Mamma, da grande farò il Temporary Manager!

Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva,  in collaborazione con il Dott. Alessandro Catania, docente universitario e temporary manager, ha provato ad indagare il fenomeno del Temporary Management, che da qualche tempo si sta diffondendo anche in Italia.

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Il Temporary Manager è un professionista che opera in modo temporaneo in progetti o mandati specifici vincolati dalla definizione e rispetto degli obiettivi (certi e misurabili), del ruolo, della funzione e degli ambiti di applicazione, del tempo (scadenza entro la quale portare a termine il mandato), dell’implementazione del progetto e, non ultimo, della sostenibilità e continuità dei risultati ottenuti. Al momento non è possibile stilare una classifica di aziende e di settori che maggiormente si avvalgono del temporary management, tuttavia, è possibile classificare le aree funzionali a maggior richiamo della figura dell’interim manager: Direzione Generale, Commerciale e Marketing, Produzione, Amministrazione, Risorse Umane, Information Technology, Ricerca e Sviluppo.

In Italia le prospettive sono delineate e circoscritte comunque da un quadro macroeconomico ancora poco rassicurante, almeno per i prossimi 12 – 18 mesi. Ma è proprio in momenti di crisi che la figura del manager in affitto è in crescita, certo non priva di rischi e di incertezze ed ostacoli.

Non volendo scoraggiare i colleghi che volessero intraprendere questa sfida, è bene comunque chiarire che si tratta di una scelta di vita e personale prima ancora che professionale. La scelta può essere anche condizionata dalla propria estromissione dall’azienda in cui si è lavorato, ma ciò non deve essere interpretato negativamente dal futuro temporary manager, viceversa è bene interpretarlo come un evento positivo di rinnovo radicale della propria professionalità. Innanzitutto bisogna vincere la diffidenza perpetrata ingiustamente e ciecamente dalle aziende e da alcuni imprenditori convinti che la mobilità sia dipendente dall’incapacità del manager e non dalla congiuntura economica negativa. In secondo luogo è necessario costantemente aggiornarsi professionalmente sugli ambiti funzionali cui voler operare, limitando le proprie scelte, non solo alle competenze sinora sviluppate, ma anche alle proprie aspirazioni e sogni professionali (non da sottovalutare, in questo caso, la componente personale delle pulsioni e motivazioni di autorealizzazione). Infine, ai futuri colleghi suggerisco un breve decalogo che a molti sembrerà banale o scontato, ma, a ben vedere, è frutto di considerazioni universali e personali che ciascuno di noi deve metabolizzare:

  • Scegliere limitati ambiti applicativi;
  • Associarsi ad organizzazioni di categoria;
  • Investire sul proprio futuro in corsi di formazione ed aggiornamento professionale anche intraprendendo percorsi di certificazione (PMA, PMI, ecc.);
  • Essere disponibili alla delocalizzazione temporanea (anche internazionale);
  • Accettare la propria mobilità e incertezza contrattuale come fattore critico di successo, facendo della propria professione fonte della soddisfazione personale;
  • Fare del proprio licenziamento (eventuale) non un’onta ma un momento di riposizionamento strategico della propria vita e indirizzarlo come atto di rinascita lavorativa, emotiva e personale;
  • Potenziare le capacità comunicative, di leadership, di gestione della complessità e della conflittualità, di problem solving, di governance e di management;
  • Garantire elevati standard di qualità personali per i propri clienti;
  • Vivere ogni incarico come un progetto temporaneo e non come opportunità subordinata all’inserimento in organico o di perpetrare la conservazione del proprio ruolo;
  • Essere capaci di vincere la diffidenza imprenditoriale e organizzativa.

Dott. Alessandro CATANIA

Il Temporary Manager conviene di più al Manager o all’Azienda?

