La manifattura salverà il Made in Italy

Dall’8 al 12 maggio ci sarà, tra le regioni di Veneto e Friuli Venezia Giulia, il Festival Città Impresa.
Non è un caso che la manifestazione avvenga nella zona del Nordest, patria della manifattura italiana, perché questa sesta edizione dell’evento si focalizzerà proprio su questo aspetto del Belpaese, la manifattura appunto, sul quale dovremmo basarci per tornare ad essere competitivi a livello internazionale.

A questo proposito, Stefano Micelli, presidente del Comitato Scientifico di Città Impresa, ha dichiarato: “Noi abbiamo sempre equiparato il concetto di artigiano a lavoro umile e a piccolissima impresa mentre è proprio la cura artigiana che si esprime nel manifatturiero che crea valore aggiunto per il nostro intero sistema di imprese, siano esse piccole, medie o multinazionali del lusso. Certo, oggi, per far vivere il fattore competitivo dell’artigianalità bisogna coniugarlo fortemente con la tecnologia d’avanguardia come accade con il fenomeno delle stampanti 3d“.

Antonio Maconi, nuovo direttore del Festival, è ben deciso a far emergere i casi più interessanti di artigianalità, presenti in tutta Italia e non sono nelle Venezie: “Lo slogan è ‘saper fare’ e molto spesso il loro è un saper fare ‘in rete’: parlo di Matteo Gioli, che con la Super-Duper Hats sta riportando in auge l’arte cappelliera toscana, di Barbara Uderzo, jewel designer che sperimenta materiali insoliti, dalla neve al cioccolato, di Nicola Zago (Sharazad) e Michele Polico (Young Digitals)”.

Si tratta di un nuovo concetto di industriali, che stanno riportando in auge, anche in chiave social, artigianalità altrimenti destinate a soccombere, poiché rivolte a mercati più piccoli.

Altri nomi interessanti sono quelli di Simone Panfilo e Roberto Scaccia, che con i portali internazionali LoveTheSign e Zanoby raccontano e vendono il made in Italy, sia quello di nicchia sia quello dei grandi marchi, ma tutti hanno come destinazione finale la Cina.

Parteciperanno al Festival anche gli artigiani del food come il cioccolataio Mirco Della Vecchia, il vignaiolo naturale Angiolino Maule e Dario Loison, titolare di un’impresa dolciaria.

Vera MORETTI

I prezzi dei carburanti ricominciano a salire

Doveva capitare, prima o poi, che il trend si invertisse, e infatti è successo: la nuova settimana si è aperta con i prezzi dei carburanti in aumento, dopo una serie di ribassi che avevano caratterizzato l’ultimo periodo.
Ad aprire con i listini in salita è stata Eni, che si è presentata questa mattina con benzina e diesel a +1,5 centesimi al litro.

Questa inversione di tendenza è dovuta all’andamento dei mercati internazionali, che vedono i prezzi in aumento, anche se, almeno per ora, i rincari non sono particolarmente consistenti.
Infatti, i prezzi praticati sul territorio sono stabili, con rialzi per le no-logo, anticipatarie dei mercati.

Le punte dei prezzi sono adesso a 1,838 euro/litro per la benzina, 1,730 per il diesel e 0,837 per il Gpl.
Le medie si posizionano a 1,798 euro/litro (comunque ancora sotto 1,8 euro), 1,704 e 0,808.
La situazione a livello Paese, in modalità servito, vede il prezzo medio praticato della benzina che va oggi dall’1,778 euro/litro di Eni all’1,798 di Tamoil (no-logo a 1,656).
Per il diesel si passa dall’1,678 euro/litro sempre di Eni all’1,704 ancora di Tamoil (no-logo a 1,546).
Il gpl infine è tra 0,773 euro/litro di Eni e 0,808 di Tamoil (no-logo a 0,760).

Vera MORETTI

L’economia del mare resiste alla crisi

Durante la prima edizione degli Stati Generali delle Camere di commercio sull’economia del mare appena svoltasi a Gaeta nell’ambito della 6^ edizione dello Yacht Med Festival, sono stati evidenziati, dai partecipanti, alcuni obiettivi comuni su cui focalizzarsi.

