Temporary Manager qualificati Atema: storie e testimonianze

Secondo appuntamento con le interviste ai Temporary Manager qualificati Atema. Questa settimana parlano a Infoiva Flavio Pogliani e Claudio Vettor.

Che cosa significa per lei essere un TM qualificato Atema?
FLAVIO POGLIANI: Ho scelto di associarmi ad Atema perché il focus dato alla professione di TM è sugli aspetti soft di chi opera in questa ottica.
Ho voluto cioè cogliere l’opportunità di valorizzare quella parte degli skills necessaria al TM non legata a dati ‘tecnici’, che emergono facilmente dal proprio profilo professionale, ma le capacità più manageriali e comunicative essenziali per una rapida integrazione con la realtà aziendale e tuttora trascurati da altre associazioni/network di TM.
Perciò ritengo la qualificazione Atema un ottimo veicolo per sottolineare presso le aziende quel plus che contraddistingue un TM, che vuole/può ‘far parte dell’azienda’ per il periodo necessario, rispetto al consulente ‘ho io la soluzione preconfezionata’ che, a causa di tale approccio, sta perdendo credibilità.
CLAUDIO VETTOR: Gli esperti affermano che i rischi maggiori si corrono quando si è molto fiduciosi nei propri mezzi e nella propria esperienza. Questo vale per chi opera in impianti complessi come le raffinerie, ma vale anche per chi, di mestiere, guida le aziende nel cambiamento. Qualificarsi in modo serio significa garantire, prima di tutto a se stessi, un confronto con la realtà e un momento di riflessione.
Non c’è miglioramento senza misura, vale nella scienza ma anche nel management. La qualificazione Atema è una “misura”, perfettibile certo ma già molto solida, senza la quale diventa impossibile migliorarsi.

Qual è il percorso professionale che l’ha portata a diventare TM?
FLAVIO POGLIANI: Dopo 25 anni di professione nel’ICT, dapprima per conto di società di consulenza poi per 18 anni in aziende internazionali, all’inizio del 2009 non è stato più possibile continuare la collaborazione con l’azienda in cui lavoravo quale dipendente.
Ho quindi valutato la situazione del mercato e ho constatato che anche in Italia si sta faticosamente facendo strada l’idea che la crescita aziendale richiede a volte passaggi culturali/organizzativi repentini, ove la  figura del TM, anche in specifiche aree funzionali, può giocare un ruolo fondamentale.
Per questo motivo ho iniziato un percorso professionale teso a offrire le mie competenze/esperienze ad aziende che necessitano di interventi ben mirati nel tempo e nel contenuto, aiutato in questo dall’aver potuto iniziare in un contesto estero dove la cultura del TM si va diffondendo già da tempo.
CLAUDIO VETTOR: Mi sento un caso particolare; mi sono avvicinato al TM quest’anno dopo aver passato 12 anni in azienda (gli ultimi come manager) e altri 12 da “consulente”: E’ vero che in qualche progetto di consulenza ho agito in realtà come TM, ma finora senza sentirmi tale. Come consulente in effetti mi sono portato dietro il modo di fare dell’uomo di azienda (mi sono sempre sporcato le mani, per così dire).
Negli ultimi anni, poi, mi sono accorto che le aziende che seguivo, più che di consulenza vera e propria avevano bisogno di management; ovvero di un manager che desse un’impronta precisa a una serie di processi e/o funzioni e allo stesso tempo educasse le persone interne a nuovi ruoli.

Qual è, a suo avviso, l’apporto che un TM può portare alla cultura aziendale in cui opera?
FLAVIO POGLIANI: Ritengo che sempre più spesso le aziende necessitino di momenti di crescita ‘per rottura’, ovvero di momenti in cui si debba acquisire rapidamente esperienza di elevata qualità, ma senza che ci sia la necessità/possibilità di inserire in azienda tali figure in modo permanente (vuoi x dimensioni aziendali, vuoi perché un processo di riorganizzazione ha come obiettivo finale anche un struttura organizzativa dai costi contenuti). In questo contesto l’approccio di un consulente ‘classico’ è in genere molto standard, del tipo: ‘so già come va a finire; fate così e otterrete il risultato ottimale’.
Il TM, viceversa, si pone come parte dell’azienda, ha sì l’esperienza del ‘già visto’, ma la usa assieme al resto dell’azienda per cercare la soluzione ottimale per quella specifica realtà. Inoltre, è propenso a far crescere professionalmente il personale interno, anzi spesso è uno degli obiettivi concordati, anche perché non è interessato a rimanervi oltre il tempo richiesto dal progetto.
Va aggiunto che spesso il TM dispone di skills sovradimensionati rispetto alle esigenze specifiche dell’azienda e per scelta tende a trasferire all’organizzazione non solo tecniche, ma soprattutto una reale nuova filosofia di approccio alla gestione quotidiana.
CLAUDIO VETTOR: Credo che il ruolo fondamentale, ancora prima dell’esperienza, sia di far fare dei grandi cambiamenti all’azienda il più velocemente possibile e il meno dolorosamente possibile. A differenza del consulente, il TM ha il vantaggio di essere parte integrante, anche se per un periodo limitato di tempo, dell’azienda; in questo senso ha più “titoli” per introdurre cambiamenti drastici nelle politiche e nelle prassi.