È la classica e millenaria domanda: cui prodest? La risposta potrebbe essere scontata ma va affrontata con logica coerenza a seconda dell’interlocutore a cui ci si rivolge. Prima di tutto conviene alle aziende e agli imprenditori per un duplice aspetto: economicità e know-how. La formula del temporary management risponde ad un’esigenza sia tipo economico-finanziaria, che garantisce all’azienda di impiegare un manager di medio-alto profilo per un periodo limitato di tempo e ad un costo una tantum estremamente conveniente, che di carattere esperienziale e professionale, avvalendosi di competenze assenti nel proprio organico. Ma questa convenienza non è sempre valida e applicabile in ogni luogo e situazione. Mi spiego: la scelta di ricorrere ad un manager in affitto deve rispondere ad esigenze aziendali assolutamente temporanee, in cui il naturale distacco, dettato dalla connaturata fine del progetto, non provochi danni più di quanto non fosse causato dal suo mancato ricorso. Inoltre deve essere ispirato a valori etici, di cui spesso il mercato si dimentica, evitando che il temporary management sia strumentalizzato nella sostituzione sine die di un collega, precedentemente licenziato, solo per il contenimento di costi del personale. Dal punto di vista del temporary manager, invece, i vantaggi di questa professione sono di nicchia e la convenienza è dettata da una scelta di vita personale, improntata alla costanza dell’aggiornamento ed alle sfide professionali, oltre che alla possibilità di una esperienza di mobilità multisettoriale.

Io ad esempio, al termine della mia esperienza decennale di dipendente come quadro e manager aziendale in diverse realtà e settori ho scelto di diventare temporary manager dopo un’attenta analisi strategica di quelle che sono le caratteristiche del mercato italiano del lavoro, sia attuali che previsionali: forme contrattuali, natura e dimensione della domanda e dell’offerta, crisi e stimoli innovativi dei vari settori, selezione delle figure a maggior domanda, sensibilità ed elasticità della domanda, ecc. Questa indagine è stata anche e soprattutto introspettiva, ovvero volta all’individuazione dei miei punti di forza e debolezza professionale e personale, delle mie aspirazioni, dei miei disagi e delle mie peculiarità caratteriali. I risultati di questa analisi, dunque, hanno gradualmente disegnato una figura professionale che ha preso gradualmente i contorni netti di un manager temporaneo. Si tratta quindi di un processo decisionale personale che non deve essere dettato solamente ed esclusivamente dalle contingenze economiche.

Dott. Alessandro Catania

Perchè una società dovrebbe servirsi di un Temporary Manager?

In Italia, a differenza del resto dell’Europa, è difficile fornire una classificazione dettagliata, in quanto non si hanno ricerche complete e serie sul fenomeno. È comunque facile ipotizzare che il temporary manager sia utilizzato da aziende maggiormente a capitale privato e di piccole e medie dimensioni (anche per il genoma del tessuto economico italiano), in quanto sono quelle maggiormente a minor competenza interna e a maggior sensibilità agli equilibri economici e finanziari dei propri conti. Molte PMI, infatti, non sarebbero in grado di vagliare nuove opportunità e di sviluppare nuovi business perché privi delle giuste competenze professionali.

L’impiego ad interim dei temporari manager è motivato da molteplici condizioni gestionali, strategiche e manageriali, che l’azienda o l’imprenditore illuminato dovrebbero essere in grado di individuare sia nei momenti di crisi che di sviluppo del proprio business, come ad esempio:

  • la sostituzione di un ruolo manageriale temporaneamente vacante,
  • la formazione e assistenza di futuri manager interni che si vuole far crescere,
  • l’esplorazione di nuove iniziative e di business development,
  • la gestione di progetti complessi caratterizzati dall’incertezza e turbolenza dell’esito,
  • il ricorso a know-how specifici al momento assenti,
  • la gestione di momenti di crisi aziendale,
  • la razionalizzazione dei processi,
  • il cambiamenti di mercato o ambientali,
  • la gestione e migrazione generazionale,
  • lo sviluppo di nuove idee di business.

Inoltre, non dimentichiamo i vantaggi economici derivanti dall’inserimento di un temporary manager:

  • costo una tantum;
  • costo negoziabile/flessibile;
  • costo ammortizzabile nel tempo.

Dott. Alessandro Catania

Temporary Manager: quali sono le differenze con i colleghi stranieri?

La figura del Temporary Manager italiano non si discosta poi molto dagli omologhi colleghi europei. Con essi condivide le origini, le finalità e gli obiettivi, ossia nasce come conseguenza del processo di razionalizzazione e di efficientamento aziendale nel taglio dei propri dirigenti e manager che, immettendosi nel mercato ed adottando forme contrattuali estremamente flessibili e temporanee, mettono a disposizione di aziende in “sofferenza” conoscitiva e manageriale le proprie conoscenze e il proprio know how per il tempo strettamente necessario.

