Chi controlla il Green pass dei lavoratori in somministrazione?

Con la circolare numero 9 del 2021 Assolavoro ha fornito un’interpretazione circa il controllo del Green pass dei lavoratori in somministrazione. Non si tratta, per questa tipologia di rapporto lavorativo, di un contratto esterno che impone una doppia verifica. Tuttavia, da quanto emerge dalle disposizioni contenute nei commi 2 e 4 dell’articolo 3 del decreto legge numero 127 del 2021, il controllo del possesso e della regolarità del Green pass del lavoratore in somministrazione spetterebbe sia all’azienda utilizzatrice che dall’agenzia per il lavoro.

Controllo del Green pass dei lavoratori dal 15 ottobre 2021

Quel che è certo è che l’attività di verifica del Green pass deve essere effettuata all’ingresso di tutte le aziende ai lavoratori che vi accedono. O, in alternativa, all’interno dei luoghi di lavoro sotto la responsabilità dell’azienda stessa. Pertanto dal 15 ottobre 2021, prima di entrare in un luogo di lavoro, il responsabile dovrà effettuare la verifica del certificato verde. Inclusi, dunque, anche i lavoratori che hanno un contratto esterno con l’azienda presso la quale devono svolgere la prestazione lavorativa.

Lavoratori somministrati, l’interpretazione del doppio controllo del Green pass

Tuttavia, se il controllo spetta di certo ai responsabili dell’azienda utilizzatrice, nell’interpretare il decreto 127 del 2021 Il Sole 24 ore  aveva suggerito nei giorni scorsi alle agenzie per il lavoro di fare almeno dei controlli a campione dei propri lavoratori in somministrazione. O, in alternativa, di farli fare all’azienda utilizzatrice in via esclusiva per mitigare il paradosso del doppio controllo del Green pass che emergerebbe dal seguire alla lettera il decreto 127.

Assolavoro: l’azienda utilizzatrice deve fare il controllo del Green

Assolavoro ha fornito una diversa interpretazione in merito alla verifica del Green pass. Il controllo deve essere a carico solo dell’azienda utilizzatrice per tutta una serie di motivi. Il primo è che si ritiene che i lavoratori in somministrazione non rientrino propriamente nella casistica dei “contratti esterni”. Non sarebbero tali perché è l’agenzia del lavoro a mandare il lavoratore in somministrazione a svolgere la propria prestazione lavorativa presso l’azienda utilizzatrice.

Somministrati: chi controlla il possesso e la regolarità del loro Green pass?

Pertanto, l’agenzia per il lavoro trasferisce ogni potere dispositivo e di controllo del lavoratore. Inoltre, il lavoratore in somministrazione e i lavoratori dipendenti dell’azienda presso la quale va a lavorare godono della parità di trattamento. Da questo punto di vista, all’agenzia per il lavoro resta comunque l’obbligo di informare i somministrati degli obblighi previsti dal decreto 127 del 2021. In primis, quello di avere con sé e di mostrare il Green pass all’entrata della sede dove si andrà a svolgere la prestazione di lavoro.

Somministrazione, il doppio controllo del Green pass sarebbe superfluo

Infine, a sostegno di questa interpretazione su chi debba controllare il Green pass, c’è da dire che i locali dell’agenzia di lavoro non sono ordinariamente dei luoghi di lavoro per il lavoratore in somministrazione. Senza considerare che, dato che il controllo viene in ogni modo svolto all’entrata dell’azienda dove si andrà a lavorare, un ulteriore controllo (doppio) fatto preventivamente presso l’agenzia del lavoro risulterebbe inutile, superfluo e perfino illegittimo.

Quando si controlla il Green pass?

A proposito di illegittimità e controlli del Green pass, Assolavoro ha fornito una ulteriore interpretazione in merito al momento in cui è necessario controllare il Green pass. Da questo punto di vista, il controllo va fatto solo nel momento in cui il lavoratore va a svolgere la propria prestazione lavorativa nei locali dell’azienda assegnata. È al limite della legittimità, da questo punto di vita, subordinare l’assunzione del lavoratore al possesso di un regolare Green pass. Oppure verificarne il possesso in un momento precedente a quello dell’inizio della prestazione di lavoro e, dunque, dell’accesso alla sede di assegnazione.

Carta nazionale dei servizi: come registrare la tessera sanitaria come CNS

Oggi andremo a scoprire come ottenere la registrazione della propria tessera sanitaria come carta nazionale dei servizi. Una modalità per poter usare la propria tessera anche per diversi servizi online.

Carta nazionale dei servizi, a cosa serve?

Cos’ è la CNS (ovver Carta Nazionale Servizi) e quale può essere il suo utilizzo? Questa domanda troverà risposta di seguito.

La CNS non è altro che una card che contiene un “certificato digitale” di riconoscimento ed autentificazione, utile ad accedere a diversi servizi online.

Già dal 2011, la Tessera Sanitaria Elettronica può svolgere anche la funzione di Carta nazionale dei Servizi, e può consentire ai cittadini residenti in Italia l’accesso sicuro ad una serie di servizi online erogati da tutte le Pubbliche Amministrazioni (compreso ad esempio il rilascio del Green Pass per il Covid).

Ma come si ottiene l’attivazione della tessera sanitaria in CNS?

