Divieto vendita auto a benzina e diesel dal 2035: accordo raggiunto

Negli ultimi giorni si è più volte parlato di uno slittamento dei termini per il divieto di vendita di auto a benzina e diesel, invece l’accordo tra Parlamento e Consiglio europeo è stato raggiunto e dal 2035 c’è il divieto vendita di questi veicoli. Approvata anche la norma “salva Ferrari”.

A chi si applica il divieto di vendita auto benzina e diesel? Cos’è la clausola “salva Ferrari”?

L’obiettivo è ridurre le emissioni inquinanti attraverso il supporto della mobilità sostenibile. I cambiamenti climatici che si stanno registrando con caldo anomalo e scioglimento dei ghiacciai ha messo in allarme l’Europa e sono in tanti a credere che sia arrivato il momento di non ritardare interventi.

Naturalmente non si può vietare nell’immediato la vendita di veicoli con alimentazione diesel e benzina, è necessario fornire un congruo lasso di tempo per dare alle aziende del settore il tempo per convertire le loro produzioni. Non solo, è necessario che i Paesi Membri riescano a produrre energia da fonti rinnovabili. Solo in questo modo si possono abbattere le emissioni inquinanti.

In base all’accordo raggiunto, i produttori che producono da 1.000 a 10.000 vetture nuove ( e da 1.000 a 22.000 furgoni) dovranno adeguarsi entro il 2035, mentre le imprese con produzioni ridotte, cioè meno di 1.000 veicoli l’anno, saranno esentati da tale obbligo. Questa clausola ha preso anche il nome di “salva Ferrari” infatti i produttori di auto extra lusso e personalizzate hanno lamentato l’impossibilità nel breve termine di applicare ai loro veicoli motori a zero emissioni di CO2. Il caso è quello della casa automobilistica Ferrari.

Le tappe per il passaggio al divieto di vendita auto a benzina e diesel

Per le imprese ci saranno inoltre passaggi intermedi per le imprese, il primo è già nel 2025, mentre il secondo sarà nel 2030. Entro tale seconda data dovrà essere raggiunto l’obiettivo di una riduzione di emissioni di CO2 del 50% per i furgoni e 55% per le auto nuove.

Entro la fine del 2025 l’esecutivo comunitario dovrà pubblicare una prima relazione sull’andamento della transizione ecologica, la stessa toccherà diversi aspetti come l’impatto sui consumatori e sull’occupazione, i progressi in termini di efficienza energetica e di accessibilità economica dei veicoli a zero e a basse emissioni.

Le aziende costruttrici non hanno mancato di far pervenire critiche al piano ritenendolo troppo repentino in quanto ancora mancano le infrastrutture per poter effettuare un passaggio agevole all’elettrico. Oliver Zipse, presidente della European Automobile Manufacturers Association e amministratore delegato della casa automobilistica tedesca Bmw ha espresso dubbi sulla possibilità di realizzare gli obiettivi. Ha sottolineato che l’azienda può anche adeguarsi, ma restano perplessità circa la capacità dell’Europa di garantire una quantità sufficiente di energia rinnovabile per il parco mezzi e infrastrutture di ricarica capillari.

Aziende, formazione, istruzione: il successo degli ITS Academy

Il termine ITS Academy letteralmente vuol dire Accademia Istituti Tecnici Superiori. Si tratta di una misura sperimentale che ora grazie ai fondi del PNRR avrà maggiore stabilità, questo grazie all’approvazione del Parlamento il 12 luglio 2022 della riforma degli ITS. Rappresentano l’unione tra la scuola e le aziende e in questi anni hanno riscosso un certo successo con abbattimento dei livelli di disoccupazione e della dispersione scolastica.

Cosa sono gli ITS Academy e chi può accedere

Gli ITS Academy sono un percorso di formazione a cui si può accedere dopo le scuole superiori, una sorta di alternativa all’università, prevede un forte coinvolgimento delle aziende presenti sul territorio che, attraverso gli ITS Academy, possono trovare personale specializzato e formato sui loro bisogni.

Il percorso rientra nel quadro europeo delle qualifiche (European Qualification Framework – EQF):

  • di quinto livello con durata biennale ( 4 semestri) e 1800 ore di formazione;
  • di sesto livello con durata triennale, suddivisione in sei semestri e 3000 ore di formazione.

Il percorso di formazione prevede che il 60% del monte ore di formazione sia gestito da docenti provenienti dal mondo del lavoro. Il 35% del monte orario complessivo dovrà essere formato da stage e tirocini presso aziende.

Un altro punto di forza della normativa è la previsione che per avviare un ITS Academy siano presenti sul territorio una o più imprese legate al settore oggetto del percorso formativo. La normativa prevede anche la presenza di università.

Come sarà reclutato il personale docente?

Per questa tipologia di istituto cambia anche la modalità di reclutamento del personale docente. Ecco perché può essere un’opportunità per molte persone anche al fine di trovare un nuovo lavoro. Docenti e ricercatori dovranno essere almeno per il 50% soggetti provenienti dal mondo del lavoro, compresi enti di ricerca, che abbiano una specifica esperienza professionale di almeno 3 anni in settori produttivi riferibili al settore tecnologico oggetto del corso ITS Academy. Potranno essere assunti esperti nel settore di arte spettacolo sempre con esperienza, naturalmente in percorsi di studio attinenti.

Tax credit per chi effettua erogazioni liberali in favore di ITS Academy

Coloro che decidono di effettuare erogazioni liberali in favore delle fondazioni ITS Academy è previsto un credito di imposta pari al 30% dell’importo oggetto di erogazione. Se però la donazione viene effettuata in favore di fondazioni ITS Academy costituite in province in cui il livello di disoccupazione è più elevato rispetto alla media, il credito di imposta arriva al 60%. Naturalmente il versamento deve essere effettuato con strumenti tracciabili.

I settori interessati e i risultati della fase sperimentale

A un anno dal termine del percorso formativo l’80% degli studenti trova un’occupazione, ma soprattutto ha un lavoro gratificante e a elevata specializzazione. Nel solo 2021 con 5.280 diplomati 4.218 hanno trovato una stabile occupazione, nonostante le restrizioni dovute alla pandemia.

I settori in cui sono attivi gli istituti tecnici superiori sono:

  • mobilità sostenibile;
  • nuove tecnologie della vita;
  • nuove tecnologie per il Made in Italy;
  • efficienza energetica;
  • tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
  • tecnologie innovative per il patrimonio culturale e attività connesse.

