Intervista a Ivan Guizzardi, segretario nazionale FeLSA-Cisl

di Davide PASSONI

Controcanto torna con una intervista e, dopo la politica, ora tocca al mondo sindacale. Non sbuffate e mettete via per un attimo i preconcetti. Del resto, i lettori affezionati di Infoiva lo sanno: la nostra testata non è mai stata particolarmente tenera con i sindacati, specialmente con quanti, nel 2011, sposano concezioni anacronistiche del mondo del lavoro e difendono privilegi ormai indifendibili.

Eppure, nei rapporti tra mondo sindacale e libere professioni, qualcosa si muove e dà vita a realtà che guardano con più attenzione all’universo delle partite IVA, forzate o convinte che siano. È il caso di FeLSA-Cisl, che dà voce a somministrati, collaborazioni coordinate, partite iva e lavoratori autonomi. Abbiamo sentito il segretario nazionale Ivan Guizzardi e ci siamo fatti spiegare se e perché può essere virtuosa una collaborazione tra sindacato e partitivisti.

Partiamo da un dato di fatto: i lavoratori a partita IVA si sentono scarsamente rappresentati dai sindacati tradizionali. Perché questo, a suo avviso, e che cosa può dire a questo proposito FeLSA-Cisl?
La Cisl tutela da una dozzina d’anni il lavoro atipico e da una ventina circa i lavoratori autonomi, con una particolarità nella sua azione che nasce dalla cultura, propria di questo sindacato, di tutelare il lavoro in tutte le sue forme, non solo quello dipendente: a noi interessano la rappresentanza e le tutele del mondo del lavoro, è l’elemento cardine su cui ci muoviamo. Detto questo, la sua domanda è pertinente. Non c’è dubbio che la forza e gli interessi dei sindacati coincidono in larga misura, se non nella loro totalità, con quanto deriva loro dal lavoro dipendente. Il passaggio importante è avvenuto una dozzina di anni fa quando, di fronte al crescente fenomeno delle collaborazioni e delle somministrazioni, il sindacato si è reso conto che doveva cominciare a misurarsi con esso e non ne poteva prescindere, che doveva misurarsi con esigenze e bisogni caratterizzati da una tipologia e da una natura nuove. Infatti, i professionisti, nella loro particolarità, hanno esigenze e richieste che c’entrano in pieno con il mondo del lavoro.

E dunque, che fa il sindacato?
Oggi il sindacato è ancora poco rappresentativo nel campo del lavoro autonomo; la Cisl è stata la prima a occuparsene perché ne ha fatto una categoria, una federazione. Se si tiene conto che nella Cisl le federazioni hanno piena titolarità, aver riconosciuto questo è come aver dato dignità alla categoria. Anche gli altri sindacati si stanno ponendo di fronte all’esigenza di rappresentare questo mondo e tutti ci rendiamo conto di non poter trasferire su collaboratori e professionisti una concezione che applichiamo al lavoro dipendente, perché se è vero che molti professionisti lavorano a partita IVA perché obbligati a farlo, è pur vero che moltissimi hanno scelto liberamente di farlo. Io dico che hanno fatto uno scambio tra maggior tutela e maggior rappresentanza con maggiore libertà.

Non devono certo essere “puniti” per questo…
No, certo. C’è gente “subisce” la partita IVA perché non trova la possibilità di un lavoro dipendente e chi invece, tra le altre cose, la sceglie per non dover dipendere dai ritmi e dai diktat di qualcuno: è una scelta che rispettiamo e che pensiamo meriti delle tutele, le quali hanno una loro particolarità ma non sono certo di serie B. Si tratta di accompagnare questa intrapresa personale, che è importante per chi la fa e per l’economia del Paese.

