Legge di Bilancio: una riflessione sul regime di cassa

Una riflessione del presidente dell’INT Riccardo Alemanno, con l’indispensabile supporto di Edoardo G. Boccalini e Giuseppe Ivan Zambon.

Come tutti, tanti perlomeno, mi sono preoccupato (eufemismo) quando ho realizzato, sia come presidente INT sia come semplice tributarista, che il nuovo regime di cassa, previsto dalla Legge di Bilancio per i soggetti in contabilità semplificata, diventerà il regime naturale e non un regime per opzione.

Ho pensato subito alle difficoltà nel reperire i dati sugli incassi e sui pagamenti da parte di chi spesso, e non vale per tutti ovviamente, già fatica a consegnare nei termini fatture emesse e ricevute, chi nonostante siano anni che deve seguire determinati adempimenti si meraviglia quando, ad esempio, gli si chiede l’inventario o gli segnaliamo l’acconto IVA, i più incalliti si stupiscono anche che si debba presentare il modello Unico, nonostante eseguano da anni tale adempimento con assoluta regolarità.

Sì, ero preoccupato, poi, cosa che raccomando sempre, prima di lamentarmi ho letto appena possibile il testo presentato alla Camera. Qui, con sorpresa (mista a scetticismo e contentezza), ho letto il comma 6 dell’art. 5 Regime di cassa per i contribuenti che si avvalgono della contabilità semplificata, che va a riscrivere l’articolo 18 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 che detto così pare persino brutto, ma che tradotto mi ha dato una botta di inaspettata positività.

Infatti il novellato art.18 al comma 5 recita: “Previa opzione, vincolante per almeno un triennio, i contribuenti possono tenere i registri ai fini dell’imposta sul valore aggiunto senza operare annotazioni relative a incassi e pagamenti, fermo restando l’obbligo della separata annotazione delle operazioni non soggette a registrazione ai fini della suddetta imposta. In tal caso, per finalità di semplificazione si presume che la data di registrazione dei documenti coincida con quella in cui è intervenuto il relativo incasso o pagamento”.

Ho letto e riletto, poi preso da comprensibile dubbio ho chiesto aiuto alla sapienza del Consigliere Giuseppe Ivan Zambon, indispensabile il suo parere, e conferma al Segretario Edoardo G. Boccalini, che stimo anche come collega preparato.

Anch’essi concordano, e sì… con l’opzione si evita il regime di cassa puro che, non scherziamo dal punto di vista dell’equità, è il regime migliore, e si applicherà una contabilità semplificata realmente semplificata, senza più ratei e risconti, fatture da ricevere o da emettere, inventari, ecc. ecc.

Un regime che, con una sorta di neologismo fiscale, si potrebbe definire di “registrazione per cassa presunta”. Bella storia di semplificazione vera, speriamo resista ai passaggi parlamentari, ad eventuali maxi emendamenti, a modifiche in zona Cesarini…

Assicurazioni professionali: chi le cerca e perché

Avvocati, medici e altri professionisti cercano di tutelarsi da cause di clienti insoddisfatti o di pazienti scontenti e le assicurazioni legate alla professione, nel solo ultimo mese sono aumentate del 10%; tanto da convincere Facile.it ad analizzare nel dettaglio il profilo di chi, oggi, richiede una copertura assicurativa di questo genere.

Sulla base di un campione di oltre 2.000 richieste di preventivo di assicurazioni presentate a ottobre 2016 attraverso il web, il 24,2% è stato compilato da avvocati che precedono di pochissimo i medici, che si fermano al 19,2%. Alle loro spalle si trovano gli architetti, cui sono associati il 13,3% dei preventivi analizzati e gli ingegneri, quarti per poco meno di due punti percentuali (11,6%).

Continuando a scorrere la lista delle professioni se ne incontrano alcune che era prevedibile trovare (commercialisti, geometri, consulenti del lavoro), ma altre più sorprendenti. Oltre il 4% di chi ha richiesto un preventivo per assicurazioni professionali è un agente immobiliare e vi sono anche gli amministratori di condominio i quali, con il 2,4% dei preventivi superano agenti finanziari, revisori legali e mediatori creditizi.

Quando dai preventivi delle assicurazioni si passa alle polizze la classifica cambia e al primo posto si trovano consulenti del lavoro, periti e commercialisti. Per ciascuna di queste categorie professionali, che già da molti anni hanno a che fare con contenziosi e cause intentate contro di loro, la conversione di preventivi in polizze è pari a circa il 30%.

