Startup in calo in Veneto

Sono quasi 18mila le startup che, nel primo trimestre del 2014, sono state avviate nel Veneto da giovani di età inferiore a 30 anni.

Tra le province, Verona è quella più attiva, poiché conta, sul suo territorio, 4mila aziende, ben 450 in più rispetto a Padova, che si colloca al secondo posto.
Sul terzo gradito di questo speciale podio c’è Vicenza, che sfiora le 3.100 imprese.

I dati sono stati resi noti dalla Cgia e, a questo proposito, il suo segretario, Giuseppe Bortolussi, ha commentato: “In passato i giovani decidevano di mettersi in proprio perché nutrivano forti motivazioni personali ed erano animati dalla voglia di essere completamente autonomi. In questi ultimi anni di crisi, invece, queste spinte sono venute meno e non sono pochi i giovani che hanno intrapreso la strada dell’imprenditorialità non per vocazione bensì per scelta, in quanto impossibilitati ad entrare nel mercato del lavoro come lavoratori dipendenti”.

Ciò che, però, rimane un dato di fatto è che le startup dimostrano tuttora una certa fragilità, poiché entro 5 anni dalla loro fondazione, ben la metà chiude definitivamente.
E proprio questo trend spaventa i giovani imprenditori, la cui percentuale è scesa del 22,8%, mentre la totalità dei titolari ed amministratori è diminuita solo del 4,8%.
La provincia dove i neoimprenditori sono scesi maggiormente è quella di Venezia: in questi ultimi anni di crisi economica la diminuzione di queste realtà è stata del 28,4%.

Se, invece, si analizza il tasso di imprenditorialità giovanile, la Provincia di Rovigo balza prepotentemente al primo posto della classifica regionale con 45 imprenditori under 30 ogni 1.000 abitanti della stessa fascia d’età. Seguono Verona, con 36,3, e Padova con 32,8.

Vera MORETTI

Imprese padovane sempre più hi-tech

Padova è regina dell’export nel settore hi-tech.
La città patavina, infatti, supera di gran lunga tutte le “avversarie” regionali, con un valore assoluto delle esportazioni registrato nel 2013 pari a 3,3 miliardi di euro nel comparto dell’hi-tech.

A fornire i dati è stata la Camera di Commercio, che si è basata su un’indagine condotta da Istat.

Sul valore totale dell’export a media e alta tecnologia nel 2013 vede ancora Vicenza al primo posto (31,5% per 4,6 miliardi) ma tallonata da Padova che sta rosicchiando posizioni e percentuali a gran velocità e che ora è al 22,2%, seguita da Verona (17,5%) e Treviso (15,8%).

L’incidenza percentuale dell’insieme di questi prodotti sul totale dell’export provinciale è del 37,5% (su 8,7 miliardi nel 2013).
Il dato è superiore sia a quello regionale Veneto (27,9%), sia a quello dell’Italia (32,3%) e mantiene ancora Padova al primo posto in regione seguita da Rovigo (30,8%), Vicenza (29,7%) e Verona (27,4%) con le altre province che denotano percentuali al di sotto del dato nazionale (Venezia, 25%, Treviso, 22,1% e Belluno, 16,1%).

Ha commentato Fernando Zilio, presidente della Camera di Commercio di Padova: “Ciò dimostra che le nostre imprese credono nella leva competitiva dell’innovazione e della ricerca per la produzione di prodotti e materiali ad elevato contenuto tecnologico“.

Vera MORETTI

Imprese artigiane falciate dalla crisi

Le notizie di una timida ripresa, considerando la crescita del numero delle imprese nel primo trimestre 2014, non sono del tutto rosee.

L’analisi della situazione maturata negli ultimi 5 anni, infatti, non riporta nulla di buono, soprattutto se si considerano le imprese artigiane, che sono diminuite di ben 75.500 unità.
Di queste, circa 12.000 operavano nel Triveneto, considerato una zona ricca e particolarmente fiorente, ma, a quanto pare, non troppo.

Ciò conferma quanto la Cgia aveva previsto, ovvero che la recessione sarebbe stata particolarmente dura con il settore dell’artigianato. A soffrire particolarmente sono stati i comparti delle costruzioni, dei trasporti e del manifatturiero.

