Dimissioni per giusta causa: spetta la Naspi ma la procedura è diversa

Oggi andremo a scoprire cosa spetta quando ci si ritrova dimissionari per giusta causa. Molti si chiedono se toccherà ugualmente la Naspi al licenziato, ed in che modalità. La risposta è sì, ma andiamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta.

Naspi, che cosa vuol dire

Con il termine Naspi, si parla di disoccupazione. Di fatto, la parola Naspi vuol dire Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego e sostituisce le vecchie precedenti prestazioni di sussidio per la disoccupazione, ovvero la Aspi e la MiniAspi.

Il sussidio della Naspi è operativo dai primi mesi del 2015 ed offre sostegno economico mensile (per una durata massima di 24 mesi) alle persone licenziate o dimesse, come nei seguenti casi:

  • dimissioni durante il periodo di maternità (da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del bambino);
  • dimissioni per giusta causa, come ad esempio per mancato pagamento delle retribuzioni o per aver subito molestie sessuali sul luogo di lavoro, od anche per mobbing;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura preventiva ed obbligatoria di tentativo di conciliazione;

Ma quando si viene licenziati per giusta causa, come si ottiene la Naspi? Andiamolo a vedere nel prossimo paragrafo.

Naspi e dimissioni per giusta causa

Per verificare se la NASpI spetta anche in caso di dimissioni, occorre osservare il D.Lgs. n. 22/2015 che prevede la tutela economica esclusivamente per le interruzioni involontarie di rapporti di lavoro a decorrere dall’1 maggio 2015.

Quindi, è di fondamentale importanza che la cessazione del lavoro avvenga per cause non imputabili al lavoratore. Va da sé che in caso di dimissioni volontarie, poiché si tratta di un atto volontario del lavoratore, la legge non riconosce la tutela economica.

Differente è, però il discorso in caso di dimissioni per giusta causa.

Cos’è la dimissione per giusta causa? Come specificato poco sopra nell’articolo, è quando il lavoratore subisce da parte del datore di lavoro continue vessazioni o violazioni di obblighi di legge, come ad esempio la mancata corresponsione della retribuzione, può decidere di dimettersi per giusta causa. In tal caso ha diritto alla Naspi.

Va detto che nel caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore oltre a non dover corrispondere l’indennità di mancato preavviso ha diritto a percepirla egli stesso, nonché a beneficiare dell’indennità di disoccupazione, qualora ne ricorrano i presupposti.

Qualora il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e dovesse rifiutarsi così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e quindi farsi riconoscere il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

Procedura di dimissioni per giusta causa

Non è da sottovalutare tutto il processo che occorre per presentare le dimissioni per giusta causa.

Una procedura che si applica, infatti, a tutte le dimissioni rassegnate a partire dal 12 marzo 2016, indipendentemente dalla causale giustificativa. Le uniche ipotesi a cui la nuova disciplina non si applica sono le seguenti:

  • dimissioni durante il periodo di prova;
  • dimissioni nel rapporto di pubblico impiego;
  • dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza, della lavoratrice o del lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento; ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 151/2001, per tali soggetti le dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio (a detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto);
  • dimissioni in un rapporto di lavoro domestico;
  • dimissioni intervenute nelle sedi protette di cui all’art. 2113 del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione.

Ma quali sono i documenti per la Naspi da presentare?

I documenti utili a presentare richiesta per la Naspi sono i seguenti:

  • il modello Sr163 dove viene indicato il conto corrente di accredito
  • il documento d’identità, il permesso di soggiorno o il permesso di soggiorno Ue per soggiornati di lungo periodo in corso di validità
  • la tessera sanitaria o codice fiscale
  • le ultime tre buste-paga (facoltativo)
  • la lettera di licenziamento
  • nel caso di colf e badanti si dovranno allegare gli ultimi bollettini Mav dei contributi pagati
  • se il contratto di lavoro era a tempo determinato, bisognerà allegare il contratto di Assunzione
  • in caso di dimissioni per Giusta Causa, si dovrà allegare la lettera di diffida inviata al datore di lavoro, con la ricevuta di invio
  • in caso di dimissioni durante la maternità, sarà necessario allegare la convalida della direzione Provinciale del Lavoro
  • se si possiede P.IVA o si è lavorato con contratti di Lavoro Occasionali, bisogna dichiarare il Reddito presunto per l’anno in corso, durante la compilazione della domanda Naspi.

Insomma, questo è quanto vi fosse da sapere di più necessario, in merito alla questione legata alla Naspi e alle dimissioni del dipendente, per giusta causa.

Come faccio a vedere l’UNILAV sul sito dell’INPS?

Molti si chiedono come poter controllare la propria posizione lavorativa sul sito dell’INPS. Insomma, spesso capita di voler controllare se la propria assunzione sia stata effettuata nella maniera regolare, quindi verificando lo stato UNILAV. Oggi andremo a scoprire come poter controllare tutto ciò.

UNILAV, di cosa si tratta

Innanzitutto, cominciamo col dire di cosa si tratta, quando parliamo di UNILAV.

In sostanza, l’UniLav non è altro che un modello che deve essere inviato al Centro per l’impiego dal vostro datore di lavoro. Ed è un modello che va compilato direttamente online, con alcune variazioni a seconda della regione in cui si lavora.

Nello specifico della questione, andiamo a vedere dunque come monitorare la propria situazione lavorativa, grazie al modello UNILAV.

Come controllare il contratto di lavoro

Iniziamo subito, senza mezzi termini, col dire che il lavoratore che viene assunto dovrà ricevere dal datore di lavoro diverse informazioni, tra cui le seguenti:

  • identità delle parti
  • luogo di lavoro
  • data di inizio del rapporto di lavoro
  • durata del rapporto di lavoro
  • inquadramento lavorativo
  • retribuzione iniziale

Ciò avviene previa contratto o lettera di assunzione da parte del lavoratore al suo dipendente.

Quindi, chi assume una persona ad impiego avrà l’obbligo di inviare il Modello Unificato Lav (UniLav), il quale consiste in una comunicazione telematica al Servizio Informatico C.O. con effetto anche nei confronti di Inps, Inail e ovviamente del Ministero del lavoro.

Quindi, il datore di lavoro potrà consegnare al dipendente una copia della ricevuta elettronica che certifichi l’avvenuto protocollo al sistema UNILAV.