Altissima anche la percentuale di chi acquista un’assicurazione fra gli amministratori di condominio (25% dei richiedenti preventivo) e gli agenti immobiliari (20%). Avvocati e medici, invece, sembrano essere ancora in fase di studio della possibilità loro offerta con questo nuovo genere di prodotto e la trasformazione di preventivo in polizza si ferma al 16% nel caso degli avvocati e al circa il 10% in quello dei medici.

Se si considera il profilo di chi compila un preventivo per l’acquisto di assicurazioni professionali secondo un altro aspetto socio demografico e dal punto di vista regionale, si scopre che il 69% di chi richiede un preventivo è uomo e i più attenti a questo genere di copertura sono i professionisti di età compresa fra i 35 e 44 anni: quasi una richiesta su due (45,2%) è compilata da loro. Curiosamente, se si guarda alle sole coperture legate alla professione medica, a primeggiare nella ricerca di polizze professionali sono i giovani camici bianchi (età 25-34 anni); fa capo a loro il 32,2% delle richieste.

Le variabili che concorrono a determinare il premio annuo da corrispondere alla compagnia di assicurazioni sono molte; oltre al genere di professione, si considerano anche gli anni (tanto di anzianità anagrafica quanto di lavoro e iscrizione ad albi ove presenti), il massimale da impostare, l’eventuale retroattività della copertura rispetto alla data di stipula, il fatturato annuo del professionista; in virtù di questo, ci sono assicurazioni che costano poche centinaia di euro annui e altre che superano la decina di migliaia. In entrambi i casi, però, rifondere di tasca propria un eventuale danno sarebbe molto più oneroso.

Nuda proprietà fra necessità e occasione di investimento

Necessità e difficoltà economiche da un lato, vantaggi e opportunità dall’altro: è la doppia faccia della nuda proprietà. Una modalità che consente ai proprietari di avere liquidità derivante dalla cessione dell’immobile, pur continuando a vivere nell’appartamento per il resto della propria vita, e a chi vuole investire nel “mattone” di acquistare immobili a prezzi inferiori a quelli di mercato in rapporto all’età del venditore.

Se nel 2015, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate-OMI, le compravendite di abitazioni in nuda proprietà sono state quasi 21.600 (+1,9% rispetto al 2014), anche nel 2016 la tendenza è buona.

Secondo il Centro Studi di Casa.it (www.casa.it), a livello nazionale resta molto alto l’interesse per l’acquisto di abitazioni in nuda proprietà, con la domanda cresciuta negli ultimi tre anni in media del 35% e che vede il Veneto (+45%), la Liguria (+44%) e la Toscana (+38%) ai primi posti per tasso di crescita.

Stabile, invece il numero di proprietari che decidono di mettere in vendita l’abitazione con la nuda proprietà: le regioni con la crescita maggiore dell’offerta sono la Liguria (+8% negli ultimi tre anni), il Piemonte (+7%), l’Emilia Romagna (+6,4%) e il Veneto (+5,2%).

Diverse sono le motivazioni che spingono i proprietari a vendere la propria abitazione in nuda proprietà, come conferma Alessandro Ghisolfi, Responsabile del Centro Studi di Casa.it: “Chi decide di mettere in vendita la sua casa con la formula della nuda proprietà, nel 70% dei casi lo fa perché, trovandosi in difficoltà economica, ha la possibilità di avere liquidità immediata per mantenere un certo tenore di vita, nel 22% dei casi per far fronte ad esigenze legate all’avanzare dell’età o per sostenere i figli nell’acquisto della casa, e l’8% dei casi, non avendo eredi, decide di regalarsi una sorta di “pensione integrativa” per migliorare la qualità della propria vita”.

Chi vende in nuda proprietà è prevalentemente uomo (60%), ha in media un’età vicina ai 70 anni, vive nelle grandi città, è nel 60% dei casi solo (celibe/nubile – separato/divorziato- vedovo) e offre un’abitazione fra gli 80 e i 100 mq, soprattutto localizzata nelle aree centrali e semicentrali.

