Le imprese tornano a crescere nel 2015

Finalmente le imprese, in Italia, sono tornate a fare quello per cui esistono, oltre che produrre: crescere e far crescere l’economia. Secondo un’analisi sulla nati-mortalità delle imprese italiane diffusa da Unioncamere – InfoCamere, nel 2015 queste hanno toccato quota 6 milioni e 57mila unità, grazie a un saldo finalmente positivo tra aziende aperte e chiuse pari a 45mila unità: 372mila contro 327mila cancellazioni.

Si tratta di un ritmo di crescita tornato sui livelli precrisi, +0,75%, che, nonostante sia decisamente presto per cantare vittoria, fa ben sperare, specialmente per l’apporto dato alla crescita dalle imprese create da donne, stranieri e giovani. Si va infatti dalle 14.300 imprese femminili, alle 32mila di imprenditori stranieri fino alle oltre 66mila create da under 35.

Sempre l’analisi di Unioncamere – InfoCamere rivela che nel 2015 hanno faticato ancora le imprese manifatturiere (-2.416 unità), le agricole (-5.460) e, soprattutto, quelle edili (-6.055). Buone le performance delle imprese commerciali (+11.990), turistiche (+11.263) e di servizi alle imprese (+9.409), tre comparti che, da soli, totalizzano i due terzi della crescita registrata lo scorso anno.

Soddisfatto il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello: “La vivacità con la quale il sistema imprenditoriale ha ricominciato a crescere ci fa capire che i momenti più difficili della lunga crisi che ha attraversato il Paese sono probabilmente alle spalle. È bello soprattutto constatare che nel 2015 quasi 120mila giovani under 35 hanno scelto di scommettere sulle proprie capacità, dando vita a una nuova impresa. Il sistema camerale intende lavorare per fare in modo che tutte queste nuove realtà, molte delle quali sono sicuramente innovative e promettenti, superino con successo la delicata fase di start up e si affermino sul mercato“.

Confassociazioni International per gli investimenti esteri

In un momento nel quale il mercato domestico stenta ancora a uscire dalle secche della crisi, gli investimenti esteri sono linfa vitale per le imprese. Lo sa anche Salvo Iavarone, Presidente di Confassociazioni International, che ha dichiarato in una nota: “Parte da Torino, il 19 gennaio prossimo, il ciclo di conferenze sugli investimenti esteri organizzato da Confassociazioni International in collaborazione con Unioncamere”.

L’appuntamento è il primo di una serie di incontri organizzati insieme a Unioncamere – ha continuato Salvo Iavaroneche avranno luogo nel corso del 2016 presso le camere di Commercio di Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Siracusa. A Torino, dopo i saluti di Vincenzo Ilotte, Presidente Camera di Commercio ospitante, Riccardo Alemanno, Vice Presidente Vicario di Confassociazioni e Saverio Delli Paoli, Coordinatore regionale Piemonte di Confassociazioni, ci sarà la mia introduzione come Presidente di Confassociazioni International”.

A seguire, nella prima sessione si osserverà come il sistema Paese Italia viene proposto all’estero per invitare gli operatori ad investire. In questa occasione – ha continuato Iavarone che è anche Presidente di Asmef, Associazione Mezzogiorno Futuro – avremo come protagonisti il Presidente dell’ICE, Riccardo M. Monti, la Vicepresidente di Confindustria, Licia Mattioli, il Presidente Anci e Sindaco di Torino Piero Fassino, Bernardino Chiaia del Politecnico del capoluogo piemontese”.

Nella seconda sessione verranno affrontati i possibili benefici che i territori possono ricevere se gli investimenti aumentano. Ne parleremo con Ivan Lo Bello, Presidente di Unioncamere, Alessandra Lanza della Fondazione Prometeia e Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli”.

Infine, nella terza sessione, Sergio Chiamparino, Presidente della Regione Piemonte, ci racconta cosa fa il Piemonte, e come lo fa, insieme a Giuseppe Donato, Presidente del Ceip. Concluderà il dibattito Angelo Deiana, Presidente Nazionale di Confassociazioni”.