A questo proposito, Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha dichiarato: “Drastica riduzione dei consumi delle famiglie, forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e la restrizione del credito sono tra le cause che hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna. Non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell’attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare”.

Particolarmente dura la situazione in Veneto, dove mancano all’appello 9.800 imprese. Di queste, 2.187 operavano in provincia di Treviso, 1.949 a Verona, 1.848 a Vicenza e 1.836 a Venezia.
Si stima che in questo quinquennio la contrazione occupazionale dell’artigianato veneto sia stata di circa 28.000 unità.

La nati-mortalità delle imprese è stata calcolata come differenza tra le imprese artigiane iscritte in un periodo e le cessazioni non d’ufficio avvenute nello stesso lasso di tempo. Ai fini del calcolo sono state utilizzate le cessazioni non d’ufficio, in modo che il saldo risulti pulito da eventuali operazioni di revisione degli archivi.

Vera MORETTI

Bando per i giovani agricoltori veneti

Per sostenere i giovani agricoltori e il loro insediamento nel mondo del lavoro, la Regione Veneto ha pubblicato un bando per la concessione di contributi a loro dedicati.

A richiedere il contributo, infatti, possono essere i giovani che si insediano per la prima volta nell’azienda agricola.
Obiettivo delle iniziative è sostenere lo sviluppo del comparto agricolo regionale, finanziando la misura Pacchetto Giovani B.

A tal fine sono ammissibili a contributo le seguenti tipologie di spesa in riferimento alle Misure del PSR 2007/13:

  • Misura 111: “Formazione professionale”;
  • Misura 112: “Insediamento di giovani agricoltori”;
  • Misura 114: “Utilizzo di servizi di consulenza”;
  • Misura 121: “Ammodernamento delle aziende agricole”.

Si precisa che l’ammissibilità a contributo è subordinata alla necessaria adesione alla Misura 112 e 121, e almeno una a scelta tra le misure 111 e 114.
A sostegno degli interventi l’aiuto è concesso sotto forma di contributo la cui entità varia a seconda delle misure da implementare.

Le aziende interessate dovranno inviare il modulo di adesione entro il 30 giugno 2014.

Vera MORETTI

Fondato a Venezia CAMI, centro di ricerca automotive

Crisi o no, nel 2013 sono state prodotte 80 milioni di automobili, la cui produzione ha impiegato ben il 30% del totale degli occupati nel manifatturiero.

Per affrontare il tema complesso dell’innovazione nella mobilità e nell’industria automobilistica, il dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia ha appena fondato il centro di ricerca CAMI, Center for automotive and mobility innovation.

Anna Cabigiosu, ricercatrice, nonché direttore esecutivo di CAMI, ha presentato così il progetto: “Il Centro nasce come luogo di confronto tra studiosi interessati a testare ipotesi e teorie proprie di vari campi e applicarle al complesso mondo della mobilità e dell’auto”.

Ad oggi, a poco tempo dalla sua fondazione, il centro può contare sulla collaborazione di 11 ricercatori e un comitato scientifico che vanta studiosi di livello internazionale: Markus Becker della University of Southern Denmark, Arnaldo Camuffo della Bocconi, John Paul MacDuffie della University of Pennsylvania e Josh Whitford della Columbia University. Inoltre, i progetti in corso coinvolgono Ministero dello Sviluppo Economico, CNR-IRAT, Università Federico II di Napoli e il Program on Vehicle and Mobility Innovation della Wharton School.

Francesco Zirpoli, direttore scientifico di CAMI e prorettore alla Ricerca di Ca’ Foscari, ha dichiarato: “Nell’industria automobilistica gli investimenti in innovazione sono difficili da gestire perché ad alto rischio: alla complessità tecnologica del prodotto si affianca la risposta del mercato imprevedibile. Le case automobilistiche affrontano vincoli tecnologici, normativi, e organizzativi in uno scenario globale sempre più competitivo. Dal punto di vista della ricerca, si aprono nuove e affascinanti opportunità che spaziano dagli scenari evolutivi dell’industria automobilistica così come la conosciamo alla frontiera della mobilità sostenibile”.