Tuttavia, a differenza dei contesti europei, il fenomeno del temporary manager è scarsamente sviluppato tra le aziende ed ostacolato, a volte, dagli stessi imprenditori che non ne percepiscono il valore strategico temporaneo o non forniscono le opportune leve di governante e di delega. A ciò si deve aggiungere la scarsa attenzione del quadro normativo italiano, salvo le eccezioni di alcune leggi regionali, e dalla incuranza da parte del legislatore di voler regolamentare, tutelare e inquadrare la neonata figura professionale. A questa vacatio legis sopperiscono le poche associazioni di categoria italiane impegnate alla formalizzazione ed alla certificazione delle professionalità del temporary manager, a tutela non solo dei propri colleghi operanti nel settore ma anche delle stesse aziende e degli imprenditori clienti al fine di garantirne la qualità e la certezza dei risultati e delle attese.

Attualmente in Italia, sussiste una forte diffidenza di fronte alle figure di temporary management in quanto vengono percepite come un servizio innovativo e poco compreso, oltre che confuse con forme progettuali temporanee ben più popolari e disciplinate (contratti di consulenza, a progetto, ricorso a società interinali di somministrazione del lavoro). In questo momento, dunque, le aziende preferiscono assumere manager temporanei attraverso società interinali specializzate per un’inerzia culturale ed una estrema rigidità contrattuale e di propensione all’innovazione.

A differenza del mercato inglese caratterizzato da una consolidata maturità nel riconoscimento e ricorso al temporary management (in cui si stimano circa 5.000 interim manager tra indipendenti ed associati), quello italiano vive una fase di introduzione/sviluppo dell’operatività dei temporary manager.

Un’altra sostanziale differenza consiste nel fatto che i colleghi d’oltralpe sono nati anche a seguito del processo di privatizzazione di importanti gruppi industriali pubblici (del settore delle commodity, Energy, public utilities, ecc.) che si contrappone alla spinta italiana causata dai licenziamenti ed alle riorganizzazioni conseguenti alla recente crisi macroeconomica anche a livello locale.

Dott. Alessandro Catania

Il Temporary Management in Italia.

È difficile stimare un fenomeno di questa tipologia e forma professionale e contrattuale, soprattutto in Italia dove spesso viene confusa o volutamente assimilata ai classici contratti di consulenza o a progetto (anche per pigrizia intellettuale). È certo, però, che sempre più manager e profili di middle-low management ricorrono alla soluzione di temporary management come stimolo alla domanda consulenziale da parte delle aziende. Il temporary manager trova i propri natali nei paesi anglosassoni e migra nei Paesi Europei sotto forme ed interpretazioni diverse.

In Italia il temporary management si è affermato nel tessuto economico in modo estremamente lento e silenzioso, rimanendo relegato ad una nicchia di servizio paragonabile ad una consulenza atipica ed artigianale.

Pur essendo presente in Italia, il temporary management non ha mai raggiunto i medesimi tassi di sviluppo ottenuti negli altri paesi europei, anche a causa delle nostre peculiarità storiche, economiche, normative e culturali/imprenditoriali. Infatti, malgrado sia un termine sulla bocca di tutti, sono ancora eccessivi gli elementi di confusione che circondano questa figura: non ultima la scarsa attenzione da parte di istituti ed organizzazioni di ricerche e di analisi economiche, che non aiutano a fare chiarezza sulle dimensioni reali del fenomeno. Inoltre, l’assenza di informazioni e di comunicazioni su questa nuova forma di operatore professionale rende incerte le stime tendenziali e previsionali.

Non a caso il temporary management si configura come un’esperienza “sommersa” che vede, secondo alcune indagini, il coinvolgimento di circa 500 temporary manager (sia free lance che affiliati) a fronte di un bacino potenziale di 10.000 operatori (fonte Federmanager).

Volendo ricorrere alle poche organizzazioni italiane di categoria (tra le quali l’ATEMA), è possibile delineare e dare un più concreto contorno alle figure di temporary manager presenti nel nostro Paese: essi sono per lo più dirigenti o gestori (manager) qualificati o con competenze specialistiche di funzione in grado di svolgere progetti di carattere imprenditoriale anche di natura interfunzionale e internazionale.

Gli ambiti di applicazioni in cui i temporary manager sono strutturalmente chiamati a operare sono principalmente aree di intervento risolutivo in crisi aziendali e/o sostitutive (ad interim) di vuoti manageriali in azienda, oppure in fasi iniziali di sviluppo del mercato o di business.