In mancanza di ciò, il lavoratore potrà comunque ricorrere alla Consultazione Info Previdenziali (CIP), ovvero un servizio attraverso il quale i cittadini possono visualizzare, all’interno di un periodo di tempo richiesto, una serie di informazioni tra cui la categoria di inquadramento contrattuale (dirigente, quadro, impiegato, operaio, ecc.) ed anche la tipologia del rapporto di lavoro (se si tratta di contratto a tempo indeterminato, tempo determinato, tempo pieno, tempo parziale, e così via).

Ulteriori dettagli sulla questione

Va aggiunto, inoltre che l’avvenuta assunzione sarà riportata, nella scheda anagrafica del lavoratore rilasciata dai Centri per l’impiego. Ovviamente, dopo avvenuta registrazione ai suddetti. In questo documento sono riportarti i dati anagrafici, le informazioni relative alle competenze professionali del lavoratore e i contratti di lavoro regolarmente comunicati dal datore di lavoro. Quindi qualora non vi fosse traccia, nella propria scheda anagrafica del vostro nuovo lavoro, potrete accendere un campanello d’allarme, poiché il vostro lavoro potrebbe non risultare protocollato.

Come ottenere lo storico lavorativo? E’ possibile su UNILAV?

In ultimo, ma non ultimo va detto che potremmo ottenere anche uno storico lavorativo, sul nostro percorso.

Lo storico lavorativo, anche chiamato percorso lavoratore, non è altro che l’elenco dei rapporti di lavoro avvenuti in un determinato periodo e lo si può richiedere dal lavoratore presso i Centri per l’impiego. E quindi non lo troverete su UNILAV. Tuttavia, se la regione lo ha previsto, è possibile ottenere il C2 storico, sul sito della regione.

Nel documento in questione si troveranno riportati tutti i movimenti lavorativi derivanti dalle comunicazioni obbligatorie che i datori di lavoro devono inoltrare ai Centri per l’impiego. Tra le informazioni contenute vi sono la data di assunzione, cessazione, trasformazione o proroga dei rapporti di lavoro, la ragione sociale del datore di lavoro, la mansione di assunzione, e così via.

Questo è, dunque, quanto vi fosse di più necessario da sapere in merito alla questione del vostro quadro lavorativo online.

Sanzioni lavoro nero per datori di lavoro e lavoratori: guida

Sanzioni per il lavoro nero hanno l’obiettivo di essere un deterrente contro questa pratica molto comune che lede i diritti dei lavoratori non riconoscendo loro diritti basilari, come quello ad una retribuzione equa e le prestazioni del welfare.

Il lavoro nero in Italia

Il fenomeno del lavoro nero in Italia è molto sviluppato, da un’indagine condotta dall’ISTAT emerge che nel solo 2020 vale 79 miliardi di euro, pari a 4,3% del PIL. Si tratta di una vera e propria piaga sociale che ha molti risvolti, infatti vi sono oltre 3 milioni di lavoratori che non hanno alcuna tutela e assistenza. Per il loro lavoro non vengono versati contributi all’INPS e di conseguenza non maturano il diritto a prestazioni assistenziali e pensionistiche, inoltre non vengono versati i contributi INAIL e in caso di infortuni sul lavoro non sono tutelati.

Infine, non deve essere dimenticato che i loro redditi non sono tassati, quindi vi è una perdita per l’Agenzia delle Entrate, inoltre spesso non avendo redditi dichiarati usufruiscono anche di prestazioni a cui non avrebbero diritto, come il Reddito di Cittadinanza. Proprio queste connotazioni hanno portato ad un inasprimento delle sanzioni per il lavoro nero che sono a carico del datore di lavoro, ma spesso anche a carico del lavoratore. Vedremo nel prosieguo entrambe queste prospettive.

Cos’è il lavoro nero

La prima cosa da fare è delimitare il campo di applicazione: si definisce lavoro nero o sommerso/ irregolare quello in cui non vi è un regolare contratto di lavoro e il datore di lavoro non comunica  l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego territorialmente competente. La normativa stabilisce che entro le 24 ore precedenti rispetto al momento in cui il lavoratore deve iniziare a svolgere le sue mansioni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare telematicamente attraverso il modello UNILAV l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego, tale pratica è propedeutica rispetto alle comunicazioni fatte all’INPS e all’INAIL dai centri stessi. Solo in caso di emergenza e forza maggiore è possibile far iniziare il rapporto di lavoro, ma anche in questo caso la comunicazione deve essere eseguita nel più breve termine possibile.

Sanzioni lavoro nero per il datore di lavoro

Cosa succede se il lavoratore non viene regolarmente assunto? In questi casi il datore di lavoro può essere sottoposto a pesanti sanzioni e in alcuni casi anche il lavoratore è sanzionato.

Le sanzioni per il datore di lavoro sono :

  • se il lavoratore ha maturato fino a 30 giorni di lavoro in nero si applica una sanzione pecuniaria minima di 1.800 euro e massima di 10.800 euro;
  • se il lavoratore ha maturato da 31 giorni di lavoro in nero a 60 giorni la sanzione minima è di 3600 euro e la massima di 21.600 euro;
  • nel caso in cui il lavoratore abbia maturato più di 60 giorni effettivi di lavoro nero, la sanzione minima è di 7.200 euro e la massima 43.200 euro.

Questi sono gli importi attuali, prima del 2019 erano più bassi, ma in seguito all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019 (legge 145 del 2018, comma 445, lettera d), tali importi sono stati sottoposti ad aumento. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha anche precisato che tali sanzioni si applicano per le condotte che si realizzano dal 2019, ciò in virtù del principio tempus  regit actum, nel caso di condotte a carattere permanente si applica la disciplina del momento in cui cessa la condotta (circolare 2 del 14 gennaio 2019).

Sanzioni lavoro nero: recidiva

Gli importi visti in precedenza sono raddoppiati in caso di recidiva. Ciò è stato oggetto di precisazione con la nota di approfondimento dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) 1148 del 5 febbraio 2019, dove precisa che “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti

La nota sottolinea che la recidiva si verifica quando il datore di lavoro aveva già commesso nei tre anni precedenti un illecito della medesima tipologia e questo sia stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio diventato definitivo. La definitività di un atto si ha quando sono trascorsi i termini per l’impugnazione; nel caso in cui il datore di lavoro abbia pagato la sanzione ingiunta, oppure nel caso in cui abbia proposto impugnazione e sia stata emessa una sentenza passata in giudicato. La nota sottolinea anche che l’aumento non si applica nel caso in cui il datore di lavoro abbia sanato la sua posizione, ovvero abbia regolarizzato il lavoratore nei termini previsti dalla legge (120 giorni dalla contestazione dell’illecito), abbia proceduto al pagamento in versione ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981.