CNS, attivazione della tessera sanitaria

Partiamo col chiarire che la Tessera Sanitaria-Carta Nazionale dei Servizi (TS-CNS) si riceve automaticamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, al momento in cui la ASL comunica i dati di assistenza al Sistema TS. Per i nuovi nati, dopo l’attribuzione del codice fiscale da parte del Comune o di un ufficio dell’Agenzia delle Entrate, viene inviata automaticamente una tessera con validità di un anno, che poi andrà sostituita alla sua scadenza con la tessera con scadenza standard, una volta acquisiti i dati di assistenza dalla Asl competente.

Per poter ottenere la tessera sanitaria elettronica, è possibile rivolgersi alla propria ASL di appartenenza. Per il rilascio del codice fiscale è invece necessario rivolgersi ad un ufficio dell’Agenzia delle Entrate.

La sua validità è di sei anni, mentre per poter utilizzare la Tessera Sanitaria come CNS ed accedere, quindi, a tutti i servizi disponibili, sarà necessario attivarla recandosi personalmente, presso uno degli sportelli dedicati, con la carta e con un documento di identità valido.

Dopodiché, tramite il codice CIP sarà possibile procedere all’attivazione immediata della propria utenza per l’accesso ai sistemi regionali anche senza avere a disposizione il lettore di smart card.

Cos’è il codice CIP?

Il CIP (Codice Identificativo Personale) non è altro che un codice di riconoscimento che il Titolare è tenuto ad utilizzare per alcune operazioni specifiche come la revoca del certificato.

Ulteriori informazioni di utilizzo della Tessera Sanitaria

Come detto poco sopra, la tessera sanitaria è gratuita e viene rilasciata a tutti i cittadini che hanno diritto all’assistenza sanitaria da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

La suddetta tessera dovrà essere utilizzata ogni volta che si vuole certificare il proprio codice fiscale, quando ci si reca dal medico, si acquista un medicinale in farmacia, od anche si prenota un esame in un laboratorio di analisi, ma anche quando si fa fronte ad una visita specialistica in ospedale e alla ASL. Con l’ utilizzo della tessera sanitaria nazionale è possibile ottenere servizi sanitari anche nei Paesi dell’Unione europea.

Inoltre, sul retro della nostra tessera troviamo

  • Banda magnetica dove sono registrate le informazioni anagrafiche dell’assistito;
  • Codice Fiscale nel formato ‘codice a barre’ (barcode);
  • Sigla d’identificazione dello Stato che rilascia la Tessera
  • Dati dell’assistito (cognome, nome, data di nascita, numero di identificazione personale, numero di identificazione della tessera e scadenza).

Come funziona, se residenti all’estero, con la Tessera Sanitaria?

Per l’uso all’estero della tessera sanitaria, sarà necessaria la parte sul retro della propria TS, ovvero quella relativa alla T.E.A.M. (Tessera Europea Assistenza Malattia), che non solo andrà a garantire assistenza nei paesi della comunità europea, ma anche in Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera, secondo le normative vigenti nei vari singoli Paesi. Nel caso in cui un cittadino non abbia diritto all’assistenza sanitaria all’estero, i dati riportati sulla T.E.A.M. verranno ricoperti da una serie di asterischi.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito all’utilizzo della propria Tessera Sanitaria come Carta Nazionale dei Servizi.

 

Fondo perduto, al via le risorse per il ristoro di società e associazioni dilettantistiche sportive

Al via le risorse per il fondo perduto a favore delle associazioni e delle società dilettantistiche. Sono stati sbloccati, infatti, 90 dei 190 milioni di euro che erano stati stanziati per gli sport dilettantistici. Il ristoro riguarda i canoni di locazione e le concessioni degli impianti e delle strutture.

Decreto per il ristoro delle associazioni e delle società dilettantistiche

La disciplina per il fondo perduto a favore delle associazioni e società dilettantistiche si ritrova nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 settembre 2021 e nel comma 7 dell’articolo 10 del decreto legge numero 73 del 2021. In particolare, il Dpcm dispone le modalità e i criteri per accedere al fondo perduto.

Fondo perduto per il sostegno delle associazioni e società sportive dilettantistiche

Il fondo perduto, nel dettaglio, è stato previsto dal comma 5 dell’articolo 10 del decreto legge numero 73 del 2021. L’articolo recita: “Per far fronte alla crisi economica determinatasi in ragione delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, la dotazione del Fondo unico per il sostegno delle associazioni sportive e società  sportive dilettantistiche, istituito ai sensi dell’articolo 3 del decreto legge 28 ottobre 2020, numero 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, numero 176, è incrementata di 180 milioni di euro per l’anno 2021”.

Associazioni e società sportive che hanno dovuto sospendere attività per Covid

Il decreto del 20 settembre 2021 fissa invece i criteri secondo i quali le domande di fondo perduto possono essere presentate dalle associazioni e dalle società dilettantistiche. Ad oggi è disponibile la quota dei 90 milioni di euro, poco meno della metà della dotazione di 190 milioni delle risorse messe a disposizione. Nel dettaglio, rientrano nelle condizioni di poter richiedere il fondo perduto le associazioni sportive dilettantistiche (ASD) e le società sportive dilettantistiche (SSD) che abbiano dovuto sospendere le proprie attività sportive in conseguenza delle restrizioni per il coronavirus.