Desidero citare una recente ed esaustiva indagine conoscitiva sul tema, una delle poche in Italia, condotta nel 2007 dal Gruppo Intersettoriale dei Direttori del Personale (GIDP/HRDA) che analizza il grado di conoscenza e utilizzo che le imprese fanno del temporary management. L’indagine è stata condotta su un campione di circa 114 direttori del personale ai quali sono state rivolte domande sul grado di conoscenza e utilizzo del temporary management, sul loro riscontro di soddisfazione nelle performance ottenute, sulle criticità e difficoltà affrontate.

L’esito dell’intervista ha indicato come l’86% del campione affermi di conoscere già il temporary management ma solo un 14% sostiene di averlo utilizzato almeno una volta. Questa dicotomia lascia ahimè pensare che gli intervistati affermino di conoscere il fenomeno per pura “arroganza” intellettuale e che non sappiano proporre all’interno, prima, e utilizzare al meglio, dopo, lo strumento del manager temporaneo.

L’indagine ha dimostrato che le figure di temporary manager sono impiegate in due momenti ben scanditi della vita aziendale: quelli di crisi e di sviluppo/incertezza:

 

In riferimento agli interventi per funzione, il temporary management è impiegato, in ordine di importanza, su progetti inerenti casi di riorganizzazione di funzioni del personale, amministrazione finanza e controllo, funzioni di produzione, sostituzione di vuoti manageriali. A questi si vanno ad aggiungere aggiunti ulteriori progetti che impattano sulla sfera strategica dell’azienda e sul potenziamento del fatturato e/o riposizionamenti di mercato (business development e blu ocean strategy). L’inserimento temporaneo in organico di tali figure ha una vita media non superiore all’anno, anche se in alcuni casi il loro ruolo può essere esteso ai due anni.
L’indagine ha anche illustrato come il 30% degli intervistati abbia valutato da discrete a molto buone le prestazioni dei temporary manager in ordine al risultato dei progetti. L’ultima parte dell’indagine ha analizzato le possibili cause della bassa diffusione dei temporary manager in Italia adducendole alle seguenti indicazioni: “non conoscevo il servizio”, “tempi di reazione troppo lunghi”, “non ho trovato una società di temporary management adeguata”, “prezzo del servizio troppo alto”, “non ho trovato il temporary manager adatto”.

Temporary Manager, “questo nome mi par bene d’averlo sentito…”

Iniziamo questa rubrica ponendoci una domanda: ma cosa è il temporary management?

Molti lettori ammetteranno di conoscerne il vocabolo, ma di non aver mai approfondito l’argomento o sperimentato la loro professionalità.

Non me ne vogliano i lettori, ma questo gap è dovuto principalmente ad una conoscenza superficiale del fenomeno ed un basso stimolo ad approfondire la natura di questo importante e nevralgico servizio.

Proviamo, dunque, a declinare la nozione di un temporary manager che ho maturato sulla base degli studi attuali e dell’esperienza personale, ossia “un manager professionista che operi in modo temporaneo in progetti o mandati specifici vincolati dalla definizione e rispetto degli obiettivi (certi e misurabili), del ruolo, della funzione e degli ambiti di applicazione, del tempo (scadenza entro la quale portare a termine il mandato), dell’implementazione del progetto e, non ultimo, della sostenibilità e continuità dei risultati ottenuti”.

Spesso è facile delineare una novità declinando cosa non è. Dunque il temporary manager:
• non è consulenza
• non è lavoro interinale
• pur essendo temporaneo, non è una professione a progetto
• non è uno strumento per il “manager” alla ricerca di un proprio reinserimento in azienda
• non è una professione di ripiego.

Ciò premesso, in questa rubrica, proverò a fornire una panoramica il più possibile esaustiva.

Dott. Alessandro Catania

In arrivo il “pedigree” per il Manager in affitto.

Il temporary management è un fenomeno che un po’ alla volta si sta diffondendo in tutta Europa, forse anche a causa di una crisi economica che talvolta spinge le piccole e medie imprese a fare a meno di manager a tempo indeterminato.

Chi esercita questa professione è solitamente un esperto del business management, dello start-up d’azienda. Un professionista che mette la propria esperienza e capacità di analisi e gestione strategica al servizio delle aziende per brevi periodi di tempo per gestire l’accelerazione del cambiamento e dell’innovazione. In Italia è stata fondata anche un’associazione per questa nuova categoria professionale: Atema, presieduta dalla Dott.ssa Paola Palmerini.