Che cosa cambiare quindi, per introdurre le tutele di cui parla?
Nel mondo delle libere professioni c’è oggi un certo fermento, specialmente intorno a determinati aspetti fiscali, alla mancanza di ammortizzatori sociali ecc… Alcune tutele sono state introdotte e rafforzate dalla legge Biagi, valga per tutti il versamento previdenziale che all’inizio, quando era al 10%, era percepito quasi come una tassa mentre oggi, col versamento del 26,80%, il delta con quello che caratterizza il lavoro dipendente, al 33%, non è più così esagerato. Alla luce di questo, come sindacato riteniamo innanzitutto che, pur nella diversità di tipologia professionale e di scelte di lavoro, il trattamento previdenziale per professionisti e dipendenti debba essere lo stesso. Poi, come secondo punto, si devono rafforzare le tutele. Per esempio, non tutti sanno che all’interno di questo 26,80% c’è uno 0,50% che va in prestazioni e che attualmente dà diritto ad assegni familiari, a una diaria per prestazioni sanitarie e all’assegno di maternità. Noi sosteniamo che questo 0,50% debba essere rafforzato per consolidare il fondo previsto in Finanziaria a tutela di chi ha perso il lavoro e per investire in formazione, fondamentale per questa tipologia di lavoratori. Inoltre, questi soldi devono essere gestiti non dall’Inps ma da un fondo: finché li gestisce l’Inps ha un unico interesse, quello di fare cassa, e l’ente non fa conoscere le prestazioni o quantomeno ne rende difficile l’accessibilità. Ultimo punto, bisogna pensare a forme di previdenza integrativa anche per questo tipo di lavoratori. Su tutto questo FeLSA sta proponendo e approfondendo un ragionamento articolato.

Con quali strumenti e in che sedi?
Quelli di cui ho appena parlato saranno alcuni dei punti che inseriremo nel nostro programma quando discuteremo dello statuto dei lavori; come Cisl vorremmo che queste e altre tutele diventino operative presto. Noi pensiamo che non ci sia un sindacato che deve dire al professionista di che cosa ha bisogno, ma che il professionista, con altri professionisti, costruisca insieme al sindacato gli strumenti a tutela dei propri interessi e dei propri bisogni. Questa è la modalità con cui ci muoviamo. Non a caso, se fino a oggi la Cisl aveva lavoratori iscritti nelle diverse categorie professionali, ora li iscrive direttamente come singoli, in modo da poter costruire con loro queste tutele.

Vi confrontate con gli altri sindacati su queste tematiche?
Sì, ci confrontiamo. Naturalmente Cgil, Cisl e Uil rappresentano di più il lavoro dipendente, ma anche Uil ha recentemente dato vita a UIL Temp.@ per somministrati, atipici e lavoratori autonomi, così come con FeLSA. Con Cgil c’è ancora una distinzione, visto che non ha idea di rappresentare i professionisti direttamente. La nostra posizione è quella di fare degli accordi quadro in cui stabilire alcuni elementi minimali, dal compenso al tipo di prestazioni, inserendo alcune tutele in base alla diverse professionalità. Come sindacato portiamo avanti quest’opera utilizzando il nostro strumento principe, la contrattazione, con gli accordi da un lato e la costitutizone di tavoli con il governo dall’altro.

Che messaggio si sente di lanciare ai partitivisti che leggono Infoiva, che spaziano dal parrucchiere al piccolo imprenditore?
In un mondo in cui i rapporti di lavoro non sono più determinati dall’autorità ma da un concetto di lavoro di partecipazione, i lavoratori autonomi e i professionisti hanno piena dignità e hanno molto da dire in termini di propositività: si tratta di mettersi assieme per affermare che certe esigenze non possono che essere costruite in un percorso comune. Il sindacato non è l’unico interlocutore, ma voglio dire ai professionisti non ci devono sentire come un avversario: nel mondo del lavoro attuale il concetto di lavoro dipendente contrapposto alle libere professioni non ha alcun senso e il sindacato si propone per tutelare entrambe le forme. In una logica in cui il lavoro ha una dignità in se stesso, nell’uomo che lo intraprende e in ciò che vuole costruire, quest’uomo ha un interesse che lo accomuna ad altri uomini: ciò che serve è creare delle realtà che sappiano accompagnarlo in questo percorso lavorativo. Si raggiunge un peso non tanto per quanti si è in una determinata categoria, quanto per la capacità di esercitare un diritto e incanalarlo rispetto a bisogni ed esigenze comuni.

