Il made in Italy in Cina con Unimpresa

Una importante vetrina cinese per il made in Italy. È infatti stata inaugurata a Wuhan, città di 9 milioni di abitanti, una grande piattaforma logistica destinata al trading dei prodotti made in Italy dell’agroalimentare, della moda, degli accessori e del design.

Si tratta di un progetto voluto dall’amministrazione locale e da Unimpresa, che coinvolge circa 20 piccole e medie imprese associate, che esporranno e commercializzeranno i propri prodotti attraverso la rete di buyer a disposizione del colosso della logistica cinese, Sinotrans Group, al quale è stata affidata la gestione del centro insieme a Unimpresa. Dal canto suo, Unimpresa assicurerà assistenza e supporto alle Pmi italiane in ambito marketing, logistico e su tematiche economico-fiscali.

L’idea di Unimpresa è quella di replicare in altre 15 città cinesi la piattaforma di trading commerciale di Wuhan dedicata al made in Italy, che rientra nell’ambito del progetto Rethink retail di Unimpresa, progetto che vede la Cina come primo Paese interlocutore.

Con il progetto, Unimpresa si propone di promuovere e valorizzare le eccellenze imprenditoriali e produttive italiane, facendole crescere e posizionandole nelle grandi strutture mondiali di vendita al dettaglio.

Il progetto ha anche importanti risvolti sotto il profilo della tutela dell’originalità del made in Italy. Nella patria del tarocco, i prodotti italiani, avranno un certificato di origine garantito dalla dogana cinese che potrebbe avere un ruolo importante nel fermare il commercio e la diffusione di prodotti contraffatti.

Made in Italy? Passa lo straniero

Premessa: noi di Infoiva siamo sostenitori del made in Italy senza se e senza ma, ma siamo di quelli che non gridano allo scandalo né si stracciano le vesti se pezzi di made in Italy finiscono nelle mani degli stranieri.

Questo perché, spesso, l’intervento dello straniero serve a dare continuità a un brand e a favorirne i livelli occupazionali, evitando che aziende anche blasonate possano chiudere. Se gli stranieri portano idee, capitali, valorizzano la forza lavoro e non snaturano l’essenza dei marchi made in Italy che acquisiscono, ben vengano.

Alla luce di questo, non ci scomponiamo più di tanto di fronte ai dati che emergono da un’analisi di Unimpresa che ha rilevato come gli investitori esteri abbiano superato per la prima volta il 50% di possesso del made in Italy quotato alla Borsa di Milano.

L’analisi di Unimpresa si basa sull’andamento del valore delle aziende italiane nell’ultimo anno, precisamente tra giugno 2014 e giugno 2015, periodo nel quale la capitalizzazione a Piazza Affari delle imprese made in Italy è aumentata di 36 miliardi (+7%), toccando il totale complessivo di 545 miliardi.

Allo stesso tempo la parte di questo made in Italy nelle mani dei grandi gruppi internazionali è salita al 51%, +52 miliardi. Il totale delle loro partecipazioni è ora di 278,7 miliardi di euro. Di contro, il 43% di tutte le imprese, quotate e non, è controllato dalle famiglie, il cui peso nel capitale sociale è pari a 891,2 miliardi, in calo di 28,4 miliardi.

Lo Stato, da ultimo, a giugno 2015 aveva in portafoglio titoli azionari quotati made in Italy per 15,7 miliardi, pari al 2,9% del totale, in calo di 1,1 miliardi (-6,8%) rispetto ai 16,8 miliardi di giugno 2014.

Unimpresa: la crisi fa salire le riserve delle banche

Uno degli effetti più nefasti della crisi economica, che contribuisce ad avvitare la spirale recessiva degli ultimi anni, è la paura di spendere (per le famiglie) e di investire (per le imprese).

Una tendenza che porta a bloccare consumi e investimenti e, di conseguenza, ad aumentare le riserve delle banche. Lo ha certificato un rapporto stilato dal Centro studi di Unimpresa, basato su dati della Banca d’Italia, secondo il quale la crisi e la paura di nuove tasse hanno bloccato i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese e congelato la liquidità delle banche, passata dai 1.494 miliardi di ottobre 2014 ai 1.559 di ottobre 2015 (+5%).

Secondo Unimpresa, il saldo dei conti correnti è aumentato di 86 miliardi, da 778 a 864 miliardi (+8%), mentre è sceso di oltre 30 miliardi il totale dei depositi con durata prestabilita.

Unimpresa ha rilevato che gli accantonamenti delle famiglie sono cresciuti di oltre 23 miliardi, quelli delle imprese di oltre 21, quelli delle banche di 14 miliardi. Contemporaneamente, nello stesso periodo le riserve di assicurazioni e fondi pensione sono aumentate di 1 miliardo, +5%, mentre quelle delle imprese familiari sono balzate in su di ben 3 miliardi (+7%).