Quali società sportive dilettantistiche possono accedere al fondo perduto?

Le società e associazioni sportive che possono accedere al fondo perduto sono quelle che, alla data del 31 gennaio 2021, erano iscritte al Registro del Coni o al Comitato Italiano paralimpico (Cip). Devono essere, inoltre, affiliate a un organismo sportivo riconosciuto dal Coni. Si tratta, dunque, di organismi come la Federazione sportiva nazionale, la Disciplina sportiva associata o l’Ente di promozione sportiva.

Requisiti per accedere al fondo perduto delle società dilettantistiche

Tra i requisiti di ammissione al fondo perduto delle società sportive dilettantistiche si ritrovano anche:

  • risultare titolari di un contratto o di più contratti di locazione o di concessione di immobili con destinazione prevalentemente sportiva;
  • essere in regola con le autorizzazione comunali per poter svolgere le attività;
  • avere almeno un istruttore o un tecnico qualificato dagli organismi sportivi abilitati.

Fondo perduto per chi ha già fruito di aiuti da parte dello Stato

Le società e associazioni sportive dilettantistiche che hanno già fruito di risorse a fondo perduto derivanti dal Dipartimento dello sport nel corso del 2021 avranno una corsia preferenziale nell’assegnazione dei fondi dei primi 90 milioni di euro sui 190 stanziati. Infatti, queste associazioni non dovranno presentare nuovamente la domanda. Nuovi beneficiari, invece, potranno presentare domanda nel caso in cui risultino residuali risorse non assegnate alle associazioni già beneficiarie. In tal caso, le nuove società sportive devono attendere l’emanazione di un avviso pubblico.

Chi non ha pagato la rottamazione ter

Cosa accade a chi non paga le scadenze delle rate di rottamazione e saldo e stralcio? Nello specifico, parliamo della pace fiscale e delle relative regole in relazione all’appuntamento del 30/09/2021. Ma potrebbe succedere ancora, quindi, quali sono le conseguenze in generale?

Rottamazione ter: chi non paga

La scadenza del 30 settembre 2021 è giunta, per chi non ha pagato subentra la decadenza dalla definizione agevolata e non sarà più possibile chiedere di rateizzare il debito. Facciamo chiarezza.

Chi ha aderito alla pace fiscale deve rispettare le scadenze delle rate della rottamazione e del saldo e stralcio. Per evitare un immediato decadimento dal piano agevolato, sono stati previsti cinque giorni di tolleranza in assenza di altre deroghe.

Superati anche gli ulteriori giorni concessi, chi non paga perde tutti i benefici della pace fiscale. Tuttavia, questo non sembra aver convinto tutti o evidentemente molti contribuenti per circa 800mila pagamenti non hanno potuto rispettare le precedenti scadenze delle rate, nonostante siano stati sempre concessi cinque giorni di tolleranza. All’appello mancano 4 miliardi di euro, era il denaro che si aspettava entrasse l’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Situazione simile potrebbe verificarsi dopo la scadenza del 30 settembre 2021. Quindi, un nuovo capitolo si aprirà per tutti i contribuenti che hanno omesso il pagamento delle rate della rottamazione ter e del saldo e stralcio delle cartelle esattoriali.

Ci sarà un ricalcolo del debito e torneranno ad aggiungersi le sanzioni e gli interessi così come la quota del debito cancellata per chi ha aderito al saldo e stralcio. Ribadiamo che non aver rispettato le scadenze suddette, comporta l’impossibilità di avere accesso a nuove rateizzazioni.

Tutto tornerà nella normalità, ossia le procedure di recupero del debito da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e, stavolta, senza possibilità di dilazioni per le somme dovute.

Chiunque non pagherà le rate entro le scadenze prestabilite dalla pace fiscale, inclusi i giorni di tolleranza, riceveranno lo stesso trattamento.

Ormai, la data del 30 settembre 2021 è arrivata e riguardava le rate della rottamazione e del saldo e stralcio dovute a luglio 2020. Il prossimo appuntamento con la scadenza delle rate è il 31 ottobre 2021 per quelle relative a novembre 2020. Infine, il 30 novembre 2021, l’ultima scadenza che calcolando i giorni di tolleranza, significherà che entro il 6 dicembre 2021 dovranno essere pagate tutte le rate della pace fiscale dovute per l’anno 2021.

Decadenza pace fiscale e nuove rateizzazioni ma solo in casi specifici

In futuro, chi non rispetta la scadenza per il pagamento delle rate stabilite dalla pace fiscale, non avrà nuove rateizzazioni. Ma visto l’emergenza Covid-19, alla rottamazione sono previste delle deroghe.

Infatti, chi non ha pagato le rate del saldo e stralcio e della rottamazione ter scadute nel 2019 può accedere alla rateizzazione delle cartelle. La stessa regola è stata poi estesa dal decreto Ristori anche per i debiti relativi alla prima e seconda rottamazione decaduti per via del mancato pagamento entro i termini, nel rispetto della scadenza del 31 dicembre 2021.

Le domande di rateizzazione

Per le richieste presentate entro la fine dell’anno, il contribuente può beneficiare del maggior termine di decadenza, che comporta il non venir meno del piano di versamento accordato in caso di mancato pagamento di dieci rate, anche se non consecutive, in luogo delle cinque ordinariamente previste.

