Bonus Renzi 2022: chi lo prenderà ancora e chi no

Bonus Renzi 2022 sarà rinnovato anche per il nuovo anno. Ma a dire il vero non per tutti, quindi facciamo il punto della situazione.

Bonus Renzi 2022, cos’è questo bonus?

Il Bonus Renzi 2022 sarà prorogato se pur in modo diverso del solito. Dopo una prima idea di addio al bonus Renzi, sembra che il peggio sia stato scongiurato. Infatti tutto dipende dalla nuova legge di bilancio e dai nuovi scaglioni IRPEF che sono stati approvati.

Fino ad oggi il Bonus Renzi, ha avuto un valore di 100 euro, direttamente sulla busta paga del lavoratore. Tuttavia a percepirlo sono solo i lavoratori dipendenti che hanno un reddito che rientra tra gli 8.174 e i 40.000 euro. Dunque sono circa 16 milioni i lavoratori subordinati che hanno potuto godere di questo somma. Una piccola somma che piace molto agli italiani, ma che con la legge di bilancio appena approvata, riduce il numero dei lavoratori che potranno averla.

Bonus Renzi 2022, cosa cambia da domani?

Con la nuova legge di bilancio sono arrivati i primi cambiamenti. Il primo tra tutti è la riduzione degli scaglioni IRPEF da 5 a 4. Quindi i lavoratori dipendi che hanno un reddito fino a 15.000 euro continueranno a riceverlo, senza alcuna variazione, visto che il reddito è davvero basso. Quindi la voce “trattamento integrativo”, rimarrà nelle busta paga di chi ah un reddito compreso tra 8.174 e 15 mila euro, con aliquota del 23%. In altre parole, per il primo scaglione non cambia nulla.

Mentre la situazione cambia per coloro che hanno un reddito compreso tra 15 e 28 mila euro. A questi lavoratori spessa solo nel caso in cui le altre detrazioni sono superiori all’imposta lorda dovuta. In questa categoria rientrano il mutuo della prima casa, i lavori edilizi e i familiari a carico). Infine per chi ha un reddito superiore a 28 mila euro,  il bonus Renzi non spetta più.

Facciamo un esempio pratico

A questo punto sembra chiaro che i primi due scaglioni potranno godere ancora delle 100 euro in più in busta paga. E riportando le parole della stessa norma: “il trattamento integrativo è riconosciuto per un ammontare non superiore a 1200 euro (100 euro per 12 mesi), determinato in misura pari alla differenza tra la somma delle detrazioni e l’imposta lorda“.

Quindi prima si deve calcolare l’importo delle detrazioni, poi si sottrae l’imposta lorda dovuta. A questo punto se il risultato è minore a 1200 euro, corrisponde al bonus spettante. Se invece la differenza supera i 1200 euro, spetta una detrazione di 1200 euro annui.

Operazioni intracomunitarie soggetti Iva, come richiedere l’inclusione nell’archivio Vies

I soggetti Iva, al fine di poter effettuare operazioni intracomunitarie, hanno l’obbligo di iscrizione ad un apposito archivio. Si tratta, nello specifico, del VAT information exchange system che è noto semplicemente e comunemente come archivio Vies. Vediamo allora, per le operazioni intracomunitarie dei soggetti Iva, come richiedere l’inclusione nell’archivio Vies e, tra l’altro, pure come revocare l’inclusione nel VAT information exchange system.

Domanda inclusione nell’archivio Vies per le operazioni intracomunitarie, ecco come fare

Per i soggetti Iva l’inclusione nell’archivio Vies per le operazioni intracomunitarie è un’opzione. Che è esercitabile direttamente nella dichiarazione di inizio attività. Oppure successivamente comunicando, anche in modalità telematica, la volontà di inclusione nell’archivio Vies per le operazioni intracomunitarie.

Inoltre, quando il soggetto Iva non ritiene più necessaria l’inclusione nell’archivio Vies, perché ritiene di non dover più effettuare operazioni intracomunitarie, l’opzione di revoca si può esercitare allo stesso modo in qualsiasi momento. Dandone comunicazione all’Agenzia delle Entrate, in questo caso, solo ed esclusivamente in modalità telematica.