Sofferenze bancarie, che sofferenza!

Ormai è una non notizia quella delle sofferenze bancarie in Italia. Infatti continuano, con la parte più consistente di prestiti non rimborsati regolarmente agli istituti di credito che è ancora una volta a carico delle imprese con 141 miliardi, contro gli oltre 35 delle famiglie e gli oltre 15 delle imprese familiari.

La situazione delle sofferenze bancarie è stata rilevata dal Centro studi di Unimpresa, che ha calcolato come, da luglio 2014 a luglio 2015, sono cresciute di oltre il 16% superando i 197 miliardi di euro: dai 169,1 miliardi di luglio 2014 ai 197,1 di luglio 2015, con un aumento di oltre 30 miliardi in un anno. E non poteva mancare, nel mazzo dei cattivi pagatori, la Pubblica amministrazione, con debiti non pagati verso le banche che, insieme a quelli delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie sfondano il tetto dei 4 miliardi.

Secondo Unimpresa, le sofferenze bancarie attualmente corrispondono al 14% dei prestiti, una crescita di 2 punti percentuali rispetto al 12% di un anno fa. Peccato che, alla fine del 2010, le sofferenze bancarie ammontassero a 77,8 miliardi: il che significa avere più che raddoppiato la consistenza in quattro anni e mezzo.

Naturalmente, la situazione delle sofferenze bancarie si riflette negativamente sull’andamento dei finanziamenti alle imprese e alle famiglie. Secondo lo studio di Unimpresa, nell’ultimo anno le banche hanno tagliato i finanziamenti a entrambi i soggetti per un totale di 10 miliardi (-0,6%), mentre i prestiti di medio periodo per le aziende sono andati in controtendenza e sono cresciuti di quasi 13 miliardi (+12%) così come il credito al consumo (+12 miliardi, +20%).

Finanziamenti alle imprese, la Bce lavora, le banche ci marciano

La Bce ci mette pure tutta la buona volontà e tutti i capitali di cui è capace, ma le banche italiane ancora non praticano finanziamenti alle imprese che su possano definire vantaggiosi, almeno stando a un’analisi effettuata dal Centro studi di Unimpresa.

Secondo lo studio, i tassi di interesse sui prestiti bancari alle aziende e ai piccoli imprenditori nel nostro Paese sfiorano il 16% e per ottenere dalle banche dei finanziamenti alle imprese le società di casa nostra pagano interessi dal 4,04% a al 15,95% a seconda del tipo di operazione.

In sostanza, secondo Unimpresa, le misure prese dalla Bce come il costo del denaro vicino allo zero e le maxi iniezioni di liquidità nel circuito bancario continentale, non riescono a tenere a bada i tassi d’interesse sul credito e sui finanziamenti alle imprese.

L’analisi di Unimpresa ricorda anche che da settembre 2014 il costo del denaro è pari allo 0,05% e che gli istituti di credito italiani hanno sottoscritto ben 108 miliardi di euro di titoli della Bce a tasso zero, ossia circa il 30% degli oltre 300 miliardi erogati all’intero sistema bancario della zona euro.

Secondo il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, questo andazzo riguardo ai finanziamenti alle imprese è preoccupante: “La situazione è drammatica. Negli ultimi 12 mesi i finanziamenti alle imprese sono calati di 20 miliardi di euro. Ora speriamo in una inversione di tendenza sia per quanto riguarda gli affidamenti sia per i tassi. A nostro giudizio le misure approvate la scorsa settimana dal consiglio dei ministri relative alle banche potranno avere un impatto positivo sulle imprese. Gli istituti, che beneficeranno di tempi più rapidi sul recupero crediti e della possibilità di defiscalizzare le perdite sui prestiti in un solo anno, a questo punto non avranno più scuse sul versante dei prestiti sia alle aziende sia alle famiglie”.

Le nuove regole – conclude Longobardidanno maggior certezza e allineano l’ordinamento tributario italiano a quello degli altri Paesi membri dell’Unione europea. Un passo importante, da parte del governo sul versante della politica industriale, che deve riflettersi immediatamente sull’economia reale”.

Unimpresa: fisco forte con i deboli e debole con i forti

Debole con i forti e forte con i deboli. Questo è, secondo Unimpresa, il fisco italiano quando ha a che fare con le imprese italiane. Secondo l’Unione Nazionale di Imprese, il fisco si accanisce con le realtà più piccole e si dimostra meno determinato con quelle grandi: oltre il 90% dei controlli fiscali del 2014, denuncia Unimpresa, ha riguardato le partite Iva e le piccole imprese.