Regole emergenziali che si applicano solo in parte ai decaduti dalla pace fiscale. Al momento non sono infatti previste deroghe per chi non ha versato e non verserà le rate relative al 2020 e al 2021 della rottamazione e del saldo e stralcio.

Consorzio: cos’è, come funziona e le caratteristiche

Il consorzio è un’associazione di più imprese che hanno come scopo un obiettivo comune in cui la collaborazione è l’elemento principale.

Consorzio: la definizione normativa

Il Consorzio è istituito dall’articolo 2602 del codice civile. La norma cita: “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese“. Così si evidenzia lo scopo preciso di realizzare interessi finanziari dei partecipanti, attraverso la collaborazione tra le imprese consorziate. Dunque si tratta di una collaborazione interaziendale, regolata però da norme decise in comune, oltre a quelle previste per legge. Infatti i consorzi sono regolati da norme ben precise, contenute nel codice fiscale, in riferimento alla forma e alle regole di gestione.

Forma e contenuto del contratto

Il contratto che lega tra loro le imprese deve essere fatto per iscritto, altrimenti potrebbe essere nullo. Tuttavia ci sono dei punti che sono fondamentali, tra cui:

  • l’oggetto e la durata del consorzio;
  • la sede dell’ufficio, se costituito;
  • i poteri degli organi consortili anche in merito alla rappresentanza in giudizio;
  • gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati;
  • le condizioni di ammissione di eventuali nuovi membri;
  • i casi di esclusione e di recesso;
  • le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati.

Inoltre se il consorzio ha per oggetto il contingentamento della produzione e degli scambi, il contratto deve stabilire le quote dei singoli e i criteri di determinazione delle stesse.

Quanto dura e come si costituisce un consorzio?

Se non disposto in maniera diversa un consorzio dura 10 anni. Tuttavia essendo un contratto viene stipulato da soggetti diversi, di norma imprenditori. Sono loro che attraverso alcuni passi costituiscono il consorzio. Il primo passo è quello di scegliere la tipologia consortile. Mentre il secondo è quello di iscriversi presso il Registro delle imprese. L’estratto deve contenere:

  • la denominazione e l’oggetto del consorzio e la sede dell’ufficio;
  • il cognome e nome dei consorziati;
  • la durata;
  • le persone che vengono attribuite di incarichi come: presidenza e direzione;
  • il legale rappresentante;
  • il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione.

Altro step molto importante è quello di creare un fondo consortile. Si tratta di tutti i contributi e i beni acquistati che concorrono a formarlo. Per tutta la durate del consorzio i partecipanti non possono chiedere la divisione del fondo e i creditori non possono far valere diritti su di esso. Infine occorre provvedere agli obblighi fiscali.

Le tipologie di consorzio

In linea generale i consorzi possono essere divisi in tre grandi categorie. Ad esempio nel consorzio interno tutti i partecipanti regolano le loro attività e le fasi delle imprese consorziate. Mentre in materia di appalti le imprese tendono a consorziarsi proprio per eseguire correttamente la procedura. Un accordo fatto così può quindi presentare offerta a gare e a trattative private. Infine il consorzio con attività esterna è quello in cui l’organizzazione dei consorziati è destinata ad attività rivolte verso l’esterno del consorzio stesso. Cioè il consorzio svolge delle attività che lo mettono in relazione con soggetti terzi. Esistono poi i consorzi obbligatori che nascono con provvedimento dell’autorità governativa.

Retrocessione e scioglimento

Nei casi di recesso e di esclusione previsti dal contratto, la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si accresce proporzionalmente a quella degli altri. Pertanto il mandato nei confronti del soggetto che è uscito perde la sua efficacia. Tuttavia il contratto di consorzio si scioglie:

  • decorso il tempo stabilito per la sua durata;
  • per il conseguimento dell’oggetto o per l’impossibilità di conseguirlo;
  • secondo la volontà unanime dei consorziati;
  • per deliberazione dei consorziati;
  • su provvedimento dell’autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge;
  • per altre cause stabilite dal contratto costitutivo.

I vantaggi che può offrire un consorzio

La logica dello scegliere di unirsi ad altri imprenditori segue lo slogan: “L’unione fa la forza”. Infatti l’appartenenza ad un gruppo di imprese riunite può offrire diversi vantaggi. Il primo potrebbe essere legato all’ampliamento della rete di conoscenze ed aumento di rapporti commerciali.  Inoltre il consorzio ha la facoltà di fare eseguire i lavori assunti in appalto ad una delle imprese collegate, magari specializzate nel settore. Questo permette di presentare un’offerta vantaggiosa o addirittura lavorano in subappalto. Ma una cosa molto importante è che l’impresa consorziata mantiene sempre e comunque la sua autonomia. Quindi le sue scelte interne in riferimento a marketing, governance, gestione delle risorse rimangono sempre proprie. Ma può dire sempre la sua in merito alle scelte del gruppo di cui si fa parte, anche se la rappresentanza nei confronti dei terzi rimane in capo al gruppo.

La responsabilità verso i terzi

Cosa si interde per responsabilità verso i terzi? Secondo l’articolo 2615 del codice civile, per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza , i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile. Mentre per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati, rispondono questi ultimi solidamente con il fondo consortile. Infine nel caso di insolvenza nei rapporti tra i consorziati il debito dell’insolvente si ripartisce tra tutti in proporzione alle quote.