L’attività di ricerca riguarderà tutta al catena del valore, dalle materie prime, alle attività di sviluppo prodotto e assemblaggio, alla distribuzione e marketing, alla finanza ed ai servizi, come le assicurazioni o il fleet management.

I risultati saranno disseminati grazie al sito web Virgo.unive.it/cami e alla collana Automotive Strategy and Organization di Edizioni Ca’ Foscari, che ha recentemente pubblicato Automotive in transition, primo volume della serie già disponibile online.

Vera MORETTI

Startup italiane hi-tech a Wall Street

Un’impresa italiana, proveniente da Trieste, è approdata a Wall Street, con lo scopo di utilizzare quella prestigiosa piazza come vetrina per attirare investimenti e poter, dunque, crescere ancora.

L’azienda si chiama Athonet ed è arrivata a New York con altre 14 startup selezionate da Italia Camp per presentare l’eccellenza dell’hi-tech Made in Italy, dopo aver toccato Scandinavia e Friuli.
Confondatori di Athonet sono Gianluca Verin e Karim El Malki, papà egiziano e mamma veneta, entrambi ingegneri, conosciutisi in Svezia dove lavoravano nel dipartimento di ricerca e sviluppo di Ericsson.

Proprio lì è nata l’idea di portare in Italia qualcosa che ancora mancava, ovvero una rete veloce 3G e 4 G LTE, per le emergenze e per lo sviluppo delle città intelligenti del futuro.
Il primo atto della startup si è svolto nel 2005 e nel 2009 è stata sperimentata una rete mobile privata dell’Area Science Park, l’incubatore di Trieste che ha ospitato Athonet sin dalla culla.

Il software della startup, che si chiama Primo, rete mobile compatta e trasportabile Umts/Hspa/Lte, è stato utilizzato dalla protezione civile del Friuli Venezia Giulia durante la gestione del post terremoto a Mirandola.
Per questa collaborazione Athonet è stata insignita della medaglia d’Oro della Presidenza della Repubblica.

Gianluca Verin ha dichiarato: “Questa è la nostra nicchia di mercato, portare banda larga ultraveloce, anche in 4G Lte, in zone di emergenza, dove i grandi operatori non hanno ancora sviluppato, per ragioni di costi, reti alternative a quelle commerciali. Le smart city del futuro saranno delle piazze aperte dove tutte le cose dialogheranno tra loro e si scambieranno dati. Per sostenere questo flusso di comunicazioni ci vogliono infrastrutture e noi ci candidiamo a offrire questo servizio“.

La via americana potrebbe portare in casa nuovi investitori. Perché negli Usa c’è fame di idee e non mancano i soldi per i finanziamenti.
Ad esempio, nel 2013 l’ecosistema delle start up europeo ha raccolto 36 miliardi di dollari. Una cifra ragguardevole. Ma se comparata agli investimenti a stelle e strisce nello stesso periodo in star up, pari a 1.777 miliardi di dollari, fa emergere tutto il gap tecnologico e innovativo che separa le due sponde dell’Atlantico.

L’Italia giovane e hi-tech che fa impresa può finalmente fare i primi passi, approfittando anche delle agevolazioni fiscali previste dal Governo.
Le nuove startup nate negli ultimi 12 mesi e iscritte al registro sono state invece 752: in pratica ne nascono 2 al giorno.

Al top delle iscrizioni ci sono la Lombardia con 328 startup, seguita a debita distanza da Emilia Romagna con 176 iscrizioni e dal Lazio con 169. Sotto il podio Veneto (140) e Piemonte (131).
In coda il Molise con 9 startup, la Basilicata con 8 e la Valle D’Aosta con 5 iscrizioni nel Registro.

Vera MORETTI

Legge 18 anche per chi ha problemi di liquidità

Le imprese bellunesi hanno ricevuto una buona notizia proveniente direttamente da Venezia.

Il Consiglio regionale, riunito per la discussione della Finanziaria 2014, ha approvato l’emendamento presentato dal consigliere Dario Bond che estende gli strumenti della legge 18 del 94 anche alle aziende che hanno problemi di liquidità.