Tra questi, quelli più urgenti sono risultati:

  • evidenziare il valore reale dell’Economia del mare; promuoverne il riconoscimento a livello istituzionale e il ruolo delle Camere di Commercio per il suo sviluppo;
  • mettere a sistema i progetti e le risorse della rete camerale italiana e implementare una policy di sistema;
  • orientare l’Economia del mare verso uno sviluppo economico, sociale e ambientale che sia sostenibile e integrato.

A tal proposito, Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha dichiarato: “L’economia del mare è come un ‘cuore blu’ che pulsa al fondo del sistema produttivo del Paese. Una risorsa strategica straordinaria che in questi anni di crisi ha continuato a battere anche a ritmi più veloci rispetto al resto dell’economia. Abbiamo il dovere di assecondare e alimentare questo battito per sostenere i territori e aiutare l’Italia a ritrovare il percorso della crescita. Il sistema camerale, con gli stati generali dedicati all’economia del mare, ha raccolto una sfida importante sui cui si impegna ad affiancare il mondo delle imprese e delle associazioni e a lavorare con le altre istituzioni per rafforzare un pezzo del tessuto economico nazionale che è fondamentale per l’innovazione e la sostenibilità del nostro modello di sviluppo”.

Durante il meeting è stato presentato il 2° Rapporto sull’Economia del Mare, realizzato da Unioncamere con il contributo tecnico di CamCom-Universitas Mercatorum, che fotografa come il comparto “blu” dell’economia italiana contribuisca in una percentuale massiccia alla produzione di ricchezza e occupazione: per ogni euro di valore aggiunto prodotto direttamente, il mare ne attiva quasi altri due nel resto dell’economia.

Inoltre, nonostante la crisi, nel periodo 2009-2011 l’economia del mare ha dimostrato di saper resistere sia per quanto riguarda l’occupazione, sia per quanto riguarda l’imprenditoria.
Infatti, a fronte della perdita totale nel periodo di 97.000 posti di lavoro (-0,4%), l’economia del mare si è mossa in controtendenza, segnando un incremento stimato di 11.000 unità (+1,4%).
Un fondamentale impulso è stato dato dalle attività di ricerca ma anche da turismo.
Per quanto riguarda le imprese, nel triennio 2010-2012 il tessuto imprenditoriale (costituito da circa 210mila imprese) è aumentato di quasi 7.000 unità, ad un ritmo quindi del 3,4%, decisamente superiore allo 0,1% osservato per il totale dell’economia

Parlando di numeri, il contributo al valore aggiunto prodotto nel nostro paese dalle filiere riconducibili all’economia del mare, ammontava nel 2011 a 41,2 miliardi di euro con una incidenza sul totale della capacità di produrre ricchezza del 2,9%, ovvero quasi il doppio di quanto prodotto dal comparto del tessile, abbigliamento e pelli (21 miliardi) o delle telecomunicazioni (22 miliardi), e quasi il triplo di quello del legno, carta ed editoria (poco meno di 15 miliardi).

Il 45% del totale, che corrisponde a circa 19 miliardi, deriva dai settori più tradizionali, come la cantieristica e i trasporti di merci e persone seguiti da quelli della filiera ittica e dell’industria estrattiva marina.
Poco meno di un terzo si riferisce alle attività legate al turismo cui si deve il 37% del valore aggiunto creato dal comparto, mentre, segue, ma a una certa distanza, il “terziario avanzato” rappresentato dalla ricerca, regolamentazione e tutela ambientale e che contribuisce a quasi un quinto della ricchezza prodotta complessivamente dal sistema economico legato al mare.

Per quanto riguarda l’occupazione, sono quasi 800mila i lavoratori dell’economia del mare, ovvero il 3,2% dell’occupazione totale a livello nazionale e superiore, di 200mia unità, del settore formato dalla chimica, farmaceutica, gomma, materie plastiche e minerali non metalliferi (600mila occupati; 2,4% del totale economia), e 160mila in più rispetto a quella dei servizi finanziari e assicurativi (circa 640mila unità, pari al 2,6% degli occupati totali).