Il datore di lavoro può controllare il pc ai dipendenti?

1Oggi andremo ad addentrarci in quella che potrebbe rivelarsi una annosa questione. Entreremo nel mondo del lavoro, ma anche nel mondo della privacy del lavoratore, dando risposta ad una domanda da non sottovalutare: il datore di lavoro può controllare il pc ai dipendenti?

PC del dipendente, può essere controllato?

In un mondo praticamente dominato da social e siti più disparati, il dipendente non sempre usa il proprio PC esclusivamente per le funzioni lavorative. Va da se, che durante le ore di lavoro, o particolarmente nel tempo di pausa in ufficio, il dipendente possa usare il proprio computer da postazione anche per fare altro.

Ma, quale è il rischio che il proprio datore di lavoro possa controllare o intromettersi sui movimenti dal pc del proprio dipendente?

La risposta a questo quesito può essere presto data. Il datore di lavoro è sostanzialmente libero di porre blocchi al browser per impedire la navigazione del dipendente su specifici siti (si pensi ai social network). Oltre a ciò, il datore può controllare il traffico del dipendente, analizzando la cronologia, i cookies e tutte le attività da questi svolte con il computer aziendale.

Privacy: rischia qualcosa il datore di lavoro?

Si potrebbe pensare che tuttavia, il controllo di cronologia e navigazione del proprio dipendente, possa lederne la privacy.

Ma, quanto può effettivamente essere così e quanto, invece questo tipo di controllo rientra nel pieno diritto del datore di lavoro, che certifica la navigazione di un suo dipendente su un suo computer, messo a disposizione dall’azienda?

A questa annosa questione, ha però espresso contraddizione il garante della privacy. Il Garante ha infatti reso noto che “non è possibile monitorare la navigazione internet dei lavoratori in modo indiscriminato. Indipendentemente da specifici accordi sindacali, le eventuali attività di controllo devono comunque essere sempre svolte nel rispetto dello Statuto dei lavoratori e della normativa sulla privacy”.

Una questione piuttosto singolare, dunque, ma che chi tutela le parti aziendali riassume in una linea difensiva e appropriata.

I controlli sul computer del dipendente rientrano in un certo senso sempre tra i cosiddetti “controlli difensivi” che l’azienda può predisporre non per verificare come il dipendente lavora, ma se sta lavorando o se, lavorando, sta danneggiando l’azienda;

Basterebbe pensare al lavoratore che crea un falso profilo Facebook per ledere l’immagine aziendale; oppure il controllo riguardante gli spostamenti del lavoratore, a seguito di ripetute segnalazioni ricevute da clienti che lamentano di non vedere l’agente che dovrebbe recarsi da loro settimanalmente, da diverso tempo.

Insomma, monitorare l’attività del dipendente sul proprio PC può essere a tutti gli effetti un elemento di diritto e tutela del datore di lavoro.

Va, comunque sottolineato che non sono ammessi controlli dei pc aziendali che siano eccessivamente invasivi della sfera privata del dipendente, a meno che non si debba tutelare l’azienda da furti, concorrenza sleale o altre possibili attività illecite.

Può il datore di lavoro leggere le mail dei dipendenti?

Questa seconda questione è invece di stampo molto diversa. Ovviamente, il rischio è che il dipendente lasci aperta la propria casella di posta o il proprio sistema di messaggistica (come messenger di Facebook) sul proprio browser. In quel caso si entra nella lesione della privacy, ma anche nell’incuria del dipendente.

Ad ogni modo, l’accesso del datore alle mail dei dipendenti è legittimo “solo a condizione che questi ultimi siano stati preventivamente informati dell’esistenza di un controllo sulla corrispondenza aziendale, delle modalità e motivazioni di tale controllo”. Dopodiche è fatto riferimento alla giurisprudenza penale.

Solitamente, è comunque previsto l’uso di una casella di posta aziendale, magari personalizzata dal dipendente, ma comunque usata per fini lavorativi e non per scopi privati.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai rischi e doveri legati alla possibilità di essere controllati sul proprio pc aziendale, dal proprio datore di lavoro.

Bando ISI INAIL: fissato il click day, ecco giorno e orari da non dimenticare

Il tema della sicurezza sul luogo di lavoro è sicuramente molto attuale, soprattutto negli ultimi giorni, e tra le tante opportunità per le aziende c’è il bando ISI INAIL che aiuta le imprese a migliorare le condizioni di sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Ora è stato fissato: il click day ISI INAIL è l’11 novembre, ma attenzione a tutti gli orari e le fasi da rispettare.

Il Click Day 11 novembre: orari e modalità

Ieri, 30 settembre 2021, è stato fissato il click day ISI INAIL, lo stesso cade l’11 novembre 2021. Durante il click day le imprese che hanno già partecipato alle fasi 1 e 2 potranno prenotare definitivamente gli aiuti economici. In questo caso affrettarsi sarà importante. Dopo questa importante giornata, entro 14 giorni sarà pubblicata la graduatoria delle imprese ammesse al finanziamento. I fondi disponibili sono circa 211 milioni di euro. Occorre però prestare attenzione infatti è fissata una tabella di marcia piuttosto stringente.