FOTO: http://www.cislvicenza.it/

Persi più di 2 milioni di giorni di lavoro per colpa dell’influenza

Il costo che le imprese, a causa dell’influenza stagionale, si sono già accollate ammonterebbe a 144 milioni di euro. La cifra sarebbe aumentata di 55 milioni rispetto all’anno precendente. Quantificando il dato in altra maniera sarebbero 2 milioni e 300 mila giorni persi in malattia. E il costo da pagare potrebbe rivelarsi ancora più salato visto che il periodo di riferimento preso in considerazione si limite alle settimane comprese tra il 25 ottobre al 23 gennaio. Questa è la situazione fotografata dalla Camera di Commercio di Milano basata su dati  forniti dall’Istat e dal Ministero della Salute.

Prima in classifica per numero di degenze è Milano con un costo stimato in oltre 12 milioni di euro e 178 mila giorni di malattia, non meglio se la passa Roma con un costo di 10 milioni e 400 mila euro con 167 mila giorni persi. A seguire Torino (5,9 milioni di euro per 95 mila giorni), Napoli (5,4 milioni di euro) e Brescia (3,6 milioni di euro). Entro le prime dieci città si incontrano anche Bari, Bergamo, Bologna, Firenze e Verona  (tutte superano i 2 milioni di euro di costi).

Nel periodo influenzale 2008-2009 il costo sostenuto sarebbe stato pari a 90 milioni di euro, ben lontani dagli attuali 144. La peggior settimana per numero di ammalati è stata la seconda di gennaio (146.000) e la terza sempre di gennaio (144.000). Ci si può però rassicurare in quanto il picco massimo è passato e il virus è i fase di ritirata.

Mirko Zago

L’Associazione Artigiani di Bergamo seleziona 20 imprese export da finanziare

L’Associazione Artigiani di Bergamo tra qualche giorno selezionerà 20 tra le aziende artigiane locali per la partecipazione al bando di concorso che intende premiare le migliori imprese impegnate in contesti internazionali. Il progetto sarà presentato attorno alla metà di febbraio e verrà “ricamato” sui bisogni espressi dalle imprese presentate, considerando i mercati di riferimento e le necessità contingenti. Il cotributo che la Regione Lombardia erogherà sarà del 70% dei costi sostenuti permettendo un abbattimento dei costi di internazionalizzazione“.

Tra i vantaggi principali per chi parteciperà si trovano agevolazioni economiche su strumenti di promozione, studi di mercato, incontri d’affari all’estero, incontri internazionali in Italia, organizzazione della rete distributiva e realizzazione delle strategia di vendita. Aspetto cui si punterà molto sarà infine la consulenza. Essa sarà compiuta da manager esperti per un periodo di 6 mesi rinnovabili.

Per partecipare si può contattare l’ufficio Internazionalizzazione entro il 15 febbraio. I requisiti per partecipare sono: dichiarazione de minimis (contributi non superiori ai 200.000 euro negli ultimi 3 anni), dichiarazione Deggendorf (non aver ricevuto contributi incompatibili con gli aiuti di Stato), essere in regola con i versamenti dei contributi (Durc).

Mirko Zago

Siglato accordo tra Rete Imprese Italia e Unicredit per finanziamenti alle Pmi

Unicredit e Rete Imprese Italia (che raccoglie Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti) hanno firmato a Roma un accordo con il quale promuovere il progetto “Ripresa Italia“. Si tratta di un’intesa con cui l’istituto di credito mette a disposizione un plafond di un miliardo di euro e arricchisce ulteriormente il panorama degli interventi finanziari di supporto da realizzarsi con il confronto con le associazioni. Ripresa del ciclo economico; competitività e innovazione; formazione; internazionalizzazione; sviluppo di reti di impresa sono le cinque parole chiave. I primi tre punti saranno attuati da subito a seguire ci si concentrerà sugli altri due. Tra le novità introdotte si trovano prestito per assunzione “EntiCash” (linea di fido a breve termine per smobilizzo crediti commerciali); supercash e supercash rotativo (affidamento a breve destinato a sostenere l’intero ciclo produttivo dell’impresa 12 mesi); “WinEvo” (soluzione di finanziamento finalizzata al sostegno del ciclo produttivo aziendale). Per l’innovazione si ricorrerà a mutui appositamenti pensati per far fronte all’adeguamento tecnologico e alla ricerca oltre che finanziamenti per nuove attività in fase di start-up.

Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit ha ricordato che “Nel 2010 UniCredit ha supportato l’economia con oltre 10 miliardi di euro di nuovi finanziamenti a quasi 200 mila piccole aziende e grazie al forte rapporto con i Confidi e le associazioni di categoria sono stati erogati quasi tre miliardi di nuovi finanziamenti a oltre 40 mila piccole imprese, a riprova di un forte rapporto con il territorio e di una consolidata e proficua collaborazione“. Ha proseguito poi affermando che “Questa nuova iniziativa è la naturale prosecuzione di Impresa Italia e Sos Impresa Italia e nasce, come sempre, da un dialogo continuo e costruttivo tra UniCredit e i propri partner del mondo imprenditoriale per disegnare soluzioni concrete che diano sostegno alle aziende in tutte le fasi del ciclo economico“. Parole alle quali si è unito anche Giorgio Guerrini presidente di Rete Imprese Italia.

Si tratta di un progetto nato dall’esigenza creditizia degli artigiani e delle Pmi con il quale si vuole sostenere una crescita economica proficua e duratura nel tempo.

Laura LESEVRE

Patti chiari tra cliente e commercialista

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di febbraio del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 gennaio 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Laura PESCE

Nel 1997, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato l’indagine conoscitiva nel settore degli Ordini e dei Collegi professionali. Dalla ricerca è emerso in particolare che l’utente corre tre diversi tipi di rischio: l’incompetenza del sedicente esperto; una prestazione volontariamente prestata con scarsa qualità; l’irrogazione di un servizio eccessivo, non necessario, al fine di risolvere il problema, con conseguente “lievitazione” della parcella richiesta.

La prestazione professionale deve rispondere ad alcune caratteristiche. Innanzitutto, l’esperto contattato deve avere un elevato contenuto di conoscenza tecnica, che non consente al fruitore di identificare anticipatamente il tipo di prestazione di cui ha bisogno, né di valutare successivamente la bontà della prestazione ricevuta. Inoltre, l’intensità dell’impegno profuso nella prestazione è una scelta di pertinenza del solo professionista. La prestazione è caratterizzata anche da incertezza, che coinvolge entrambi i soggetti in funzione delle variabili che il professionista incontrerà nello svolgimento dell’incarico; quella relativa ai servizi professionali, poi, impatta necessariamente su interessi di terzi, primo fra tutti lo Stato.

Fiducia e delega
Per questi motivi il rapporto professionale trova il suo fondamento nella fiducia e nella delega. Il vecchio Codice deontologico dell’Albo dei dottori commercialisti, modificato in occasione del congiungimento degli Albi dei dottori e dei ragionieri, recitava nel preambolo: “La fiducia è alla base dei rapporti professionali del dottore commercialista“. Al termine “fiducia” sono state date le interpretazioni più disparate, tanto che nella formulazione del nuovo Codice deontologico della categoria unificata dei dottori commercialisti e degli esperti contabili il richiamo al rapporto fiduciario è stato soppresso.

Bisogna tuttavia considerare che il contratto con cui si affida al professionista l’assistenza sarà necessariamente incompleto, in quanto è pressoché impossibile individuare a priori tutte le variabili che si incontreranno nello svolgimento dell’incarico. Va da sé che il rapporto fiduciario non può venire meno, anche se nella nuova formulazione del Codice deontologico della categoria, approvato il 5 novembre 2008, al termine sopra evidenziato sono state sostituite precise regole a cui i professionisti devono obbligatoriamente uniformarsi.