Proprio l’associazione Atema, nei giorni scorsi ha promosso una certificazione di qualità per i Temporary Manager, creando una sorta di bollino blu per garantire le competenze e le capacità dei professionisti ed aiutare in questo modo le aziende nella scelta, vista l’abbondanza di manager che si propongono di gestire o risolvere problemi aziendali.

Nella valutazione promossa dall’Associazione verranno tenuti in considerazione tolleranza allo stress, autoefficacia, autonomia, leadership, adattabilità. Inoltre la certificazione indicherà la “specialità” del professionista, destinandolo al ruolo che più gli si addice, si tratti di start-up o rilancio e sviluppo d’impresa.

Business? Social è meglio!

Mi chiamo Paolo Colombo, sono nato a Novara 40 anni fa e oggi mi definisco “senza fissa dimora”  perchè in questo mercato le opportunità vanno viste e colte velocemente, seguendole in giro per il mondo. La mia vita, come quella di tanti che si occupano di marketing e vendite, è costellata di valige, aeroporti, autostrade e alberghi:  solo a Novembre sono stato in sette nazioni diverse prendendo 16 aerei e facendo quasi 6.000 Km su strada.

Quando i  miei amici, tutti piuttosto stanziali, mi chiedevano esattamente in cosa consistesse il mio lavoro, la definizione più breve e precisa che mi è venuta è  “io parlo con le persone, e le aggrego intorno a delle opportunità”. Ed in effetti credo che per quanto a prima vista possa apparire semplicistica, questa sia l’essenza del mio lavoro, quella che mi ha spesso permesso di portare innovazione e risultati nelle aziende in cui ho lavorato, sia da dipendente che da consulente o temporary manager. Parlare con le persone ti porta a vedere opportunità e a pensare se e come poterle cogliere. Spesso per farlo non puoi essere da solo ma hai bisogno di professionisti con skill molto elevate, informazioni, contatti, dritte… così inizi a mettere insieme persone e competenze.

Ricordo una bella discussione nel nostro gruppo di Linkedin, Il Commerciale, sul fatto che il venditore sia un lupo solitario o un animale da branco. Ecco, forse al momento della firma del contratto sei solo davanti all’ufficio acquisti, ma se ti giri ad osservare il percorso che ti ha portato a quel momento, ci vedi decine o centinaia di persone… hai parlato con tanta gente, hai costruito relazioni.