Il valore di un immobile in nuda proprietà cambia in rapporto all’età del venditore. Se il venditore appartiene alla prima fascia di età (45-50 anni), lo sconto percentuale rispetto al valore di mercato sarà circa del 75%, mentre se il venditore appartiene alle ultime fasce di età lo sconto per il compratore si riduce tra il 25% e il 10% se il proprietario ha oltre 80 anni.

Affitto, che passione

Nel primo semestre del 2016 i canoni di affitto delle grandi città sono cresciuti: +0,7% per i monolocali e i bilocali e +0,8% per i trilocali. Su tutte le tipologie, per la prima volta, si è visto un segnale positivo, attribuibile in larga parte a una diminuzione dell’offerta immobiliare e a una migliore qualità della stessa.

Nonostante ciò, anche nel semestre indicato, tra coloro che hanno spinto la domanda di immobili in affitto, si sono registrati numerosi casi di persone che non in grado di accedere al mercato del credito: giovani, monoreddito immigrati, ai quali si sono aggiunti gli studenti e i lavoratori fuori sede.

L’analisi demografica di quanti cercano casa in affitto ha evidenziato che il 38,6% ha un’età compresa tra 18 e 34 anni, il 30,9% tra 35 e 44 anni e il 61,3% è rappresentato da single.

Relativamente alle motivazioni che spingono all’affitto, il 61,1% di chi cerca questa tipologia di casa lo fa per trovare l’abitazione principale; seguono coloro che si trasferiscono per lavoro (35%) e coloro che si trasferiscono per motivi di studio e cercano casa vicino alla sede della facoltà frequentata (3,9%).

Rispetto al 2016 si nota una diminuzione della percentuale di quest’ultima motivazione. La spiegazione potrebbe essere la minor mobilità dovuta al fatto che gli studenti scelgono università più vicine al luogo di residenza.

La domanda di abitazioni in affitto si concentra in particolare sui bilocali (40,5%), a seguire il trilocale (35,6%). Quello che è cambiato sensibilmente col tempo è l’utilizzo del canone concordato, che si è attestato intorno al 22,9%, trovando sempre più consensi tra proprietari ed inquilini (in un anno è passato dal 18% al 22,9%).

A Milano spetta il primato della città con la più alta percentuale di persone che cercano casa in affitto per motivi di lavoro (63,5%) e con la più alta percentuale di single (79,5%). Verona è invece la città dove si registra la più alta percentuale di contratti stipulati con il canone concordato.

I potenziali locatari sono sempre più esigenti nella ricerca dell’immobile e si evidenzia una maggiore facilità di affitto per le soluzioni di “qualità”, intesa non solo come lo stato dell’immobile ma anche la qualità dell’arredamento, la presenza di ambienti luminosi e di servizi in zona.

Cresce l’interesse per gli immobili arredati o parzialmente arredati. La presenza del riscaldamento autonomo è apprezzata perché consente una riduzione dei costi condominiali. I proprietari stanno recependo questa esigenza e la qualità dell’offerta abitativa in locazione è in miglioramento.

Oltre 5mila imprese investono sulle startup innovative

Il primo Osservatorio sui modelli italiani di Open Innovation e di Corporate Venture Capital, promosso da Assolombarda, Italia Startup e Smau, in partnership con Ambrosetti e Cerved è una ricerca presentata al recente Smau che punta a due obiettivi, condivisi nel contesto dell’Industry Advisory Board di Italia Startup, in coordinamento con il progetto Startup Town di Assolombarda: dare una prima dimensione al fenomeno del Corporate Venture Capital italiano, inteso come investimento finanziario e industriale in startup innovative italiane; individuare modelli concreti e replicabili di Open Innovation.

Ed è proprio dagli archivi di Cerved sui soci e sulle partecipazioni – considerate le partecipazioni dirette e indirette di persone fisiche e persone giuridiche fino al terzo livello – che sono stati individuati oltre 40mila soci delle 6,5 mila startup innovative iscritte al registro delle imprese.

Sono 34.963 le persone fisiche che hanno quote di partecipazione, diretta o indiretta fino al terzo livello, in almeno una delle 6.466 startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese. Gli investitori corporate sono invece 5.149, la maggior parte dei quali sotto la veste di società di capitale.

La ricerca continua evidenziando come gli investitori in CVC concentrano le loro quote in 1.901 startup innovative iscritte al Registro delle Imprese. Nelle restanti 4.565 startup la compagine dei soci è rappresentata esclusivamente da persone fisiche.

