamente favorevoli ai risparmiatori.

Indichiamo alcuni approfondimenti:

Buoni Fruttiferi Postali: perché ci sono controversie sulal serie Q/P? 

Tassazione dei Buoni Fruttiferi Postali: la decisione del Tribunale di Bergamo 

Class Action Buoni Fruttiferi di Poste Italiane: cosa sapere

Prescrizione Buoni Fruttiferi Postali: ecco le pronunce da ricordare 

Buoni Fruttiferi Postali: decisione sulla class action rimandata 

 

Apertura conto corrente: a cosa stare attenti per scegliere quello migliore?

L’apertura di un conto corrente può rappresentare un’operazione complessa nella valutazione di tutte le condizioni applicate dagli istituti bancari ai clienti. La scelta del conto corrente, pertanto, dovrà tener presente di molte variabili. Innanzitutto le operazioni che si fanno con il conto corrente e i relativi costi. Può essere d’aiuto la scelta di un conto corrente base. Ma anche l’eventuale concessione del fido può risultare un fattore determinante nella scelta del conto corrente.

Tipi di conto corrente: meglio uno con operazioni pagate separatamente o il tutto compreso?

Uno dei fattori che si prende in considerazione nella scelta del conto corrente è proprio il tipo di conto che la banca propone al cliente. Nel caso di conto corrente ordinario, ogni operazione fatta dal cliente viene pagata separatamente. Accanto al conto ordinario, si può optare per una soluzione nella quale tutta una serie di operazioni è compresa nel canone.

Conti correnti a costo fisso o fino a un certo numero di operazioni

Si tratta di un costo fisso da sostenere a prescindere dal numero di operazioni effettuate. Una possibile variante è quella di un conto corrente con un numero massimo di operazioni comprese. Quelle in eccesso vengono addebitate separatamente.

Apertura conto corrente: verificare i costi in base al numero e alle tipologie di operazioni che si intende fare

Le varie situazioni nelle quali può venire a trovarsi il cliente nei rapporti con la banca e, nello specifico, nella gestione del conto corrente, richiedono un’attenta analisi dunque delle condizioni e anche del tipo e del numero delle operazioni che si intende effettuare sul conto corrente. E sulle operazioni, è necessario farsi un’idea precisa dei costi e di quanto verrà a pesare la gestione del conto corrente sul proprio bilancio personale.

Informativa prima di aprire un conto corrente

In ogni caso, qualunque sia la direzione della scelta nell’apertura di un conto corrente, è importante che il cliente legga attentamente l’informativa che deve essere fornita dalla banca prima della sottoscrizione del cliente stesso. Nell’informativa, di particolare importanza assume la lettura del tasso di interesse, di qualunque altro prezzo e di tutte le condizioni applicate al conto corrente. Ciò è previsto dal Testo unico bancario (Tub) all’articolo 117: la ragione della norma è proprio nella trasparenza che deve essere garantita al cliente, oltre alla chiarezza delle condizioni.

Condizioni contrattuali e prezzi dei servizi del conto corrente: quando nulla è dovuto dal cliente?

La salvaguardia del cliente nell’apertura e nella gestione del conto corrente viene garantita dal considerare nulle le clausole contrattuali che prevedono prezzi, condizioni e tassi più sfavorevoli rispetto a quanto era stato pubblicizzato. Dalla mancanza di chiarezza e di trasparenza possono nascere conseguenze pesanti per la banca. Infatti, se la banca non indica in maniera chiara e specifica tutte le condizioni contrattuali e i prezzi praticati sui servizi a favore del cliente, nulla è dovuto da quest’ultimo.

Apertura conto corrente: l’Indicatore dei costi complessivi (Icc) per farsi un’idea dei costi

Nella scelta del miglior conto corrente da parte del cliente, può risultare di grande aiuto l’Indicatore dei costi complessivi (Icc). Si tratta di un foglio informativo che la banca consegna al cliente nel quale sono riportate le stime dei costi complessivi del conto corrente sulle operazioni che si presume il cliente possa svolgere nell’arco dell’anno.