Il rapporto tra commercialista e cliente deve, inoltre, tenere conto del carattere di bene pubblico della prestazione professionale, per cui tale rapporto fiduciario non può esaurirsi tra i due soggetti ma deve estendersi alla società: la collusione tra i due, se arreca un vantaggio al cliente, può causare un danno a qualche “terzo”. Nel campo fiscale, ad esempio, la manipolazione di dati al fine di aggirare l’imposizione tributaria fa sì che il professionista venga meno a quella delega che le autorità pubbliche gli hanno conferito affinché vigili sulla legittimità dei comportamenti dei clienti. Questa delega può essere esercitata dal professionista tenendo un corretto comportamento che consideri di tutti gli interessi in gioco: i propri, quelli del cliente, quelli dei terzi coinvolti nella prestazione professionale e, in generale, della collettività.

Inquadramento dell’attività
L’attività svolta dal professionista iscritto in Albi e Collegi è inquadrata nella fattispecie del lavoro autonomo, disciplinata dagli articoli 2229-2238 del Codice civile e dalle disposizioni generali dello stesso titolo V dell’articolo 2061 (Ordinamento delle categorie professionali). Gli elementi che contraddistinguono la prestazione intellettuale sono:
• l’iscrizione in Albi ed elenchi;
• la personalità della prestazione;
• il diritto al compenso e all’anticipazione di spese e acconti;
• la responsabilità.

Il citato articolo 2229 del c.c. dispone che la legge determini le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi Albi o elenchi, demandando alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione (esame di Stato), la tenuta degli stessi e l’esercizio dell’azione disciplinare sugli stessi. Quindi colui che intende sentirsi tutelato dovrà accertarsi di aver scelto il professionista tra gli iscritti all’apposito Albo: sul sito Internet dell’Ordine (www.cndcec.it) alla voce “Ricerca professionista” l’interessato potrà trovare, o meglio verificare, l’iscrizione all’Ordine nel distretto (città) competente del professionista a cui ritiene di affidare l’assistenza. Per qualsiasi problema dovesse sorgere nel corso del rapporto basterà rivolgersi all’ Ordine per verificare il corretto comportamento del professionista.

Purtroppo da anni continuiamo ad assistere a un proliferare di “pseudo-commercialisti” che si spacciano per tali ma che, non avendo obbligo alcuno, non sono sempre in grado di garantire un servizio corretto e qualificato. Per arrotondare le proprie entrate svolgono quelle attività che non sono tutelate in modo specifico dalle norme legislative e che vengono comunemente annoverate tra i servizi, come la tenuta della contabilità o la redazione della dichiarazione dei redditi. Bancari, contabili, ingegneri… il mercato “offre” di tutto, ma in questi casi l’eventuale disservizio non è tutelato da nessuno. Se invece il consulete è un commercialista regolarmente iscritto, una segnalazione fatta all’Ordine creerebbe al professionista non pochi problemi in quanto, nel caso di comportamento non consono al Codice deontologico, questi si vedrebbe raggiunto da una azione disciplinare.

Il Codice deontologico del commercialista
Come già accennato, gli obblighi del professionista nei confronti dell’assistito sono individuati nel Codice deontologico della professione di commercialista, definendo la deontologia professionale come un insieme formalizzato di regole di autodisciplina predisposte dalle singole professioni che definiscono la “teoria del dovere” per i professionisti iscritti. Le regole deontologiche possono essere assimilate alle consuetudini e, come tali, quando sono richiamate da regolamenti, assumono piena valenza giuridica. Le norme di deontologia professionale tendono a regolamentare:
• la formazione professionale, considerando che l’aggiornamento deve essere continuo. Il professionista deve rinunciare agli incarichi per i quali non possiede specifiche competenze;
• il comportamento nei confronti dei clienti, che riguarda la riservatezza, il segreto professionale, la copertura dei rischi professionali, la libertà e indipendenza nei confronti dei clienti, le tariffe professionali;
• il comportamento nei confronti dei colleghi, che deve essere improntato su principi di correttezza;
• il comportamento nei confronti degli organi di governo della categoria, che prevedono collaborazione e dovere di denuncia di comportamenti scorretti;
• il comportamento nei confronti delle autorità, che deve basarsi sulla collaborazione e sul rispetto dei ruoli.