I dati di bilancio delle società (di capitale) che sono nel capitale delle start-up innovative iscritte indicano che oltre il 60% di questi investitori sono large corporate, con un giro d’affari di oltre 50 milioni di euro. Sono circa 400 le Pmi e 31 le microimprese.

Quasi la metà delle corporate che hanno investito in startup innovative operano nel campo dei servizi non finanziari (48,2%); oltre un terzo nei servizi finanziari e assicurativi (34,1%), il 5,2% nell’industria tradizionale, il 2,9% nella meccanica. Il 2,1% nella produzione di apparati hi tech.

Oltre due terzi dei soci corporate delle startup innovative iscritte hanno sede nel Nord Italia (69%).

Il Nord ospita anche la maggior parte delle startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, ma la percentuale è significativamente inferiore (55%). Questo significa che un flusso consistente di investimenti di società del Nord vanno a beneficio di start-up che operano nel Centro-Sud.

Infatti, i dati evidenziano anche che il 59% dei soci corporate investe in startup fuori regione. “Questo dato evidenzia il superamento della logica del distretto industriale, un fenomeno che come Smau conosciamo molto bene grazie all’ormai consolidato presidio dei territori attraverso il Roadshow – spiega Pierantonio Macola, Presidente di Smau -. E’ evidente che la strategia di specializzazione intelligente a cui le Regioni sono chiamate in ambito ricerca e innovazione ha come naturale conseguenza la creazione di un mercato dell’innovazione di respiro nazionale a cui le imprese dimostrano di essere già pronte.”

La ricerca evidenzia, infine, che le imprese corporate che hanno investito in start-up innovative hanno prevalentemente optato su imprese che fanno R&D o producono software e servizi informatici: l’industria tradizionale nel 77% dei casi ha investito in startup che fanno R&D, le imprese che operano nel settore della meccanica scelgono nel 61% dei casi start-up che operano nel campo del software e dell’informatica, così come le aziende che si occupano di produzioni hi-tech (76% dei casi).

Un tribunale a tutela dei brevetti

Il Tribunale Unificato dei Brevetti porterà vantaggi per le imprese grazie ai minori costi, l’80% in meno di adesso per difendere la propria innovazione nei confronti di tutti i Paesi europei. Ma anche minori procedure: un solo brevetto unitario (da presentare in inglese, francese o tedesco), rispetto a più marchi da depositare in ogni Paese europeo con la lingua di quel Paese.

È quanto è emerso nei giorni scorsi a Milano quando Mise – Direzione Generale per la lotta alla contraffazione -, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) hanno promosso il punto sul Tribunale Unificato dei Brevetti.

Si va verso la nascita della nuova Corte sovranazionale specializzata nelle cause brevettuali che coinvolgono brevetti europei o unitari. Un brevetto “con effetto unitario” tutelerà verso tutti i Paesi. Il sistema informatico sarà pronto per il 2017, le scelte dei Paesi europei determineranno l’effettivo avvio.

Un avvio che all’inizio sarà graduale. Sarà di sette anni il periodo di applicazione provvisoria, in cui l’impresa potrà richiedere l’opt out dal Tribunale Unificato e scegliere che il proprio Brevetto Europeo rimanga soggetto alla giurisdizione nazionale nei singoli Stati membri Ue, come accade oggi.

Per quanto riguarda i brevetti in Italia, la Lombardia è a regione leader: sono oltre 4 mila le domande di brevetto pubblicate da EPO (European Patent Office) in quattro anni, il 29% del totale nazionale, una media di circa mille brevetti l’anno, uno ogni 10mila abitanti.

Meccanica e trasporti, chimica e ambiente sono i settori in cui la regione brevetta di più e che pesano sul totale italiano rispettivamente il 40% e il 20%. Nel 2014 la sola Milano ha depositato in Europa 365 brevetti, in media uno al giorno.

Giustizia alternativa sempre più scelta da imprese e cittadini

Quasi 300mila domande di giustizia alternativa nel 2015, +12% rispetto all’anno precedente, pari a circa 32mila domande in più, non considerando i dati relativi alla negoziazione paritetica. È il quadro nazionale della giustizia alternativa nel 2015 che emerge dal Rapporto Isdaci, giunto alla nona edizione, promosso da Unioncamere, Camera di Commercio di Milano e Camera Arbitrale di Milano, presentato nei giorni scorsi.