Quando il lavoro nero è reato?

Si è parlato fino ad ora di sanzioni di tipo amministrativo, ciò perché generalmente assumere un lavoratore in nero non è reato, vi è però un’eccezione, cioè il caso in cui sia adibito a mansioni di lavoro un clandestino irregolare.

Sanzioni per il lavoratore

Si è detto in precedenza che oltre a poter essere sanzionato il datore di lavoro, in alcuni casi è sanzionato anche il lavoratore. Occorre però fare delle precisazioni, nella materia giuslavoristica si ritiene che il lavoratore sia in una posizione deteriore, cioè in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro e di minore potere contrattuale, proprio per questo si tende a proteggere il lavoratore che magari ha accettato per un bisogno economico di lavorare in nero e senza tutele. Il discorso però cambia quando vi è una sorta di concorso tra le parti e quindi nel caso in cui lo stesso lavoratore abbia avuto dei benefici dal lavorare in nero.

Il lavoratore in nero subisce sanzioni nel caso in cui mentre lavora in nero percepisce  sussidi statali pensati per i disoccupati, oppure ottiene i vantaggi legati ad un ISEE basso, ad esempio bonus energia, pagamenti ridotti per tasse universitarie e simili. Infine, sono previste sanzioni per coloro che lavorano in nero e contemporaneamente usufruiscono del reddito di cittadinanza. Le conseguenze per il lavoratore in nero in questi casi sono davvero pesanti, infatti si devono:

  • restituire le somme indebitamente percepite;
  • vi è naturalmente l’interruzione dell’erogazioni delle prestazioni;
  • infine vi è un’incriminazione penale per falso in atto pubblico, truffa ai danni dello stato e indebita percezione di benefici.

Queste sanzioni hanno una mitigazione nel caso in cui il lavoratore percepisca la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego) , in questo caso se lo stipendio erogato nell’arco di un anno è inferiore a 8.000 euro, non si applicano le sanzioni.

A breve seguiranno aggiornamenti su come denunciare il lavoro nero e diritti per i lavoratori

Regime fiscale ONLUS 2021: cosa cambia con la riforma del Terzo Settore?

Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) beneficiano di un regime fiscale agevolato, ma non costituiscono soggetti di diritto. Tali agevolazioni o esenzioni fiscali sono concesse a queste organizzazioni, in quanto svolgono particolari attività in determinati ambiti e senza scopo di lucro.

ONLUS: regime fiscale

Le ONLUS non esercitano un’attività commerciale e svolgono attività istituzionali, esclusivamente a fini di solidarietà sociale. Per questo motivo, i proventi derivanti da esse non sono soggetti ad imposte. L’unico vincolo ai cui sono legate le ONLUS, è la redazione del bilancio annuale che, comunque resta nella sede.

Per finanziarsi, le ONLUS possono esercitare anche attività connesse a quelle previste dal decreto legislativo n. 460/1997. Stiamo parlando di attività a solidarietà condizionata svolte verso soggetti non svantaggiati, come le campagne di sensibilizzazione e vendita di oggetti di basso valore.

In ogni caso, queste attività accessorie a quelle esclusive non possono essere esercitate in via prevalente rispetto all’attività principale dell’ente e i ricavi da esse derivanti non possono superare il 66% dei costi complessivi di una ONLUS. Anche questi proventi non sono soggetti a tassazione in quanto concorrono alla determinazione del reddito imponibile.

Tuttavia, i ricavi conseguiti da attività accessorie devono essere registrati contabilmente, così come le scritture contabili sono tenute dalle attività commerciali.

Agevolazione fiscale: le donazioni

Le ONLUS hanno la possibilità di usufruire di un’altra agevolazione fiscale, per enti commerciali e privati, di effettuare delle donazioni beneficiando di una detrazione d’imposta.

In pratica, dall’IRPEF delle persone fisiche è possibile detrarre un importo pari al 30% delle donazioni fatte in natura o in denaro, fino a un ammontare massimo di 30.000 euro per ogni periodo d’imposta. Altresì, le donazioni erogate da enti, società e persone fisiche sono deducibili dal reddito totale netto del soggetto erogante nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.

I versamenti liberali devono essere compiuti tramite banca, posta, carte di debito, carte prepagate, assegni circolari e assegni bancari. Alcune agevolazioni sono previste anche per le donazioni di prodotti agrari di largo consumo e prodotti farmaceutici da parte di imprese commerciali.

Esenzioni e altre agevolazioni

Le ONLUS fruiscono di agevolazioni fiscali riguardanti le imposte di registro e l’organizzazione di tombole, lotterie, pesche e banchi di beneficenza. Inoltre, sono esentate dal pagamento IVA per prestazioni ospedaliere, di cura, educative e di formazione e prestazioni socio sanitarie in generale.

Le ONLUS non sono tenute a pagare l’imposta di bollo, di successione e di donazione, sugli spettacoli e intrattenimenti, sulla rivalutazione degli immobili. Non sono obbligate ad emettere lo scontrino fiscale (solo per le attività istituzionali di utilità sociale) e non devono pagare le tasse di concessione governativa e i tributi locali.

Il cinque per mille

Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale beneficiano dei contributi derivanti dall’iscrizione alle liste del “cinque per mille”. Per accedervi, l’iscrizione all’ente che avviene per via telematica, deve rispettare un termine stabilito nell’elenco pubblico di enti che hanno fatto richiesta di iscrizione.

La ONLUS è obbligata all’invio della dichiarazione sostitutiva di atto notarile con cui attesta il possesso dei requisiti per l’accesso al cinque per mille. Dopo questo iter, vengono pubblicati gli elenchi definitivi dei soggetti che potranno fruire del beneficio. Di anno in anno, l’ente verrà iscritto automaticamente ad un elenco visibile online e, in caso di eventuali errori o variazioni, la ONLUS è tenuta alla loro comunicazione entro i termini previsti.

I fondi raccolti devono essere destinati ai vari settori di attività ammessi al beneficio e calcolati dal MEF sulla base delle scelte effettuate dai contribuenti. Le somme vengono erogate dal predetto Ministero tramite accredito su conto corrente bancario o postale.

Le ONLUS aventi diritto alla fruizione del beneficio devono redigere (entro un anno dalla ricezione del denaro) un apposito rendiconto, dove viene indicata chiaramente la destinazione delle somme incassate.

Cosa cambia per le ONLUS con la riforma del Terzo Settore?