All’interno di questo settore, forte è la presenza di coloro che lavorano nelle attività ricettive e della ristorazione, che è pari al 36% del totale, equivalente a 287mila lavoratori, molti dei quali stagionali. Seguono coloro che lavorano nei cantieri (17%, poco più di 135 mila occupati), nella filiera ittica (12%, poco più di 95mila occupati), e le attività sportive e ricreative (8% pari a più di 61mila occupati).

La maggiore concentrazione di lavoratori nel settore si trova nelle regioni del Centro-Sud, 60% del valore aggiunto e 64% in termini di occupati, grazie soprattutto alla centralità che assume in alcune regioni come il Lazio, la Sicilia, la Campania e la Puglia.
Al Nord la Liguria è la regione trainante, seguita da Lombardia e Veneto, che insieme assorbono all’incirca un quarto di ricchezza e di occupazione ascrivibile alle attività connesse al mare (rispettivamente 26 e 23% del totale nazionale).

In termini di sviluppo territoriale, i dati mostrano come tra le regioni solo in Liguria il valore aggiunto prodotto dell’economia del mare incida per oltre il dieci percento sull’economia regionale (l’11,9%). Tra le province, l’incidenza maggiore si riscontra a Livorno, dove il 15,7% del valore aggiunto del territorio è dovuto all’economia del mare.

Vera MORETTI

Punto della situazione sulla conciliazione obbligatoria a Milano

Il convegno “Sistemi per la risoluzione alternativa delle controversie tra imprese e consumatori” (ADR), organizzato da Innovhub e Camera Arbitrale, aziende speciali della Camera di commercio di Milano tenutosi il 18 aprile è stato il pretesto per analizzare la situazione relativa all’andamento della procedura di conciliazione obbligatoria.

Dal 21 marzo (data di avvio) ad oggi, sono più di quaranta le richieste domande presentate al servizio Conciliazione della Camera arbitrale, azienda speciale della Camera di commercio di Milano: in media circa due al giorno. Riguardano un po’ tutte le materie oggetto di mediazione obbligatoria come la locazione, i contratti assicurativi, quelli bancari e finanziari. La maggior parte dell’impegno della Camera Arbitrale è però orientato all’informazione. Risultano infatti quattro volte più numerose le richieste di informazioni: soprattutto avvocati che si rivolgono allo sportello dedicato alla conciliazione per sapere come funziona la gestione del procedimento della mediazione obbligatoria. Almeno un centinaio le persone che hanno invece richiesto notizie sui corsi di formazione per diventare mediatori.

Sono 260 le domande di conciliazione depositate dall’inizio dell’anno presso la Camera Arbitrale di Milano, cui si aggiungono le 116 depositate ricorrendo a RisolviOnline, il servizio di conciliazione online. Una giustizia alternativa rapida, in media 34 giorni, che coinvolge sempre più consumatori (55% delle domande di conciliazione depositate e il 93% dei procedimenti gestiti con RisolviOnline) per un valore medio che per le conciliazioni è di 150 mila euro, il doppio rispetto ai valori medi del 2010. E-commerce e commercio tradizionale e turismo tra le materie maggiormente trattate.

d.S.

La crisi delle costruzioni si riflette sugli architetti

Il settore delle costruzioni ha concluso il 2012 con un bilancio pesantemente negativo, caratterizzato da un calo delle produzioni del 5,8%.
Ovviamente, ciò ha influito anche sull’attività degli architetti, il cui lavoro dipende in gran parte da questo settore.

In sei anni, dal 2006 al 2012, questo mercato si è ridotto di un quarto (-24,4%, quasi 55 miliardi in meno a valori costanti 2011), ma la percentuale sale al 44% per quanto riguarda le nuove costruzioni.
Purtroppo, il 2013 non sembra portare buone notizie, poiché è prevista un’ulteriore flessione dell’1,4%. Per registrare una ripresa, seppur modesta, si dovrà aspettare il biennio successivo (+1% nel 2014 e +1,4% nel 2015).