Si tratta per circa il 66% di domande di mediazione amministrata (196.247, +9%) e per il 34% di conciliazione Corecom (101.672, +17%). 784 invece gli arbitrati amministrati (+10%).

Un anno positivo per la giustizia alternativa in Italia, anche se resta ancora da fare per promuovere la cultura della mediazione volontaria e dell’arbitrato”, ha dichiarato Massimo Maria Molla, presidente Isdaci.

Entrando nei dettagli della giustizia alternativa, partiamo dalla mediazione amministrata: 196.247 le domande di mediazione registrate nel 2015, +9% rispetto al 2014 e +27% rispetto al 2012, anno in cui era in vigore la mediazione obbligatoria che annoverava tra le materie in cui era possibile procedere il risarcimento del danno da veicoli e natanti (20,5% di tutte le domande presentate quell’anno). L’81,6% è costituito da domande di mediazione obbligatoria.

Le materie della mediazione amministrata: contratti bancari con il 23,5% del totale complessivo, diritti reali con il 13,7%, locazione con il 12%, condominio con l’11,9%, risarcimento del danno da responsabilità medica con il 6,6%, contratti assicurativi con il 6%, divisioni dei beni con il 4,8%, successioni ereditarie con il 4,2%. 137.862 euro il valore medio delle mediazioni (+24,6% in un anno), 103 giorni la durata media.

Gli organismi di mediazione si concentrano a Roma (12,5%), Napoli (7,5%), Milano (4%), Salerno (3,7%), Torino (2,2%), Bologna, Lecce e Palermo (2%).

Altro aspetto della giustizia alternativa è l’arbitrato amministrato: nel 2015 sono state registrate 784 domande di arbitrato amministrato, + 10% in un anno. 595 le domande (il 76%) ricevute dalle Camere Arbitrali delle Camere di Commercio. Il 95% degli arbitrati è nazionale e gli arbitrati internazionali sono gestiti totalmente dalle Camere di Commercio.

L’86% dei procedimenti riguarda controversie sorte tra due imprese o tra un ente ed un’impresa mentre il restante 12% riguarda procedimenti tra imprese e consumatori ed è gestito presso le Camere di commercio. 243.486 euro il valore medio delle procedure.

Roma (22%), Milano (10%), Genova (9%) e Bologna (5%) da sole concentrano quasi la metà di tutte le camere arbitrali attive in Italia.

Giustizia alternativa e conciliazione presso i Corecom: 101.672 procedure ADR nel 2015, in aumento del 17,3% (si tratta di procedure gratuite relativamente al contenzioso telefonico) rispetto al 2014 per, secondo dati 2014, un valore medio di 610 euro e durata media di 58 giorni. Nel 2015 l’accordo è stato raggiunto nell’83% dei casi.

La riassegnazione di nomi a dominio ha visto 25 domande nel 2015, in diminuzione rispetto al 2014 (-31%). Cinque i centri attivi, 4 privati e 1 pubblico, 1.500 euro il valore medio e 57 giorni la durata media dei procedimenti.

Tartassati e felici

Ogni italiano paga 946 euro di tasse in più all’anno rispetto ai colleghi europei. Lo segnala l’Ufficio studi della Cgia. Sul fronte pressione fiscale, nel 2015 la Francia è al 48% del Pil, il Belgio al 46,8%, l’Austria al 44,3%, la Svezia al 44%. Quinta l’Italia al 43,4%.

Black Friday e Cyber Monday: si risparmia davvero?

Anche in Italia ormai si attendono il Black Friday e il Cyber Monday, il “venerdì nero” e il “lunedì cibernetico” degli sconti online che segnano l’inizio dello shopping natalizio negli Usa e che da qualche anno tentano di sfondare anche in mercati digitali differenti.

Quest’anno le date sono il 25 e il 28 novembre. idealo, portale di comparazione prezzi, ha indagato la tematica per capire se il risparmio legato a queste giornate sia così netto anche sul mercato italiano.

In Italia, nel 2015 si è registrata una crescita del fenomeno pari al 33,46% rispetto all’anno precedente, in base ai dati di traffico del portale Idealo. In dettaglio, l’incremento percentuale di traffico rispetto alle tre settimane precedenti e successive è stato nel 2015 del 78% per il Black Friday e del 40% per il Cyber Monday.