Ci racconti la sua prima e la sua più recente esperienza come TM: in quali aziende, con quali mansioni e per quanto tempo, oltre a un bilancio dell’esperienza stessa.
FLAVIO POGLIANI: La prima esperienza è legata al gruppo internazionale da cui sono uscito e all’approccio che la casa madre tedesca ha avuto nei confronti della mia professionalità.
In pratica, dopo che era stato definito l’agreement per la mia uscita dal gruppo, sono stato invitato a proseguire comunque nella gestione del progetto di riorganizzazione del processo di verifica/acquisizione e pagamento fatturazione passiva.
Essendo in tale azienda il TM una figura già utilizzata è stato possibile definire un mandato di 5 mesi con specifica delega sul budget del progetto e formazione di un più giovane collega, portandolo a buon fine nei tempi previsti e con soddisfazione del business.
L’ultima esperienza è stata un breve progetto di riorganizzazione in area amministrativa di una piccola realtà no profit, assai interessante sia sul piano dei rapporti personali che quale occasione di trasferire all’azienda non solo le proprie esperienze ICT, ma anche quelle contabili/finanziare maturate in anni di supporto all’area amministrativa.
CLAUDIO VETTOR: Come vero e proprio TM finora ho avuto una sola esperienza come direttore generale di una media azienda padronale e quotata in Borsa; un progetto di consulenza dopo qualche mese si è trasformato, per richiesta della proprietà, in un incarico a tempo pieno. Sono stati 18 mesi esaltanti, ho imparato molto in particolare sul rapporto tra proprietà e TM; ritornare a essere “uomo di azienda” mi ha dato molte soddisfazioni e, a distanza di alcuni anni, c’è ancora un ottimo rapporto con gli altri manager.

Silenzio, parla il Temporary Manager…

Il 28 settembre scorso, nella sede di Atema a Milano, si è tenuta la consegna dei diplomi ai primi dieci Temporary Manager certificati Atema. Un’occasione per riflettere sulla figura e sulla professionalità del Temporary Manager, che Infoiva ha voluto valorizzare ponendo a ciascuno dei dieci insigniti 4 domande, le cui risposte potessero dare il senso di che cosa significa essere Temporary Manager oggi e, soprattutto, che valore porta in più la certificazione della propria professionalità. Ecco i primi due contributi dei professionisti che ci hanno voluto rispondere, Paola Pastorino e Marco Grassi.

Che cosa significa per lei essere un TM qualificato Atema?
PAOLA PASTORINO: Un valore che deriva dall’essere valutata, nelle mie competenze trasversali, da un comitato composto da persone con competenze specifiche nel dominio in esame. Competenze trasversali che riconosco essere indispensabili per ricoprire, in qualità di TM, un ruolo di rilievo e di sintesi in un moderno contesto aziendale. Un punto di partenza, una baseline che mi sia di supporto nel processo di miglioramento individuale.  Per affrontare al meglio le trasformazioni del contesto socio economico nazionale e internazionale nel quale opero. Condivido pienamente che la qualificazione abbia validità con durata definita e non illimitata nel tempo.
MARCO GRASSI: La qualificazione rappresenta anche un fattore importante di differenziazione, richiedendo la professione di Temporary Mangement una formazione della personalità più ampia rispetto alla mera competenza ed esperienza professionale di settore. Richiede quindi lo sviluppo di attitudini e peculiarità particolari, inclusa la capacità di gestire un contesto differente.