Questi dati sono stati presentati nel Rapporto 2013 sulla professione di Architetto realizzato dal Cresme e dal Centro studi del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e che sono stati anticipati durante la Conferenza Nazionale degli Ordini provinciali a Roma.
Ma se la congiuntura risulta particolarmente negativa per la nuova attività edilizia, sia residenziale sia non residenziale, anche negli altri ambiti c’è poco da sorridere, anche se le percentuali sono più contenute.
Il comparto dei Lavori Pubblici ha registrato una riduzione del 27%, ma il trend per l‘immediato futuro si preannuncia nero fino al 2015.
In flessione anche l’attività di rinnovo e di manutenzione dell’esistente, che fino al 2011 (a partire dal 2006) aveva perso il 7% del mercato e che nel 2012 registra un bilancio negativo del 3% in un solo anno.

La crisi ha sicuramente trasformato profondamente il settore delle costruzioni, che si sta spostando verso le riqualificazioni e l’efficientamento energetico.

Questo è il panorama nel quale si trovano a lavorare i 150 mila architetti italiani, 5 ogni duemila abitanti, che rappresentano il 27% del totale europeo inclusa la Turchia: in Germania, secondo paese in Europa per numero di professionisti, gli architetti sono poco più di 100 mila, in Francia sono 30 mila così come nel Regno Unito.
Questi ultimi sei anni hanno causato la perdita di quasi un terzo del reddito professionale, sceso nel 2012 a poco più di 20 mila euro.

La situazione sta convincendo sempre più professionisti a trasferirsi all’estero, anche se, almeno per ora, si procede a rilento: solo un architetto su cinque ha avuto esperienze di progetti in altri Paese svolti dal proprio studio professionale, soprattutto in Francia, Spagna e Regno Unito.

Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, ha dichiarato: “Pesa in n questa difficile situazione la storica assenza, da parte delle istituzioni, di qualsiasi azione per garantire non solo agli architetti, ma ai liberi professionisti italiani che stanno pagando tutti un forte contributo alla crisi, iniziative di sostegno e incentivi fiscal,i finora riservati alle imprese, e che potrebbero rappresentare – nell’attuale situazione – facilitazioni per l’ accesso anche ai mercati esteri. Per quanto riguarda gli architetti italiani c’è da rilevare come gli ostacoli all’accesso al mercato – già contratto dalla crisi – creati dalla bulimica burocrazia edilizia, stiano avendo l’effetto di snaturare la nostra professione: c’è da parte del privato la ricerca di architetti capaci di ottenere i permessi, piuttosto che di realizzare buoni progetti, mentre standard e ostacoli artificiosamente elevati – e creati dalle norme sui lavori pubblici – ne impediscono l’accesso degli studi di architettura piccoli e medi”.

Per resistere alla crisi, Freyrie sottolinea l’importanza di promuovere le Società tra Professionisti e Interprofessionali, non solo per abbassare i costi degli Studi, ma anche per rendere sinergiche le competenze, aumentare le opportunità di lavoro.
Per questo motivo, fondamentali risultano essere le Reti d’Impresa, che possono creare strutture flessibili e leggere, adatte all’instabilità del mercato, collegate internazionalmente e con adeguato riconoscimento giuridico anche comunitario.

Tra gli strumenti che Freyrie maggiormente appoggia ci sono:

  • SeeArch, il portale che contiene tutti i dati degli architetti italiani registrati, con informazione sugli studi, schede personalizzate e immagini dei progetti realizzati;
  • il Progetto Internazionalizzazione, per sostenere il lavoro degli architetti italiani all’estero nato di concerto con il Ministero degli Esteri;
  • I@Materia, la piattaforma che permette al professionista di gestire on line qualsiasi procedimento edilizio di Lavori Pubblici presso le Pubbliche Amministrazioni;
  • la Carta Nazionale dei Servizi, la smart card riservata a tutti gli iscritti al sistema ordinistico, che permetterà di accedere ai servizi online della Pubblica Amministrazione su tutto il territorio nazionale.