  • Dal 14 ottobre (ore 10:00) fino al 9 novembre è possibile accedere allo sportello informatico portale del partecipante e del
    portale dell’amministratore;
  • dal giorno 21 ottobre (ore 10:00) invece possibile registrarsi sul portale dell’amministratore e del partecipante;
  • dal 9 novembre è disponibile il portale sportello informatico nella funzione online ISI domanda.
  • Il giorno 11 novembreè il Click Day bando ISI INAIL ed è diviso in ulteriori 3 fasi:

1) autenticazione e pagina di attesa (ore 10:00);

2) invio della domanda (ore 11:00);

3) fine della fase di invio (ore 11:20).

Cos’è il bando ISI INAIL?

Il bando ISI INAIL è rivolto alle imprese, anche individuali, con sede in Italia, iscritte alla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, le medio/grandi imprese dell’agricoltura e Terzo Settore (solo per l’asse 2). Il bando è suddiviso in 4 assi il cui obiettivo è ridurre gli infortuni sul lavoro e sono previsti diversi finanziamenti:

  • asse 1: investimenti per progettazione e messa in atto di nuovi modelli organizzativi (ISI generalista);
  • asse 2: investimenti rivolti a ridurre il rischio di incidenti nella movimentazione merci (ISI tematica);
  • asse 3: bonifica amianto (Isi Amianto);
  • asse 4: progetti per imprese operanti in settori specifici (ISI micro e piccole imprese) ;

Il Bando ISI Agricoltura per le piccole e micro imprese del settore primario quest’anno è stato scoprorato ed è autonomo.

Per i primi 4 è prevista la copertura attraverso il bando ISI INAIL fino al 65%.

Per gli assi 1,2 e 3 è previsto il finanziamento dei progetti con minimo di spesa di 5.000 euro e massimo di 130.000 euro. Per le imprese che hanno meno di 50 dipendenti e che presentino dei progetti per l’adozione di nuovi modelli organizzativi oppure per la riduzione del rischio nella movimentazione merci, non sono previsti limiti minimi di spesa. Per l’asse 4 invece il limite di spesa massimo ammissione è di 50.000 euro mentre il minimo è di 2000 euro.

Procedura bando ISI INAIL

La procedura per ottenere i fondi previsti dal bando ISI INAIL prevede diverse tappe e siamo ora giunti alla finale. Le domande dovevano essere presentate nell’arco di tempo compreso tra il 1° giugno 2021 al 15 luglio 2021.

Dal 20 luglio 2021 era possibile scaricare dalla piattaforma i codici per completare la procedura. Nel frattempo si era in attesa del click day che è stato fissato per l’11 novembre 2021.

Occorre ricordare che il bando ISI INAIL è annuale. Le imprese che non hanno partecipato alle prime fasi e siano quindi escluse automaticamente dall’accesso ai fondi, potranno a breve fare affidamento sul bando ISI INAIL 2021 che dovrebbe uscire entro la fine dell’anno.

 

Quali sono i rischi del crowdfunding?

Non c’è dubbio che, almeno in teoria, sia più facile trovare tanti piccoli finanziatori che prestano piccole somme di denaro, piuttosto che convincere un unico finanziatore pronto a prestare i propri soldi per l’espansione di una start-up o di una piccola e media impresa: stiamo parlando di un crowdfunding.

Tra l’altro, il crowdfunding ha il vantaggio di ricevere tante informazioni che possono tornare utile al proprio progetto o impresa, grazie ad una comunità che si forma intorno alla sua piattaforma online. Ma quali sono i rischi di cui deve essere a conoscenza chi decide di utilizzare un crowdfunding per espandere a fini di lucro la propria impresa?

I rischi di un crowdfunding

Il fallimento di un’impresa finanziata da una o più fonti con elevate somme di denaro, non è molto diverso che da quello di un’impresa fallita dopo aver ricevuto tanti piccoli finanziamenti: in ogni caso, vanno restituite tutte le somme ricevute per la raccolta fondi.

Le idee innovative girano in rete e sono visibili a tantissime persone, ciò vuol dire che potenzialmente tanti altri soggetti con i dovuti accorgimenti strategici, potranno copiare il progetto con risultati eccellenti. Per ovviare a questo problema, è consigliabile chiedere una consulenza alla Camera di C0mmercio locale o ancora meglio a un esperto, per capire come proteggere la propria proprietà intellettuale.

Un altro dei rischi in cui si può incorrere è buttarsi in un crowdfunding senza le dovute conoscenze e competenze, sottovalutandone i costi e la gestione. In pratica, si dovrebbe già essere preparati a un piano B, o comunque a mettere da conto eventuali margini di errore. In ogni caso, una consulenza si rende sempre necessaria.

Effettuare una proposta banale nel mondo del crowdfunding, è come darsi in pasto agli squali. Ogni errore o mancanza verrà valutata e questo provocherà un danno alla reputazione non da poco, visto l’ampia platea giudicante.

Ogni mossa compiuta in un crowdfunding deve essere studiata con attenzione, anche perché ci si trova davanti a una tipologia di imprenditorialità diversa da tutte le altre. Tuttavia, vale per tutte le imprese il concetto di promettere solo se si hanno le capacità per garantire.

La piattaforma online va sempre supervisionata, si deve conoscere bene qual è la documentazione da fornire e quali i costi da sostenere per rispettare la normativa vigente. E’ da prendere in considerazione l’idea di avere delle risorse da investire in una consulenza legale.