Le regole non scritte
Queste le regole generali che il Codice deontologico impone di osservare. Ma altre, non scritte, dettate dal buon senso e dal rispetto che ogni professionista deve avere nel rapporto con il cliente, dovrebbero essere rispettate:
• il cliente va ascoltato, guidato nelle scelte, informato sulle norme che deve osservare;
• nel caso di tenuta della contabilità, il professionista deve verificare i documenti consegnati dal cliente e chiederne, nel caso, l’integrazione;
• sempre nell’ipotesi precedente, il professionista deve rilasciare al cliente un attestato in cui sono indicate le scritture contabili tenute presso lo studio per conto del cliente stesso;
• il professionista deve condividere con il cliente e far firmare i documenti (bilancio, dichiarazioni eccetera) prima della spedizione o dell’inoltro in via telematica dei documenti stessi;
• il professionista deve consegnare al cliente una copia dei bilanci depositati o delle dichiarazioni dei redditi presentate per suo conto, complete degli allegati;
• il professionista deve informare il cliente sulle motivazioni che hanno portato all’emissione da parte dell’Agenzia delle entrate di cartelle esattoriali
o di rettifiche di dichiarazioni;
• il professionista deve illustrare al cliente con semplicità e chiarezza gli elementi essenziali e gli eventuali rischi connessi alla pratica affidatagli.

Non si dimentichi, poi, che la recente giurisprudenza (con la sentenza della Cassazione n. 99616 del 26/04/2010) ha introdotto, collegandola al Codice deontologico dell’Albo, il concetto aggravato di “diligenza media”, e ha esteso la responsabilità professionale al di fuori delle violazioni meramente formali.

Le imprese rosa resistono alla crisi, + 2% in un anno

Secondo il Rapporto Nazionale sull’Imprenditoria Femminile, realizzato da Unioncamere con la collaborazione del Ministero dello Sviluppo Economico e del Dipartimento per le Pari Opportunità, presentato recentemente a Roma, le imprese rosa sembrano resistere meglio alla crisi, con risultati ottimistici anche per il futuro. Il rapporto che si rifà al periodo che va dal 2003 al 2008, ha evidenziato come l’imprenditoria femminile sia stata in generale molto forte e in modo particolare nei 12 mesi che intercorrono tra giugno 2009 e giugno 2010. In tale lasso di tempo la crescita registrata per le imprese rosa sarebbe del 2,1%, con un incremento di 29.040 unità, a fronte di una perdita invece di 17.072 unità, ovvero un -0,4% per le imprese gestite da uomini. La quota maggiore è rappresentata dalle società di capitale che hanno assistito nei 12 mesi un incremento del 18% (attestandosi al 14,1% del totale aziende gestite da donne). Le imprese individuali sono invece in leggero calo con il -0,48% rappresentando comunque il 60,7% mentre le società di persone si situano al 22,8%. Anche le cooperative e altre forme di aggregazione godono di margini di crescita.

Sorprende un po’ constatare che il numero maggiore di imprenditrici donne è registrata in Meridione e Isole, con una percentuale sul totale del 36% (512.620 unità). A seguire troviamo il Nord-Ovest con il 24,5% delle aziende guidate da donne (348.346 unità). Peggiori le performance registrate nelle regioni centrali in cui la percentuale si ferma al 21,5% del totale, mentre il Nord-Est rivela una “quota rosa” di solo il 17,9%. E’ la Lombardia a possedere in termini assoluti la maggior percentuale di aziende femminili, quasi 192 mila (anche se in termini percentuali sono solo il 20% del totale); al secondo posto c’è la Campania con quasi 149 mila aziende rosa, seguono Lazio (140.225) e Piemonte (111.705). Il record spetta però al Molise (30,2% del totale), seguita da Basilicata (27,9%) e Abruzzo (27,7%).

I settori più interessati dal fenomeno sono il Commercio (29,2%) e l’Agricoltura (17,8%, nonostante una perdita del 2,48% nell’ultimo anno), seguiti dai Servizi di alloggio e ristorazione (8,6%), dalle Attivita’ manifatturiere (8,3%) e dalle Altre attivita’ di servizi (7,6%). Positivi anche i risultati relativi a Sanita’ (+7,24%) e Istruzione (+5,12).