Quali sono i soggetti obbligati all’inclusione nel Vies per le operazioni intracomunitarie

Per le operazioni intracomunitarie, i soggetti obbligati all’inclusione nel Vies sono tutti coloro che, sul territorio dello Stato italiano, esercitano attività di impresa, arti o professione. E lo stesso vale per i soggetti che in Italia hanno una stabile organizzazione.

Obbligo di inclusione nel Vies, riporta e precisa altresì il sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, pure per i soggetti che, non residenti in Italia, si identificano attraverso la nomina di un rappresentante fiscale. Oppure, ai fini Iva, per i soggetti non residenti l’identificazione avviene tramite il modello ANR.

Come si richiede l’inclusione nel VAT information exchange system

In data successiva alla dichiarazione di inizio attività, come sopra accennato, l’inclusione nel VAT information exchange system può essere richiesta per via telematica oppure avvalendosi del supporto, dell’assistenza e della consulenza da parte di intermediari abilitati.

Al momento della dichiarazione di inizio attività, invece, la richiesta di inclusione nell’archivio Vies per le operazioni intracomunitarie si effettua spuntando gli appositi campi presenti nel modello. Ovverosia, con il modello AA9 per i lavoratori autonomi e per le imprese individuali. E con il modello AA7 per i soggetti che sono diversi dalle persone fisiche.

Come si verifica online una partita Iva inclusa nel Vies

Dopo aver ricevuto la richiesta di esercizio dell’opzione, l’Agenzia delle Entrate provvede subito ad inserire il numero di partita Iva nell’archivio Vies. Ed in ogni caso i soggetti inclusi nel Vies possono in qualsiasi momento controllare la propria posizione. In quanto l’Agenzia delle Entrate, sul proprio sito Internet, mette a disposizione il servizio di verifica online.

Barriere architettoniche: come funziona la detrazione Irpef e Ires del 75% nel 2022?

La legge di Bilancio 2022 ha confermato la nuova detrazione Irpef e Ires pari al 75% sui lavori occorrenti per l’eliminazione delle barriere architettoniche. L’adeguamento edilizio deve essere effettuato sugli immobili esistenti, mentre non dovrebbero essere inclusi gli interventi effettuati su edifici costituiti da un’unica unità immobiliare non unifamiliare.

Eliminazione barriere architettoniche, come funziona la detrazione nel 2022?

L’agevolazione fiscale per gli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche viene calcolata sulle spese sostenute ai fini dei lavori. Queste ultime seguono il principio di cassa per gli interventi effettuati dai privati e di competenza per i lavori delle imprese. Le spese devono essere sostenute unicamente tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2022. La norma specifica che gli interventi devono essere realizzati per superare ed eliminare le barriere architettoniche negli edifici già esistenti per ottenere la detrazione delle imposte lorde Irpef e Ires.

Barriere architettoniche, in cosa consiste l’agevolazione fiscale del 75% su Irpef e Ires?

La detrazione fiscale del 75% sulle imposte lorde Irpef e Ires fino a concorrere all’ammontare dell’intervento di rimozione delle barriere architettoniche deve essere ripartita in 5 quote annuali dello stesso importo. Il totale di spesa ammessa al beneficio fiscale non deve essere superiore ai seguenti limiti:

  • a 50 mila euro se si tratta di interventi fatti su edifici unifamiliari oppure su unità immobiliari inserite all’interno di edifici plurifamiliari. Gli edifici devono essere funzionalmente indipendenti e devono disporre di uno o di più accessi autonomi dall’esterno;
  • a 40 mila euro da moltiplicare per il numero delle unità abitative immobiliari di cui si costituisce l’edificio. Il limite di spesa ammessa alla detrazione riguarda gli edifici composti da 2 a 8 unità abitative;
  • a 30 mila euro da moltiplicare per il numero delle unità abitative immobiliari di cui si costituisce l’edificio. Il limite di spesa ammessa alla detrazione riguarda gli edifici composti da oltre 8 unità immobiliari.

Eliminazione barriere architettoniche e interventi di automazione degli impianti degli edifici

La detrazione del 75% su Irpef e Ires relativa agli interventi di rimozione delle barriere architettoniche è ottenibile anche per i lavori di automazione degli impianti degli edifici e delle singole unità abitative immobiliari. La stessa detrazione spetta anche per le spese di smaltimento e bonifica dei materiali e dell’impianto nel caso in cui si proceda con la sostituzione dell’impianto.