Qual è il percorso professionale che l’ha portata a diventare TM?
PAOLA PASTORINO: Sono stata segnalata in una realtà tecnologicamente evoluta, alla ricerca di un TM di comprovata esperienza/competenza. Il mio obiettivo è rilanciare l’azienda dal punto di vista commerciale sul mercato nazionale e internazionale.
MARCO GRASSI: Lo sviluppo di esperienze in diversi settori, l’attitudine al problem solving ed il desiderio di confrontarsi con sfide sempre nuove.

Qual è, a suo avviso, l’apporto che un TM può portare alla cultura aziendale in cui opera?
PAOLA PASTORINO: Sistematicità, cultura dei Processi, essere parte della soluzione, non del problema. Inoltre, best practices derivanti dall’esperienza, nuova linfa ed energia, determinazione ed entusiasmo e un buon network di conoscenze.
MARCO GRASSI: Direi anzitutto un apporto di innovazione, intesa anche come capacità di introdurre esperienze e cultura provenienti da settori e contesti differenti. Aggiungerei la capacità di effettuare valutazioni più oggettive, meno influenzate dal contesto e dalle abitudini locali.

Ci racconti la sua prima e la sua più recente esperienza come TM: in quali aziende, con quali mansioni e per quanto tempo, oltre a un bilancio dell’esperienza stessa.
PAOLA PASTORINO: Direttore Marketing e Comunicazione per due anni, in un’azienda che opera nel mondo ICT. Grazie alle attività di assessment e alla successiva focalizzazione tecnico/commerciale questa azienda ha conquistato la prima posizione sul mercato italiano per le soluzioni di Service Assurance. L’esperienza è stata molto gratificante. Ora sono VP Sales & Marketing da marzo 2010 e, oltre alle attività legate al ruolo, ho un rapporto molto stretto con l’imprenditore, sono coinvolta sistematicamente nel CdA e in attività con la comunità Finanziaria. E’ una esperienza molto arricchente.
MARCO GRASSI: Nella prima esperienza, per un fondo di private equity, si è trattato di rivedere le strategie di un gruppo industriale allineandole a un contesto competitivo in cambiamento. Successivamente ho diretto per 2 anni un comitato guida, cui partecipavano l’AD e il primo livello di management, appositamente costituito per allineare decisioni e azioni operative, inclusa la revisione dei processi di controllo di gestione per eliminare inefficienze e sprechi. In tre anni il gruppo ha recuperato redditività ed è entrato con successo in un nuovo mercato strategico.
L’ultima esperienza è stata la ristrutturazione della filiale italiana di un gruppo multinazionale del credito. L’azienda era reduce da un processo di acquisizione di aziende competitor e aveva necessità di allineare rapidamente cultura e gestione dei clienti ai nuovi processi, minimizzando le resistenze interne al cambiamento. L’incarico, per conto del board internazionale, è stato quello di affiancare il General Manager, occupato nella gestione ordinaria, gestendo il nuovo progetto in tutte le fasi, inclusa la riqualificazione del personale e l’assunzione di competenze esterne. Il progetto si è concluso con successo in meno di un anno, riorganizzando la filiale con la creazione di una nuova divisione, che ha accorpato funzioni precedentemente affidate a gruppi diversi, affidata successivamente a un manager interno.

Qualificazione dei Temporary Manager, professionisti e imprese con un valore in più

A Roma, il prossimo 22 ottobre 2010, ATEMA organizza una tavola rotonda intitolata “Qualificazione dei TEMPORARY MANAGER, professionisti e imprese con un valore in più“. Questa la presentazione del dibattito: “le libere professioni sono da sempre uno dei pilastri della vita sociale ed economica. La loro rilevanza va crescendo con l’estendersi di quella che, sinteticamente, è definita “l’economia della conoscenza”, dove il valore aggiunto è creato dalle elevate competenze specialistiche e dalla capacità di aggregarle in sistemi a rete. Questa crescita determina opportunità crescenti, ma introduce anche nuovi elementi di complessità nel rapporto fra professionisti e le altre componenti dell’economia (imprese, individui, istituzioni), aumentando nel contempo le loro responsabilità di natura generale: in particolare, con il crescere e con l’articolarsi dell’offerta e della domanda di professionalità, aumenta il bisogno della committenza di avere certezze circa la consistenza e la qualità di quanto è offerto sul mercato.
Un modo per rispondere a tale bisogno è quello di istituire, nell’ambito delle libere associazioni professionali, dei processi strutturati di attestazione delle competenze con cui i professionisti soci possano, volontariamente, documentare la propria professionalità: in questa logica ATEMA dopo oltre un anno di lavoro preparatorio, ha recentemente proposto un suo “Percorso di Attestazione delle Competenze dei Temporary Manager”e lo sta diffondendo sul mercato, sia verso i professionisti T.M. che verso i potenziali utilizzatori del Temporary Management.
Questa Tavola Rotonda è una occasione significativa per valutare, con l’ausilio dei differenti mondi che, a vario titolo, sono toccati da questo tema (i professionisti – i T.M. e gli “altri”-, le imprese, i selezionatori, e le istituzioni) se ed in che misura questo approccio sia davvero ciò di cui il mercato ha bisogno, come accrescerne l’efficacia ed il valore, ed infine per individuare i limiti del sistema normativo e le comuni proposte da avanzare a tutela della professione del Temporary Manager.

