Imprese ottimiste e pronte ad assumere

L’ultimo International Business Report di Gran Thornton ha evidenziato un ottimismo che circonda le imprese e il loro andamento negli affari, e le imprese italiane che fanno registrare dati da record.
In particolare, sono ancora in aumento le assunzioni, ma, nonostante questo dinamismo crescente, gli investimenti in tecnologia sono ancora molto pochi.

Dal Documento si legge: “I livelli di ottimismo record registrati a livello mondiale (58% netto) si tradurranno in maggiori assunzioni da parte delle imprese per far fronte alla mole di ordinativi”, dicono gli esperti. “La percentuale di imprese che prevedono assunzioni è infatti ai livelli più alti dell’ultimo decennio. Tuttavia, dal momento che gli indicatori economici stanno potenzialmente arrivando al picco del ciclo economico, le imprese dovrebbero prendere decisioni di investimento più equilibrate e tentare di incrementare la produttività”.

Queste previsioni derivano da un’indagine effettuata sulle imprese, le quali, per il 40%, hanno dichiarato di avere intenzione di assumere entro la fine del 2018. Il 36% prevede di incrementare gli investimenti in impianti e macchinari (contro il 33% dello scorso anno) e l’ottimismo globale ha toccato il livello più alto mai registrato dall’IBR (il 58%).
Record anche per le imprese che prevedono un incremento dei prezzi (36%) e della redditività (50%).

L’Italia dimostra di essere ottimista ma i valori rimangono inferiori: ottimismo al 24%, contro il 12% dello scorso anno, e il 28% degli imprenditori prevedono di reclutare nuovo personale, dato in leggero calo rispetto all’anno scorso (30%). Per quanto riguarda gli investimenti in tecnologia, il dato è in linea con la media globale e si attesta al 44% delle imprese italiane, in calo rispetto al 2016 (70%). Per quanto riguarda i ricavi, il 48% delle imprese italiane è fiduciosa che aumenteranno, posizionandosi leggermente sotto la media europea (50%)

Alessandro Dragonetti di Bernoni Grant Thornton ha commentato i dati della ricerca e ha ricordato che “puntare sulla forza lavoro è soltanto una soluzione temporanea. Man mano che i livelli di disoccupazione calano, diventerà sempre più difficile avere la quantità e qualità di personale necessario per mantenere e aumentare la produttività. Si dovrebbe invece puntare su una maggior efficienza dei processi. Se stanno aumentando solo marginalmente gli investimenti in impianti e macchinari, gli investimenti in tecnologia sono addirittura in calo rispetto al trimestre precedente. Questo cambio di tendenza – un allontanamento dalla tecnologia a favore il capitale umano – è una potenziale causa di preoccupazione in un momento in cui la tecnologia offre alle imprese il principale fattore competitivo. Il Piano Industria 4.0 sembra esaurire gli effetti benefici sugli investimenti in tecnologia; ciò non toglie che innovazione e tecnologia possono ancora essere i pilastri del rilancio economico italiano a patto che siano uniti a progetti di formazione di eccellenza e a un approccio scientifico nell’organizzazione aziendale”.

Vera MORETTI

Il Made in Italy si protegge anche con la tecnologia

Il Made in Italy, ormai è chiaro, è al centro di casi di contraffazione in tutto il mondo, e non solo dall’Asia, ma anche dall’Europa. Proprio dalla Germania venivano spediti pacchi di pasta spacciati per italiani e diretti a Dubai.

Ma si tratta solo di un esempio su tanti, troppi, che vogliono riprodurre l’italian sounding danneggiandolo pesantemente, e che creano un giro di affari di 90 miliardi di euro, con conseguente perdita di almeno centomila posti di lavoro, calcolati da Federalimentari.

Per combattere questa minaccia, anche la tecnologia può dare un importante sostegno, come accade per Authentico, una startup italiana che ha messo a punto un sistema per verificare l’autenticità di un prodotto alimentare attraverso la scansione del codice a barre.
Per poterlo fare, occorre scaricare la app, scansionare il codice a barre e scoprire così se si tratta di vero Made in Italy o di italian sounding.

In pochi secondi, dunque, è possibile verificare la provenienza del prodotto ed inviare, se necessario, un alert al sistema che procede poi ai controlli sul prodotto.
Dopo i controlli, si costruisce una community con un’area della app dedicata alle ricette che è possibile realizzare con i prodotti acquistati. In più è possibile acquistare online ed essere informati sulle promozioni.