In precedenza, la legge regionale 18 prevedeva diverse forme di credito agevolato destinato alle imprese della Provincia di Belluno, in particolare l’acquisto di terreni, l’acquisizione di stabilimenti, l’acquisto di arredi, macchinari e attrezzature di elevato contenuto tecnologico, l’acquisizione di programmi e tecnologie telematiche e informatiche delle attività d’impresa e la realizzazione di strutture e impianti con finalità di salvaguardia dell’ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in connessione con l’attività delle imprese.

Dario Bond ha illustrato quali cambiamenti porterà questo provvedimento: “Con questo emendamento si fa un passo in avanti e si dà alla Provincia, quale ente gestore del Fondo, la possibilità di estendere gli aiuti anche sul fronte finanziario e non soltanto strutturale. La crisi che ha colpito il nostro tessuto economico ha creato molte difficoltà di liquidità per le ditte a causa dei mancati pagamenti, della tassazione elevata, del costo del lavoro e del calo nelle commesse. Per non parlare delle difficoltà a relazionarsi con le banche“.

Ora le aziende della zona potranno accedere al finanziamento agevolato per la ricapitalizzazione della propria azienda, e riequilibrare eventuali eccedenze di magazzino, ma anche per andare a coprire i conti correnti in rosso.
Maria Luisa Coppola, assessore regionale alle attività produttive, ha voluto ricordare il carattere straordinario dell’operazione quale risposta operativa ai disagi e ai danni causati dal maltempo alle imprese, turistiche e non, del territorio: “estendendo il Fondo anche agli interventi di supporto finanziario aggiorniamo la legge del 1994“.

Nel solo 2013 sono state 50 le aziende che hanno inoltrato domanda a dimostrazione dell’efficacia dello strumento.
Sempre nel 2013, con emendamento in Finanziaria di Bond, il Fondo aveva avuto una ulteriore iniezione di liquidità di 2 milioni di euro.

Franco Debortoli ha inoltre aggiunto: “È una cosa che abbiamo voluto fortemente come Confcommercio Belluno in accordo con Confcommercio Veneto. È un risultato fondamentale per le aziende (in provincia sono circa 3000), soprattutto per quelle del comparto turistico della montagna che si trovano in difficoltà non indifferente“ mentre Massimo Zanon, presidente di Confcommercio Veneto, ha dichiarato: “Ringraziamo chi ha voluto recepire il nostro messaggio. Una richiesta di aiuto per una provincia che, oltre alla crisi, ha dovuto subire anche i contraccolpi del maltempo, i black-out, disdette dei turisti soprattutto nella fascia alta del Bellunese“.

Vera MORETTI

Tasi: più pesante in Lombardia, Lazio e Veneto

L’Ufficio Studi della Cgia ha voluto calcolare, ipotizzando l’applicazione dell’aliquota base all’uno per mille, in che termini arriverà a “colpire” la Tasi.
A questo proposito, sembra che a pagarne le conseguenze più pesanti saranno i proprietari di immobili in Lombardia, Lazio e Veneto.
I primi saranno chiamati a versare 660 milioni, i secondi 480 milioni e i terzi 354 milioni di euro, per un totale di 3,8 miliardi di euro che andranno a riversarsi nelle casse dei Comuni.  

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha commentato questi dati: “Questa stima è molto prudenziale, in virtù del fatto che i Sindaci avranno la possibilità di aumentare ulteriormente l’aliquota. Pertanto, è molto probabile che alla fine il gettito complessivo sarà superiore ai 3,8 miliardi da noi preventivati”.
 
Le Regioni, invece, dove la Tasi peserà di meno sono la Basilicata (23 milioni di euro), il Molise (17 milioni di euro) e la Valle d’Aosta (14 milioni di euro).
 
Fa poi notare la Cgia che in questa stima il carico fiscale più importante è da ricercarsi nelle Regioni dove è maggiore il numero degli immobili ad uso abitativo e quelli riconducibili ad attività commerciali e produttive.
 