Per partecipare all’evento visita la pagina dedicata

Mamma, da grande farò il Temporary Manager!

Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva,  in collaborazione con il Dott. Alessandro Catania, docente universitario e temporary manager, ha provato ad indagare il fenomeno del Temporary Management, che da qualche tempo si sta diffondendo anche in Italia.

 ________________________________________

Il Temporary Manager è un professionista che opera in modo temporaneo in progetti o mandati specifici vincolati dalla definizione e rispetto degli obiettivi (certi e misurabili), del ruolo, della funzione e degli ambiti di applicazione, del tempo (scadenza entro la quale portare a termine il mandato), dell’implementazione del progetto e, non ultimo, della sostenibilità e continuità dei risultati ottenuti. Al momento non è possibile stilare una classifica di aziende e di settori che maggiormente si avvalgono del temporary management, tuttavia, è possibile classificare le aree funzionali a maggior richiamo della figura dell’interim manager: Direzione Generale, Commerciale e Marketing, Produzione, Amministrazione, Risorse Umane, Information Technology, Ricerca e Sviluppo.

In Italia le prospettive sono delineate e circoscritte comunque da un quadro macroeconomico ancora poco rassicurante, almeno per i prossimi 12 – 18 mesi. Ma è proprio in momenti di crisi che la figura del manager in affitto è in crescita, certo non priva di rischi e di incertezze ed ostacoli.

Non volendo scoraggiare i colleghi che volessero intraprendere questa sfida, è bene comunque chiarire che si tratta di una scelta di vita e personale prima ancora che professionale. La scelta può essere anche condizionata dalla propria estromissione dall’azienda in cui si è lavorato, ma ciò non deve essere interpretato negativamente dal futuro temporary manager, viceversa è bene interpretarlo come un evento positivo di rinnovo radicale della propria professionalità. Innanzitutto bisogna vincere la diffidenza perpetrata ingiustamente e ciecamente dalle aziende e da alcuni imprenditori convinti che la mobilità sia dipendente dall’incapacità del manager e non dalla congiuntura economica negativa. In secondo luogo è necessario costantemente aggiornarsi professionalmente sugli ambiti funzionali cui voler operare, limitando le proprie scelte, non solo alle competenze sinora sviluppate, ma anche alle proprie aspirazioni e sogni professionali (non da sottovalutare, in questo caso, la componente personale delle pulsioni e motivazioni di autorealizzazione). Infine, ai futuri colleghi suggerisco un breve decalogo che a molti sembrerà banale o scontato, ma, a ben vedere, è frutto di considerazioni universali e personali che ciascuno di noi deve metabolizzare:

  • Scegliere limitati ambiti applicativi;
  • Associarsi ad organizzazioni di categoria;
  • Investire sul proprio futuro in corsi di formazione ed aggiornamento professionale anche intraprendendo percorsi di certificazione (PMA, PMI, ecc.);
  • Essere disponibili alla delocalizzazione temporanea (anche internazionale);
  • Accettare la propria mobilità e incertezza contrattuale come fattore critico di successo, facendo della propria professione fonte della soddisfazione personale;
  • Fare del proprio licenziamento (eventuale) non un’onta ma un momento di riposizionamento strategico della propria vita e indirizzarlo come atto di rinascita lavorativa, emotiva e personale;
  • Potenziare le capacità comunicative, di leadership, di gestione della complessità e della conflittualità, di problem solving, di governance e di management;
  • Garantire elevati standard di qualità personali per i propri clienti;
  • Vivere ogni incarico come un progetto temporaneo e non come opportunità subordinata all’inserimento in organico o di perpetrare la conservazione del proprio ruolo;
  • Essere capaci di vincere la diffidenza imprenditoriale e organizzativa.