Come mai Confassociazioni International sta lavorando a questa iniziativa? Il 2014 – ha sottolineato Iavaroneregistra una crescita del 3,5% degli investimenti diretti dall’estero, ma siamo ancora molto indietro: restiamo in coda alla graduatoria europea, superiori solo alla Grecia. Eppure, in un mondo che vola sugli scambi internazionali, una crescita in questo segmento potrebbe risultare preziosa. Perché iniziamo in Piemonte? Perché si tratta di una case history positiva. Il Nordovest attrae da solo il 65% degli investimenti totali. Seguono il Centro (18,5%), il Nordest (13,8%), e in coda il Sud (2% appena). Al termine del percorso di studi e confronto in collaborazione con Unioncamere, indicheremo in un documento condiviso al Governo alcune azioni possibili tese a favorire una crescita degli investimenti diretti dall’estero”.

Dopo Expo 2015: le ricadute sulle imprese del territorio

Si era detto che Expo 2015, in quanto evento globale, avrebbe avuto delle ricadute positive sull’economia dell’Italia intera ma, soprattutto, su quella dell’area milanese e lombarda. Ora, a 10 giorni dalla chiusura dei cancelli e dallo spegnimento dell’Albero della Vita, qualche primo bilancio in questo senso lo si comincia a fare.

I primi numeri che emergono da questo bilancio dicono che, specialmente per le imprese lombarde, Expo 2015 è stata una straordinaria occasione per fare network, tessere rapporti, creare opportunità di business. Se non nell’immediato, sicuramente in prospettiva. Un’occasione che molte imprese non si sono lasciate sfuggire, partecipando al progetto “Incoming di Buyer Esteri” di Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia e Sistema Camerale Lombardo, coordinato da Promos, Azienda Speciale della Camera di commercio di Milano.

Un’iniziativa che si è svolta nel corso dei sei mesi di Expo 2015 e che ha visto l’accoglienza in Lombardia di operatori economici di tutto il mondo, con l’obiettivo di favorire il processo di internazionalizzazione del tessuto imprenditoriale lombardo, creando occasioni di business su tutto il territorio regionale.

Grazie al progetto, 921 imprese di tutte le province lombarde hanno incontrato gratuitamente 229 buyer selezionati, provenienti da 32 Paesi di tutto il mondo. Nei 39 incontri realizzati nei capoluoghi di provincia, sono stati realizzati 4982 b2b che hanno coinvolto aziende lombarde di tutti i settori: agroalimentare, beni strumentali e macchinari, moda-tessile, calzature-accessori, cosmetica, ambiente ed energia, medicale, arredo & design ed edilizia.

I buyer, approfittando della concomitanza con Expo 2015, sono arrivati da 32 Paesi: Corea del Sud, Russia, Brasile, Marocco, Emirati Arabi, Kazakistan, Iran, Sudafrica, Polonia, Perù, Canada, Gran Bretagna, Ungheria, Svezia, Finlandia, Algeria, Turchia, Austria, Germania, Arabia Saudita, Uruguay, Cina, Olanda, Stati Uniti, Singapore, Qatar, Tunisia, Bahrein, Francia, Oman, Libano e Kuwait.

Un’iniziativa che ha dato uno sviluppo all’interscambio commerciale dell’intera regione, utilizzando Expo 2015 come catalizzatore e volano per il business. Secondo un’elaborazione del servizio Studi della Camera di commercio di Milano sui dati Istat al primo semestre 2015 e 2014, l’interscambio della regione nel 2015 ha fatto segnare un +6,4% per l’import e +2,6% per l’export, per un valore che ha raggiunto i 59 miliardi di euro di import e 55,5 di export. Dopo Milano, che concentra oltre la metà delle importazioni e un terzo delle esportazioni (rispettivamente +8,7% e +0,1% rispetto al 2014), vengono Brescia, Bergamo e Pavia tutte con il 7% del totale dell’import e Brescia e Bergamo con il 13% circa nell’export. In forte crescita Mantova (+19,4% l’import e +9,5% l’export), Monza e Brianza (+12,5% e +7,7%) e Lecco (+14,6% e +6,1%).

Sembra quindi che, da questo punto di vista, il sistema produttivo regionale sia riuscito a fare squadra sfruttando l’opportunità offerta da Expo 2015. Per i bilanci generali e i numeri globali, sia a livello nazionale sia locale, è ancora presto, ma si spera che, con queste premesse, l’Esposizione non si riveli, col tempo, un’occasione persa.