C’è anche la proposta di FoodChain, dotato di un sistema che prevede che il produttore raccolga la materia prima, per poi registrare i dati di geolocalizzazione, il giorno, l’ora, foto e video, e grazie all’associazione con un codice univoco garantisce l’autenticità e l’origine delle materie prime.
Da qui in poi a ogni passaggio della lavorazione vengono raccolti e inviati i dati multimediali a FoodChain che li autentica e li memorizza.

Questo metodo permette di rendere le filiere più trasparenti e permette al consumatore di leggere il codice con il suo smartphone per consultare le informazioni raccolte durante il processo di produzione.

Anche Certilogo lavora da anni per proteggere e tutelare il Made in Italy, tanto che tra i suoi clienti ci sono brand come Versace e Diesel. Il sistema su cui si basa l’azienda è attivo dal 2006 e prevede l’assegnazione ai prodotti di un Codice Certilogo identificativo che protegge i marchi.
Si tratta di un codice human readable, in chiaro e leggibile, composto da 12 caratteri, solitamente preceduto dall’acronimo CLG.

Vera MORETTI

Aziende e trasformazione digitale, ecco i trend del 2017

Nel 2017, la digital transformation continuerà a rappresentare, per le aziende internazionali e gli enti governativi, un obiettivo fondamentale da raggiungere. Facendo però attenzione ad alcuni aspetti, come sottolinea il colosso dell’IT Verizon, secondo il quale i clienti guarderanno le proprie attività di business da una prospettiva che considera elementi chiave agilità, velocità dei servizi e capacità di offrire una soddisfacente esperienza d’uso all’utente finale.

Sono soprattutto le aziende a dover pianificare la loro spesa IT in maniera efficace, individuando il modo migliore per integrare le nuove tecnologie. Secondo Verizon, emergeranno solo le aziende capaci di affrontare al meglio le sfide che la strada verso la digital transformation pone.

Per aiutare le aziende in questo processo, Verizon Enterprise Solutions ha individuato i 7 trend che guideranno la digital transformation nel mondo IT enterprise durante quest’anno:

  • Il Software Defined Networking (SDN) sta prendendo piede. Le aziende riconoscono sempre di più di offrire ciò di cui la gente ha bisogno, rapidamente e nelle modalità richieste.
  • User experience come priorità per un approccio vincente: quello che conta di più per l’utente finale sono i vantaggi offerti dalla tecnologia, e non i singoli passaggi lungo tutta la catena tecnologica.
  • Essere “compliant”: la compliance non è più considerata una best practice ma un adempimento di legge.
  • La sicurezza resta una sfida fondamentale, ma l’attenzione non sarà più rivolta solo alla difesa del proprio perimetro o di una determinata applicazione, quanto alla protezione degli asset fondamentali, contro violazioni provenienti dall’esterno e anche dall’interno delle organizzazioni.
  • Ridurre il tempo necessario per passare dalla progettazione alla produzione. Non è importante chi fa cosa, ma individuare le barriere che rallentano l’azienda nel rispondere al meglio ai cambiamenti e guidare l’innovazione.
  • IoT, da “Internet of Things” diventa acronimo di “Internet of Transformation”: il focus dell’IoT non sarà più sulle “cose” quanto sul potenziale di questo approccio per il processo di trasformazione.
  • Un approccio tempestivo e realistico comporterà il successo o l’insuccesso delle aziende: la spesa IT sarà definita in base all’importanza di applicazioni, dati e funzione utente in termini di business, nonché dal relativo ordine di priorità.

Sapranno le aziende, specialmente quelle italiane, captare questi trend in modo da sopravvivere nel mercato globale?

Italia e tecnologia, un amore difficile

Quando pensiamo al ruolo chiave che la tecnologia deve avere nelle nostre Pmi per consentire loro di competere meglio su scala mondiale superando le secche della crisi, ci dimentichiamo del quadro d’insieme che caratterizza il rapporto del nostro Paese con l’Ict. E non è un quadro incoraggiante.

In base all’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) pubblicato dalla Commissione europea e relativo al 2015, l’Italia è un Paese con scarse competenze digitali e in ritardo nella connettività. Una situazione che la colloca al 25esimo posto sui Paesi dell’Ue a 28, con un indice pari a 0.4. La Danimarca, che è prima, ha un indice di 0.68, la Romania, ultima, di 0.36.