Dott. Alessandro CATANIA

Il Temporary Manager conviene di più al Manager o all’Azienda?

È la classica e millenaria domanda: cui prodest? La risposta potrebbe essere scontata ma va affrontata con logica coerenza a seconda dell’interlocutore a cui ci si rivolge. Prima di tutto conviene alle aziende e agli imprenditori per un duplice aspetto: economicità e know-how. La formula del temporary management risponde ad un’esigenza sia tipo economico-finanziaria, che garantisce all’azienda di impiegare un manager di medio-alto profilo per un periodo limitato di tempo e ad un costo una tantum estremamente conveniente, che di carattere esperienziale e professionale, avvalendosi di competenze assenti nel proprio organico. Ma questa convenienza non è sempre valida e applicabile in ogni luogo e situazione. Mi spiego: la scelta di ricorrere ad un manager in affitto deve rispondere ad esigenze aziendali assolutamente temporanee, in cui il naturale distacco, dettato dalla connaturata fine del progetto, non provochi danni più di quanto non fosse causato dal suo mancato ricorso. Inoltre deve essere ispirato a valori etici, di cui spesso il mercato si dimentica, evitando che il temporary management sia strumentalizzato nella sostituzione sine die di un collega, precedentemente licenziato, solo per il contenimento di costi del personale. Dal punto di vista del temporary manager, invece, i vantaggi di questa professione sono di nicchia e la convenienza è dettata da una scelta di vita personale, improntata alla costanza dell’aggiornamento ed alle sfide professionali, oltre che alla possibilità di una esperienza di mobilità multisettoriale.

Io ad esempio, al termine della mia esperienza decennale di dipendente come quadro e manager aziendale in diverse realtà e settori ho scelto di diventare temporary manager dopo un’attenta analisi strategica di quelle che sono le caratteristiche del mercato italiano del lavoro, sia attuali che previsionali: forme contrattuali, natura e dimensione della domanda e dell’offerta, crisi e stimoli innovativi dei vari settori, selezione delle figure a maggior domanda, sensibilità ed elasticità della domanda, ecc. Questa indagine è stata anche e soprattutto introspettiva, ovvero volta all’individuazione dei miei punti di forza e debolezza professionale e personale, delle mie aspirazioni, dei miei disagi e delle mie peculiarità caratteriali. I risultati di questa analisi, dunque, hanno gradualmente disegnato una figura professionale che ha preso gradualmente i contorni netti di un manager temporaneo. Si tratta quindi di un processo decisionale personale che non deve essere dettato solamente ed esclusivamente dalle contingenze economiche.

Dott. Alessandro Catania

Perchè una società dovrebbe servirsi di un Temporary Manager?

In Italia, a differenza del resto dell’Europa, è difficile fornire una classificazione dettagliata, in quanto non si hanno ricerche complete e serie sul fenomeno. È comunque facile ipotizzare che il temporary manager sia utilizzato da aziende maggiormente a capitale privato e di piccole e medie dimensioni (anche per il genoma del tessuto economico italiano), in quanto sono quelle maggiormente a minor competenza interna e a maggior sensibilità agli equilibri economici e finanziari dei propri conti. Molte PMI, infatti, non sarebbero in grado di vagliare nuove opportunità e di sviluppare nuovi business perché privi delle giuste competenze professionali.

L’impiego ad interim dei temporari manager è motivato da molteplici condizioni gestionali, strategiche e manageriali, che l’azienda o l’imprenditore illuminato dovrebbero essere in grado di individuare sia nei momenti di crisi che di sviluppo del proprio business, come ad esempio:

  • la sostituzione di un ruolo manageriale temporaneamente vacante,
  • la formazione e assistenza di futuri manager interni che si vuole far crescere,
  • l’esplorazione di nuove iniziative e di business development,
  • la gestione di progetti complessi caratterizzati dall’incertezza e turbolenza dell’esito,
  • il ricorso a know-how specifici al momento assenti,
  • la gestione di momenti di crisi aziendale,
  • la razionalizzazione dei processi,
  • il cambiamenti di mercato o ambientali,
  • la gestione e migrazione generazionale,
  • lo sviluppo di nuove idee di business.