Made in Italy ed eccellenze digitali

I digitalizzatori del Made in Italy hanno fatto la loro scoperta: i prodotti italiani sono sempre più apprezzati e ricercati in rete ed è bene che le imprese sfruttino questo treno digitale che sta passando, aumentando nel proprio organico le figure con competenze digitali, per far sì che le medesime imprese possano crescere grazie al successo del Made in Italy.

È questo il succo di quanto emerso dalla presentazione, avvenuta nei giorni scorsi a Firenze, della nuova edizione del progetto Eccellenze in Digitale, promosso da Google e Unioncamere. Un progetto che ha interessato ben 20mila imprese, 1500 delle quali supportate nelle strategie di sviluppo digitale.

Secondo Diego Ciulli, public policy manager di Google Italia, “negli ultimi due anni sono cresciute del 22% le ricerche di prodotti Made in Italy online su Google. Nei Paesi in via di sviluppo di nuova digitalizzazione, c’è mercato aggiuntivo per i nostri prodotti: i nuovi ricchi di tante parti del mondo utilizzano Internet per accedere per la prima volta al Made in Italy, ma vediamo che le ricerche crescono anche nei Paesi industrializzati, come gli Usa la Germania e la Francia“.

Secondo i dati della ricerca, dei prodotti Made in Italy online attirano più le immagini (+41%) e i video (+32%) rispetto alle news (-7%). Incoraggiante la crescita dello shopping online, +57%.

Per quanto riguarda invece i Paesi che più di tutti amano i prodotti Made in Italy, almeno online, ci sono l’Australia, gli Usa e la Gran Bretagna; si difendono bene anche Grecia, Canada, Svizzera, Germania, Belgio e Olanda.

Chiusura all’insegna del buon senso da parte del vicepresidente di Unioncamere e presidente della Camera di Commercio di Firenze, Leonardo Bassilichi: “La qualità è il nostro petrolio e chi cerca il Made in Italy la insegue disperatamente, per questo dobbiamo trovare ogni mezzo per far conoscere al mondo i nostri artigiani di qualità, digitalizzare le Pmi d’eccellenza è il modo più semplice ed economico per prendere al volo questa voglia mondiale e trasformarla in un motore potentissimo per la nostra economia”.

Gli imprenditori stranieri in Italia

Gli imprenditori stranieri in Italia sono una benzina importantissima per il motore della piccola e media impresa. Se nel 2014 risultavano oltre 335mila imprese individuali registrate da imprenditori stranieri, capiamo bene come i flussi migratori non generino solo tragedie, frustrazione e povertà, ma anche ricchezza.

Quali sono, però, gli imprenditori stranieri che hanno davvero trovato l’America in Italia? Ce lo racconta sempre l’indagine trimestrale di Unioncamere/InfoCamere, dalla quale emerge che Marocco, Cina, Albania e Bangladesh sono i Paesi d’origine del maggior numero di imprenditori stranieri operanti in Italia.

Gli imprenditori stranieri arrivati dal Marocco, le cui imprese rappresentano il 19,1% del totale delle ditte individuali guidate da extracomunitari in Italia, dominano in 11 regioni su 20, e sono i padroni assoluti nei settori dei trasporti e del commercio.

Dalla Cina arrivano invece 47mila imprenditori individuali, stando alle stime relative a dicembre 2014. La maggior parte di queste comunità di imprenditori stranieri si è stabilita in Toscana e Veneto, dove si dedicano principalmente alla loro vocazione manifatturiera (in special modo tessile), ma sono anche molto attivi nella ristorazione, nell’ospitalità e nei servizi alle persone.

Se un tempo, poi, almeno al Nord Italia muratore era sinonimo di bergamasco, ora gli orobici cedono il posto agli albanesi. Dal Paese delle aquile provengono infatti più di 30mila imprenditori stranieri, molti dei quali operanti nel settore delle costruzioni.

La Top 4 si chiude con gli imprenditori stranieri provenienti dal Bangladesh, titolari di quasi 26mila imprese, la maggior parte delle quali nel Lazio, che la fanno da padroni soprattutto nel settore del commercio (con più di 16mila imprese), ma non disdegnano, secondo Unioncamere, nemmeno i settori delle Tlc, dell’informatica, delle agenzie di viaggio e dei servizi alle imprese.