Nei percorsi formativi viene posta particolare attenzione a temi molto caldi negli ultimi anni, come la sicurezza digitale e la transizione ecologica. Si può notare che l’offerta formativa è strettamente connessa al raggiungimento degli obiettivi del PNRR.

Il percorso di studio prevede formazione teorica, laboratorio, pratica, tirocini aziendali. A differenza degli altri percorsi formativi, qui le aziende sono coinvolte in misura massiccia. Proprio questo è il segreto del successo degli ITS Academy che attualmente sono ancora poco conosciuti, anche se man mano in tutta Italia si stanno inaugurando nuovi percorsi di studio. Le aziende possono trovare personale altamente qualificato che di fatto le aiuta nella crescita, i ragazzi possono invece avere occupazione di elevato livello e questo perché viene superato il gap che da sempre attanaglia l’Italia tra scuole e aziende.

ITS Academy: mancano ancora 17 decreti attuativi

In questo percorso è previsto che le aziende possano anche economicamente supportare la formazione. Si è già detto che gli ITS Academy negli ultimi anni hanno lavorato come una sorta di laboratorio sperimentale, ora è però arrivata la legge istitutiva che mira quindi a rendere questi istituti parte strutturale del sistema formativo italiano.

Si attendono però 17 decreti attuativi che aiuteranno a rendere il percorso sempre più comune in Italia, nel frattempo è comunque possibile iscriversi. Naturalmente le vicissitudini che sta affrontando ora il Governo rallenteranno questo percorso che probabilmente sarà rimandato al 2023. Tra i decreti attesi, ad esempio, c’è quello per la tabella delle equipollenze che dovrà essere redatta dal Ministero dell’istruzione e della Ricerca ed è essenziale per il riconoscimento del titolo in caso di partecipazione a concorsi per i quali sia richiesta la laurea o un titolo ulteriore rispetto al diploma di scuola secondaria superiore.

Nuove istituzioni di ITS Academy

Per chi vuole conoscere meglio gli ITS Academy si può fare riferimento ai percorsi di studio già nati, ad esempio a Rieti nella giornata del 20 luglio 2022 è nata la Fondazione ITS Academy Logistica 4.0 che comprende 18 soci fondatori tra cui l’Università La Sapienza, la Provincia di Rieti, molte aziende e scuole proprio a significare l’elevato grado di cooperazione che si crea tra tutti i soggetti coinvolti nel percorso formativo.

I percorsi previsti a Rieti e attivabili in base al numero di iscrizioni pervenute, saranno denominati:

  • “Tecnico Superiore per la Mobilità delle Persone e delle Merci”;
  • “Tecnico Superiore per la Produzione e Manutenzione dei Mezzi e delle Infrastrutture di Trasporto”;
  • infine, “Tecnico Superiore per l’Infomobilità e le Infrastrutture Logistiche”.

Bonus beni materiali e immateriali 4.0, quali sono le percentuali di credito di imposta?

Aumenta dal 20% al 50% il credito di imposta per l’acquisto di beni immateriali 4.0 per tutto il 2022 e per i primi sei mesi del 2023 per i beni prenotati entro il 31 dicembre prossimo. Per tutti gli anni in cui si può ottenere il credito di imposta a questa percentuale, dal 2021 al 2023, il plafond di spesa massima è pari a un milione di euro. Gli investimenti in beni materiali e macchinari, invece, danno diritto al credito di imposta nella misura stabilita dalle vecchie percentuali con quale novità derivante dagli ultimi interventi normativi. Il quadro aggiornato del credito di imposta sui beni 4.0 deriva dai decreti legge numero 228 del 2021, dal decreto numero 4 del 2022 e dal decreto legge “Aiuti”, l’ultimo approvato lo scorso 2 maggio.

Beni immateriali 4.0, nel decreto ‘Aiuti’ aumenta al 50% il credito di imposta

Il nuovo decreto del governo modifica le percentuali del credito di imposta sui beni 4.0, in particolare dei beni immateriali. Si tratta degli acquisti dei beni compresi dell’Allegato B della legge numero 232 del 2016.  Il bonus previsto per questi beni consentirà di avvalersi del 50% di credito di imposta. L’incremento dell’agevolazione fiscale sui beni immateriali arriva successivamente all’aumento a 50 milioni di euro del tetto massimo per gli investimenti in beni materiali effettuati negli anni dal 2023 al 2025. La novità è introdotta dall’articolo 10 del decreto legge 4 del 2022.

Beni immateriali 4.0: ecco le nuove agevolazioni in vigore fino al 30 giugno 2023

Per effetto delle ultime novità della normativa dei beni 4.0, pertanto, le spese sostenute in beni immateriali 4.0 daranno diritto al credito di imposta nella misura del 50%. L’aumento del bonus si applica anche agli acquisti effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2022. Inoltre, l’agevolazione del 50% si applica anche ai beni ordinati l’anno scorso, entro il 31 dicembre 2021.  A decretare il diritto a ottenere la percentuale maggiorata del 50% di credito di imposta è la fattispecie della cessione del bene immateriale, oltre alla relativa consegna e al passaggio di proprietà: questi tre passaggi devono avvenire nell’anno 2022.

Fino a quando si può ottenere il 50% di credito di imposta per l’acquisto di beni immateriali 4.0?

Sarà possibile utilizzare il credito di imposta del 50%, inoltre, fino al 30 giugno 2023 purché entro il 31 dicembre di quest’anno le aziende “prenotino” i beni immateriali. Per la prenotazione è necessario che entro il 31 dicembre 2022 l’impresa versi almeno il 20% di acconto del prezzo del bene. Per i beni immateriali 4.0 non prenotati entro il 31 dicembre 2022, la percentuale di credito di imposta diminuisce al 15%.

Credito di imposta beni immateriali 4.0: quale percentuale per i prossimi anni?

L’aliquota del credito di imposta del 2023 del 15% rimarrà in vigore fino a tutto il 2024, con la coda semestrale fino al 30 giugno dell’anno successivo. Per non far scendere l’aliquota ulteriormente, è necessario prenotare i  beni immateriali entro il 31 dicembre 2024. A partire dal 2025, infatti, l’aliquota del credito di imposta scenderà ulteriormente al 10%, a eccezione dei beni prenotati entro il 31 dicembre 2024 sui quali vigerà ancora la percentuale del 15% di credito di imposta. Il tetto di spesa per investimenti in beni immateriali acquistati dal 16 novembre 2020 al 30 giugno 2024, è di un milione di euro.