Mirko Zago

Vade retro, patrimoniale! Ecco perché è una proposta che non ha capo né coda

di Gianni GAMBAROTTA

Non è piaciuta questa storia della patrimoniale praticamente a nessuno. L’idea, come si sa, è stata lanciata una prima volta da Giuliano Amato, lo stesso che quando era al governo fece il prelievo blitz sui conti correnti di tutti gli italiani; poi, la settimana scorsa, è stata ripresa da Walter Veltroni che ne farà (si immagina) uno dei punti di forza della sua prossima campagna elettorale; infine, nei giorni scorsi, ne ha parlato in un’intervista al Corriere della Sera, Pellegrino Capaldo.

La sua proposta è articolata, studiata, approfondita: non per niente il professor Capaldo è una delle più (giustamente) stimate menti giuridiche italiane. Lui parla di tassare gli immobili, visto che circa l’80 per cento degli italiani abita in casa di proprietà. Questi beni, questi mattoni – è il punto di vista di Capaldo – hanno avuto nel corso degli anni una rivalutazione impressionante; talvolta il loro valore è decuplicato. Andiamo allora a colpire questa ricchezza, per certi versi immeritata, caduta dal cielo, così lo stato potrà incassare una cifra vicina agli 800-900 miliardi di euro. Il debito pubblico, ora al 120 per cento del pil, scenderà a quota 80 per cento, permettendo così di reimpostare una politica economica espansiva.

Sono molte le obiezioni che si possono muovere (e sono state mosse) a questo progetto. A parte quelle già dette nella rubrica della settimana scorsa, ce ne sono due che mi pare interessante riprendere e sottolineare. Anzitutto l’impianto che ha in mente Capaldo appare molto complesso per la macchina burocratica italiana. Abbiamo un catasto che non è un modello internazionale di efficienza e veridicità; i valori degli immobili sono spesso casuali, irrealistici. Questa imposta straordinaria rischia di colpire alla cieca, tassando chi già paga e risparmiando (o colpendo marginalmente) furbi e/o fortunati. Non possono essere questi i criteri cui si ricorre per una misura che dovrebbe reimpostare la vita economica di una nazione.

L’altra osservazione è contenuta in un commento di Francesco Giavazzi, editorialista del Corriere della Sera, interpellato sull’argomento dal Foglio di venerdì scorso. Una patrimoniale – non importa se mirata a colpire la ricchezza immobiliare o quella finanziaria – avrebbe comunque un effetto recessivo. “Se la famiglie hanno un certo target di ricchezza e si toglie una parte di questa ricchezza, che cosa faranno? – si chiede GiavazziRicominceranno a risparmiare per raggiungere di nuovo quell’obiettivo di ricchezza che si erano poste. E non bisogna essere keynesiani per sapere che un aumento del tasso di risparmio, determinando un’ulteriore caduta dei consumi, spingerebbe l’economia a scendere a picco“. Risultato: il rapporto debito pubblico rispetto al pil non cambierebbe perché diminuirebbe sì il numeratore (debito) ma anche il denominatore (pil). Dunque tutta l’operazione si rivelerebbe inutile.

Social network e mondo del lavoro: Facebook si “traveste” da agenzia di collocamento

I social network non sono solo un modo per restare in contatto con gli amici o, nel mondo del business, per scovare informazioni su persone da poter assumere: se ben usati possono trasformarsi in un’arma vincente anche per quanto riguarda il recruitment. E’ in particolare il più famoso, Facebook, a essere al centro dell’attenzione da quando sono state create due applicazioni dedicate proprio all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di Jobnaut e Jobfluid, rispettivamente dedicati a chi cerca lavoro e alle imprese che cercano dipendenti. 