Meno numerosi ma comunque in forte crescita, sempre secondo Unioncamere, gli imprenditori stranieri provenienti da Pakistan (10.742 imprese, +1.490 sul 2013), Nigeria (10.563, +1.437), Senegal (18.192, +1.299) e India (4.730, +860). Insomma, per i migranti, oltre il Canale di Sicilia c’è di più, se il destino o la barbarie degli scafisti non decidono diversamente.

Imprenditori immigrati, salvezza dell’economia

In un momento in cui i flussi dell’immigrazione in Europa hanno toccato livelli da esodo storico, con anche tragedie che toccano da vicino e scuotono le coscienze, in Italia è sempre più chiaro che gli imprenditori immigrati rappresentano un’ancora di salvezza per l’economia nazionale. Si tratta di una verità della quale abbiamo scritto più e più volte e per la quale, ora, arriva l’ennesima conferma da uno studio Unioncamere-InfoCamere sulla base dei dati degli ultimi tre anni del registro delle imprese, dal quale risulta che gli imprenditori immigrati che hanno aperto un’attività in Italia tra il 30 giugno 2012 e il 30 giugno 2015 sono 86mila in più su un totale di aziende etniche di circa 540mila, pari all’8,9% del tessuto produttivo nazionale.

Secondo lo studio, il maggior numero di imprenditori immigrati attivi in Italia si concentra nei settori delle costruzioni, nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, nel noleggio, nelle agenzie di viaggio e servizi alle imprese e nella ristorazione e alloggio. Nel complesso, in numero di aziende registrato da Unioncamere è cresciuto di 70mila unità nei tre anni oggetto dello studio.

La maggior parte degli imprenditori immigrati che aprono un’attività in Italia sceglie come forma societaria quella dell’impresa individuale, con un totale di circa 432mila, pari al 13,3% del totale delle imprese registrate con questa forma giuridica. Marocco (66.273), Cina (48.116) e Romania (47.677) i principali Paesi di provenienza degli imprenditori.

Spacchettando i settori produttivi e confrontandoli con la provenienza degli imprenditori stranieri, si nota che nella confezione di articoli di abbigliamento le imprese individuali straniere, principalmente cinesi, sono il 45% del totale. Gli immigrati sono il 43% anche delle 7mila imprese individuali nel campo nelle telecomunicazioni; Bangladesh, Pakistan e Marocco sono i principali Paesi di provenienza dei titolari. Nel campo delle costruzioni, gli imprenditori immigrati sono soprattutto romeni e albanesi

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, che ha commentato questi dati sugli imprenditori stranieri, “la via dell’impresa si conferma una delle modalità attraverso le quali, gli stranieri giunti in Italia, possono integrarsi nel nostro sistema economico e sociale. Oggi ci confrontiamo con imponenti flussi migratori, e vale allora la pena di ricordare che oltre alle politiche di accoglienza, vanno messi in campo strumenti e politiche di integrazione a basso costo per il nostro Paese. Tra queste quelle di supporto all’avvio dell’attività imprenditoriale, dove le Camere di Commercio giocano un ruolo importante per chi vuole aprire una nuova impresa”.

Unioncamere, 900mila posti in più nelle imprese

Sono cifre interessanti quelle emerse dalle notizie per l’anno 2015 del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Ministero del Lavoro, e riguardanti le previsioni di assunzioni da parte delle imprese italiane per l’anno in corso. Si parla infatti di oltre 910mila entrate previste da parte delle imprese dell’industria e dei servizi con almeno un dipendente. Sono 119mila in più rispetto al 2014.

Il rapporto di Unioncamere segnala anche la stabilizzazione, grazie alle misure introdotte dal Jobs Act, di circa 170mila lavoratori e la creazione di 55mila nuovi posti di lavoro che, a detta dell’Unione italiana delle camere di commercio, non si sarebbero avuti quest’anno se la legislazione sul lavoro fosse rimasta invariata.

Secondo Unioncamere, a crescere in misura consistente nel 2015 sarà il lavoro “stabile”, a cominciare dai nuovi contratti a tutele crescenti che dovrebbero essere poco meno di 250mila (249.200) rispetto ai 146mila contratti a tempo indeterminato programmati nel 2014. Interrogate su queste 249mila assunzioni, le imprese hanno indicato come motivazione prevalente, che 132.700 (il 53,2%) sarebbero state messe in programma a prescindere, che 35.400 non sarebbero state previste senza il Jobs Act (14,2%) grazie al quale oltre 19mila di queste sarebbero anticipate a quest’anno (7,7%).