Servizi aggiuntivi legati all’apertura del conto corrente

La chiarezza e la trasparenza delle condizioni applicate al conto corrente devono essere garantite anche per i servizi aggiuntivi richiesti dal cliente. Si tratta, ad esempio, di cassette di sicurezza, di servizi legati alla gestione del risparmio oppure di assicurazioni. Tutti questi servizi potrebbero rientrare nel pacchetto proposto per l’apertura del conto corrente. Ma se non rientrano vanno pagati separatamente.

Il conto corrente base: cos’è e come funziona

Una tipologia da prendere in considerazione tra le varie opzioni di apertura di un conto corrente è il conto base. Si tratta di una modalità prevista dal decreto del ministero delle Finanze numero 70 del 2018 che stabilisce la possibilità di apertura di un conto corrente che abbia un unico canone annuo da pagare. Nel canone sono comprese tutte le spese, le commissioni e gli oneri rientranti in un numero determinato di operazioni.

Chi può aprire un conto corrente base a condizioni vantaggiose?

Il conto corrente base a condizioni vantaggiose può essere aperto dalle fasce più svantaggiate della popolazione. Si tratta di correntisti che abbiano un Isee annuo che non superi gli 11600 euro o i pensionati con reddito lordo di 18000 euro all’anno.

Conto corrente, concessione del fido e saldo ‘in rosso’

Altro parametro da valutare nella scelta del conto corrente è quello della concessione del fido. Si tratta, in altre parole, della possibilità che il correntista possa andare “in rosso”. Il saldo negativo, normalmente, può essere concesso entro determinati limiti. È indispensabile verificare ex ante quali siano le condizioni per il fido concesso dalla banca. Può capitare, infatti, che lo “sforamento” del saldo possa essere piuttosto costoso, anche se più semplice da gestire rispetto alla concessione di un prestito.

Buoni Fruttiferi Postali: perché ci sono controversie sulla Serie Q/P?

I risparmiatori che hanno in casa i buoni fruttiferi postali della Serie Q/P sottoscritti tra il luglio del 1986 e il 1995 continuano la lotta contro Poste Italiane al fine di ottenere un rimborso congruo di quanto da loro investito. In materia c’è molta confusione tra i risparmiatori/consumatori, quindi cerchiamo di delimitare il campo per capire chi può ottenere tutela e quanto rivolgersi a professionisti  per aprire un contenzioso.

Quali sono i problemi relativi ai Buoni Postali Fruttiferi Serie Q/P>?

I buoni ordinari della Serie Q/P, sono buoni ordinari con scadenza ventennale, che continuano però a maturare interessi molto buoni anche dopo i primi 20 anni e fino ai 30 anni. Le controversie stanno emergendo soprattutto negli ultimi anni perché i risparmiatori li hanno tenuti come dei veri tesori visto che gli interessi previsti sono talmente alti che, in caso di necessità di liquidi, conviene più chiedere un prestito che riscuotere gli stessi, ma ora naturalmente dal trentesimo anno le persone hanno iniziato (2016 e fino al 2025) a riscuoterli e da lì la brutta sorpresa, cioè i rendimenti sono inferiori rispetto a quelli attesi. Come è possibile ciò?

L’antecedente storico è il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Codice Postale) in cui si riconosce la facoltà per il Ministero del Tesoro di abbassare il tasso di interesse anche dei buoni fruttiferi postali già sottoscritti. Questa legge resta un po’ nel dimenticatoio, poi viene rispolverata nel 1986 e questo perché stava diventando economicamente insostenibile corrispondere quegli interessi.