Inoltre, non dimentichiamo i vantaggi economici derivanti dall’inserimento di un temporary manager:

  • costo una tantum;
  • costo negoziabile/flessibile;
  • costo ammortizzabile nel tempo.

Dott. Alessandro Catania

Temporary Manager: quali sono le differenze con i colleghi stranieri?

La figura del Temporary Manager italiano non si discosta poi molto dagli omologhi colleghi europei. Con essi condivide le origini, le finalità e gli obiettivi, ossia nasce come conseguenza del processo di razionalizzazione e di efficientamento aziendale nel taglio dei propri dirigenti e manager che, immettendosi nel mercato ed adottando forme contrattuali estremamente flessibili e temporanee, mettono a disposizione di aziende in “sofferenza” conoscitiva e manageriale le proprie conoscenze e il proprio know how per il tempo strettamente necessario.

Tuttavia, a differenza dei contesti europei, il fenomeno del temporary manager è scarsamente sviluppato tra le aziende ed ostacolato, a volte, dagli stessi imprenditori che non ne percepiscono il valore strategico temporaneo o non forniscono le opportune leve di governante e di delega. A ciò si deve aggiungere la scarsa attenzione del quadro normativo italiano, salvo le eccezioni di alcune leggi regionali, e dalla incuranza da parte del legislatore di voler regolamentare, tutelare e inquadrare la neonata figura professionale. A questa vacatio legis sopperiscono le poche associazioni di categoria italiane impegnate alla formalizzazione ed alla certificazione delle professionalità del temporary manager, a tutela non solo dei propri colleghi operanti nel settore ma anche delle stesse aziende e degli imprenditori clienti al fine di garantirne la qualità e la certezza dei risultati e delle attese.

Attualmente in Italia, sussiste una forte diffidenza di fronte alle figure di temporary management in quanto vengono percepite come un servizio innovativo e poco compreso, oltre che confuse con forme progettuali temporanee ben più popolari e disciplinate (contratti di consulenza, a progetto, ricorso a società interinali di somministrazione del lavoro). In questo momento, dunque, le aziende preferiscono assumere manager temporanei attraverso società interinali specializzate per un’inerzia culturale ed una estrema rigidità contrattuale e di propensione all’innovazione.

A differenza del mercato inglese caratterizzato da una consolidata maturità nel riconoscimento e ricorso al temporary management (in cui si stimano circa 5.000 interim manager tra indipendenti ed associati), quello italiano vive una fase di introduzione/sviluppo dell’operatività dei temporary manager.

Un’altra sostanziale differenza consiste nel fatto che i colleghi d’oltralpe sono nati anche a seguito del processo di privatizzazione di importanti gruppi industriali pubblici (del settore delle commodity, Energy, public utilities, ecc.) che si contrappone alla spinta italiana causata dai licenziamenti ed alle riorganizzazioni conseguenti alla recente crisi macroeconomica anche a livello locale.

Dott. Alessandro Catania

Temporary Manager, “questo nome mi par bene d’averlo sentito…”

Iniziamo questa rubrica ponendoci una domanda: ma cosa è il temporary management?

Molti lettori ammetteranno di conoscerne il vocabolo, ma di non aver mai approfondito l’argomento o sperimentato la loro professionalità.

Non me ne vogliano i lettori, ma questo gap è dovuto principalmente ad una conoscenza superficiale del fenomeno ed un basso stimolo ad approfondire la natura di questo importante e nevralgico servizio.

Proviamo, dunque, a declinare la nozione di un temporary manager che ho maturato sulla base degli studi attuali e dell’esperienza personale, ossia “un manager professionista che operi in modo temporaneo in progetti o mandati specifici vincolati dalla definizione e rispetto degli obiettivi (certi e misurabili), del ruolo, della funzione e degli ambiti di applicazione, del tempo (scadenza entro la quale portare a termine il mandato), dell’implementazione del progetto e, non ultimo, della sostenibilità e continuità dei risultati ottenuti”.

Spesso è facile delineare una novità declinando cosa non è. Dunque il temporary manager:
• non è consulenza
• non è lavoro interinale
• pur essendo temporaneo, non è una professione a progetto
• non è uno strumento per il “manager” alla ricerca di un proprio reinserimento in azienda
• non è una professione di ripiego.

Ciò premesso, in questa rubrica, proverò a fornire una panoramica il più possibile esaustiva.

Dott. Alessandro Catania