Con l’entrata in vigore del Codice del Terzo Settore, il regime fiscale delle ONLUS verrà eliminato e la relativa anagrafe non sarà più attiva. Per continuare a svolgere le stesse attività beneficiando degli stessi vantaggi fiscali, è consigliata la costituzione di un ente del terzo settore, ovvero:

  • organizzazione di volontariato;
  • associazione di promozione sociale;
  • ente filantropico;
  • impresa sociale;
  • cooperativa sociale;
  • rete associativa;
  • società di mutuo soccorso;
  • associazione riconosciuta o non riconosciuta;
  • fondazione;
  • ente privato diverso dalla società costituita per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociali.

Le ONLUS che decidono di non effettuare il passaggio al terzo settore adeguando i propri statuti per rientrare nel relativo registro (RUNTS), non si estinguono come associazione, ma sono tenuti a degli adempimenti.

Perdendo la qualifica di ONLUS, l’associazione deve devolvere il suo patrimonio ad un’altra non lucrativa, è il dazio da pagare per non essere entrata nel terzo settore.

Intanto, il decreto Semplificazioni e governance del PNRR, ha prorogato al 31 maggio 2022 l’adeguamento da parte degli ETS dei propri statuti alla nuova normativa prevista dal Codice del Terzo Settore, mediante maggioranze semplificate.

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Partita Iva, come si gestisce la contabilità senza commercialista?

Per chi apre una partita Iva la contabilità ed i vari adempimenti fiscali in genere vengono affidati ad un commercialista. E questo perché, all’occorrenza, fruire dell’assistenza, dell’esperienza e del supporto di un esperto in materia fiscale non solo spesso permette di risparmiare sulle tasse, ma permette pure di assolvere tutti gli adempimenti puntualmente ed in maniera corretta senza finire poi sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate. Ma detto questo, per chi vuole fare tutto da sé, come si gestisce la contabilità senza commercialista? E quando davvero questa scelta è conveniente per il titolare di una partita Iva?

Come si gestisce la contabilità partita Iva senza pagare il commercialista

Chi vuole gestire la contabilità partita Iva senza il commercialista in genere vuole evitare di pagare la parcella al professionista. E questo perché magari il titolare di partita Iva esercita l’attività nell’ambito di un regime fiscale agevolato che è caratterizzato, tra l’altro, anche da una semplificazione in materia di adempimenti. Così come chi vuole gestire la contabilità della partita Iva senza il commercialista spesso conosce e segue la materia fiscale con la conseguenza che preferisce fare tutto in proprio. E questo anche perché, è giusto ricordarlo, non c’è in Italia una legge o una norma che imponga e che obblighi il titolare di una partita Iva di avvalersi di un commercialista.

Detto questo, chi vuole gestire la contabilità della partita Iva senza il commercialista deve avere piena dimestichezza e conoscenza delle scadenze fiscali da rispettare. Così come deve saper utilizzare i software e gli applicativi online che, gratuitamente, sono messi a disposizione con accesso tramite le credenziali dall’Agenzia delle Entrate a partire dal portale ‘Fatture e Corrispettivi‘ del Fisco che è quello che, tra l’altro, serve per la gestione della fatturazione elettronica.

Vantaggi e svantaggi della contabilità partita Iva con o senza il commercialista?

Per quanto detto, rinunciare al commercialista per la contabilità partita Iva è una scelta che, di certo, permette di risparmiare denaro. Ma nello stesso tempo non si risparmia di certo tempo così come, senza avvalersi di un esperto, il rischio di non assolvere gli adempimenti fiscali correttamente è sempre più alto. E questo perché, in materia fiscale, l’esperto è sempre sul pezzo ed è tra l’altro in grado di consigliare il titolare di partita Iva nei momenti di difficoltà.

Quando, per esempio, c’è da attivare un piano di pagamento delle tasse a rate a causa di temporanea carenza di liquidità. Inoltre, il titolare di partita Iva che, per esempio, è iscritto alla Gestione Separata, senza il supporto di un commercialista sarà chiamato in proprio non solo a gestire ed a rimanere in regola nei confronti del Fisco, ma anche nei confronti dell’INPS con il regolare versamento dei contributi ai fini previdenziali.

Anche per questo, per la gestione contabilità partita Iva con o senza il commercialista, la scelta di avvalersi di un esperto contabile è sempre la migliore. Magari concordando con il professionista un compenso che includa annualmente l’assolvimento di tutti quegli adempimenti che in genere richiedono più tempo ed anche un’adeguata competenza.

Variazione Partita Iva: cosa può fare il contribuente

La domanda a cui vogliamo rispondere oggi, è la seguente: “Come si varia una partita IVA?” Prima di rispondere, può tornare utile fare qualche premessa.

La partita IVA è un codice composto da undici cifre che identifica la persona fisica o giuridica titolare di un’attività economica autonoma. Attraverso la partita IVA è possibile dichiarare i propri redditi e incassi, versare le tasse e i contributi previdenziali.

Chi è obbligato ad aprire una partita IVA

Tutti i soggetti che svolgono autonomamente un’attività economica abituale e continuativa nel territorio italiano sono tenuti all’apertura di una partita IVA. Pensiamo ai liberi professionisti che cedono i propri servizi a favore di un cliente, alle attività commerciali che vendono beni, alle imprese individuali, industriali, artigiane etc.

Tuttavia, non tutti i lavoratori autonomi sono obbligati ad aprire una partita IVA. Infatti, chi offre una prestazione lavorativa, che si tratti di un servizio o della realizzazione di un’opera in modo sporadico e occasionale, ossia quando la prestazione non supera i trenta giorni nell’arco di un anno.

A questo proposito, è importante sottolineare che superare il limite di reddito pari a 5.000 euro, non costituisce una condizione sufficiente per definire un lavoro autonomo occasionale, come spesso viene detto, bensì, solo una soglia, superata la quale si è obbligati a versare i contributi previdenziali.

Variazione di una partita IVA

Per aprire una partita IVA è sufficiente inoltrare una richiesta all’Agenzia delle Entrate fornendo il codice dell’attività che si vuole svolgere (codice ATECO). Ma cosa succede se il titolare di una partita IVA vuole cambiarla, magari perché vuole intraprendere un’altra attività in sostituzione della precedente che è andata male?

La legge è molto chiara in merito a ciò e non consente variazioni alla partita IVA. Quindi, cosa può fare il contribuente?

Il contribuente può chiedere di modificare il codice dell’attività indicata nell’apertura della partita IVA, in quanto vuole cimentarsi in un altro settore oppure ha intenzione di aggiungerne un altro, ma la partita IVA rimane la stessa.