La Nuvola degli architetti consentirà anche a tutti i progettisti di accedere ai software necessari alla loro attività senza doverli acquistare e di lavorare con il Building Information Modelling (BIM), forma più evoluta della progettazione in 3D che si sta affermando in tutto il mondo, senza doverlo acquistare, ma pagando esclusivamente il tempo di utilizzo. Il Consiglio Nazionale sta anche attivando tutti gli strumenti per adempire, attraverso una specifica piattaforma on line, all’obbligo della formazione continua che, dal prossimo anno, persegue l’obiettivo di garantire una qualità professionale costantemente aggiornata. Noi ci siamo rimboccati le maniche per aiutare la nostra comunità professionale, con alleanze, progetti, servizi; ma se la politica continua a fare il gioco delle perle di vetro in un clima di assoluta autoreferenzialità, cieca alla realtà dei mestieri, la strage dei talenti professionali si compirà, creando un danno irreparabile al futuro dell’Italia“.

Vera MORETTI

Federlegno e UniCredit insieme per sostenere le imprese del settore arredo

Grazie ad una convenzione stipulata tra FederlegnoArredo e UniCredit, sono 11 i milioni di euro concessi alle imprese associate a FederlegnoArredo nel 2012.

Questo accordo si basa su una linea di credito revolving per consentire alle imprese di utilizzare singoli finanziamenti per far fronte a spese ed investimenti in vista di manifestazioni fieristiche organizzate da FederlegnoArredo, ma anche per finanziare il ciclo con l’acquisto di scorte di materie prime e/o semilavorati, o per smobilizzare ordini/fatture o contratti di fornitura.

A beneficiarne, sono state le 60 imprese che fanno parte del’associazione, 43 delle quali hanno sede nel nord Italia, 12 nelle regioni del centro Italia e 5 nel sud Italia, tutte contattate in contemporanea ad altre 576 imprese potenzialmente interessate all’iniziativa, in occasione delle edizioni dello scorso anno dei Saloni e di MADE expo.

Questa iniziativa è stata avviata anche per l’anno in corso, con esito positivo, per ora, da parte di 33 imprese, interessate ai progetti che caratterizzeranno il 2013.
Si tratta di dati positivi, se si pensa alla situazione difficile che il comparto Legno-Arredo sta attraversando, e che si registrano grazie alla collaborazione di due realtà importanti, sicuramente, due dei pilastri della nostra economia nazionale.

Vera MORETTI

Laboratori di orologeria, un futuro tra luci e ombre

di Davide SCHIOPPA

Tra i mestieri artigiani che sono il vanto della piccola impresa italiana e che, tra il mordere della crisi e lo sviluppo di mercati sempre più globalizzati, soffrono più del lecito, c’è quello dell’orologiaio. Sono centinaia, in Italia, i piccoli riparatori che si dedicano a un lavoro fatto di tecnica e passione e che, oggi, si trovano in difficoltà di fronte alle politiche commerciali dei big mondiali dell’orologeria, che privilegiano sempre di più le riparazioni in house. Lo scorso mese l’Associazione Orafa Lombarda aveva lanciato una proposta di dialogo. Oggi torniamo sull’argomento con Mario Peserico, presidente di Assorologi.

Partiamo dai numeri: come va il mercato italiano dell’orologeria?
Non sono momenti facili ed è ovvio che il clima di sfiducia e di attesa che contagia il consumatore non può non riflettersi anche sul nostro mercato. Così come fatto lo scorso anno, mi sembra però giusto evidenziare che l’orologeria tutto sommato tiene molto meglio di altri comparti e riesce a difendere immagine, competitività ed attrattività. In ogni caso, nel 2012 nel nostro Paese sono stati venduti poco meno di 7 milioni di orologi da polso, per un valore di 1,14 miliardi di euro.