Le indicazioni per l’uso dei Buoni Fruttiferi Postali

Con decreto ministeriale emanato nel 13 giugno 1986 si procede alla modifica dei tassi di interesse e in particolare si riducono. L’atto non è illegale, ma Poste Italiane avrebbe dovuto stampare nuovi Buoni Fruttiferi Postali della serie Q con indicati i nuovi rendimenti, cosa che invece non fa, ma semplicemente incolla dietro ai Buoni un vero e proprio fogliettino in cui sono indicati i nuovi tassi di rendimento dei buoni e un timbro. Nello stesso anno viene introdotta anche la tassazione sugli interessi.

Su questa decisione si innestano diversi fatti, infatti la legge aveva previsto in modo specifico che Poste Italiane potesse sfruttare i vecchi buoni solo per la serie P, mentre la serie Q doveva essere ristampata e la serie O non doveva più essere utilizzata. Sulla serie P l’impiegato doveva apporre due timbri, uno sul fronte e uno sul retro, sul timbro frontale doveva essere indicato che si trattava di Buoni della Serie “Q/P”, mentre sul retro dovevano essere indicati i nuovi tassi di interesse.

Non solo, Poste Italiane avrebbe dovuto realizzare tanti timbri quanti erano i rendimenti previsti per i diversi tagli dei buoni, il taglio minimo era 50.000 lire e il taglio massimo 5 milioni di lire, ma c’erano tanti tagli intermedi. Anche su questo ha preferito risparmiare e quindi ha preparato un solo timbro indicante gli interessi per i primi venti anni e non per quelli maturati dal 21° al 30° anno. Abbiamo già detto che tali buoni maturano ottimi interessi anche dopo i 20. Da questi pasticci partono diversi ricorsi.

I ricorsi sui Buoni della serie Q/P

Alcuni avvocati iniziano infatti a sospettare che questa operazione, cioè apporre un fogliettino con i nuovi tassi di rendimento ridotti e con il timbro non sia stata compiuta in modo del tutto lecito, ma con degli errori. In particolare in alcuni casi mancava il doppio timbro, in altri casi Poste Italiane ha calcolato i tassi di interesse tenendo in considerazione ciò che era previsto nel decreto ministeriale, ma i risparmiatori hanno preteso per il periodo dal ventunesimo anno al trentesimo gli interessi previsti inizialmente in quanto il timbro indicava i nuovi tassi solo fino al ventesimo anno.

Il pasticcio però non finisce qui, infatti le controversie di questo tipo sono di competenza dell’ABF, Arbitro Bancario Finanziario, che più volte si è pronunciato a favore del risparmiatore, ma purtroppo poi Poste Italiane non si è adeguata, cioè non ha provveduto a rimborsare ai risparmiatori le maggiori somme riconosciute in favore del risparmiatore. Di conseguenza i risparmiatori hanno proceduto presso i vari tribunali ordinari e non sono mancate pronunce anche della Corte di Cassazione.

Alcune sentenze sui Buoni Serie Q/P

Tra le pronunce che meritano particolare attenzione c’è la sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione 13979 del 2007 in cui si affermano importanti principi e in primo luogo che il rapporto tra risparmiatore e Poste Italiane deve ritenersi di tipo contrattuale. Sebbene il risparmiatore sia edotto del fatto che successivamente all’emissione dei Buoni Fruttiferi Postali ci possono essere dei provvedimenti che vanno a modificare il tasso di interesse, rispetto a quello previsto, lo stesso principio non può valere per le modifiche precedenti all’emissione del buono. Di conseguenza se non sono chiare le “clausole” del contratto rilevabili dal titolo (che costituisce il contratto) si deve tutelare la buona fede del risparmiatore che credeva che le stesse fossero esclusivamente quelle indicate sul buono e non altre previste da un decreto addirittura precedente.