Un’altra possibilità è quella di chiudere la partita IVA per aprirne una nuova, in questo caso è sempre l’Agenzia delle Entrate il destinatario della richiesta che provvederà a fornire una nuova partita IVA al soggetto economico.

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I modelli da utilizzare

Il possessore di una partita IVA che vuole variare uno degli elementi indicati nella dichiarazione di inizio attività oppure che ha intenzione di chiudere la partita IVA, deve procedere alla compilazione di un modello e presentare la variazione o la cessazione dell’attività presso uno degli uffici dell’Agenzia delle Entrate, nel medesimo modo in cui ha avviato l’attività.

Se il titolare della partita IVA è una persona fisica, il modulo di riferimento è il modello AA9/12. Nel caso di soggetti diversi da persone fisiche, è necessario utilizzare il modello AA7/10.

E’ bene precisare che la legge non permette al singolo contribuente di avere più di una partita IVA, in quanto la stessa, identifica in modo univoco il soggetto, così come avviene per il codice fiscale.

Al contrario, come già anticipato, un titolare di partita IVA può svolgere più attività indicando più codici ATECO. In tal caso, le fatture vengono emesse sempre con la stessa partita IVA, ma si può scegliere se utilizzare lo stesso trattamento fiscale o meno.

Tuttavia, non c’è scelta ma obbligo di utilizzo di due trattamenti fiscali differenti, ad esempio, quando un soggetto esercita un lavoro autonomo che sia professione o arte, e al contempo attività d’impresa. Oppure, nel caso si abbiano due aziende di cessione di beni o servizi cui vengono applicate aliquote differenti. Altro caso, quando l’individuo svolge un’attività agricola e un’altra di diversa tipologia.

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Dimissioni volontarie: la procedura telematica per confermarle

Chi vuole recedere da un contratto di lavoro a tempo indeterminato ha come strumento per procedere le dimissioni volontarie, queste però devono essere presentate seguendo una precisa procedura con convalida telematica.

Dimissioni volontarie

Il rapporto di lavoro è considerato sinallagmatico o a prestazioni corrispettive, vuol dire che il lavoratore si obbliga allo svolgimento delle mansioni previste dal contratto, nei termini e nei modi in esso stabilito e il datore di lavoro si obbliga a versare la retribuzione, comprensiva anche di tutti gli oneri previsti dalla legge (possono variare in base al tipo di contratto), ma in genere comprendono contributi INPS e INAIL, ferie, tredicesima, in alcuni casi quattordicesima .

Il lavoratore però non è obbligato a lavorare per sempre presso la stessa azienda infatti può decidere di recedere dal contratto, magari perché ha avuto un’offerta migliore o la possibilità di fare carriera, in questo caso si parla di dimissioni volontarie. Naturalmente il datore di lavoro ha dei diritti, quindi è vero che il lavoratore può licenziarsi, ma è altrettanto vero che deve evitare di danneggiare il datore di lavoro, ecco perché la  legge prevede che il lavoratore deve dare al datore di lavoro un congruo preavviso, questo è necessario per far in modo che questi possa trovare un sostituto o comunque riorganizzare l’attività in modo che non ci siano delle perdite dovute alla vacanza del posto di lavoro.

Come licenziarsi

Non solo, le dimissioni devono essere date seguendo una precisa procedura stabilita dal legislatore per tutelare entrambe le parti. In passato per dare le dimissioni volontarie era necessario semplicemente comunicarlo al datore di lavoro rispettando appunto i termini di preavviso previsti dal proprio contratto, di solito 15 giorni. Ora la procedura è cambiata, infatti oltre a dover comunicare la propria volontà al datore di lavoro è necessario anche completare la procedura online.

L’obiettivo del legislatore è proteggere il lavoratore da comportamenti vessatori del datore di lavoro volti a indurre le dimissioni volontarie evitando quindi vertenze legate ai licenziamenti. La conferma telematica tende a invalidare anche la pratica delle dimissioni in bianco.

Dimissioni volontarie per giusta causa

Il lavoratore è esonerato dal dare un congruo termine di preavviso solo nel caso in cui le dimissioni siano per giusta causa. Si ritiene siano una giusta causa per le dimissioni volontarie la mancata corresponsione della retribuzione, omesso versamento dei contributi, molestie sessuali, mobbing, demansionamento e trasferimento in altra sede operativa senza che vi siano ragioni operative e tecniche che giustifichino tale spostamento. Le dimissioni senza preavviso per giusta causa però richiedono ulteriori adempimenti, cioè nella lettera di dimissioni deve essere indicata la giusta causa alla base della decisione di dimettersi, tale comunicazione deve essere contestuale. Se non si opera in questo modo, occorre  seguire la procedura che ora vedremo.

La procedura telematica per le dimissioni volontarie

Il decreto legislativo 151 del 2015 ha stabilito che per confermare online le proprie dimissioni volontarie è necessario collegarsi al sito ClicLavoro gestito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per autenticarsi deve essere usato il PIN dell’INPS, una volta entrati nella pagina personale, occorre andare alla sezione “Dimissioni Volontarie”, per vedere tale voce basta scorrere il menù che si trova a sinistra del sito. A questo punto si apre una nuova schermata in cui è necessario indicare se il contratto di lavoro è iniziato prima o dopo il 2008.

Dopo questa scelta si apre un nuovo menù in cui c’è una scheda da compilare con i propri dati e con quelli del datore di lavoro che può essere una persona fisica oppure una persona giuridica (una società). Per l’azienda basta inserire il codice fiscale e il resto della schermata si compilerà da sola perché i dati sono già presenti nei database.

Ulteriori adempimenti

A questo punto occorre inserire la data da cui le dimissioni saranno valide, facendo però attenzione a fornire una data che sia compatibile con l’obbligo di preavviso già visto. Occorre precisare un’ulteriore cosa, per calcolare la data di decorrenza per il rispetto del termine di preavviso è necessario fare riferimento alla data di compilazione e invio del modulo online e non a quella di presentazione della lettera di dimissioni al datore di lavoro.

Nel caso in cui si abbia poca dimestichezza con le nuove tecnologie, è possibile rivolgersi ai CAF (Centri di Assistenza Fiscale) o ai patronati per completare le procedura telematica, in questo caso non occorre avere il PIN INPS.

Una volta completata la procedura, il modulo compilato viene inviato all’indirizzo di posta elettronica certificata del datore di lavoro e alla Direzione del lavoro territorialmente competente. Infine, deve essere ricordato che dal momento inizia anche a decorrere il termine di 7 giorni entro cui il lavoratore può esercitare il diritto di revoca delle stesse dimissioni.