E, a proposito di aziende e tecnologia, il report della Commissione Ue segnala che proprio quello delle imprese è il segmento di Paese che, negli anni, ha fatto registrare i progressi più lenti, specialmente sotto il profilo dell’incidenza dell’ecommerce sul fatturato delle imprese: solo l’8% del totale.

Il problema del rapporto tra l’Italia e la tecnologia è comunque strutturale. Secondo il DESI, il 37% dei cittadini italiani non usa regolarmente internet, mentre il rimanente 63% naviga online in maniera elementare, senza svolgere attività complesse. La scarsità delle competenze digitali dei propri cittadini pone l’Italia al 24esimo posto in Europa in questa classifica.

Il gap con l’Europa si manifesta anche sul lato della tecnologia a banda larga e nelle reti di nuova generazione, disponibili per meno della metà delle famiglie italiane (44%). Ritardi che, nella classifica europea della connettività, pongono l’Italia al 27esimo e penultimo posto. Per fortuna, almeno nei servizi pubblici digitali l’Italia non è lontana dalla media Ue.

Ue che, in quanto a digitalizzazione e accesso alla nuova tecnologia, va decisamente più veloce dell’Italia. Il 71% delle famiglie europee ha infatti accesso alla banda larga ad alta velocità (+10% rispetto al 2014), mentre gli abbonati alla banda larga mobile sono 75 ogni 100 abitanti contro i 64 del 2014. Ben il 75% dei cittadini europei acquista regolarmente online, ma in questo caso lo scostamento tra domanda e offerta è evidente: solo il 16% delle Pmi europee ha una piattaforma e-commerce.

Scorrendo la classifica del DESI, non stupisce che le posizioni di vertice siano occupate da Paesi che con la tecnologia hanno un rapporto facile e scontato: Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia. Meno scontata la classifica dei Paesi che hanno migliorato più rapidamente il proprio ranking: Paesi Bassi, Estonia, Germania, Malta, Austria e Portogallo.

E l’Italia? Il nostro Paese è ancora al di sotto della media Ue, ma sta recuperando. Insieme a Croazia, Lettonia, Romania, Slovenia e Spagna, siamo cresciuti più rapidamente di altri nel 2015, ma rimane ancora tantissimo da fare per colmare un divario che, in un mondo sempre più globalizzato e nel quale la tecnologia è sempre più imprescindibile, può fare la differenza tra lo sviluppo e il declino.

Tecnologie digitali per la sopravvivenza delle Pmi

Che la via delle tecnologie digitali per la sopravvivenza delle Pmi italiane sia una delle poche praticabili, è un dato di fatto testimoniato anche da alcuni studi e ricerche. Una di queste, promossa da Sap a livello globale e realizzata da Idc, ha rilevato come le piccole e medie imprese che hanno adottato al loro interno le tecnologie digitali hanno una crescita più rapida rispetto a quelle che non le hanno implementate.

Secondo lo studio di Sap, più del 39% delle Pmi mondiali ritiene che “la partecipazione attiva nella digital economy è fondamentale per la propria sopravvivenza nei prossimi 3-5 anni”. Un trend di crescita favorito dalle tecnologie digitali che mostra come le imprese che durante l’ultimo anno hanno fatto segnare un fatturato in crescita del 10% – oltre il 45% di quelle intervistate, con un numero di dipendenti tra i 500 e i 999 – hanno “adottato tecnologie innovative per connettere persone, dispositivi e la rete di clienti e partner”.

Lo studio di Sap ha anche messo in luce come il 50,6% di queste aziende impieghi software collaborativi, la tecnologia più usata dal campione intervistato. Seguono tecnologie digitali legate alle soluzioni di Crm (38%) e di business analytics (37%). Inoltre, una significativa percentuale di aziende intervistate ( 52,5% -60,2%) ritiene che le “nuove tecnologie digitali hanno consentito di migliorare il flusso di lavoro, di semplificare le operazioni e aumentare la produttività”.

Non mancano però casi di scarsa attitudine alle tecnologie digitali, anche in aree geografiche apparentemente insospettabili, come dimostra il fatto che il 24,7% delle Pmi nordamericane che sostiene di aver fatto “poco o nulla” per intraprendere la propria trasformazione digitale.

Un altro aspetto interessante emerso dallo studio è la preoccupazione che alcune aziende hanno della ricaduta dell’uso delle tecnologie digitali sulla vita dei propri dipendenti. In questo senso, una percentuale variabile tra il 30,4% e il 36,6% delle Pmi intervistate sostiene che “le relazioni personali tra i dipendenti non sono state rafforzate dall’adozione della tecnologia”, mentre il 35% – 45% delle aziende ha risposto di essere “preoccupato di dover fare troppo affidamento sui dati per prendere decisioni di business efficaci”.