La Corte sottolinea : “non può in alcun modo ritenersi che dovesse essere edotto anche del fatto che – già in quel momento – le condizioni dell’emissione erano diverse da quelle che gli venivano prospettate mediante la consegna di titoli così formulati.” La natura contrattuale del rapporto secondo la Corte di Cassazione si deduce dal fatto che i servizi offerti da Poste Italiane si caratterizzavano già in quegli anni per l’essere “organizzati e gestiti in forma d’impresa”. . Nel caso in oggetto l’impiegato Poste Italiane aveva correttamente calcolato gli interessi, ma Poste Italiane agisce contro il risparmiatore per ottenere la restituzione dei “maggiori interessi” percepiti dal risparmiatore. La Corte di Cassazione nega quindi tale possibilità.

Poste Italiane deve corrispondere gli interessi previsti nel Buono dal 21° anno

Un’altra decisione importante è la 20176 del 12 novembre 2020 dell’Arbitro Bancario Finanziario, anche in questo caso la controversia ricade sugli interessi maturati dal ventunesimo anno in poi. L’ABF sposa la tesi del risparmiatore e condanna Poste Italiane a versare i maggiori importi perché sul buono erano chiaramente elencati i nuovi tassi solo fino al ventesimo anno e non per gli anni successivi e di conseguenza per tali anni, non dovevano applicarsi i tassi visti del decreto ministeriale, ma quelli indicati sul Titolo (Buono). La tesi ha ricevuto condivisione dal Tribunale di Milano nella sentenza del 9 gennaio 2020 n. 91.

Ad oggi quindi le questioni aperte sono diverse, infatti Poste Italiane non si adegua alle pronunce di ABF e quindi ci sono difficoltà ad ottenere riscontri positivi dal punto di vista pratico.

Queste non sono le uniche questioni aperte sul tavolo, infatti anche sui buoni cointestati ci sono controversie. Leggi come ottenere tutela nell’articolo: Buoni Fruttiferi Postali cointestati: cosa succede in caso di morte

 

Calano i prestiti alle famiglie e alle società

Dopo il -1,6% che era stato registrato a gennaio, i prestiti stanno continuando a scendere anche nei mesi successivi.
Il dato di febbraio, infatti, riportato dalla Banca d’Italia, registra un ulteriore calo dell’1,3%.
Nel dettaglio, i prestiti alle famiglie sono scesi dello 0,7%, contro il -0,6 di gennaio, mentre quelli alle società non finanziarie sono calati del 2,6% (-2,8% a gennaio).

Ad aumentare sono, di conseguenza, le sofferenze lorde, il cui tasso di crescita sui dodici mesi e’ aumentato al 18,6% dal 17,5% del mese precedente.

Ma alcuni segnali positivi arrivano dalla raccolta: a febbraio il tasso di crescita sui dodici mesi dei depositi del settore privato è ulteriormente cresciuto, attestandosi al 7,8% (7,7% a gennaio), mentre quello della raccolta obbligazionaria è sceso dello 0,8% (2,2% nel mese precedente).

I tassi d’interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo superiore a 1 milione di euro sono diminuiti al 2,90% (3,10% a gennaio); quelli di importo inferiore a tale soglia sono stati pari al 4,38% (4,39% nel mese precedente).
I tassi d’interesse sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono stati pari al 3,94% (3,92% a gennaio); quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono aumentati al 9,78% (9,59 a gennaio).
I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono diminuiti all’1,15% (1,17% a gennaio).

Vera MORETTI

Imprese: quanto stringe la morsa degli interessi?

La morsa degli interessi alle banche sembra soffocare sempre di più le piccole e medie imprese. L’ennesimo allarme arriva dall’Associazione Unimpresa che ha effettuato uno studio sull’andamento delle redditività del sistema bancario italiano: il risultato?

Secondo Unimpresa nel 2011 la redditività delle banche è peggiorata, con la conseguenza di che se gli ‘affari’ vanno male, il rischio è che le banche aumentino i tassi sui prestiti bancari.

Veniamo ai numeri: Unimpresa ha calcolato che gli incrementi delle commissioni sui fidi e l’aumento degli interessi sui finanziamenti alla piccola e media impresa potrebbero fare un balzo in avanti di 2-3 punti percentuali.