Acquisto beni materiali 4.0, quali sono le novità?

Cambiamenti sono previsti anche per comprare i beni materiali 4.0. Si tratta dei beni materiali Industria 4.0 di cui all’Allegato A della legge numero 232 del 2016. Nell’anno 2022, se la prenotazione è stata fatta entro il 31 dicembre 2021, con versamento dell’acconto di almeno il 20%, l’aliquota del credito di imposta applicabile è quella in vigore dal 16 novembre 2020. Ossia il credito di imposta è corrispondente al 50% per spese di investimento fino a 2,5 milioni di euro; al 30% per acquisti da 2,5 a 10 milioni di euro; e del 10% per investimenti oltre i 10 milioni di euro ma non eccedenti i 20 milioni di euro.

Ulteriore credito di imposta del 5% per i beni materiali

La novità sugli acquisti di beni materiali 4.0 riguarda essenzialmente gli investimenti da 10 a 50 milioni di euro per gli anni 2023, 2024, 2025 e per il primo semestre del 2026. Si potrà applicare un ulteriore 5% di credito di imposta per i beni rientranti nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) aventi come obiettivo quello della transizione ecologica. Pertanto, per beni materiali 4.0 dal costo dai 10 ai 50 milioni di euro, si potrà applicare l’ulteriore 5% di bonus.  La relativa disciplina della misura fiscale si ritrova nel decreto legge numero 4 del 2022.

Aliquote di credito di imposta per il 2022 inerenti l’acquisto di beni materiali 4.0

Le aliquote di credito di imposta per l’acquisto dei beni materiali 4.0 nel 2022 sono al ribasso. Infatti, per i beni non prenotati entro il 31 dicembre 2021, le relative percentuali di credito di imposta sono pari al:

  • 40% per gli investimenti entro i 2,5 milioni di euro;
  • 20% per gli investimenti dai 2,5 milioni di euro ai 10 milioni di euro;
  • 10% per gli investimenti dai 10 milioni di euro ai 20 milioni di euro.

Beni materiali 4.0, quando si applica il 50% e quando il 40%?

Sono dunque queste le percentuali di spesa previste per l’anno in corso, a meno che il bene non sia stato prenotato entro il 31 dicembre 2021. In tal caso, le percentuali di credito di imposta sono pari, rispettivamente, al 50%, al 30% e al 10%. Le nuove percentuali, per beni acquistati a partire dal 1° gennaio 2022, rimarranno in vigore per tutto l’anno in corso e per il 2023 (fino al 30 giugno) per beni immobili prenotati entro il 31 dicembre di quest’anno.

Credito di imposta su beni materiali 4.0 dal 2023 al 2025, quali percentuali?

La riduzione delle aliquote di credito di imposta per acquistare beni materiali 4.0 proseguirà anche nel triennio dal 2023 al 2025. Infatti, per gli investimenti effettuati in beni materiali di questi tre anni (con coda di 6 mesi entro il 30 giugno 2026 per gli investimenti prenotati entro il 31 dicembre 2025), le aliquote scenderanno ulteriormente. Non ci sarà più la distinzione dei plafond di spesa, ma si applicherà un’unica percentuale pari al:

  • 20% per acquisti effettuati nell’anno 2023;
  • 10% per acquisti effettuati nell’anno 2024;
  • 5% per acquisti effettuati nell’anno 2025.

Si continuerà ad applicare l’ulteriore bonus del 5% per investimenti in beni 4.0 di importo variabile da 10 a 50 milioni di euro.

Investimenti in beni materiali ordinari, non 4.0: qual è la percentuale del credito di imposta che spetta?

Per gli investimenti in beni materiali ordinari, non rientranti nel Piano Industria 4.0, si applica il credito di imposta del 10% per spese effettuate nel 2022. Per questa percentuale – che aumenta al 15% per investimenti legati al lavoro agile – tuttavia è necessario che il bene sia stato prenotato entro il 31 dicembre 2021 con versamento dell’acconto del 20%. Altrimenti, per gli investimenti nel 2022 in beni materiali non 4.0 (e per quelli prenotati entro la fine del 2022 con coda semestrale fino al 30 giugno 2023), l’aliquota del credito di imposta è del 6%. Il plafond di spesa è pari a due milioni di euro.

Investimenti in immateriali ordinari non 4.0: quale aliquota di credito di imposta spetta?

Per gli investimenti in beni immateriali ordinari, non appartenenti all’Industria 4.0, effettuati durante quest’anno ma con prenotazione entro il 31 dicembre 2021, la percentuale del credito di imposta è del 10%. Altrimenti, senza la  prenotazione e l’acconto del 20%, l’aliquota si riduce al 6%. Tale aliquota rimarrà in vigore fino al 30 giugno 2023 purché si provveda alla prenotazione dei beni immateriali entro la scadenza del 31 dicembre 2022. Il plafond di spesa è pari a un milione di euro. Non è previsto alcun credito di imposta su questa tipologia di investimento negli anni 2023 (tranne la coda semestrale del 2022), 2024 e 2025.

 

Credito di imposta beni immateriali: nel 2022 sale dal 20% al 50%

Sale dal 20% al 50% il credito di imposta sui beni immateriali 4.0 per il 2022. Il plafond di spesa per gli acquisti nel triennio dal 2021 al 2023 è di un milione di euro. Gli investimenti in beni materiali e macchinari rimangono con le vecchie percentuali di credito di imposta. La nuova agevolazione sui beni immateriali era attesa e arriverà con il decreto “Aiuti” approvato al governo. Si potrà applicare il 50% di credito di imposta fino ai primi sei mesi del 2023, qualora i beni siano stati prenotati entro la fine del 2022.

Beni immateriali 4.0, nel decreto ‘Aiuti’ credito di imposta aumentato al 50%

Il nuovo provvedimento del governo rivede le percentuali del credito di imposta sui beni 4.0. In attesa della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, l’acquisto dei beni immateriali 4.0 consentirà di beneficiare del 50% del credito di imposta. Il potenziamento dell’agevolazione fiscale sui beni immateriali arriva dopo l’innalzamento a 50 milioni di euro del limite per gli investimenti in beni materiali effettuati dal 2023 al 2025. La novità è contenuta nell’articolo 10 del decreto legge numero 4 del 2022.