Ict, volano della ripresa

Nelle imprese, medie o grandi che siano, è sempre crescente l’importanza di effettuare investimenti mirati nell’ambito Ict: per stare al passo con l’evoluzione della tecnologia e per implementare processi più efficaci, efficienti ed economici.

Sembra che in Italia questa esigenza sia finalmente avvertita in maniera seria, almeno all’interno delle aziende medio-grandi. È quanto traspare dai dati elaborati dalla Digital Innovation Academy del Politecnico di Milano, secondo i quali nel 2016 le imprese italiane effettueranno in media un +0,7% di investimenti in Ict rispetto al 2015.

Un trend che interesserà soprattutto le imprese di dimensioni medio-grandi (250-1000 dipendenti), che prevedono un +1,88% di investimenti contro il +1,16% delle imprese di medie dimensioni (50-250 addetti). Leggero aumento degli investimenti in Ict, +0,14%, per le imprese grandi (1000-10 mila addetti), calo dello 0,78% nelle grandissime imprese, quelle con più di 10mila dipendenti.

Quali saranno gli ambiti Ict oggetto degli investimenti più consistenti? Sempre sulla base delle analisi della Digital Innovation Academy, saranno la Business intelligence, i Big data, la digitalizzazione e dematerializzazione, l’Erp.

Tutto questo però necessita anche di figure specializzate nell’ambito Ict, figure che, purtroppo, in Italia non sono così diffuse. Lo certifica Eurostat, secondo il quale, nel 2014, solo il 2,5% dei lavoratori (circa 560mila persone) era occupato nel settore Ict nel nostro Paese, a fronte di una media Ue del 3,7%. Come se non bastasse, solo il 31,7% di loro ha studiato informatica contro il 56,5% dei colleghi europei.

Le tecnologie digitali al servizio della crescita

Quanto possono aiutare la crescita dell’economia mondiale le competenze e le tecnologie digitali? A leggere le cifre elaborate da Accenture tanto, tantissimo. L’azienda leader mondiale nel campo dei servizi professionali ha infatti presentato nei giorni scorsi al World Economic Forum di Davos la propria ricerca Digital Disruption: the Growth Multiplier, (clicca qui per scaricare il rapporto) dalla quale emerge che l’ottimizzazione delle competenze e tecnologie digitali a livello mondiale potrebbe generare 2 trilioni di dollari di produzione economica in più entro il 2020.

Questo ruolo centrale delle tecnologie digitali servirebbe anche a dare un ulteriore impulso a livello globale all’economia digitale, che già oggi vale oltre un quinto del prodotto interno lordo mondiale.

Lo studio valuta il valore aggiunto al PIL generato da hardware, software e tecnologie digitali correlate, nonché dai lavoratori che hanno bisogno di queste risorse digitali per svolgere le loro attività. Il rapporto calcola anche il valore dei beni e servizi intermedi digitali impiegati nella produzione.

Il rapporto di Accenture raccomanda caldamente tre azioni con le quali migliorare l’applicazione dei modelli di business digitale, per ottenere livelli più alti di produttività e crescita:

  • Dare priorità agli investimenti digitali basati su opportunità di valore: valutare l’equilibrio degli investimenti digitali, in modo che una combinazione ottimale di crescita delle competenze e di avanzamento tecnologico massimizzi i ritorni degli investimenti digitali;
  • Competere attraverso una strategia digitale specifica per settore: avere chiaro quale piattaforma, quali ruoli e quali dati sono fondamentali per competere con successo nel proprio settore;
  • Creare l’ambiente adatto per la trasformazione digitale: migliorare il proprio “quoziente d’intelligenza digitale”, collaborando con le istituzioni per avviare rapporti intersettoriali e cambiare le regole della concorrenza.

Lo studio di Accenture prende in esame i benefici che l’ottimizzazione delle competenze e tecnologie digitali porterebbe in diversi Paesi. Per l’Italia, si avrebbe una forte spinta allo sviluppo di tecnologie e dei cosiddetti “fattori abilitanti” – infrastrutture, contesto regolatorio, pubblica amministrazione, mercati – che porterebbe al Paese entro il 2020 una crescita addizionale del PIL del 4,2%, pari a circa 75 milioni di euro in 4 anni.