Interventi barriere architettoniche, è possibile chiedere lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta

Anche per la detrazione spettante sugli interventi di rimozione delle barriere architettoniche si possono utilizzare le opzioni dello sconto in fattura e della cessione del credito di imposta. Gli strumenti sono validi solo per l’anno 2022 secondo quanto disciplina l’articolo 119 ter del decreto legge numero 34 del 2020. Per l’operatività dei due strumenti è necessario rifarsi a quanto prevede la lettera f) del comma 2, dell’articolo 121 del decreto legge 34 del 2020.

 

Mutui: con la super inflazione, meglio il tasso fisso o variabile nel 2022?

Con la super inflazione, quali saranno gli effetti sui mutui, sui tassi di interesse e sulle rate? Scoprirlo, significa scegliere se convenga stipulare un mutuo a tasso fisso o a tasso variabile. Ma gli effetti si fanno sentire anche per coloro che hanno già stipulato un mutuo, sia a tasso fisso che variabile. Anche se non sempre si tratta di effetti negativi.

Mutui: l’inflazione nel 2022 farà sentire i suoi effetti come per il caro bollette?

L’analisi della situazione dei mutui parte dall’impennata dell’inflazione degli ultimi mesi del 2021. E la platea di chi sceglie un mutuo ogni anno è ampia: circa 200 mila tra quelli di nuova sottoscrizione e le surroghe. A ciò si aggiunge che le bollette energetiche in effetti stanno risentendo dell’impennata dei prezzi. E dunque le famiglie, oltre al caro consumi, si potrebbero trovare nel nuovo anno a dover fare i conti con rate dei mutui più salate. Diventa essenziale, allora, verificare cosa succede a chi sta già pagando un mutuo e a chi ha intenzione di stipularne uno nuovo nei prossimi mesi.

Cosa avviene a chi sta già pagando un mutuo a tasso fisso nel 2022?

A risentirne direttamente dell’aumento dell’inflazione è chi ha già stipulato e sta pagando un mutuo a tasso fisso. Ma, in questo caso, la notizia potrebbe risultare positiva. In primo luogo perché la rata non cambia importo a causa dell’inflazione. Ma soprattutto, in termini reali, il tasso di interesse che viene pagato risulta più basso. Il confronto lo si può fare mediante la sottrazione del tasso nominale debitore e il tasso di inflazione. Per le famiglie che abbiano stipulato un mutuo a tasso fisso in passato dunque vale la regola secondo la quale, con l’aumentare dell’inflazione, si riduce la quota del capitale da restituire in termini reali.

Mutui a tasso fisso già stipulati: con l’inflazione è più difficile la surroga

L’unico effetto negativo per chi ha già un mutuo in corso a tasso fisso è quello delle poche possibilità di cambiare il finanziamento con uno più vantaggioso. Infatti, i tassi di interesse sulla surroga attualmente si attestano a non meno dell’1,5% a fronte di un tasso fisso medio dell’1,1-1,2%. Dunque, se si cerca di cambiare il proprio mutuo, difficilmente si riuscirebbe a ottenere un tasso di interesse più basso.

Mutui, cosa avviene per chi ne sta già pagando uno a tasso variabile?

Come per quelli a tasso fisso, anche i mutui a tasso variabile risentono dell’aumento dell’inflazione. Ma la correlazione avviene in maniera indiretta attraverso gli indici Euribor. Questi ultimi sono i parametri che vengono utilizzati dalle banche per stabilire i tassi di interessi variabili sui mutui e le rispettive rate. Ad oggi gli indici Euribor, nonostante l’impennata dell’inflazione, sono rimasti stabili intono al valore di -0,5%. Circostanza confermata dal fatto che, nel corso del 2021, chi aveva già stipulato un mutuo a tasso variabile, non ha subito incrementi dei tassi di interesse e, di conseguenza, delle rate. Ma è molto probabile che ciò avverrà nel corso dei prossimi anni, dal momento che gli indici Euribor sono dati in risalita dall’attuale -0,5% a +0,4% entro il 2027.