Se sulle prime abitazioni la Tasi, di fatto, sostituirà l’Imu, sulle seconde/terze case e sullecostruzioni ad uso produttivo, il tributo sui servizi indivisibili andrà ad aggiungersi all’Imu. Pertanto, è certo che su queste tipologie immobiliari il carico fiscale è destinato ad aumentare.
 
Ha poi aggiunto il segretario della Cgia: “La nostra preoccupazione è rivolta soprattutto agli effetti che l’Imu e la Tasi avranno sui capannoni. Ricordo che, su queste tipologie di immobili, viene attribuito allo Stato il gettito calcolato con l’aliquota base del 7,6 per mille, mentre solo la parte eccedente questa soglia, fino al livello massimo del 10,6 per mille, finisce nelle casse dei Comuni. L’aliquota media Imu applicata sui capannoni è stata del 9,33 per mille. Ora, i Sindaci hanno la possibilità di applicare in via aggiuntiva la Tasi fino a raggiungere la soglia dell’11,4 per mille. Se dovessero applicare l’aliquota base del nuovo tributo, ovvero l’uno per mille, gli imprenditori si troverebbero a pagare un miliardo in più. Una cosa inaccettabile. Dopo sei anni di crisi molti imprenditori hanno chiuso l’attività e sono sommersi dai debiti. Nella stragrande maggioranza dei casi, visto il crollo del mercato immobiliare, non sono riusciti né ad affittare né a vendere il capannone.Come faranno a pagare l’Imu su un immobile che non genera nessun reddito? Forse è giunto il momento che la politica intervenga ed esoneri il pagamento per i proprietari che si trovano in questa situazione”.

Vera MORETTI

Simulimpresa, a scuola d’impresa

Si chiama Simulimpresa ed è un circuito nato 20 anni fa dall’unione di aziende operanti in Trentino-Alto Adige, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia.
Lo scopo è quello di insegnare, agli studenti degli istituti superiori delle zone limitrofe, a comprendere, gestire e sviluppare una piccola e media azienda, ma non con lezioni teoriche, bensì usando una documentazione reale.

Ciò è possibile grazie ad una centrale di simulazione che svolge diversi ruoli, a cominciare dalla banca, fino al fornitore, senza dimenticare il cliente ma anche gli istituti come Inps, Inail e ufficio Iva.

Gli allievi, dunque, si trovano una vera realtà produttiva, che rappresenta un‘esperienza paragonabile a una pratica lavorativa reale e che potrebbe aiutare, una volta finita la scuola, a trovare un posto di lavoro più agevolmente.
Le aziende madrine svolgono attività di consulenti per ogni tipo di esigenza, introducendo le tematiche dei ruoli lavorativi, le strategie di marketing e di mercato, ma anche la compilazione di cataloghi e listini.

Per creare un’impresa simulata a scuola (per 14-18 enni) si seguono queste fasi:

  • primi contatti e informazioni con la centrale di simulazione di Ferrara
  • individuazione delle date per la formazione (l’organizzazione che intende adottare il modello Simulimpresa, deve individuare tra le sue risorse interne e/o esterne uno staff che si occuperà di implementare, organizzare e gestire l’impresa simulata)
  • preparazione Formatori con rilascio attestato e inserimento nell’Albo dei docenti abilitati (14 ore)
  • preparazione materiali e impostazione impresa simulata (circa un mese)
  • inizio attività di simulazione.

La centrale a cui fanno tutti riferimento ha il volto di Cristina Crisan, la quale ha spiegato così il progetto: “In un contesto economico con giovani che faticano sempre più a trovare un impiego vogliamo stimolare le loro risorse per l’innovazione, con competenze utili per la gestione d’impresa, dare supporto nello sviluppo di una idea progetto e la possibilità di acquisire le nuove conoscenze in un ambiente di lavoro simulato. Per avere successo come imprenditori anche di se stessi, gli studenti devono acquisire la capacità di un pensiero critico, hanno bisogno di diventare responsabili delle loro decisioni e azioni, devono essere in grado di relazionarsi e comunicare con gli altri. Motivare gli studenti a imparare facendo è un modo per scoprire e infine migliorare le loro competenze e abilità. Non esiste un settore della vita in cui queste abilità non avranno un impatto positivo“.