Del resto, il nostro Paese sconta ancora un certo ritardo nella gestione e nell’implementazione delle tecnologie digitali. In Italia l’economia digitale contribuisce oggi solo al 18% del PIL, contro il 33% degli Usa, il 31% del Regno Unito e il 29% dell’Australia.

Guardando il bicchiere mezzo pieno, se da una parte l’Italia si posiziona decima tra le 11 nazioni analizzate dal rapporto Accenture rispetto al peso dell’economia digitale sul PIL, dall’altra è tra i Paesi con le maggiori opportunità di crescita e di sviluppo se riuscirà ad ottimizzare le sue risorse e tecnologie digitali.

I professionisti e la tecnologia

professionisti hanno da tempo nella tecnologia una compagna di lavoro inseparabile. Grazie ai nuovi sistemi di messaggistica istantanea e di condivisione di file, tempi, metodi e organizzazione del lavoro sono cambiati radicalmente anche pensando solo a 5 anni fa.

Dinamiche molto interessanti, che hanno spinto Regus, il principale fornitore di spazi di lavoro flessibili, a condurre un’indagine sull’utilizzo e la confidenza che si ha con la tecnologia sul posto di lavoro.

L’indagine di Regus è stata condotta su un campione di oltre 44mila manager e professionisti che, in 100 Paesi, hanno parlato del loro rapporto con la tecnologia. Per quanto riguarda l’Italia, l’89% degli intervistati dichiara di usare strumenti tecnologici per la condivisione di file e di documenti, superando di poco il risultato della media mondiale, attestata sull’86%.

Tra questi, vince a mani basse Dropbox con il 64,1% (media mondiale 56%), seguito da Google Drive con il 48,2% (43% nel mondo) e da WeTransfer che in Italia tocca una media del 35,3% contro una media mondo che è quasi la metà, 18%. Si ritagliano un loro spazio anche la tecnologia di Google Hangouts (21,4% in Italia, 22% nel mondo) e Microsoft Remote Desktop (14,9% in Italia, 19% nel mondo). A parte questi ultimi due strumenti, come si vede, noi italiani siamo un passo avanti.

L’indagine Regus ha anche esplorato il rapporto tra i manager e la messaggistica istantanea, tecnologia particolarmente importante per i professionisti che si trovano molto spesso a lavorare in mobilità e non dalla propria postazione. Ebbene, stando ai dati rilevati dalla ricerca Regus, il 96% dei manager e professionisti italiani ha utilizzato almeno uno strumento di messaggistica istantanea nell’ultimo mese.

Come era prevedibile, stravince Whatsapp, che gli italiani apprezzano ben più degli altri utenti mondiali: 84,4% contro il 54% della media mondiale; lato VoIP vince il decano Skype, che gli intervistati italiani usano nel 73,5% dei casi contro una media mondiale del 60%. Percentuali in linea con il resto del mondo per quanti utilizzano Facebook Messenger, ossia il 48%. E, secondo Regus, c’è gloria anche per Viber (18,4% Italia contro il 13% mondo) e WeChat (5,9% Italia e 11% mondo).

Fondazione Altran premia le imprese innovative

La Fondazione Altran per l’innovazione ha deciso di lanciare, per l’anno in corso, un bando dedicato al tema Smart Cities & Citizenship, città intelligenti e cittadinanza.

Verranno prese in considerazione le soluzioni tecnologiche interattive in grado di fornire strumenti efficaci di gestione delle questioni urbane tramite il coinvolgimento dei cittadini in molteplici settori: dalla mobilità all’accesso al welfare, dalla formazione alla cultura, dal monitoraggio della spesa pubblica alla segnalazione di atti che mettono in pericolo il decoro urbano e la sicurezza dei cittadini.

Il bando è aperto ad aziende, start up, centri di ricerca, dipartimenti universitari, singoli studenti, ricercatori, enti, fondazioni, Ong e onlus.

Il vincitore si aggiudicherà il premio di sei mesi di accompagnamento tecnologico e accelerazione di impresa offerto dagli esperti del Gruppo Altran, leader in innovation consulting.

Per partecipare al Premio 2014 occorre compilare l’application form disponibile sul sito Altran-foundation.org e inviarla entro la mezzanotte del 31 ottobre 2014 all’indirizzo di posta elettronica premioitalia@altran-foundation.org.