Sarà sicuramente anche per una inclinazione personale, ma io oggi credo che da soli non si riesca ad andare più molto lontano. Pensiamo solo alle vendite: concorrenza internazionale, multicanale, gestione di progetti che si sviluppano su continenti diversi, situazione di mercato difficile, organizzazioni aziendali intricate ed in perenne ristrutturazione con interlocutori multipli che cambiano ruoli e/o aziende in continuazione…. di quante informazioni abbiamo bisogno? quali fonti possiamo ascoltare? abbiamo davvero gli skills per gestire questa complessità? E allora le relazioni personali, anche quelle virtuali, diventano preziosissime. Io ho iniziato con Facebook nel 2006 invitato da ex compagni di master americani, managers che già credevano nell’importanza di trovare modi di fare rete, rimanere collegati.  All’inizio era più un gioco, ma in breve mi è parso chiaro che tra discussioni informali, scambi di idee e consigli, presentazioni ad amici avevo trovato un canale che, dal divano del mio salotto, mi apriva le porte ad un universo di fonti privilegiate, notizie dirette. Certo, perchè tutti quelli che fanno il mio lavoro hanno bisogno di contatti e notizie, e il mondo virtuale diventa un posto di scambio che prescinde dalle distanze geografiche, dai settori di appartenenza, dalle posizioni aziendali. Qui ti confronti anche con il tuo concorrente, perchè spesso ci si toglie i cappelli delle rispettive aziende ed il dialogo è tra professionisti interessati ad uno scambio. Do ut des. Oggi utilizzo molto Linkedin e Xing, due tra i più diffusi network professionali. Partecipo a pochi e selezionati gruppi di discussione, quelli più attivi, non mi collego a tutti quelli che mi capita ma solo alle persone che ho conosciuto personalmente o con cui credo di poter condividere delle opportunità… e se non li conosco personalmente spiego loro perchè chiedo una connessione.  Lo stesso Facebook che molti non considerano come un possibile strumento di lavoro  può dare risultati sorprendenti perchè si passa da un sistema formale ad uno più informale e rilassato, dove ovviamente accetto connessioni da pochi ma che sposta di livello la relazione.  I risultati? La principale delle mie società, Flow, che si occupa di temporary management, marketing internazionale e creazione di reti di vendita, ha trovato alcuni collaboratori molto validi tramite le interazioni in rete, permettendoci di cogliere opportunità che altrimenti avrebbero richiesto molto tempo per la ricerca dei partner giusti. Il mio attuale gestore del mercato tedesco arriva da una corrispondenza iniziata su linkedin, e lo stesso vale per le due persone con cui stiamo iniziando a fare business in Sud America. Tramite il gruppo di imprenditori di Facebook ho conosciuto persona che sta aprendo una catena di ristoranti gourmet in Messico, ed ora stiamo aggregando piccoli produttori di specialità alimentari italiane per rifornirli. Ed è sempre la rete che ci aiuta. I piccoli spesso non hanno forza commerciale, capiscono l’opportunità di aggregarsi e vedono nella rete un mezzo economico per provare a farlo. Ovvio che tutto questo ha un costo, anche se spesso nascosto. I social network richiedono tempo e costanza. Se non leggi i post e non partecipi, dopo un po’ sparisci dalla memoria degli utenti. Se invece sei presente, soprattutto se hai la sana convinzione che questo sia un mezzo per condividere idee ed opinioni e non solo una alternativa alla telefonata per presentare la tua azienda, puoi trarre grandi vantaggi, tra cui quello non indifferente , di conoscere persone con cui probabilmente non saresti venuto in contatto. Il secondo impegno, essenziale per concretizzare qualcosa, è la disponibilità ad esplorare il mondo reale: occorre viaggiare, incontrarsi di persona… magari per poi tornare a gestire il business con strumenti remoti come skype o clocking it. Cene, incontri, eventi…. mi è già capitato di andare fino a Monaco di Baviera per un incontro di social network. Pazzia? Io credo nei network, inclusa la loro componente virtuale. Tutti parlano di Web 2.0, ma poi in pochi lo conoscono e utilizzano… forse perchè proprio Facebook ci ha instillato il concetto che i social network si utilizzano nei 10 minuti di cazzeggio durante la pausa pranzo, e che se ci stai attaccato mezz’ora al giorno significa che non hai nulla da fare. Eppure grazie a Linkedin sono riuscito in 3 mesi a proporre un prodotto ai direttori marketing EMEA e in un caso addirittura mondiale di aziende multinazionali, senza uscire di casa. Arrivi a bussare alle loro porte presentato da un loro conoscente, sono anche loro in rete perchè si aspettano di cogliere opportunità… e ti ascoltano per capire se quello che gli offri e’ proprio una di quelle opportunità che cercano.

Abbiamo sviluppato, sempre utilizzando il web come base, un piccolo network di oltre 100 venditori a cui propongo prodotti tecnologici: se qualcuno pensa di avere delle opportunità di vendere, mi scrive e riceve mandato per agire. Di solito hanno già il cliente tra i loro contatti, quindi i loro costi sono molto bassi. E ricevono provvigioni sulla vendita molto interessanti. I prodotti li troviamo noi di Flow, tra le molte piccole aziende innovative che si rivolgono a noi perchè non hanno capacità di vendita o di marketing (quasi sempre entrambe). Accettiamo contratti solo quando i prodotti sono particolari e vediamo concrete opportunità di successo. Ora stiamo progettando un sito web che permetta di gestire questa rete di vendita un po’ particolare, ma che ha già permesso ad alcune piccole aziende di entrare in mercati di nicchia a costi esclusivamente variabili, dando a volte anche l’opportunità di trovare nuovi filoni anche a professionisti della vendita che, in questo periodo sfortunato, si son trovati loro malgrado senza lavoro.

Ho sempre creduto che periodi di crisi portino anche grosse opportunità, perchè distruggono gli equilibri esistenti. La mia strategia è la stessa dei registi dei film: intorno ad un buon copione costruisco il cast e la troupe per quella particolare sceneggiatura. Il network mi ha aiutato a velocizzare questo processo, consentendomi di accedere ad un know how esteso fatto da milioni di professionisti esperti nei loro settori. Oggi quanto valgono informazioni e relazioni per un venditore? Se la vostra risposta è simile alla mia, non c’è bisogno di sottolineare oltre il valore di un social network professionale.

Paolo Colombo

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