Quanto si pagherà in più di mutuo nei prossimi anni con il tasso variabile?

Gli aumenti degli indici Euribor dovrebbero determinare, di conseguenza, incrementi dei tassi di interessi dei mutui variabili e delle rispettive rate. Si calcola che, nei prossimi cinque anni, l’aumento potrebbe essere di 35-40 euro mensili per chi ha un mutuo residuo da pagare di 100 mila euro. I calcoli sono stati stimati con un aumento di 90 punti base degli indici Eurobor.

Mutui, cosa cambia nel 2022 per chi voglia stipularne uno?

La situazione di partenza dei mutui nel 2027 per chi abbia intenzione di sottoscriverne uno, vede quelli a tasso fisso che provengono da un 2021 all’insegna della risalita. Infatti, a inizio anno si potevano trovare mutui con un tasso fisso anche dello 0,5%. A fine anno, la media del tasso fisso è dell’1,2%. I mutui a tasso variabile hanno invece un indice Euribor del -0,5%.

Mutui, nel 2022 è meglio sceglierne uno a tasso fisso o a tasso variabile?

Per il 2022 sarà molto difficile trovare un mutuo a tasso fisso al di sotto dell’1%. Mediamente, le offerte delle banche si attestano attorno all’1,1%. Si tratta, in ogni modo, di tassi di interesse che possono considerarsi ancora bassi, anche se di gran lunga superiori a quelli di appena un anno fa. Sul fronte dei tassi variabili, la constatazione di aver scelto bene rispetto a un tasso fisso la si potrà avere solo tra cinque anni. Infatti, solo a partire dal 2027 si potrà verificare di quanto siano cresciuti effettivamente gli indici Euribor e dunque calcolare la convenienza rispetto a un tasso fisso. Ma, anche in questo caso, gli effetti dell’inflazione non dovrebbero farsi sentire eccessivamente.

Terzo Settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

Il terzo settore negli ultimi anni è stato oggetto di numerosi interventi volti a uniformare la disciplina, particolare rilevanza hanno il codice del Terzo Settore e il Registro Unico Nazionale Terzo Settore RUNTS. Una delle riforme che più ha destato clamore è stata introdotta con il decreto legge 146/2021, questo prevedeva che dal primo gennaio 2022 le Associazioni di Promozione Sociale e le Associazioni di Volontariato, pur non svolgendo alcuna attività commerciale fossero, assoggettate ad IVA. Con la legge di bilancio 2022 c’è invece stato il rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024. Vediamo i vari passaggi che hanno portato al rinvio.

Normativa su obbligo di applicazione IVA per gli Enti del Terzo Settore

La disciplina dell’applicazione dell’IVA anche alle operazioni compiute da OdV e APS deriva dalla normativa comunitaria, quindi l’Italia in un certo senso ha dovuto adottare queste misure. Infatti è in corso una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, n° 2008 del 2010, proprio per non aver provveduto ad adeguare la disciplina del Terzo Settore e per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE).

In base alla disciplina dettata dal decreto fiscale le operazioni esentate ( ma da dichiarare ai fini IVA) sono per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci, ad esempio corsi di formazione in favore degli associati. Questo naturalmente comporta sia un maggiore esborso a fronte di attività considerate socialmente utili, sia un aggravio dei costi di gestione con obbligo di tenuta dei registri IVA

La normativa prevede delle semplificazioni per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) e per le Associazioni di Promozione Sociale (APS) che al permanere dei requisiti previsti dalla legge decidono di aderire al regime forfettario.

Naturalmente vista la situazione pandemica e le difficoltà a cui devono fare fronte gli Enti del Terzo Settore, i partiti hanno presentato diversi emendamenti volti a far slittare l’entrata in vigore dell’obbligo di pagare l’IVA per gli Enti del Terzo Settore.

Perplessità sul regime IVA per Enti del Terzo Settore

La portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Vanessa Pallucchi ha espresso molte perplessità. Ha sottolineato come in realtà questa norma introdotta con il decreto fiscale 146/2021 non solo arreca un ingiusto danno alle associazioni, in particolare a quelle più piccole, ma non porta alcun vantaggio reale alle Casse dello Stato. Il regime IVA prevede, ad esempio, che debba essere applicata l’IVA sulla somministrazione di bevande e alimenti, ma se questa è in favore di indigenti, le operazioni sono esenti da IVA. Nonostante questo possa sembrare un vantaggio in realtà non lo è, infatti se le Associazioni sono escluse dal regime IVA non devono compiere adempimenti, ma nel momento in cui si parla di esenzione e non di esclusione, le operazioni devono essere dichiarate e quindi occorre comunque dotarsi di partita IVA e la tenuta dei Registri che comunque rappresentano costi.