Gli accertamenti fiscali condotti sulle medie imprese, sottolinea ancora Unimpresa sono stati solo l’8% del totale, mentre la quota relativa ai grandi gruppi industriali è ancora più irrilevante: 1,7%.

In termini numerici, dice Unimpresa, nel 2014 su 177.300 controlli fiscali, 160.007 sono stati fatti su micro e piccole imprese e su partite Iva, 14.211 su medie imprese e solo 3.122 su gruppi industriali di grandi dimensioni.

I numeri sono ancora più incomprensibili, secondo Unimpresa, se si considera nel 2014 è stato accertato che 31 grandi gruppi industriali hanno evaso, sottraendo all’erario oltre 25 milioni di euro a testa.

Ecco dunque il perché della denuncia di Unimpresa, che punta il dito contro l’incomprensibile disparità di trattamento che stringe oltremodo le briglie fiscali intorno alle piccole imprese e le allarga alle grandi.

Secondo Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, sarebbe necessario un deciso cambiamento nel rapporto tra i contribuenti e lo Stato, anche e soprattutto alla luce di dati come questi; ma, sottolinea ancora Longobardi, da questo punto di vista la delega fiscale del governo Renzi è insoddisfacente, poiché non ha mosso nulla in questa direzione.

Finanziamenti alle imprese giù negli ultimi 5 anni

Quando si parla di finanziamenti alle imprese in Italia, bisogna sempre fare i conti con dei dati in altalena. Qualche giorno fa, l’Abi ha parlato di una crescita dei finanziamenti alle imprese nel primo trimestre del 2015. Se invece si amplia l’orizzonte, come fa il Centro studi di Unimpresa, si registra che negli ultimi cinque anni i finanziamenti alle imprese sono calati di 36,2 miliardi (-4,28%).

Secondo Unimpresa, da marzo 2010 a marzo 2015 i finanziamenti alle imprese sono diminuiti su tutte durate: quelli a breve termine (fino a 1 anno) sono scesi di 16,7 miliardi (-5,28%), quelli a medio termine (fino a 5 anni) di 10,7 miliardi (-7,49%), quelli a lungo termine (oltre 5 anni) sono diminuiti meno, 8,7 miliardi (-2,26%) ma sono diminuiti.

A un calo dei finanziamenti alle imprese corrisponde, anche in questo caso, un aumento delle sofferenze bancarie (le rate di prestiti non rimborsate da parte delle imprese). Nello stesso periodo, infatti, Unimpresa sottolinea il balzo in avanti di queste ultime, cresciute del 207,74% e passate da 48,8 miliardi a 150,3 miliardi.

Secondo le rilevazioni di Unimpresa, le società non finanziarie hanno avuto le maggiori difficoltà a rimborsare i finanziamenti alle imprese: +223,54%, da 41,7 miliardi a 134,9 miliardi. Raddoppiate le sofferenze per le imprese familiari, passate da 7,1 miliardi a 15,4 miliardi (+115,65%).

Amaro il commento del presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Le eventuali fusioni e aggregazioni – ha detto a chiosa dei dati presentati – non siano mosse o condizionate da interessi e giochi di potere, ma siano finalizzate a razionalizzare i costi e a rendere più efficiente l’industria del credito“.

Nuova gelata sui finanziamenti alle imprese

Ci risiamo. Tornano a crescere le sofferenze bancarie e, parallelamente, si restringono i finanziamenti alle imprese. Secondo il rapporto mensile sul credito del Centro studi di Unimpresa, da febbraio 2014 a febbraio 2015 le sofferenze hanno superato i 187 miliardi di euro (+25,2 miliardi, per un incremento del 15,56%).

Ne hanno sofferto i finanziamenti alle imprese perché proprio le imprese sono state quelle che hanno fatto più fatica a rimborsare i prestiti alle banche per 133,1 miliardi (+16,51%). E siccome qualcosa di vero ci sarà nel detto secondo cui le banche ti danno l’ombrello quando c’è il sole e se lo riprendono quando piove, ecco che, a fronte di questa situazione, i finanziamenti alle imprese sono stati tagliati di 28,7 miliardi.

Una stangata per le aziende, che hanno visto calare sia i prestiti a breve termine di 10,7 miliardi (-3,48%) sia quelli di lungo periodo di 26,3 miliardi (-6,52%) con in calo complessivo dei finanziamenti alle imprese da 834,6 a 805,9 miliardi. Un’ennesima gelata che ha tagliato le radici di moltissime aziende e che ha spinto Unimpresa a lanciare il consueto allarme da quando è partito il credit crunch.

Secondo il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, “quella del credito resta una situazione gravissima e, di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Negli scorsi mesi i rappresentanti delle banche e quelli delle grandi industrie hanno parlato di un nuovo rapporto tra il mondo del credito e quello delle imprese, ma non se n’è fatto più nulla”.