E sul fronte delle manifatture italiane, come vanno le cose?
In Italia esistono dei marchi più connotati sul mercato interno, che non esportano e di conseguenza sentono di più la difficoltà del momento. Il prodotto italiano è tale per chi lo conosce, lo è meno dal punto di vista del “made in”, per il quale la legislazione italiana è più lasca rispetto, per esempio, a quella Svizzera; per cui, chi è totalmente o quasi made in Italy, nella percezione del consumatore finale è, di fatto, uguale a chi importa e magari fa solo l’ultimo passaggio in Italia, fregiandosi ugualmente della dicitura made in Italy.

Soluzioni?
C’era stata la proposta di considerare il movimento italiano come condizione necessaria perché un orologio potesse essere considerato made in Italy, ma credo che ci saranno dei rallentamenti su questo fronte, stante la difficile situazione di mercato.

Parliamo della situazione dei laboratori di orologeria e dei riparatori…
Il settore patisce il momento come, in generale, lo patiscono le piccole botteghe artigianali. Gli orologiai lamentano il fatto che le grandi aziende non danno loro le parti di ricambio? Mi lasci dire, anche il fornaio si lamenta con la GDO perché fa il pane alla domenica. La tendenza è quella: i grandi gruppi si rendono autonomi come produzione, distribuzione e riparazione. Non credo sia criticabile il fatto che un marchio si organizzi autonomamente per le riparazioni o che si affidi per queste solo a chi gli dà certe garanzie in termini di preparazione e capacità.

Le politiche in questo senso le fanno dunque i big?
Se un marchio ha uno o più centri di assistenza autorizzati e professionalmente preparati o ha dei negozi che sono a loro volta attrezzati per le riparazioni, può anche non avere disponibilità di parti meccaniche per i riparatori che, per normativa europea, dovrebbero essere serviti dalla marca.

Anche in questo caso: soluzioni?
Trovo che sia un peccato che il mondo dei riparatori si perda e spero che ciò non accada ma, come associazione, abbiamo sempre sostenuto che i riparatori non sono organizzati, agiscono lamentando questa situazione ma senza fare nulla per rendersi organici ed elaborare proposte unitarie. Proporsi come alternativa vuol dire consorziarsi, creare un’associazione e darsi degli standard per cui chi entra nell’associazione ha certe capacità e garantisce un certo livello di servizio.

Che peso date, infine, alla formazione delle nuove leve di orologiai?
Negli ultimi 6-7 anni Assorologi ha contribuito a “ricostruire” la scuola di orologeria all’interno del Capac, il politecnico del commercio. La scuola aveva assunto col tempi una rilevanza sempre minore, anche perché dà spazio a una quindicina di allievi all’anno contro le centinaia delle altre scuole, nonostante costituisca un’eccellenza. Abbiamo riformato i programmi, ammodernato i laboratori con macchinari nuovi che le case hanno contribuito a far avere e gli allievi fanno degli stage nelle aziende di oltre un mese. La scuola ora dà spazio a 16 allievi per anno su due anni, ma le domande di iscrizione sono un centinaio, quasi sempre di ragazzi diplomati che vedono nella scuola una prospettiva, perché tutti i suoi diplomati trovano lavoro. Inoltre, la Regione Lombardia ha individuato nella scuola uno degli esempi di tutela delle arti e dei mestieri.

Perché certe professioni rischiano di sparire? Crisi, nuovi mercati ma anche colpe italiane

di Davide PASSONI

Un paio di settimane fa aveva fatto scalpore la notizia secondo la quale in Italia mancherebbero almeno 6mila pizzaioli; tante sarebbero, infatti, le figure richieste dal mercato che, per un motivo o per un altro, non si trovano. Un esempio, quello dei pizzaioli, di un fenomeno che nel nostro Paese investe moltissime figure professionali e artigiane che, complici una crisi sempre più bastarda e un mercato globalizzato che tende a penalizzare chi non ha le giuste dimensioni per imporsi sui mercati internazionali, vedono a rischio il proprio futuro.

Questa settimana Infoiva vuole fare un piccolo viaggio tra queste figure storiche della piccola impresa e dell’artigianato italiano che, tutto a un tratto, si sono trovate nella posizione assai scomoda che le vede, da un lato, custodi di una tradizione imprenditoriale che va difesa tanto per motivi storici quanto economici, e dall’altro poco strutturate per assolvere a questi compiti senza rischiare di scomparire.