Una volta compilati i moduli, ad essi è attribuito un codice univoco e i moduli stessi saranno accessibili per sola lettura solo dal datore di lavoro e dalle direzioni territoriali competenti.

Eccezioni

Deve essere infine sottolineato che sono previste delle eccezioni, cioè dei casi in cui non è necessario completare la procedura online, ciò avviene in base ad una circolare del Ministero del Lavoro  nel caso in cui il lavoratore decida di dare le dimissioni volontarie durante il periodo di prova.

Altre eccezioni sono contenute nell’articolo 26 del decreto 151 del 2015, quindi non si applica il doppio passaggio delle dimissioni anche online nel caso di:

  •  lavoro domestico;
  • lavoratrici in gravidanza o da genitori (naturali, affidatari, adottivi) con bambini di età inferiore ai 3 anni (questa eccezione è dovuta al fatto che questo tipo di dimissioni volontarie devono essere convalidate già da prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 151 presso la Direzione del Lavoro territorialmente competente;
  • dimissioni convalidate in sede protetta, cioè presso sedi conciliative ( viene considerata sede conciliativa anche una sede sindacale, oltre ovviamente alla Direzione Territoriale del lavoro e la sede giudiziale);
  • non si applica l’obbligo della convalida telematica nel caso in cui si tratta di rapporti di lavoro marittimo, questo perché tale contratto è disciplinato da una normativa specifica, cioè il Codice della Navigazione.

Come calcolare il termini e di preavviso

Calcolare il termine di preavviso non è semplice, infatti va controllato il termine previsto nel CCNL, quindi il Contratto Collettivo Nazionale che viene applicato al proprio settore, inoltre si deve considerare l’inquadramento contrattuale e l’anzianità di servizio.

Quali sono le tre fasi del processo di marketing management?

Il processo di marketing management può essere definito come quell’insieme di attività organizzate, programmate e controllate che, partendo dallo studio del consumatore sia a livello individuale che aggregato, sono volte al raggiungimento degli obiettivi aziendali di medio e lungo periodo attraverso la soddisfazione del cliente stesso. Le attività del processo di marketing all’interno dell’azienda possono riflettersi in una delle tre fasi previste, quella del marketing analitico, quella del marketing strategico e quella del marketing operativo.

Quali sono le fasi del marketing management?

La fase del marketing analitico prevede l’analisi delle caratteristiche dell’azienda intesa come sistema e degli elementi che sono indispensabili alla conoscenza del mercato per poter orientare le scelte e le azioni imprenditoriali. Nel marketing strategico rientrano tutte le linee strategiche aziendali e di prodotto di medio e di lungo periodo. Il marketing operativo comprende, invece, le linee strategiche aziendali di breve termine.

Marketing management, la fase analitica

Nella prima fase del marketing management, quella analitica, devono essere raccolte un certo numero di informazioni sia sull’interno dell’azienda che sul mercato. La fase di raccolta e di analisi avviene a tre livelli:

  • l’ambiente esterno;
  • il particolare business nel quale l’azienda compete;
  • il singolo consumatore e i suoi comportamenti di acquisto.

Nella fase di analisi è necessario far riferimento a varie tipologie di ambiente. Si va dall’ambiente cooperativo, ovvero quello rappresentato dai fornitori, dai distributori e, in generale, dagli stakeholder, all’ambiente economico, dall’ambiente sociale e politico, a quello giuridico e tecnologico.

Marketing, analisi e ricerca interna

L’analisi interna si focalizza sugli indicatori presenti nella realtà aziendale. Nel contesto, vanno individuati in particolare:

  • gli elementi del valore dell’azienda, i confini, le attività, le competenze chiave;
  • il posizionamento dell’azienda sul mercato;
  • i fattori del marketing mix, ovvero il prodotto, il prezzo, i canali di distribuzione e di promozione;
  • i numeri dell’azienda, ovvero il fatturato, i dati sul venduto, la distribuzione per aree geografiche, per canali, per tipologia di prodotti, per quote di mercato.

Marketing management, l’analisi esterna

L’analisi è un elemento indispensabile del moderno management, uno strumento di marketing che permette di avere a disposizione tantissimi dati dell’interno dell’azienda e dell’esterno. Nell’analisi esterna si individuano fattori che possono creare nuovi business oppure stroncarli, come la situazione legislativa e politica. Ad esempio, una legge che finanzia le energie alternative come il fotovoltaico, oppure le leggi sulla concorrenza, sulle politiche di lavoro, sulla tassazione. A livello economico, invece, è importante prestare attenzione alla situazione macroeconomica. Per un’azienda che fa esportazioni, il tasso di cambio è un elemento imprescindibile. Nel sociale l’analisi più importante da fare è quella volta a individuare le evoluzioni degli stili di vita, gli atteggiamenti, le credenze, i comportamenti. L’evoluzione tecnologica, poi, comporta la necessità di individuare soluzioni che possano impattare sul mercato e sul modello di sviluppo dell’azienda.

Analisi di mercato nel marketing management

L’analisi esterna che può dare maggiori informazioni all’azienda è quella che va a scrutare le caratteristiche del mercato in cui opera. Di sicuro, fattori fondamentali da approfondire sono rappresentati:

  • dalle analisi dei potenziali clienti;
  • dalle dimensioni del mercato, dei possibili segmenti e loro caratteristiche;
  • dal trend del mercato;
  • dagli attori presenti sul mercato;
  • dai canali di distribuzione.

Analisi della concorrenza e fattori critici di successo

Logicamente, l’analisi esterna all’azienda non può prescindere da quella dei concorrenti nella quale vanno rilevati:

  • il posizionamento, ovvero la possibilità di costruirsi una posizione nell’offerta che possa essere chiara, distinta e apprezzata nella mente dei clienti;
  • le dimensioni;
  • la quota di mercato;
  • la penetrazione;
  • la soddisfazione e la fedeltà;
  • il marketing mix (il prodotto, il prezzo, i canali di distribuzione e di promozione);
  • gli investimenti;
  • i canali di comunicazione;
  • la percezione dei clienti.

Lo studio dei fattori esterni all’azienda deve, inoltre, mirare a individuare quei fattori che, se posseduti, permettono di facilitare o di garantire il successo di un’attività. Questi fattori possono essere legati alla produzione, alla comunicazione o al commercio. Ad esempio, nel mercato del caffè da bar sono indispensabili i canali distributivi, la loro ampiezza e il rinnovo della gamma dei prodotti.