Dal canto suo Bankitalia non lascia dubbi: secondo l’ultima relazione stilata dalla Banca Centrale italiana il rendimento del capitale e delle riserve (Roe) ha segnato un indice negativo (-9,2%, contro il 3,4% del 2010).

Il dato emerso, per nulla consolante, potrebbe paventare scenari poco promettenti per le imprese italiane: gli istituti di credito si troverebbe a dover compensare il calo dei ricavi aumentando i costi per le imprese, che beneficiano di un prestito concesso dalla banca.

A ciò vanno aggiunti altri due fattori determinanti l’aumento degli interessi nei finanziamenti: il costo del debito pubblico italiano e il costante peggioramento dei rating, utilizzati per classificare il grado di affidabilità dei titoli obbligazionari emessi dalle imprese. Se il peso degli oneri finanziari preme sempre più sui bilanci aziendali delle piccole e medie realtà imprenditoriali, le conseguenze dannose sono duplici: da un lato l’impresa si vede costretta, nella peggiore delle ipotesi, a chiudere, e dall’altro la banca erogatrice della linea di credito dovrà sostenere un maggior costo del capitale.

Unimpresa ha stimato che i rincari praticati già adesso dalle banche sui tassi di interesse dei finanziamenti rischiano di compromettere la sopravvivenza di almeno il 20-30% delle piccole e medie imprese in Italia.

Il rischio è di distruggere un fitto tessuto di filiere su cui poggia anche la media e grande impresa – ha sottolineato Paolo Longobardi, Presidente di Unimpresa. – Senza contare che si stanno mettendo a repentaglio centinaia di migliaia di posti di lavoro, che una volta persi deprimeranno ancora di più i consumi interni”.

Alessia CASIRAGHI

I tassi di interesse costano alle imprese 7 miliardi in più

Come si dice, piove sul bagnato. Oltre alle difficoltà di accesso al credito, per le Pmi italiane ci si mette anche l’aumento del tasso di interesse medio (+ 0,76% tra giugno 2011 e gennaio 2012) a complicare le cose. Una crescita percenttuale che rischia di costare al sistema delle imprese italiane 7 miliardi di euro in più all’anno.

I conti li ha fatti ancora una volta la Cgia di Mestre, che ha analizzato l’indebitamento medio delle aziende italiane (la bella cifra di 916,7 miliardi di euro) e i maggiori costi che il mondo imprenditoriale dovrà sobbarcarsi a causa dell’aumento del costo del denaro registrato negli ultimi mesi. Tra giugno 2011 e gennaio 2012 il valore medio del tasso di interesse applicato alle aziende si è attestato al 6,5%: una crescita che ha fatto lievitare il costo degli interessi a 59 miliardi di euro su base annua, ben 7 miliardi in più rispetto a giugno del 2011.

Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre: “Auspicando che nei prossimi mesi i tassi di interesse scendano, rimane preoccupante il calo dei prestiti erogati alle imprese. Tra giugno dell’anno scorso e la fine di gennaio di quest’anno, la contrazione è stata dell’1,4%. Mentre il costo del denaro sale e le banche continuano ad erogare il credito con il contagocce, sono esplose le segnalazioni di operazioni di riciclaggio sospette eseguite da intermediari finanziari: +243,6% dall’inizio della crisi alla fine del 2011. Questo dato è molto allarmante perché ci segnala che, probabilmente, le organizzazioni criminali stanno approfittando di questa situazione per infiltrarsi nell’economia reale del Paese. Infatti, mai come in questo momento le imprese manifestano una preoccupante vulnerabilità dovuta alle conseguenze negative della crisi”.