Beni immateriali 4.0: ecco le nuove agevolazioni in vigore fino al 30 giugno 2023

Per effetto delle ultime modifiche normative, dunque, gli investimenti effettuati in beni immateriali 4.0 beneficeranno del credito di imposta al 50%. La percentuale potenziata al 50% vale anche sugli acquisti effettuati a decorrere dal 1° gennaio scorso. A tal proposito, l’agevolazione del 50% opera anche se i beni sono stati ordinati nel 2021. Fa la differenza il fatto che la cessione del bene immateriale, la relativa consegna e il passaggio di proprietà siano avvenuti nell’anno  2022. L’agevolazione fiscale sarà in vigore fino al 30 giugno 2023 purché entro il 31 dicembre 2022 le imprese “prenotino” i beni immateriali (con il versamento di almeno il 20% di acconto). Per i beni non prenotati entro fine anno, il credito di imposta scende al 15%.

Credito di imposta beni immateriali 4.0 per gli anni 2024 e 2025

La percentuale del 15% rimarrà in vigore fino a tutto il 2024, con la coda fino al 30 giugno per i beni prenotati entro il 31 dicembre 2024. Il limite di spesa di investimento, per acquisti effettuati dal 16 novembre 2020 al 30 giugno 2024, è pari a un milione di euro. Per l’anno 2025, la percentuale di credito di imposta scenderà ulteriormente al 10%, a eccezione dei beni prenotati entro il 31 dicembre 2024 che beneficeranno ancora del 15% di credito di imposta.

Acquisto beni materiali 4.0, quali sono le novità?

Cambia qualcosa anche per l’acquisto dei beni materiali 4.0. Nell’anno in corso, se l’acquisto è stato fatto entro il 31 dicembre 2021, con prenotazione e acconto di non meno del 20%, le percentuali di credito di imposta applicabili sono quelli in vigore dal 16 novembre 2020. Ovvero il credito di imposta è pari al 50% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro; al 30% per acquisti da 2,5 a 10 milioni di euro; del 10% per investimenti oltre i 10 milioni di euro ma non eccedenti i 20 milioni di euro.

Ulteriore credito di imposta del 5% per i beni materiali

La novità sugli acquisti di beni materiali 4.0 riguarda essenzialmente gli investimenti da 10 a 50 milioni di euro. Si potrà applicare il 5% ulteriore di credito di imposta per i beni relativi al Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) aventi come obiettivo quello della transizione ecologica. A disciplinare la misura fiscale è il decreto legge numero 4 del 2022.

Percentuali di credito di imposta del 2022 per l’acquisto di beni materiali 4.0

Le percentuali di credito di imposta sull’acquisto di beni materiali 4.0 nel 2022 sono al ribasso. Infatti, per i beni non prenotati entro il 31 dicembre 2021, si applicano le nuove percentuali pari al:

  • 40% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro;
  • 20% per investimenti da 2,5 milioni di euro a 10 milioni di euro;
  • 10% per investimenti da 10 milioni di euro a 20 milioni di euro.

Tali percentuali saranno in vigore per tutto il 2022 e nel 2023 (fino al 30 giugno) per beni prenotati entro il 31 dicembre di quest’anno.

Credito di imposta su beni materiali 4.0 dal 2023 al 2025, quali percentuali?

La riduzione delle percentuali del credito di imposta per l’acquisto di beni materiali 4.0 proseguirà nel triennio dal 2023 al 2025. Infatti, per i beni acquistati in questi anni (con coda di sei mesi fino al 30 giugno 2026 per i beni prenotati entro il 31 dicembre 2025), le percentuali scenderanno ulteriormente. Non ci sarà più la distinzione dei plafond di spesa, ma si applicherà un’unica percentuale pari al:

  • 20% per il 2023;
  • 10% per il 2024;
  • 5% per il 2025.

Si applicherà l’ulteriore credito di imposta del 5% per investimenti in beni 4.0 per importi da 10 a 50 milioni di euro.

Acquisto di beni materiali ordinari, non 4.0: quale credito di imposta spetta?

Per l’acquisto di beni materiali ordinari, non 4.0, si applica il credito di imposta pari al 10% per investimenti effettuati nel 2022. È necessario che l’ordine sia stato fatto entro il 31 dicembre 2021 ed entro tale data sia stato versato l’acconto di almeno il 20%. Il plafond di spesa è pari a due milioni di euro. Altrimenti, per i beni acquistati nel 2022 (e per quelli prenotati entro fine anno con coda fino al 30 giugno 2023), la percentuale del credito di imposta è pari al 6%.

Beni immateriali ordinari, non 4.0: quale credito di imposta spetta?

Per i beni immateriali ordinari, non 4.0, effettuati nel 2022 ma con prenotazione entro il 31 dicembre 2021, il credito di imposta è pari al 10%. Altrimenti, senza prenotazione e acconto del 20% nello scorso anno, la percentuale scende al 6%. Tale percentuale resterà in vigore fino al 30 giugno 2023 purché i beni immateriali siano prenotati entro il 31 dicembre 2022. Il plafond di spesa è pari a un milione di euro.

 

Agricoltura, contributi a fondo perduto per il recupero del patrimonio rurale

Ammontano a 590 milioni di euro le risorse dei bandi regionali per il recupero degli immobili e degli edifici rurali. Si tratta di incentivi per restaurare e valorizzare il patrimonio paesaggistico e architettonico degli edifici e dei casali rurali. L’obiettivo di spesa dei fondi è quello di preservare gli immobili rurali al fine di valorizzarne il patrimonio materiale, immateriale e culturale. Ma anche di promuovere le attività del turismo sostenibile, legate alle tradizioni e alle culture locali.

Contributi a fondo perduto per il recupero rurale, quali opere sono finanziate?

Il bando da 590 milioni di euro di contributi a favore del recupero rurale ammette vari interventi. Nel dettaglio:

  • il recupero di edifici e degli immobili rurali che, in origine, erano destinati a utilizzi abitativi, come le masserie e i casali;
  • edifici rurali per attività produttive, come frantoi, mulini, stalli e case coloniche;
  • il patrimonio religioso, come chiese rurali ed edicole votive;
  • le scuole e le masserie didattiche;
  • le strutture rurali che con il tempo sono state abbandonate.

Chi può presentare domanda per i contributi a fondo perduto del recupero degli edifici rurali?