Sorvegliati speciali saranno i progetti tecnologici innovativi che contribuiscano ad implementare sistemi per favorire il dialogo tra cittadini e decisori, ma anche piattaforme digitali per agevolare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e soluzioni tecnologiche interattive che forniscano strumenti efficaci di gestione dei problemi urbani tramite il coinvolgimento dei cittadini e sistemi per usare in modo efficiente gli open data.

E ancora: sistemi di condivisione di beni e servizi; sensori e infrastrutture per mappare e monitorare i processi di funzionamento della città; soluzioni che facilitano l’interazione sociale dei cittadini, rafforzano i legami attraverso le community on line, supportano la mobilitazione civica dal basso e coordinano le istanze di impegno sociale; progetti legati alle tecnologie di internet, internet of things, internet of everythings rivolti alla smart citizenship; progetti incentrati sulle crowd technologies e sui mobile social networks; soluzioni basate sul concetto della sharing economy per accedere e scambiare beni, servizi e idee.

La presentazione delle idee finaliste e la proclamazione del vincitore dell’edizione di quest’anno si terranno il prossimo novembre a Roma.
Nel gennaio 2015 il progetto vincitore parteciperà alla selezione internazionale, che si svolgerà presso la sede della Fondazione Altran per l’Innovazione a Parigi, insieme agli altri progetti premiati dalle countries del Gruppo Altran nell’ambito dello stesso concorso.

Vera MORETTI

Meet the Media Guru: incontri per capire il digitale

Per capire quale impatto avranno i sistemi high-tech sugli stili di vita, nonché sulla società e sui modelli di business, Maria Grazia Mattei ha ideato Meet the Media Guru, un ciclo di incontri dedicati agli appassionati di tecnologia.

Il timore più diffuso, ovvero quello di un futuro popolato da robot umani, viene sfatato dalla stessa Mattei, la quale, guardando al domani, non ha dubbi: “Le parole d’ordine sono sharing economy, droni, realtà aumentata, social network. L’attenzione si sta puntando sempre di più sui droni perché saranno i protagonisti dei cambiamenti relativi a comunicazione e relazione. Inoltre, andremo oltre i google glass e punteremo alle tecnologie wearable e a tutti gli strumenti che mirano al potenziamento cognitivo. Il settore delle neuroscienze è molto attento a questo cambiamento: si stanno mettendo a punto tecnologie che permetteranno di connettersi, comunicare e relazionarsi attraverso il cervello. Ecco il significato di ‘robot umani’: macchine e computer sempre più vicini alla mente degli uomini”.

Un ruolo chiave, secondo le previsioni dell’ideatrice di questa serie di incontri, sarà ancora ricoperto dai social, soprattutto grazie al loro merito di rendere la comunicazione e lo scambio di informazioni più facile e veloce.
Ma per chiarire ogni dubbio, anche per chi è pessimista e vede la tecnologia come un ostacolo e non come il segno del progresso, è fondamentale Meet the Media Guru. Questi incontri si baseranno sullo slogan secondo cui non ci possono essere smart city senza smart citizen, il che significa che il digitale, in un futuro neanche troppo remoto, farà parte delle vite di tutti, e non solo delle imprese.

A questo proposito, Mattei ha dichiarato: “Per questo è importante diffondere la cultura della connettività, della condivisione e dell’interazione, della circolazione delle idee e del pensiero. In Italia si respira una doppia aria: da una parte ci sono i giovani che esprimono grande energia e potenzialità nei confronti dell’innovazione e delle nuove frontiere tecnologiche. Basta guardare quello che è successo con le startup: abbiamo scoperchiato un vaso e ne sono uscite dozzine di idee brillanti con le quali ci siamo ripresi le caratteristiche che ci appartengono da sempre, quelle di creativi e di imprenditori. Dall’altra parte ci sono le imprese, che rispondono al richiamo dell’innovazione in due modi: spesso le grandi aziende sono più scettiche di fronte alla tecnologia, non ne capiscono le potenzialità e i benefici che potrebbero trarne, sperimentano a stento l’e-commerce ma restano chiuse nel loro piccolo mondo tradizionale. Sono invece le piccole e medie imprese nazionali quelle più effervescenti nei confronti dei cambiamenti hi-tech: e sono proprio loro le promotrici di un nuovo modo di fare impresa basato su nuovi prodotti, nuovi cicli produttivi e nuove strategie di comunicazione”.

Per arrivare ad un risultato in grado di essere competitivo anche a livello europeo, occorre che si compia una capillare alfabetizzazione digitale, che coinvolga le imprese e anche il Made in Italy.

Vera MORETTI