E’ necessario avere una profonda conoscenza della legislazione che norma l’attività di un crowdfunding, il rischio è di violare la legge senza volerlo ma per mancata conoscenza della disciplina. Per prevenire che ciò possa accadere è sempre consigliato rivolgersi alla Camera di Commercio più vicina o alla pubblica amministrazione più pertinente.

Anche le piattaforme online possono diventare un problema. Alcune di loro sono poco affidabili e non completamente regolari, in tal caso è preferibile rivolgersi a una piattaforma rinomata.

Altresì, è necessario conoscere i diritti degli investitori, in modo da non incappare in un problema legale, soprattutto se si parla di crowdfunding azionario. Conoscerne esigenze e aspettative, gestire eventuali reclami. Tutto questo significa avere una competenza affatto superficiale e avvalersi in continuazione di consulenti e legali con conseguente dispendio di risorse. E’ importante anche costruire una struttura che abbia meccanisimi di governance societari con una certa cognizione di causa.

Infine, si deve tener presente che arriverà il giorno in cui determinati investitori vorranno abbandonare il progetto e vendere le proprie quote, con la conseguenza che altri investitori subentreranno. Anche per questa eventualità, ci si deve far trovare preparati.

In conclusione, utilizzare un crowdfunding non è così semplice come si racconta, a meno che non si voglia tenere conto di tutte le grane economico-legali a cui si può venire sottoposti.

LEGGI ANCHE: Come funziona il crowdfunding

Modello F23: la guida completa di quando si usa e perchè?

Il modello F23 dell’Agenzia delle entrate viene usato per il pagamento di molti tributi. Una guida completa al suo utilizzo è utile.

Modello F23: cos’è?

Il modello F23 è utilizzato per il versamento di alcune tipologie di tasse, imposte e sanzioni. In particolare possono essere così riassunti:

  • canone di concessione demaniali;
  • imposte di registro;
  • imposte ipotecarie e catastali gestite dagli ufficio dell’Agenzia delle entrate;
  • sanzioni inflitte da autorità giudiziarie, amministrative, come multe e contravvenzioni.

Mentre per il pagamento delle imposte relative alla presentazione della dichiarazione di successione, si utilizza il modello F24, secondo le istruzioni fornite con la risoluzione n. 16 del 25 marzo 2016 – pdf.

Come pagare il modello?

Il modello F23 può essere pagato presso qualsiasi sportello degli agenti della riscossione come Agenzia delle entrate e Riscossione Sicilia S.p.A. Tuttavia può essere anche pagato in banca o presso un qualsiasi ufficio postale sul territorio nazionale. L’importo può essere versato in contanti, se non supera il limite di legge dei pagamenti con questo metodo. Pertanto è possibile pagare attraverso la carta Bancomat, assegni bancari e circolari presso le banche o vaglia cambiari presso gli agenti della riscossione. Infine è possibile l’addebito su conto corrente postale, assegni e vaglia postali, oppure Postamat e Postepay.

Come compilare correttamente il modello F23

Il modello deve essere compilato da chi effettua il pagamento. Il modello F23 può essere sia compilato a mano, ma anche compilato senza istallare alcun software. Tuttavia la compilazione online è molto semplice, basta seguire i passaggi guidati. Comunque sia sempre sul sito sono anche disponibile le istruzioni per una corretta compilazione. Anche se in ogni momento si può tornare indietro e modificare i campi già compilati. Infine il file si può stampare e presentare per il pagamento nei modi già indicati. Pertanto si ricorda di leggere le istruzioni per inserire i codici corretti negli spazi opportuni.

Cosa succede in caso di errore?

Nella compilazione può succedere che vengano fatti degli errori nel modello. Ciò vuole dire che l’ente o l’ufficio incaricato per il versamento non riesca a fare l’abbinamento corretto. E questo può comportare una doppia richiesta di un pagamento che si pensa di aver già fatto. Cosa fare in questo caso? Il contribuente può rivolgersi all’ufficio competente per chiedere la regolarizzazione della propria posizione debitoria.

Gli errori più frequenti che si commettono compilando il modello di versamento F23 sono:

  • errata indicazione del “codice tributo”;
  • errata indicazione del “codice ufficio”.

In caso di errore del “codice tributo” il contribuente deve inviare una comunicazione all’ufficio competente il cui codice è stato indicato nel modello. Se, invece, l’errore riguarda il “codice ufficio”, il contribuente deve inviare una comunicazione sia all’ufficio il cui codice è stato indicato erroneamente sul modello di versamento, sia a quello cui si riferisce correttamente il versamento.

Partite Iva, professionisti, collaboratori e agenti, senza Green pass si rischia di perdere i contratti

Nessuna certezza per le partite Iva, i collaboratori, gli agenti e i liberi professionisti di mantenere i contratti e le commesse in assenza di Green pass. In mancanza del documento verde, infatti, sono possibili la risoluzione per inadempimento oppure il recesso per impossibilità sopravvenuta. Gli autonomi, in quanto a regole sulla sicurezza e sull’obbligo di esibire il Green pass sui luoghi di lavoro non potranno esimersi al pari dei lavoratori dipendenti a partire dal 15 ottobre 2021. E la disciplina potrebbe avere un impatto negativo sui loro affari.