Il bando dei contributi a fondo perduto per il recupero degli edifici rurali è regionale. Ciò significa che ciascuna regione emette il proprio bando, con le proprie tempistiche di presentazione delle domande. Le istanze dei soggetti interessati andranno a sostenere le iniziative di recupero e di restauro del proprio territorio. I requisiti per la presentazione delle domande sono uniformi su tutto il territorio nazionale. In particolare, possono partecipare al bando:

  • le persone fisiche;
  • gli enti non profit e profit privati, inclusi gli enti ecclesiastici e quelli del terzo settore;
  • le cooperative, le associazioni e le fondazioni;
  • le imprese, sia a carattere individuale che societaria.

Bando recupero immobili rurali, quali sono i requisiti richiesti per presentare la domanda?

Inoltre, chi presenta domanda per i contributi a fondo perduto per il recupero rurale deve essere, a sua volta, proprietario o detentore di immobili rientranti nel patrimonio culturale rurale alla data del 31 dicembre 2020. Si può essere possessore dell’immobile a qualsiasi titolo. I vincitori del bando dovranno portare a termine le attività di recupero e culturali previste dal bando per un periodo non inferiore a cinque anni.

Quali attività sono previsti dal bando recupero immobili rurali delle regioni?

Le attività ammissibili dal bando di recupero degli immobili rurali, al fine di ottenere i contributi a fondo perduto, sono le più svariate. Oltre al recupero dal punto di vista edilizio e architettonico e della valorizzazione paesaggistica, il bando ammette anche attività di tipo sociale e culturale. Ad esempio, possono essere realizzati spazi da destinare a servizi di tipo sociale, turistico e ricettivi, all’educazione ambientale, alla conoscenza del territorio e al funzionamento delle imprese agricole.

Contributi e finanziamento per il recupero edifici rurali, ammissibili le spese degli impianti termici

I progetti che otterranno maggiore considerazione in termini di punteggio saranno quelli che presenteranno obiettivi e soluzioni compatibili con la transizione ecologica e con il ricorso a fonti energetiche alternative. A tal proposito, oltre ai lavori edilizi, negli interventi dovranno rientrare anche l’acquisto e l’installazione di impianti termici, comprendendo nei contributi anche le spese per le attrezzature, gli impianti e i vari pareri, nulla osta e consulenze dei tecnici.

Quando dovranno essere avviati i lavori di risanamento e di recupero degli immobili rurali?

I lavori di risanamento e di recupero edilizio, paesaggistico e architettonico per i vincitori dei bandi regionali ai fini dell’ottenimento dei contributi a fondo perduto dovranno essere iniziati entro il 30 giugno del 2023 e conclusi non oltre il 31 dicembre 2025. Il mancato rispetto delle date comporta la revoca dei contributi ottenuti.

Quali contributi e finanziamenti si possono ottenere con i bandi regionali di risanamento conservativo degli edifici rurali?

I contributi che si possono ottenere con i bandi emanati dalle regioni per il recupero e il restauro degli immobili rurali consistono:

  • in un contributo fino al limite di 150 mila euro come forma di cofinanziamento entro l’80% dei progetti di investimento;
  • il contributo può salire fino al 100% se l’immobile oggetto di lavori risulti dichiarato di interesse culturale. Rimane il limite dei 150 mila euro per intervento;
  • modifiche alle risorse disponibili variano a seconda delle regioni.

Come presentare domanda per i bandi regionali di recupero del patrimonio rurale?

Ogni Regione emette il proprio bando per i contributi finalizzati al recupero del patrimonio rurale e fissa le date per la presentazione delle domande. Alcune regioni hanno già fissato i termini delle istanze. Ad esempio, il Friuli Venezia Giulia e la Campania aprono le pratiche il 26 aprile 2022 e la scadenza delle domande è fissata al 20 maggio 2022. Da domani, 22 aprile, si potranno presentare le domande per la Regione Sardegna. Tuttavia, la piattaforma per la presentazione delle domande è unica per tutte le Regioni. È necessario collegarsi al Portale Paesaggi Rurali gestito dalla Cassa depositi e prestiti e autenticarsi con l’indirizzo di posta elettronica e la password.

Contributi in conto impianti del 65%, le domande dal 4 maggio 2022

Il nuovo decreto del ministero dello Sviluppo Economico (Mise) mette a disposizione delle micro, piccole e medie imprese italiane risorse per 700 milioni di euro per i contributi in conto impianti fino al 65% delle spese ammissibili. Si tratta di costi sostenuti dalle imprese per investimenti in progetti innovativi 4.0. L’obiettivo è quello di migliorare la sostenibilità energetica e digitale delle imprese relativamente ai processi produttivi.

Incentivi alle micro e piccole e medie imprese per la sostenibilità energetica e transizione digitale: il decreto del Mise

I nuovi incentivi del Mise vanno nella direzione di aiutare le imprese nella trasformazione digitale ed energetica dopo le crisi della pandemia e della guerra in Ucraina. La priorità dei progetti va a favore di quelle imprese che metteranno al primo posto gli obiettivi definiti dall’Unione europea di economia circolare e di miglioramento dell’efficienza energetica delle imprese. I contributi in conto impianti sono previsti dal decreto del ministero per lo Sviluppo Economico del 12 aprile scorso e i termini per la presentazione delle domanda sono da ricercarsi nel decreto ministeriale del 12 febbraio 2022 recante l’istituzione degli aiuti per gli investimenti sostenibili e innovativi delle micro e piccole e medie imprese.

Incentivi alle micro e Pmi: quante risorse sono destinate?

I contributi, inoltre, sono distribuiti nell’ambito del Programma React Eu, a copertura degli obiettivi dell’asse prioritario VI del Programma nazionale operativo “Imprese e competitività” del settennato 2014-2020. Le risorse a disposizione ammontano a 700 milioni di euro dei quali 250 milioni alle imprese locate nel Centro e Nord Italia (Friuli Venezia Giulia, Province autonome di Trento e di Bolzano, Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Toscana e Umbria); 450 milioni di euro alle imprese del Mezzogiorno (Sardegna, Sicilia, Puglia, Molise, Campania, Calabria, Basilicata e Abruzzo). Il 25% delle risorse stanziate vanno a vantaggio delle micro e piccole imprese.

Contributi in conto impianti fino al 65% del Mise, quali sono gli investimenti ammissibili?