Seconda fase del marketing management: la strategia

La seconda fase del marketing management è quella strategica, relativa allo specifico business nel quale l’azienda vuole operare. Sostanzialmente si basa sulla domanda – dei clienti attuali e di quelli potenziali – e sull’offerta, ovvero sulla concorrenza. Definiti i fattori della prima fase, si passa a pianificare dunque la strategia per la realizzazione degli obiettivi partendo dal prodotto, dal prezzo, dalla distribuzione e dalla promozione. Ma ancor prima di avere una percezione di prezzo e di prodotto, è opportuno utilizzare la matrice Swot nella quale devono essere definiti, in maniera chiara e precisa, i punti di forza e di debolezza dell’azienda, le opportunità e le minacce. Ovvero di tutti quei fattori che possono rafforzare la politica di prodotto e di prezzo adottati dall’azienda.

Segmentazione del mercato e targeting

La segmentazione del mercato, nella fase di marketing strategico, consente di individuare quelle aree o quei segmenti all’interno del mercato utilizzando più variabili. Viene in aiuto la costruzione di tre assi nel raggruppamento dei clienti, ovvero:

  • a chi ci si rivolge;
  • per quali bisogni, ovvero cosa si vuole offrire;
  • con quali tecnologie, ovvero come si vuole realizzare.

Il maggiore e minore successo di una strategia di marketing dipenderà dalla corretta individuazione dei clienti per diversi fattori, come:

  • demografici, ovvero per età, reddito, sesso, livello di istruzione, generazione, dimensione della famiglia;
  • per aree geografiche;
  • elementi psicologici, ovvero stili di vita e valori;
  • comportamento, ovvero chi è il responsabile degli acquisti? per quale motivo compra il prodotto? quali sono i benefici attesi? quale livello di fedeltà può assicurare il cliente? quale attitudine mostra?

La targetizzazione del mercato permette all’azienda di individuare quali clienti hanno maggiore bisogno dei propri prodotti o servizi. La scelta del target permette di concentrarsi su un solo segmento, o sulla specializzazione verso un solo prodotto, o verso un solo mercato, quando non si ha l’opportunità o la possibilità di coprire più mercati, con più prodotti differenti o, addirittura, arrivare alla copertura totale del mercato per tutte le esigenze.

Il marketing operativo

L’ultima fase del marketing management attiene alla parte operativa. Una volta definito il quadro strategico, è indispensabile pianificare le attività e seguire lo sviluppo dei prodotti e dei servizi in tutte le varie fasi. È questa la fase in cui si passa dalla fase del concetto a quella del prodotto o del servizio finale. E, pertanto, risulta indispensabile controllare che tutte le attività di marketing convergano al raggiungimento dell’obiettivo.

Il controllo e gli indicatori chiave nel marketing management

Nel marketing operativo è indispensabile che tutti gli indicatori chiave o le Key performance indicators (Kpi) vengano identificati e controllati. In definitiva, si scelgono quali sono i fattori che possano dare un’identificazione ben definita di come stanno procedendo le vendite e si studiano gli andamenti. I Kpi maggiormente indicativi sono il volume di vendita, il fatturato, la quantità di vendita, il numero dei clienti, la quota del fatturato, i vantaggi della pubblicità, i costi di acquisizione, il margine di guadagno. La fase di controllo e di verifica sta assumendo sempre maggiore importanza nelle realtà aziendali. Infatti, l’azienda deve essere velocemente in grado di individuare le problematiche e di attivare i necessari correttivi che possano invertire i risultati raggiunti.

 

UNILAV: cos’è e a cosa serve questo modello INPS

Unilav è un modello che permette di trasmettere le informazioni di tipo lavorativo. Di seguito quando utilizzarlo e come richiederlo.

Unilav: cos’è questo modello?

Unilav è l’abbreviazione della denominazione completa Comunicazione Obbligatoria Unificato Lav. Il modello Unilav è stato introdotto attraverso il decreto ministeriale del 30 ottobre 2007. Attraverso questo modello il datore di lavoro, o tramite un suo intermediario, assolvono l’obbligo di comunicare alcune informazioni. Riguardano il rapporto di lavoro e possono essere così riassunte:

  • instaurazione di un rapporto di lavoro;
  • proroga di un rapporto di lavoro;
  • distacco;
  • trasformazione di un tipo di contratto di lavoro;
  • cessazione del rapporto di lavoro;
  • trasferimento del lavoratore.

Sono obbligati all’utilizzo del modello non solo i datori di lavoro privati, ma anche tutti gli altri enti e la pubblica amministrazione.

Unilav: come si compone e come si usa

L’Unilav è composto da ben otto sezioni, che vengono chiamati quadri. Tuttavia il quadro decisamente più importante è il primo, proprio perchè al suo interno vi sono indicati i dati del rapporto di lavoro:

  • la data di inizio;
  • la data di fine rapporto (per tutti i contratti diversi da quelli a tempo indeterminato);
  • la tipologia contrattuale;
  • l’orario di lavoro;
  • il contratto collettivo applicato;
  • la retribuzione;
  • l’ente previdenziale al quale vengono versati i contributi previdenziali e a cui deve essere trasferita la comunicazione

Pertanto nella prima sezione occorre inserire i dati relativi sia al datore di lavoro che quelli del lavoratore. Per dati si intende denominazione completa, indirizzo, sede legale, partita IVA, codice Ateco di riferimento e recapiti sia telefonici che pec. Mentre per quanto riguarda il lavoratore si ci riferisce ai dati personali: Cognome, nome, codice fiscale, luogo e data di nascita, domicilio e livello di istruzione.

Come ottenere il modello Unilav

Il modello Unilav è telematico. A presentarlo presso il Centro dell’impiego è il datore di lavoro, anche tramite un terzo soggetto da lui incaricato. E si presenta tutte le volte in cui vi è una nuova assunzione, la cessazione di un rapporto di lavoro già esistente o per qualsiasi altra trasformazione dello stesso. Il modello Unilav è disponibile online. E’ possibile scaricarlo e compilarlo direttamente sul sito della Regione in cui avrà luogo il rapporto di lavoro. Una volta inseriti i dati necessari sarà prodotto un file in formato XML, che dovrà essere ricaricato direttamente sul sito. Il modello Unilav viene utilizzato per molti tipi di contratto, tra cui:

  • rapporto di lavoro dipendente, espressi in qualsiasi forma;
  • tirocinio;
  • Co.co.co.;
  • contratti a domicilio;
  • lavoro socialmente utile;
  • lavoro d’agenzia;
  • autonomi dello spettacolo.