Partite Iva con Green pass quando vanno a svolgere una prestazione lavorativa

Non si sottraggono, pertanto, le partite Iva e i liberi professionisti alla regola generale enunciata dal decreto legge 127 del 2021. “Chiunque svolge un’attività lavorativa nel settore privato è obbligato, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde Covid-19”. In quanto intenti a svolgere una prestazione lavorativa a qualsiasi titolo, anche gli autonomi sono assoggettati alla stessa regola dei lavoratori dipendenti privati e pubblici.

Green pass, anche gli autonomi devono esibirlo se vanno a lavorare all’interno di un’azienda

Non può essere altresì motivo di sottrazione all’obbligo di esibire il Green pass nei luoghi di lavoro per gli autonomi il fatto che i controlli siano fatti, come specifica il decreto 127, a cura del “datore di lavoro”, dando quindi un’impronta più propriamente di tipo “subordinato” al rapporto di lavoro. Un commercialista che per redigere il bilancio di un’azienda deve recarsi nella sede del cliente più volte (ma anche se dovesse andarci una sola volta), si vedrebbe richiedere l’esibizione del Green pass all’entrata al pari di un dipendente dell’azienda stessa.

Sanzioni per gli autonomi senza Green pass

Il controllo all’interno dell’azienda, peraltro, potrebbe essere svolto non solo dal personale preposto dal datore di lavoro, ma anche da un pubblico ufficiale. La mancanza del Green pass per il lavoratore autonomo o per la partita Iva comporterebbe la previsione della sanzione, come avverrebbe anche per i dipendenti. L’importo della sanzione varia da 600 a 1500 euro. Fatte le premesse di obbligo di esibire il documento verde, è in ogni modo fare le opportune differenze tra i lavoratori autonomi.

Partite Iva e co.co.co. perdono i compensi della prestazione senza Green pass

I lavoratori autonomi che svolgono la propria attività con il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) o con partita Iva si trovano in una situazione molto simile a quella dei dipendenti aziendali nel momento in cui devono svolgere la propria prestazione all’interno dell’azienda. Pertanto, il controllo all’ingresso dell’addetto si estende, secondo quanto recita il decreto 127, “anche sulla base dei contratti esterni”. In mancanza di Green pass anche le partite Iva e i co.co.co. non potrebbe accedere all’interno. Il risultato è che il committente non è tenuto alla sua prestazione. Di conseguenza, dunque, può esimersi dal pagare il compenso legato alla prestazione.

Recesso per impossibilità sopravvenuta senza Green pass

Rispetto ai lavoratori dipendenti che senza Green pass non possono essere licenziati, ma risultano assenti ingiustificati e pertanto senza stipendio fino al momento in cui si mettano in regola, l’autonomo potrebbe vedersi risolvere il contratto per inadempimento. Il che significa che il contratto che lo lega all’azienda cliente o committente subirebbe il recesso per impossibilità sopravvenuta della prestazione nel momento in cui questa situazione si dovesse protrarre per diverso tempo.

Agenti, senza Green pass si possono perdere contratti

Una situazione simile potrebbe riscontrarsi per gli agenti. La conclusione dei contratti, e dunque andare presso la sede, l’ufficio o lo stabilimento dei clienti, in assenza di Green pass si potrebbe tradurre in una perdita di ordini. Ovviamente la perdita potrebbe ridursi nel caso in cui l’agente si mettesse in regola con il documento verde. Oppure riuscisse a operare senza la visita dei clienti. Tuttavia, a lungo andare, l’agente potrebbe trovarsi in situazioni di inadempimento o di impossibilità di rendere la prestazione.

Liberi professionisti, il concetto ampio del luogo di lavoro

Al libero professionista che si reca presso la sede di un’azienda cliente incombe l’obbligo di Green pass da mostrare all’ingresso. Ma cosa avviene, invece, all’interno del proprio studio professionale? In queste situazioni, il decreto 127 del 2021 traccia un concetto di luogo di lavoro molto ampio. All’interno di aziende, esercizi commerciali, laboratori artigiani, a prescindere dal numero di lavoratori, il Green pass è obbligatorio.

Libero professionista: dentro il suo studio deve avere il Green pass?

È importante rilevare che anche all’interno del proprio studio professionale o del negozio, anche lavorando da solo, il libero professionista o il negoziante devono essere in possesso di regolare Green pass. La ragione della norma risiede nella necessità di tutelare clienti e collaboratori che entrino nello studio o nel negozio. Rimarrebbe escluso da questo ambito solo il libero professionista che svolge la prestazione lavorativa dalla propria abitazione. Anche in questo caso, però, è necessario che l’attività non comporti la visita di collaboratori o di clienti.

Grenn pass, deve averlo il professionista che va a svolgere l’attività in una casa privata?

Infine, il lavoratore autonomo che si dirige in un’abitazione privata altrui per svolgere la sua prestazione potrebbe vedersi inibito l’accesso senza Green pass. In questo caso il controllore sarebbe il proprietario di casa che ha la facoltà di farsi mostrare il documento verde, ma non l’obbligo. In tutti questi casi, dunque, il lavoratore autonomo rischia di perdere contratti e prestazioni lavorative per l’assenza di Green pass. Sempre che non si veda richiedere il risarcimento qualora dalla sua condotta ne derivi un danno al committente.