I contributi in conto impianti fino al 65% del ministero per lo Sviluppo Economico finanziano gli investimenti sostenibili 4.0. In particolare, i progetti devono prevedere:

  • l’uso di tecnologie relative al piano di Transizione 4.0 con un ammontare delle spese preponderante rispetto agli altri costi di progetto;
  • mirare a diversificare le produzioni aziendali, anche con produzioni di prodotti mai fabbricati precedentemente o a cambiare i processi produttivi o, infine, a realizzare nuove unità produttive;
  • rispettare i limiti dei contributi previsti per le imprese a seconda della localizzazione nelle regioni d’Italia.

Incentivi alle micro, piccole e medie imprese: le percentuali dei contributi in conto impianti

In particolare, per le imprese localizzate nelle regioni della zona A (Sicilia, Puglia, Campania e Calabria) è previsto un contributo limite del 60% delle spese ammissibili delle micro e piccole imprese; del 50% per le spese delle medie imprese. Si può ottenere una maggiorazione del 5% per investimenti che vanno a concludersi entro i nove mesi. Per le imprese delle regioni di zona A Sardegna, Molise e Basilicata, il contributo limite è del 50% delle spese ammissibili (per le micro e piccole imprese); del 40% per le medie imprese. Si può ottenere la maggiorazione del 5% per investimenti conclusi in nove mesi. Per le altre regioni del centro e del Nord Italia, il contributo limite arriva al 35% delle spese ammissibili per le micro e piccole imprese; per le medie copertura del 25% delle spese. Non sono previste maggiorazioni.

Contributi in conto impianti, quali sono le spese ammissibili?

Le spese ammissibili agli incentivi in conto impianti del bando del Mise riguardano:

  • spese necessarie per realizzare nuove immobilizzazioni materiali e immateriali, ovvero attrezzature, impianti e macchinari. Sono incluse le opere murarie con il limite del 40% del totale delle spese ammissibili;
  • costi sostenuti per licenze, programmi informatici, certificazioni ambientali;
  • spese per servizi di consulenza relativi alla definizione energetica.

Come presentare domanda dei contributi del Mise in conto impianti?

L’iter di presentazione della domanda prevede che, a partire dalle ore 10:00 del 4 maggio 2022, le micro e piccole e medie imprese possano procedere alla compilazione della pratica sul portale Invitalia. L’invio vero e proprio della domanda dei contributi in conto impianti Mise può essere effettuato a partire dalle ore 10:00 del 18 maggio 2022.

Contributi a fondo perduto fino al 60% investimenti Pmi: in Gazzetta la nuova agevolazione

In arrivo i nuovi contributi a fondo perduto per le micro e le piccole e medie imprese (Pmi) per gli investimenti innovativi e sostenibili per favorire la trasformazione tecnologica e digitale di impresa. È stato infatti pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 78 del 2 aprile 2022 il decreto legge del 10 febbraio scorso che assegna agevolazioni alle Pmi in conto impianti con agevolazioni che possono arrivare al 60% delle spese ammissibili. Le risorse messe a disposizione per la misura ammontano a 678 milioni di euro. I contributi sono concessi dal ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) nell’ambito degli investimenti delle imprese manifatturiere e di servizi che operano su tutto il territorio italiano.

Contributi in conto capitale alle piccole e medie imprese dal Mise: gli obiettivi degli investimenti

I contributi in conto capitali sono concessi dal Mise a favore delle piccole e medie imprese per contrastare e superare la crisi generata dall’emergenza Covid. Sono ammissibili le spese per gli investimenti volti a realizzare nuove unità produttive oppure ad ampliare quelle già esistenti. Gli investimenti devono essere in linea i principi della tutela ambientale e della transizione digitale, in coerenza con il piano Transizione 4.0. In particolare, i programmi di spesa devono facilitare la transizione verso l’economia circolare e la sostenibilità energetica.

Contributi per gli investimenti di tutela ambientale e transizione digitale: le risorse a disposizione delle Pmi

A disposizione delle piccole e medie imprese ci sono 678 milioni di euro, dei quali:

  • 428 milioni di euro andranno alle imprese della Sicilia, della Sardegna, Della Puglia, del Molise, della Campania, della Calabria, della Basilicata e dell’Abruzzo;
  • 250 milioni di euro andranno a favore delle imprese delle altre regioni.

Contributi per gli investimenti delle imprese, quali possono richiederli?

Il primo fattore di ammissibilità di richiesta specificato nel decreto è che le imprese proponenti debbano non essere in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019. Il regime di contabilità richiesto è quello ordinario, con due o più bilanci depositati oppure due dichiarazioni dei redditi se la richiesta proviene da società di persone o da ditte individuali. Le imprese dovranno poi dimostrare che le spese siano volte alla transizione verso l’economia circolare e all’ottimizzazione della sostenibilità energetica. In quest’ultimo caso, il miglioramento energetico da attestare deve essere pari ad almeno il 10% rispetto ai consumi dell’anno prima rispetto al giorno di presentazione dell’istanza.

Quali spese sono ammissibili per i contributi in conto capitale delle piccole e medie imprese?

Le spese ammissibili per richiedere i contributi in conto capitale delle piccole e medie imprese comprendono:

  • le attrezzature, i macchinari e gli impianti;
  • le opere murarie nel limite del 40% del totale delle spese ammissibili;
  • i programmi informatici, le licenze, l’acquisto di certificazioni ambientali.

Si tratta pertanto di spese relative alle immobilizzazioni materiali e immateriali, obbligatoriamente nuovi di fabbrica. Inoltre, deve trattarsi di beni ammortizzabili e capitalizzati, figuranti nell’attivo dello stato patrimoniale dell’impresa che richiede i contributi. L’investimento deve essere mantenuto per non meno di tre anni.

Quali programmi di investimento devono essere perseguiti dalle imprese richiedenti i contributi del Mise?

I programmi di spesa e di investimento delle piccole e medie imprese che richiedono i contributi in conto capitale del ministero per lo Sviluppo Economico devono avere un importo di non meno di 500 mila euro e non eccedente la cifra di 3 milioni di euro per le regioni del Sud Italia; per le altre regioni, i limiti sono rispettivamente 1 milione di euro e 3 milioni di euro. In base agli obiettivi produttivi, gli investimenti dovranno garantire l’ampliamento della capacita di produzione delle imprese e la diversificazione; l’ottenimento di prodotti mai fabbricati in precedenza mediante i nuovi investimenti; il cambiamento dei processi produttivi rispetto a quelli già adottati dall’impresa oppure la realizzazione di nuove unità produttive.