E questa è la faccia più brutta della medaglia chiamata crisi. Un dato emerso dall’elaborazione fatta dalla Cgia di Mestre su dati UIF (Unità di Informazione Finanziaria) secondo il quale, tra il 2008 e il 2011, le segnalazioni di operazioni di riciclaggio sospette eseguite da intermediari finanziari sono passate da 14.069 a 48.344 (+243,6%). Grave la situazione registrata l’anno scorso nelle più importanti province italiane: a Roma si sono contate 5.677 segnalazioni; a Milano 5.083; a Napoli 4.266; a Torino 2.219 e a Bologna 1.006.

I tassi d’interesse ai tempi della crisi

di Vera MORETTI

Ottenere prestiti è sempre più difficile, soprattutto se si tratta di privati.

Lo dice Bankitalia, alla luce dei dati diffusi riguardo il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato, che è diminuito, a gennaio, e si è assestato sull’1,6%, contro il 2,3% di dicembre 2011.

Ma anche le imprese sono in affanno, quando si tratta di ottenere un finanziamento dalle banche, perché il tasso di crescita sui dodici mesi per i prestiti alle società non finanziarie è pari all’1,3% dal 2,6% registrato a dicembre. Il trend sui dodici mesi degli impieghi nel gennaio del 2011 era di una crescita del 4,3%.
Questo si riflette anche sui tassi di interesse per i mutui casa, arrivati al 4,55% rispetto al 4,27% di dicembre 2011, mentre quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono aumentati al 9,91% dal 9,11% di dicembre.

A calare sono invece i tassi di interesse applicati sui nuovi prestiti erogati alle società non finanziarie, passati dal 4,18 di dicembre al 4,06 di gennaio. Ciò ha portato ad una diminuzione dei tassi di interesse su prestiti di importo superiore a 1 milione di euro (3,47% dal 3,80% del mese precedente) e un aumento dei tassi sui prestiti di importo inferiore (5,01% dal 4,98% di dicembre).

Nel mese di gennaio, inoltre, sono diminuiti dello 0,8% i depositi del settore privato, facendo riferimento ai dati dell’anno precedente.
La raccolta obbligazionaria è cresciuta del 16,4% (dal 13,2% del mese precedente). I tassi di interesse sui nuovi depositi con scadenza prestabilita sono aumentati al 2,94% dal 2,87% di dicembre. I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono cresciuti all’1,16% dall’1,08% del mese precedente.

La stretta creditizia soffoca le imprese italiane

Diminuiscono i prestiti concessi alle aziende, crescono i tassi di interesse e si moltiplicano le imprese insolventi. E’ la Cgia di Mestre a denunciare la stretta creditizia che è in atto sulle aziende delle penisola: negli ultimi 3 mesi del 2011 i prestiti erogati dal sistema bancario italiano alle imprese sono diminuiti dell’1,5%, toccando quota – 2,2% a dicembre. Sul fronte dei tassi di interesse le cose non vanno meglio: l’aumento del tasso è costato alle aziende italiane nel solo 2011 3,7 miliardi di euro.

Il risultato? Aumento delle insolvenze in capo alle aziende che hanno raggiunto quota 80 miliardi di euro, ovvero il +36% rispetto al 2010.

“Ci troviamo di fronte a una vera e propria stretta creditizia – afferma la Cgia di Mestre. – Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito ed in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo in questo momento, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, collassi.”

Anche se i dati confermano che nel 2011 l’ammontare complessivo dei prestiti erogati alle imprese è stato di 995 miliardi di euro, con un +3% rispetto al 2010, tale dato va messo in rapporto con la crescita dell’inflazione, che l’anno scorso è stata del +3,3%, ovvero superiore all’aumento dei prestiti erogati alle imprese. A dicembre poi il collasso: aumento vertiginoso dell’inflazione e contrazione dei prestiti pari a – 2,2%.

Nel 2011 le insolvenze in capo alle imprese italiane hanno toccato gli 80,6 miliardi di euro, con un incremento rispetto l’anno precedente pari al + 36%. “Questa situazione ha sicuramente indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti – conclude Bortolussi – soprattutto a quelle realtà produttive che non erano più in grado di dimostrare e garantire una certa affidabilità”.