Prestiti alle imprese, a quando la ripresa?

Anche il mese di gennaio conferma che il momento difficile per i prestiti alle imprese e famiglie non è ancora passato. Secondo il Centro studi Unimpresa, da gennaio 2014 a gennaio 2015, le sofferenze bancarie (dati Bankitalia) sono aumentate del 15% arrivando a oltre 185 miliardi di euro (+25 miliardi).

Secondo l’osservatorio di Unimpresa, la maggior parte dei finanziamenti non rimborsati arriva dai prestiti alle imprese, per un totale di 131 miliardi, e anche le cosiddette imprese familiari risultano in forte difficoltà, con un totale di insoluto che tocca i 15 miliardi.

Unimpresa rileva però che, nello stesso periodo, le banche hanno diminuito i prestiti alle imprese e alle famiglie per complessivi 30 miliardi (pari a un calo del 2%), ma i prestiti alle imprese per il medio periodo sono cresciuti di 9 miliardi.

Secondo lo studio di Unimpresa, nell’anno in esame le sofferenze sono passate dai 160,4 miliardi di gennaio 2014 ai 185,4 di gennaio 2015 (+16,6%). Di queste, la quota delle imprese è aumentata di ben il 17,3%, da 112,3 a 131,7 miliardi, mentre per le imprese familiari la crescita è stata più contenuta ma sempre preoccupante: +11,08%, da 13,6 a 15,1 miliardi.

A fronte di queste sofferenze, la stretta al credito e i tagli ai prestiti alle imprese e alle famiglie è fisiologica: nell’ultimo anno sono calati di 2,5 miliardi al mese, per un totale, da gennaio 2014 a gennaio 2015, di -30,6 miliardi (da 1.439,6 a 1.409,1).

I prestiti alle imprese sono scesi di 27,4 miliardi e del 2,13% nell’ultimo anno; sono calati quelli a breve termine per 9,8 miliardi (-3,16%) e quelli di lungo periodo di 26,5 miliardi (-6,55%). In controtendenza quelli fino a 5 anni: +8,9 miliardi (+7,50%).

Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, non ha mancato di commentare questa situazione: “Quella del credito resta una situazione gravissima e di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Ci sono le risorse del quantitative easing della Bce e non vanno sprecate”.

Prestiti bancari scesi di 70 miliardi in tre anni

Unimpresa ha reso noto che, negli ultimi tre anni, i crediti bancari hanno subito una contrazione di quasi 70 miliardi.

A seguito di questa brusca e preoccupante diminuzione, i finanziamenti alle famiglie si sono ridotti di ben 14 miliardi.
Da luglio 2011 a luglio 2014, infatti, i prestiti al settore privato da parte delle banche è diminuito complessivamente di 83,1 miliardi (-5,49%) passando da 1.513 miliardi a 1.430 miliardi.

A commento di questi risultati, Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Con questi dati, intendiamo rispondere ai banchieri che, per giustificare la stretta ai rubinetti del credito, puntano il dito contro le aziende, sostenendo che è colpa del cavallo che non beve: la realtà è diversa e racconta di una sistematica azione volta a ridurre drasticamente l’offerta di liquidità allo sportello. E il mezzo fallimento dell’asta Bce conferma che da parte degli istituti di credito non c’è alcuna intenzione di finanziare l’economia reale”.

Questa situazione ha fatto ridurre di 5,6 miliardi (-8,78%) passando da 63,8 miliardi a 58,2 miliardi; i mutui per l’acquisto di abitazioni sono calati di 3,8 miliardi (-1,05%) scendendo da 363,5 miliardi a 359,7 miliardi; i prestiti personali sono diminuiti di 4,6 miliardi (-2,51%) da 185,5 miliardi a 180,9 miliardi.

Non va meglio per le aziende, poiché nel trimestre preso in esame gli impieghi in questo comparto sono scesi di 69,08 miliardi (-7,67%) da 900,2 miliardi a 831,1 miliardi.
I finanziamenti di breve periodo (fino a 1 anno) si sono ridotti di 39,02 miliardi (-11,29%) passando da 345,7 miliardi a 306,t miliardi; i prestiti di medio periodo (fino a 5 anni) sono calati di 12,2 miliardi (-8,71%) scendendo da 140,1 miliardi a 127,9 miliardi; i prestiti di lungo periodo (oltre 5 anni) sono diminuiti di 17,8 miliardi (-4,31%) da 414,3 miliardi a 396,5 miliardi.

Alla luce di questi dati, Longobardi ha aggiunto: “La situazione è gravissima e per dare una svolta servono importanti misure da parte del governo sul versante delle garanzie, che richiedono un massiccio investimento di danaro pubblico. Alle attuali condizioni di mercato ottenere un finanziamento è un miracolo”.

Vera MORETTI