Quando inviare le comunicazioni al centro dell’Impiego?

Le assunzioni devono essere comunicate entro le 24 ore del giorno che precede l’inizio del rapporto lavorativo. Mentre in caso di cessazione la comunicazione deve essere fatta entro 5 giorni dal giorno in cui si è verificato. Come già detto le comunicazioni possono essere fatte sia dal datore di lavoro che dai soggetti abilitati. Rientrano in questa categoria i commercialisti, gli avvocati, le agenzie di somministrazione lavoro, i consulenti ed i periti. Anche se possono inviare le comunicazioni anche i servizi istituiti dalle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle piccole imprese, il soggetto che ospita un tirocinante e il preponente di un contratto di agenzia. Per completezza di informazioni esiste anche il modello Uniurg. Questo viene redatto per l’assunzione di dipendenti nei casi di urgenza. Ma anche nel caso in cui è chiuso lo studio del consulente o intermediario abilitato che si occupa di questi adempimenti.

Che differenza c’è tra contabilità ordinaria e semplificata?

Tutti i soggetti che svolgono un’attività economica sono tenuti alla registrazione delle operazioni finanziarie e amministrative che determinano pagamenti e incassi. Più in generale, si può affermare che per qualsiasi movimento economicamente rilevante ricorre l’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

Per farlo, imprese, professionisti e lavoratori autonomi adottano un determinato regime contabile. In relazione ad esso, in questo articolo ci occupiamo di contabilità ordinaria e di contabilità semplificata. Quali sono le peculiarità di ogni regime e quali differenze sussistono, lo spieghiamo qui di seguito.

Cosa sono i regimi contabili

Ogni regime contabile prevede regole e istruzioni a cui i soggetti esercitanti un’attività economica devono attenersi non solo ai fini contabili, ma anche per la determinazione del reddito, delle tasse e dell’IVA.

I regimi contabili sono tre: contabilità ordinaria e contabilità semplificata per professionisti e imprese; regime forfettario per professionisti e lavoratori autonomi.

A seconda del regime contabile adottato, variano le scritture contabili e la tenuta dei registri obbligatori. Solo i contribuenti forfettari ne sono esonerati in quanto hanno l’obbligo di conservare e numerare solo le fatture ricevute o emesse. Come già anticipato, ci concentriamo solo sulla contabilità ordinaria e su quella semplificata.

Contabilità ordinaria e semplificata: i soggetti

La contabilità ordinaria è il regime obbligatorio che devono adottare le società di capitali, le organizzazioni di società ed enti stabili non residenti in Italia, gli enti pubblici e privati, le associazioni non riconosciute e i consorzi con attività commerciale in via prevalente.

Diventa obbligatoria anche per le persone fisiche, società di persone ed enti non commerciali che svolgono attività commerciali, ma solo nel caso questi soggetti conseguano un fatturato annuo superiore al limite stabilito dalla legge (400.000 euro per le imprese di servizi e 700.000 euro per le altre attività).

La contabilità semplificata può essere adottata da società di persone, professionisti e lavoratori autonomi. Inoltre, da enti commerciali che svolgono un’attività commerciale in via non prevalente. Si tratta di un aiuto che si è voluto concedere ai soggetti con un reddito più basso che consente loro di semplificare molti degli obblighi previsti dalla contabilità ordinaria.

In tal caso, il fatturato non può superare i 400.000 euro per le imprese di servizi e i 700.000 euro per le altre attività.

Principio di competenza e di cassa

La determinazione del reddito di un’impresa o di un lavoratore autonomo può seguire uno di questi due principi a seconda del regime contabile adottato:

Il principio di competenza vige nella contabilità ordinaria e prevede che costi e ricavi vengano conteggiati nel reddito a prescindere dall’avvenuto pagamento o incasso.

Secondo il principio di cassa previsto nella contabilità semplificata, costi e ricavi contribuiscono a determinare il reddito a prescindere dalla loro maturazione, quindi, solo nel momento in cui si manifestano finanziariamente.

Le scritture contabili obbligatorie nella contabilità ordinaria

I soggetti che devono attenersi al regime di contabilità ordinaria sono obbligati alla tenuta di determinate scritture contabili:

  • registri IVA, nei quali vengono annotate tutte le transazioni rilevanti per la determinazione dell’IVA;
  • registro dei beni ammortizzabili, nel quale vengono registrate le immobilizzazioni materiali e immateriali, relative all’acquisto di beni strumentali che non esauriscono la loro vita utile nel breve periodo ma in più esercizi e, quindi, sono soggetti ad ammortamento;
  • libro giornale, dove vengono registrate tutte le operazioni in entrata e in uscita;
  • libro degli inventari.

Nel caso di società di capitali, è obbligatoria anche la tenuta del libro dei soci, del libro delle obbligazioni, i libri delle adunanze e delle deliberazioni dei vari organi.

Le scritture contabili nella contabilità semplificata

I soggetti che adottano il regime contabile semplificato sono tenuti al rispetto del criterio cronologico delle scritture contabili e sono tenute a compilare:

  • registro cronologico degli incassi e dei pagamenti
  • registri IVA di operazioni passive e attive
  • registro cronologico delle entrate e delle uscite può anche non essere compilato, se le relative operazioni vengono annotate nei rispettivi registri IVA, con l’obbligo di annotare, separatamente, le operazioni non soggette ad IVA.

E’ possibile passare da un regime contabile all’altro?

In base a quanto sopra indicato, risulta ovvio che ci sono soggetti che esercitano un’attività economica che sono obbligati all’adozione del regime contabile ordinario, per via del presupposto giuridico o per superamento delle soglie di reddito previste dalla legge.

Ma per i soggetti economici che hanno facoltà di scelta e hanno già adottato la contabilità semplificata, è possibile effettuare il passaggio al regime contabile ordinario esercitando il comportamento concludente e con effetto dall’inizio del periodo di imposta nel corso del quale la scelta è effettuata.

L’unico obbligo è costituito dalla comunicazione del passaggio nella dichiarazione IVA (quadro VO del modello). In caso contrario, l’opzione scelta resta valida, ma la mancata comunicazione è passibile di sanzione amministrativa (tra 250 euro e e 2.000 euro).

La scelta del regime ordinario è vincolata per tre anni. Oltre tale periodo, la permanenza nella contabilità ordinaria resta valida per ogni anno successivo, fino a quando rimane la concreta applicazione della scelta operata.

Dopo il triennio, il soggetto può ritornare al regime semplificato nella stesso modo suddetto, ma solo nel caso sia in possesso dei requisiti richiesti.

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