A onor del vero bisogna anche ricordare che spesso la debolezza intrinseca di queste aziende e di queste categorie professionali è anche figlia di un atteggiamento che, per decenni, le ha portate a pensare di “bastare a se stesse“, di essere inserite in una nicchia di mercato che le avrebbe messe al sicuro da sconvolgimenti e turbolenze. Un’idea di consociativismo teso più a difendere posizioni e privilegi che a farsi vettore di proposte e azioni costruttive, che le ha rese deboli perché sole di fronte a un mercato e a delle prospettive economiche che, ormai, vanno al di là del recinto di casa.

Speriamo che il raccontare storie e capire le dinamiche di questo mondo serva da stimolo alle aziende artigiane che si trovano in queste situazioni per trovare le giuste soluzioni e affrontare il mercato non solo tirando a campare, ma sviluppando business e prospettive.

Sangue sul governo Letta

Sangue sul governo Letta. Se il buongiorno si vede dal mattino, il premier dovrà prepararsi a un periodo difficile. Stamane, durante la cerimonia di giuramento del governo, un uomo ha sparato davanti a Palazzo Chigi colpendo due carabinieri. Il brigadiere Giuseppe Giangrande, secondo quanto scritto nel primo bollettino medico, ha subito la lesione della colonna vertebrale cervicale ed è ricoverato al Policlinico Umberto I di Roma in prognosi riservata.

Ad aprire il fuoco un uomo in giacca e cravatta che all’improvviso ha sparato contro i militari. L’uomo, Luigi Preiti, è nato nel 1964 in Calabria, dove è tornato a vivere dopo aver trascorso molti anni ad Alessandria, dove è stato sposato e ha un figlio di dieci anni. Il ritorno al paese natale è scattato in seguito alla perdita del lavoro.

Preiti – che non ha precedenti penali e ha agito da solo – ha sparato diversi colpi di pistola e ha poi tentato di fuggire, ma è stato ferito durante una colluttazione con le forze dell’ordine e arrestato. Preiti, però, non è uno squilibrato nonostante nei primi minuti sopo la sparatoria si era diffusa la voce che avesse problemi mentali. “Non ha mai sofferto di patologia psichiatriche – ha detto il fratello Arcangelo all’Ansa -. Siamo allibiti, non sappiamo spiegarci quel che è potuto accadere“.

Sconvolta anche la ex moglie di Preiti, mentre secondo il ministro Alfano l’uomo avrebbe tentato il suicidio dopo la sparatoria, ma avrebbe finito i colpi.

Nasce il governo Letta. Il Paese e l’economia aspettano una svolta

E finalmente dopo 60 e rotti giorni di ingovernabilità abbiamo un governo. Del presidente, balneare, a tempo, quello che volete, ma intanto c’è. Vediamo se l’Esecutivo varato a tempo di record da Enrico Letta su mandato pressante di Napolitano riuscirà a dare stabilità e risposte all’economia e al Paese. Ecco la lista dei ministri:

Interni e Vicepremier- Angelino Alfano
Difesa – Mario Mauro
Esteri – Emma Bonino
Giustizia – Anna Maria Cancellieri
Economia – Fabrizio Saccomanni
Riforme istituzionali – Gaetano Quagliariello
Sviluppo – Flavio Zanonato
Infrastrutture – Maurizio Lupi
Poliche Agricole – Nunzia Di Girolamo
Istruzione, Università e ricerca- Maria Chiara Carrozza
Salute – Beatrice Lorenzin
Lavoro e Politiche sociali – Enrico Giovannini
Ambiente – Andrea Orlando
Beni culturali e Turismo- Massimo Brai
Coesione territoriale – Carlo Trigilia
Politiche comunitarie – Anna Maria Bernini
Affari regionali, sport e turismo – Graziano Delrio
Pari opportunità, sport, politiche giovanili – Iosefa Idem
Rapporti con il Parlamento – Dario Franceschini
Integrazione – Cecile Kyenge
Pubblica Amministrazione- Giampiero D’Alia