Entrambe le applicazioni, nonostante il nome inglese, rientrano in un progetto tutto italiano. La sua ideazione nasce per volontà di Marco Gaione, amministratore unico di Conform (servizi per l’impiego, l’orientamento e la formazione professionale) in collaborazione con la software house Xplored specializzata nella comunicazione interattiva. Il progetto è ambizioso. Gaione mira infatti a creare un network di riferimento per la ricerca e l’offerta di lavoro con oltre 17 milioni di utenti attivi in Italia.

Nel dettaglio Jobnaut permette agli iscritti facebook non solo di visionare le offerte di lavoro e candidarsi, ma di crescere e muoversi nel mondo del lavoro grazie ad un applicativo in continua evoluzione e crescita.
Jobfluid invece è un sistema per gestire in completa autonomia il profilo delle aziende e le loro richieste di lavoro permettendo di ricercare profili e diffondere le offerte direttamente su Facebook. Il sito del progetto è Jobfluid.com

Mirko Zago

Nuovo progetto “Libri per Ragionare. Libri per Sopravvivere” per la formazione forense

Nelle scuole forensi che curano la preparazione all’esame di abilitazione degli aspiranti avvocati si è dato avvio al nuovo progetto “Libri per Ragionare. Libri per Sopravvivere” voluto dalla Scuola superiore dell’avvocatura (fondazione del Consiglio nazionale forense) per migliorare la formazione dei futuri avvocati. Si tratta di un invito alla lettura ma anche di un percorso ragionato per migliorare la preparazione e imparare a “comprendere” e scrivere attraverso il suggerimento di 61 testi chiave, i cui temi saranno poi discussi nelle scuole forensi. Il progetto vuole in qualche modo far correre ai ripari d’innanzi a statistiche poco positive che vedono l’Italia al penultimo posto per alfabetizzazione, gusto per la lettura (per l’Istat più di un italiano due due non ha mai letto un libro) e per la scrittura (per il Centro europeo della educazione 8 laureati su 100 non sanno scrivere).

Mariani Marini, vicepresidente della Scuola Alarico, commenta: “Le scarse letture determinano una scarsa capacità di uso corretto del linguaggio, che nel caso dei giovani che aspirano alla professione di avvocato emerge ogni anno dal catalogo di errori di grammatica, di sintassi, di morfologia che costellano le prove scritte dell’esame di avvocato. L’obiettivo dunque, condiviso con il Coordinamento centrale delle scuole forensi, è quello di fare delle scuole centri di diffusione della cultura”.

Ecco alcuni dei testi proposti e il loro intento:

 Amarty Sen (Etica e economia, Laterza 2004) e Noemi Klein (No logo, Baldini e Castoldi 2001), Sabino Cassese (I diritti umani oggi, Laterza 2005) e Y. Dezalay ( I mercanti dei diritto,Giuffré), per spiegare l’intreccio tra globalizzazione, diritto ed etica. Il limpido Lezioni americane (Garzanti 1989) di Italo Calvino, ma anche il Prontuario di punteggiatura di Mortara Garavelli (Laterza) o Virgole per caso di L. Trust (PIEMME) proveranno a spiegare ai giovani il rapporto tra sapere e linguaggio. L’arte del giudicare, il difficile percorso dall’evento umano all’applicazione della legge e le tecniche di argomentazione troveranno mentori, tra gli altri, in A. Schopenhauer (L’arte di ottenere ragione), in Guido Alpa (L’arte di giudicare, Laterza), in Gustavo Zagrebelsky (Le virtù del dubbio. Intervista su etica e diritto, Laterza). L’importanza della deontologia è affrontata da Corrado Stajano (Un eroe borghese, Einuadi 2005), di Umberto Ambrosoli (Qualunque cosa succeda, Gironi ed.), di Remo Danovi (Processo al buio. Lezioni di etica in venti film, Rizzoli 2010). L’analisi degli eventi storici che hanno segnato la vita dei popoli nell’età moderna si snoderà tra J. Kennedy (Strategia di pace. I discorsi della Nuova frontiera Record Mondadori) e A. Suu Kyi e il suo Lettere dalla Birmania (Sperling & Kupfer 2007). La riflessione sulle radici della cultura del diritto tra Sofocle (Antigone) e Amartya Sen (La democrazia degli altri, Oscar Mondadori).