Vera MORETTI

Imprese al Sud più numerose di quelle del Nord

Anche se la crisi si è fatta sentire pesantemente in tutto lo Stivale, una buona notizia, che riguarda le imprese e il loro bilancio relativo al 2013, forse c’è.

A fronte delle 1.053 imprese sorte ogni giorno in Italia durante l’anno scorso, contro le 1.018 costrette, invece, a chiudere i battenti, è stato rilevato che la maggior parte di esse sono nate nelle regioni meridionali.

Unioncamere, a questo proposito, ha reso noto che nel 2013 il numero delle imprese nate ha superato il novero di quelle cessate, 384.483 contro 371.802, producendo un saldo positivo dello 0,2%, che comunque rimane il più basso dall’inizio della crisi.

Ciò che rimane evidente è la presenza sempre più massiccia di imprese al Sud, con buona pace del produttivo Nord-Est, da sempre locomotiva dell’economia e dell’industria italiane, ma ora in affanno.

Nel Mezzogiorno sono andate particolarmente bene le imprese che operano nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione, ma anche nei servizi per le imprese.
Male invece l’agricoltura , che ha visto ben 30mila imprese del settore chiudere definitivamente.

Guardando la situazione nel dettaglio, si capisce che la situazione non è certo rosea, poiché risale al 2010 un tasso di crescita delle imprese superiore all’1%, nonostante le tipologie di appartenenza presentino dati a volte completamente diversi.

Complessivamente la bilancia tra crescita e decrescita è equilibrata: esattamente il 50% delle regioni italiane ha un tasso di crescita positivo, mentre le restanti 10 ravvisano un trend negativo.
Quello che stupisce maggiormente però non sono tanto le percentuali, quanto i cambiamenti in atto nelle singole aree geografiche, e il caso del nord est è certamente il più eclatante.

In questo caso, i numeri sono eclatanti: nel territorio da sempre considerato il più fecondo, almeno nei confini nazionali, nel 2013 sono state chiuse 77.835 aziende, contro 70.000 nuove attività aperte, registrando il maggior tasso di decrescita del paese, -0,54%, in particolare in Veneto e Friuli Venezia Giulia, anche rispetto al 2012, dove ci si era attestati intorno allo -0,41%.

Passando alle singole regioni, la metà “in crescita” del paese non sembra più rispecchiare dunque la tradizionale dicotomia nord-sud. Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e il fanalino di coda la Valle d’Aosta, sono cresciute di meno rispetto a Sardegna, Abruzzo, Marche e Basilicata.
La Campania è al secondo posto, con un tasso di crescita che si avvicina all’1%, superando la Lombardia e persino il Trentino alto Adige, all’ottavo posto in classifica.

Le note positive che arrivano dal sud si odono inoltre ancora di più osservando la situazione dal punto di vista delle società di capitale.
Qui le prime otto posizioni sono occupate da regioni meridionali, prime fra tutte la Basilicata, il Molise e la Calabria; per incontrare la prima regione del nord bisogna scendere al dodicesimo posto con il Trentino Alto Adige, con un di tasso di crescita annuo equivalente alle metà di quello della Basilicata.

Secondo dati forniti dal rapporto della Banca d’Italia, a livello regionale il sistema degli interventi per l’innovazione si caratterizza per una estrema frammentazione delle iniziative.
Secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, nei vari governi che si sono alternati dal 2006 al 2011, oltre l’85 per cento delle misure economiche nel settore dell’innovazione si è concentrato al Centro-Nord, provocando un maggior ricorso ai Fondi strutturali europei da parte delle regioni meridionali.

Ciò che colpisce maggiormente è ancora una volta la coda della classifica. Sette su dieci delle ultime posizioni sono occupate da province del Nord Italia, e tra queste alcune di quelle storicamente più produttive, come Belluno, che ha visto nell’ultimo cinquantennio nascere l’industria dell’occhiale. Oppure come la roccaforte dell’industria romagnola di Forlì-Cesena é precipitata alla penultimo posto.

Vera MORETTI