Le aziende, interpellate da Unioncamere, confermano che per 62mila assunzioni circa si tratterebbe di un cambio rispetto a una tipologia contrattuale “atipica” prevista all’inizio (24,9%). A quest’ultima quota di “precari” stabilizzati grazie al Jobs Act, si deve poi aggiungere parte delle 117mila trasformazioni di contratti dal tempo determinato all’indeterminato di lavoratori già alle dipendenze delle imprese che possono essere state influenzate o dalla nuova disciplina sul lavoro.

Quello che è interessante notare, secondo il rapporto di Unioncamere, è proprio il fatto che, durante il 2015, le imprese italiane dell’industria e dei servizi hanno programmato di realizzare oltre 910.300 ingressi di nuovo personale, quasi 120mila (118.900) in più rispetto al 2014, con una crescita del +15%. Di questo totale faranno parte oltre 720mila assunzioni dirette (+17,7% quelle a carattere stagionale e non stagionale) e circa 190mila nuovi contratti di lavoro atipici (di somministrazione o parasubordinati + 5,9%).

Buone anche le cifre che riguardano l’occupazione giovanile, per la quale le imprese interpellate da Unioncamere ritengono di poter riservare oltre 202mila delle 721.700 assunzioni previste: il 28% del totale. Per quanto riguarda i settori produttivi, nelle imprese dei servizi saranno 156.600, nell’industria 45.600. Per quanto riguarda le aree geografiche, sarà più intensa la presenza giovanile nel Nord Ovest, dove la quota di assunzioni destinate agli under 30 toccherà il 32%, e tra le imprese con oltre 250 dipendenti, dove arriverà al 36%.

Unioncamere traccia quindi, nel complesso, un quadro incoraggiante, dove però il saldo tra entrate e uscite nel settore privato nel 2015 sarà ancora in negativo, anche se meno rispetto al 2014: si parla di circa 60mila posti di lavoro in meno, in miglioramento rispetto ai -144mila previsti dalle imprese lo scorso anno, con un aumento netto della domanda di lavoro di oltre 83mila unità.

Finanziamenti alle imprese ancora giù

Ancora pessime notizie sul fronte dei finanziamenti alle imprese. Secondo quanto rileva una stima di Confartigianato, i finanziamenti alle imprese erogati dalle banche sono calati di 105,9 miliardi di euro negli ultimi quattro anni: -10,6% rispetto a giugno 2011.

Una stretta sui finanziamenti alle imprese che ancora non sconta gli effetti della mini ripresa in atto e che ha obbligato molte attività a chiudere: secondo Cerved, gruppo specializzato nell’analisi del rischio del credito, dal 2008 al 2014 sono fallite 82mila attività, molte delle quali proprio a causa dei mancati finanziamenti alle imprese, con una perdita di posti di lavoro pari a circa un milione.

Le imprese sopravvissute hanno invece rinunciato ad assumere e hanno ristretto gli investimenti. Tra il 2011 e il 2015, secondo Confartigianato, gli investimenti fissi lordi sono scesi di 51,6 miliardi di euro, una flessione del 15,9%. Sempre Confartigianato rileva che in altri Paesi europei la tendenza dei finanziamenti alle imprese e degli investimenti è in territorio positivo.

Tornando all’Italia, risulta critica la situazione per le imprese di piccola dimensione: sempre secondo Confartigianato, a maggio per le aziende che impiegano fino a 20 addetti, si è registrato un calo dei finanziamenti alle imprese del 2,3%, decisamente più consistente rispetto a quello fatto segnare dal totale delle imprese attive in Italia nell’ultimo anno: -1,6%.

Una nota positiva arriva, se non altro, da Unioncamere: tra aprile e giugno 2015, le aperture di nuove procedure fallimentari sono calate, fermandosi a quota 3.654, circa il 10% in meno rispetto alle otre 4mila dello stesso trimestre 2015. Giù anche i concordati preventivi: 414-22,9% rispetto allo scorso anno. Ora c’è da sperare solo in una ripresa dei finanziamenti alle imprese.