Nel 2014, invece, le impennate sono state più contenute: 11,03% visitatori in più per il Black Friday e appena il 4,52% per il Cyber Monday. Ciò implica che l’indice di popolarità degli sconti di fine novembre è in crescita anche in Italia.

Le categorie di prodotti più ricercate in Italia in occasione del Black Friday e del Cyber Moday nel 2015 sono state per lo più legate al settore tecnologico: console di gioco, robot da cucina, notebook, TV LED, obiettivi, fotocamere, smartphone, ultrabook e smartwatch. Sintomo che il consumatore hi-tech italiano ha ormai superato le barriere legate alla diffidenza di acquistare online. A maggior ragione se ne ottiene un risparmio.

Per quanto concerne l’entità degli sconti offerti dai retailer che hanno aderito all’iniziativa lo scorso anno, idealo ha constatato un livello medio dei ribassi pari al 6%. Gli sconti più significativi sono stati praticati, in occasione del Black Friday, su “Robot da cucina” (13,3%), “Smartwatch” (8,1%), “Fotocamere Bridge” (6,7%) e “Notebook” (5,9%).

Gli articoli sui quali è attualmente puntata l’attenzione dei consumatori digitali italiani fanno capo principalmente a due colossi tech quali Apple e Samsung ma rivelano anche sorprese inattese. Interessante notare, ad esempio, la presenza di giocattoli elettronici tra le categorie monitorate a Novembre, tra cui gli innovativi animaletti elettronici Hatchimals e i droni DJIl, due articoli di tendenza in vista della corsa ai regali di Natale.

Amazon resta una delle piattaforme e-commerce maggiormente coinvolte dall’iniziativa, anche per quanto concerne l’entità degli sconti offerti. Però, sebbene Amazon possegga il catalogo più ricco nel panorama italiano (almeno nel settore tech), l’entità degli sconti offerti per l’occasione è spesso più evidente presso altri rivenditori. In media, ad esempio, il sito Stockisti.it ha offerto sconti del 2% più elevati rispetto a quelli del colosso americano.

Trump presidente, per le imprese nulla cambia

Trump presidente? Nessun problema per le imprese, almeno per quelle milanesi e lombarde che ritengono che l’elezione del magnate americano non porterà conseguenze per il loro business.

C’è ottimismo: per il 21% delle imprese gli affari miglioreranno, contro il 13% che si aspetta conseguenze negative e il 27% stabilità rispetto ad ora. La crescita, per uno su cinque che mostra ottimismo, sarà del 5-10%.

Le imprese avrebbero preferito una vittoria della Clinton (36%) rispetto a Trump (27%), ma il 25% avrebbe voluto qualcun altro al loro posto. Per la maggior parte degli imprenditori, la presidenza di Obama non ha aiutato gli scambi con l’Italia come era previsto (per il 28% non ha aiutato, per il 13% meno del previsto, rispetto al 27% per cui è stata una presidenza favorevole).

Sono dati che emergono da un’indagine di Camera di commercio di Milano insieme all’azienda speciale Promos su circa 200 imprese lombarde attive sui mercati esteri, la maggior parte verso gli Usa, al 9 e 10 novembre 2016, subito dopo l’elezione di Donald Trump.

Un mercato in crescita quello degli Stati Uniti, per il 33% più attrattivo di otto anni fa contro il 15% che lo ritiene meno attrattivo. Il 65% vorrebbe incrementare i rapporti con gli Usa. Per il 75% circa sono un mercato interessante per i loro prodotti.

Sono 1193 le multinazionali americane in Lombardia e danno 135mila posti di lavoro, con 49 miliardi di fatturato all’anno. Gli Usa pesano una vendita all’estero su sei per la Lombardia (16,2%) e sono circa 8mila le imprese lombarde che esportano verso gli Usa, di cui 3 mila a Milano, quasi mille a Brescia, Bergamo, Monza e Varese. Quasi 200mila le operazioni di export realizzate in un anno con gli Stati Uniti.

La Lombardia negli scambi con gli Stati Uniti ha totalizzato 5,5 miliardi di euro di import-export nei primi sei mesi del 2016. Con 1,6 miliardi di import e 3,8 miliardi di export, la Lombardia pesa il 23% dell’import nazionale verso l’America e il 21,2% dell’export. Sono dati che emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati Istat. Tutto questo cambierà con l’arrivo di Trump? Difficile crederlo…