Come vengono distribuiti i contributi in conto capitale per gli investimenti alle imprese?

I contributi in conto capitale vengono distribuiti alle imprese seguendo determinate percentuali. In particolare:

  • per le imprese di quattro regioni del Sud Italia (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia) sono finanziati il 60% delle spese sostenute dalle micro e piccole imprese e il 50% per le medie imprese;
  • le imprese situate in Sardegna, Molise e Basilicata possono ottenere il contributo sul 50% delle spese se si tratta di micro e di piccole imprese. Il contributo scende al 40% per le medie imprese;
  • infine per tute le altre regioni italiane, il contributo è fissato al 35% per le micro e piccole imprese e al 25% per le medie imprese.

Contributi alle Pmi dal  ministero per lo Sviluppo Economico: come inviare la domanda?

La gestione dei contributi in conto capitale a favore delle piccole e medie imprese è a carico di Invitalia. Si dovrà attendere un successivo decreto del ministero per lo Sviluppo Economico che fisserà i termini e le modalità con le quali le imprese potranno inviare le domande di agevolazione.

Contributi a fondo perduto, 3 bandi a favore delle imprese

Sono 3 i bandi Simest per i contributi a fondo perduto delle imprese. Gli incentivi riguardano la trasformazione digitale, gli investimenti nella sicurezza sul luogo di lavoro e la internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. I massimali dei bandi risultano ridotti, ma le imprese possono ottenere notevoli aiuti e incentivi per portare avanti la propria attività.

Contributi a fondo perduto per la transizione digitale e la trasformazione dei processi produttivi delle piccole e medie imprese

Sulla transizione digitale delle imprese si possono ottenere contributi a fondo perduto da Simest. Gli obiettivi riguardano anche la trasformazione digitale dei processi produttivi. I progetti sono valutati dal ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) e possono avere un impatto di spesa da 50 mila euro a 500 mila euro.

Quali contributi a fondo perduto e finanziamenti con i bandi aperti di Simest per la transizione digitale delle imprese?

Gli interventi previsti nel progetto devono essere avviati dopo l’invio dell’istanza e terminare non oltre i 18 mesi dopo la pubblicazione del provvedimento di concessione del Mise. I contributi a fondo perduto sono ammessi in base alle spese e ai costi sostenuti e ritenuti ammissibili. Sono previste due misure di agevolazioni: la prima riguarda il 10% delle spese ammissibili ed è concessa sotto forma di contributi a fondo perduto; la seconda consiste in un finanziamento agevolato del 40% delle spese sostenute per il progetto. Si può inviare la domanda in quanto il bando risulta aperto.

Bando contributi per migliorare le condizioni di sicurezza sul lavoro da Simest per le imprese

Il secondo bando Simest riguarda i contributi a fondo perduto per i progetti volti a migliorare le condizioni di sicurezza e di salute nelle imprese. Si tratta, in particolare, di investimenti in progetti di investimento e di adozione di modelli di responsabilità civile e di modelli organizzativi. Tra le spese finanziate, quelle relative a investimenti per la bonifica dall’amianto e per ridurre il rischio della movimentazione manuale dei carichi. Si possono finanziare spese per il 65%, con un limite fissato a 130 mila euro. La domanda si può presentare dal 2 maggio al 16 giugno 2022.

Contributi a fondo perduto Simest per internazionalizzazione delle imprese: tre gli ambiti di intervento

Sono tuttora aperti i bandi Simest per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese con contributi a fondo perduto e finanziamento che vanno a coprire le spese per:

  • gli interventi in chiave di transizione ecologica e digitale delle Pmi;
  • lo sviluppo del commercio elettronico delle imprese;
  • la partecipazione delle piccole e medie imprese a mostre e a fiere internazionali, svolte anche in Italia.

Transizione ecologica e digitale delle Pmi tra i contributi a fondo perduto Simest

Il primo ambito di intervento del bando per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese riguarda l’obiettivo della transizione ecologica e digitale. Si possono concedere finanziamenti per progetti fino a 300 mila euro purché l’ammontare del progetto stesso rientri nel 25% dei ricavi medi dei precedenti due bilanci. Il secondo ambito riguarda lo sviluppo del commercio elettronico delle piccole e medie imprese. In tal caso, gli investimenti devono riguardare progetti fino a 300 mila euro purché l’importo totale corrisponda ad almeno il 15% dei ricavi medi degli ultimi due bilanci.

Quali contributi a fondo perduto sono possibili per le fiere e le mostre internazionali delle Pmi?

Infine, sulla partecipazione a fiere e a mostre internazionali, le imprese possono presentare progetti entro i 150 mila euro (purché coperti dal 15% dei ricavi dell’ultimo bilancio). I contributi a fondo perduto e i finanziamenti possono essere richiesti fino al termine di maggio 2022. Le risorse stanziate andranno per il 40% alle imprese con sede nelle regioni del Sud Italia. Sulla differenza tra l’importo del progetto e quanto richiedibile in contributi a fondo perduto, si può procedere con un finanziamento a tasso agevolato.

Nuovi finanziamenti Unicredit con garanzia Sace a sostegno dei progetti green delle imprese

È stato concluso l’accordo tra Unicredit e Sace per i finanziamenti a favore delle imprese per progetti rientranti nel piano Green. Con l’intesa, i finanziamenti concessi dalla banca e garantiti da Sace, mireranno a facilitare le piccole e medie imprese italiana nella crescita sostenibile. Il supporto bancario mira dunque a sostenere le imprese, e in particolare le piccole e medie imprese, nei progetti per ridurre l’impatto ambientale e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Finanziamenti Unicredit alle piccole e medie imprese: quali sono le condizioni e i progetti di spesa finanziabili?

I finanziamenti Unicredit partono da un minimo di 50 mila euro fino a un massimo di 15 milioni di euro. La durata non può superare i 20 anni. I prestiti possono essere concessi per progetti che abbiano l’obiettivo di:

  • prevenire e mitigare i cambiamenti climatici;
  • ridurre le attività inquinanti;
  • proteggere le risorse idriche e marine;
  • ripristinare e proteggere la biodiversità e gli ecosistemi;
  • favorire la mobilità sostenibile;
  • intensificare l’economia circolare.