Imprenditrici, ricchezza d’Italia

E meno male che ci sono loro, le imprenditrici, a tenere alta la bandiera dell’impresa italiana. Sì, perché stando ai dati diffusi dall’Osservatorio per l’imprenditoria femminile di Unioncamere e InfoCamere, le imprenditrici in Italia hanno sfondato il tetto del milione e 300mila unità.

A fine giugno, sottolinea l’Osservatorio, sono infatti 1.306.214 le imprese iscritte al Registro delle Camere di commercio che hanno una donna al vertice o una partecipazione femminile maggioritaria. Queste realtà guidate da imprenditrici costituiscono il 21,6% del totale delle imprese italiane.

L’Osservatorio rileva anche un altro dato importante: le attività che queste imprenditrici portano avanti, sono inserite in molti dei settori chiave dell’economia italiana come, per esempio, l’industria della vacanza e del tempo libero che produce occupazione e fatturato non solo in questo periodo estivo.

Sono molti i segmenti di questo settore nei quali la partecipazione femminile è molto alta e il numero delle imprenditrici tiene testa a quello dei colleghi maschi. Le imprese a guida rosa superano il 40% nelle agenzie di viaggio, negli altri servizi di prenotazione (come quelli che riguardano le guide turistiche), negli alloggi per le vacanze, nelle attività legate ad archivi e biblioteche.

Sempre restando nel settore del turismo e dello svago, le imprenditrici alla guida di realtà proprie sono circa un terzo dei tour operator, degli hotel, delle forniture per catering, dei bar, dei musei, dei parchi divertimento e tematici e degli stabilimenti balneari. Qualcosa meno ma sempre comunque oltre il 25% le imprenditrici che operano nella direzione dei campeggi, nei ristoranti, nelle mense, nelle palestre e in altre attività ricreative e di divertimento.

Italia, la più cliccata dai mercati stranieri

L’Italia e il Made in Italy piacciono ancora, anzi, sempre di più.
A testimoniarlo sono le percentuali delle ricerche su Google, che negli ultimi tre anni sono aumentate del 22%.

Questo dato è frutto di uno studio, il rapporto Italia – Geografie del nuovo Made in Italy, realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, presentato a Treia (Macerata) nella sessione di apertura del XIII seminario estivo.

Questo risultato fa capire come il Belpaese sia concepito all’estero, nonostante i sette anni di crisi: i mercati globali, infatti, hanno ancora un’idea di Italia innovativa, versatile, creativa, reattiva, competitiva e vincente.

Questo successo, comunque, è dovuto grazie ad un percorso che, in questi anni, si è deciso di percorrere, senza mai lasciare da parte la qualità, che da sempre contraddistingue, ad esempio, la nostra attività manifatturiera.

Proprio questo settore ha contribuito a far arrivare l’Italia tra le prime cinque potenze industriali, insieme a Cina, Germania, Giappone e Corea.
Non a caso dall’introduzione dell’euro l’Italia ha visto i valori medi unitari dei suoi prodotti salire del 39%, facendo meglio di Regno unito (36%) e Germania (23%).

Ma la qualità dei prodotti italiani non viene riconosciuta solo all’estero perché ben due italiani su tre sono disposti a pagare un sovrapprezzo per avere prodotti 100% italiani. E questa tendenza si riscontra anche in Giappone, Emirati Arabi, Usa, Russia e Brasile.

Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, ha dichiarato in proposito: “Mentre la crisi sembra finalmente allentare la sua presa sul Paese, è ancora più importante avere un’idea di futuro, capire quale posto vogliamo che l’Italia occupi in un mondo che cambia. Più che in passato, mi piace dire che l’Italia deve fare l’Italia, rispondendo ad una domanda che aumenta ed e’ confermata dai dati sull’innalzamento delle ricerche sul maggiore motore di navigazione internet, e puntare sui talenti che il mondo le riconosce: bellezza, qualità, conoscenza, innovazione, territorio e coesione sociale che sempre più incrociano la frontiera della green economy. Talenti che ci consegnano le chiavi della contemporaneità e delle sfide del futuro perchè assecondano la voglia crescente di sostenibilità dei consumatori e danno risposte ai grandi cambiamenti negli stili di vita e nei modelli di produzione”.

Vera MORETTI