Quale garanzia offre Sace sui finanziamenti concessi da Unicredit alle imprese?

Le imprese che ottengono i finanziamenti Unicredit per gli obiettivi su esposti, beneficiano anche della garanzia green di Sace per un importo fino all’80% del prestito ottenuto. I finanziamenti sono concessi a imprese che abbiano un fatturato fino a 500 milioni di euro. I tempi per ottenere la garanzia Sace sui finanziamenti ottenuti saranno estremamente brevi per l’adozione di processi standardizzati e digitalizzati.

Accordo tra Unicredit e Sace per i finanziamenti green alle Pmi

“L’accordo con Sace – spiega Niccolò Ubertalli, Responsabile di UniCredit Italia – è un ulteriore tassello nella nostra ampia offerta di soluzioni finanziarie a supporto della trasformazione green del sistema economico italiano e della transizione energetica di tutte le Pmi del Paese che hanno o vogliono elaborare una strategia di sostenibilità. Grazie alla leva del credito agevolato, supportiamo progetti di investimento specifici e concreti di micro, piccole e medie imprese, con l’obiettivo di aiutarle a realizzare la transizione verso modelli di produzione a minore impatto ambientale, anche in coerenza con gli obiettivi del Pnrr”.

Finanziamenti per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese

Ulteriori finanziamenti sono concessi da Unicredit per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. Si tratta di finanziamenti chirografari a medio e a lungo termine che potranno essere utilizzati unicamente per sostenere i costi e gli investimenti destinati alle attività connesse ai processi di internazionalizzazione.

Quali imprese possono richiedere i finanziamenti Unicredit per l’internazionalizzazione?

I prestiti possono essere richiesti dalle società di capitale italiane attive nei Paesi esteri con investimenti diretti (anche come fusioni, acquisizioni, joint venture e partnership) o indiretti. Sono ammissibili le richieste di finanziamenti che abbiano come obiettivo quello di sostenere progetti di ricerca, di sviluppo, di rinnovo e potenziamento dei macchinari e degli impianti, la tutela di brevetti e dei marchi, la partecipazione a fiere e mostre internazionali. Le imprese richiedenti dovranno avere un fatturato massimo di 250 milioni di euro annui (con il 10% prodotto all’estero); la sede legale, gli stabilimenti di sviluppo, di ricerca e di attività produttiva in Italia; una significativa attività all’estero (rapporto tra fatturato delle esportazioni rispetto al totale del fatturato superiore al 10%).

Quali condizioni sono applicate per i finanziamenti per l’internazionalizzazione delle Pmi da Unicredit?

I finanziamenti per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese di Unicredit devono avere un importo minimo di 100 mila euro e uno massimo di 5 milioni di euro; la durata può variare da 2 a 10 anni, a scelta dell’impresa. Il tasso di interesse e variabile e maggiorato dello spread. Anche sui finanziamenti per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese c’è la garanzia Sace del 50% o del 70%. La garanzia copre i rischi dei mancati rimborsi dei prestiti.

Credito di imposta in arrivo per le aziende che usano imballaggi riciclati

In arrivo un nuovo credito di imposta per le aziende e le attività che utilizzano gli imballaggi riciclati. A darne il via libera è stato il ministero per la Transizione ecologica in base al decreto del 14 dicembre scorso. Il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale numero 33 del 9 febbraio 2022. Si tratta di un contributo corrispondente al 36% delle spese ammissibili e documentabili, per le attività che acquistino prodotti realizzati con materiali la cui provenienza derivi da raccolta differenziata.

Quali sono i prodotti in plastica, carta e alluminio ammessi al credito di imposta del 36% per gli imballaggi?

Tale raccolta deve riguardare gli imballaggi in plastica o biodegradabili. Vanno bene anche i compostabili in base a quanto prevede la normativa Uni En 13432.20022. Oltre ai prodotti sopra elencati, ai fini del credito di imposta del 36% sull’utilizzo di imballaggi riciclati, sono ammessi anche la carta e l’alluminio. Il credito di imposta si può domandare fino a un massimo di 20 mila euro all’anno e per ogni richiedente.

Credito di imposta sugli imballaggi, specifiche tecniche dei prodotti ammessi all’incentivo

Più nel dettaglio, gli imballaggi riciclati ammessi al credito di imposta devono essere acquistati dalle aziende richiedenti e possedere le seguenti caratteristiche:

  • i prodotti finiti ottenuti da materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica. Il riciclo di questi prodotti dovrà essere di almeno il 30% e avere le caratteristiche richieste dalla normativa Uni 10667;
  • gli imballaggi compostabili in base a quanto prevede la normativa Uni En 13432.20022. In questa categoria rientrano gli imballaggi in cartone e in carta, con eccezione di quelli stampati con inchiostri, in carta spalmata o trattata con prodotti chimici differenti da quelli utilizzati, di norma, nell’impasto cartaceo;
  • gli imballaggi realizzati con il legno, non impregnati.

Ulteriori caratteristiche degli imballaggi acquistati per avere il credito di imposta del 36%

Altre caratteristiche che devono possedere gli imballaggi per ottenere il credito di imposta riguardano quelli derivanti dalla raccolta differenziata della carta. Il riciclo, in questo caso, deve essere di almeno il 70%. Per gli imballaggi ottenuti dalla raccolta differenziata di alluminio, il riciclo deve essere di almeno il 50%.

Come certificare le spese per gli acquisti di imballaggi riciclati ai fini del credito di imposta?

L’acquisto di imballaggi che danno diritto al credito di imposta del 36% deve essere certificato dall’attestazione del presidente del collegio sindacale. In alternativa, le spese possono essere documentate da un professionista equivalente. Ai fini del credito di imposta si possono certificare anche le spese sostenute negli anni 2019 e 2020. In tal caso, le imprese possono presentare specifica domanda al ministero per la Transizione ecologica.

Come presentare domanda di bonus sugli imballaggi da parte delle imprese interessate?

Tutte le domande inerenti il bonus sull’utilizzo degli imballaggi da materiale riciclato possono essere presentate sulla piattaforma del ministero per la Transizione ecologica. Tale piattaforma sarà messa a disposizione dei richiedenti entro 2 mesi dalla data di comunicazione dell’apertura della piattaforma stessa. Per rimanere aggiornati è necessario consultare la sezione delle “news” del sito istituzionale del ministero.