Inoltre la portavoce critica il momento di introduzione dell’IVA che arriva nel corso dell’esecuzione degli adempimenti per l’iscrizione nel RUNTS con tutti gli oneri relativi ad eventuali cambi di Statuti da raccordare alla nuova disciplina. Ciò che molti contestano alla disciplina prevista dal decreto fiscale è il fatto che la norma non differenzia il regime IVA in base alla tipologia di prestazioni e alla tipologia di associazioni, o meglio in base allo scopo. Trattando in modo indifferenziato diverse realtà, da un lato si va oltre le richieste dell’Unione Europea creando un danno agli Enti del Terzo Settore e dall’altro si realizza un’ingiustizia sostanziale. Della disciplina del decreto fiscale sono inoltre contestati i tempi brevi tra l’approvazione di questa novità e i tempi di entrata in vigore, cioè già dal 1° gennaio 2022.

Rinvio dell’entrata in vigore dell’ IVA per il Terzo Settore fino al 2024

Con la legge di bilancio 2022 si è quindi provveduto a posticipare l’entrata in vigore dell’obbligo di dichiarazione IVA, tenuta dei registri e pagamento delle relative imposte fino al 2024. In realtà si spera nella scrittura di una nuova normativa che possa coinvolgere anche i diretti interessati.

Per saperne di più sulle nuove norme relative al Terzo Settore, puoi leggere:

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali 

Registro Unico del Terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

 

Sgravi contributivi per lavoratrici madri e congedo di paternità obbligatorio

La legge di bilancio 2022 prevede importanti aiuti per le donne e per facilitare il rientro a lavoro dopo la gravidanza. In particolare per incentivare le aziende a favorire il rientro delle madri lavoratrici nel 2022, ci saranno sgravi contributivi per lavoratrici madri.

Legge di bilancio 2022 e gravi contributivi per lavoratrici madri

Sappiamo tutti che le aziende hanno spesso remore a far rientrare a lavoro le donne dopo la gravidanza e in alcuni casi le condizioni di lavoro sono tali da impedire di fatto alla donna di riprendere le proprie mansioni. Da un’indagine ISTAT emerge che il 14% delle donne non rientra a lavoro dopo la gravidanza. Per scoraggiare tali comportamenti, che in teoria sono anche vietati, la legge di bilancio 2022 ha previsto in via sperimentale una misura volta a incentivare le aziende a sostenere il rientro a lavoro dopo il parto.

La norma prevede che per il 2022 ci sarà l’esonero del pagamento dei contributi previdenziali per le donne lavoratrici del settore privato che rientrano al lavoro dopo il parto, o meglio dopo aver fruito del congedo di maternità obbligatorio. L’esonero però non sarà totale, ma sarà al 50%, per le aziende può comunque rappresentare un buon vantaggio visto che assumere dei sostituti potrebbe rappresentare un costo maggiore.

Congedo di paternità obbligatorio e fondi per asili nido

Per favorire la maternità, la legge di bilancio 2022 prevede anche il congedo di paternità obbligatorio della durata di 10 giorni da fruire entro i primi 5 mesi di vita del bambino. Al fine di favorire il rientro a lavoro delle lavoratrici madri, viene anche potenziato il Fondo di solidarietà comunale destinato ad aumentare i posti disponibili negli asili nido e quindi ad aiutare le donne a coniugare i tempi di lavoro con i tempi di vita. E’ inoltre previsto che entro il 2027 ci sia una copertura almeno pari al 33% dei bambini di età compresa tra 3 mesi e 36 mesi di posti di asilo nido.

Questa misura, insieme al rifinanziamento del fondo per il reddito di libertà mira a dare alle donne maggiore indipendenza economica e autonomia.

Pagamenti con F24 Web, come si usa il servizio delle Entrate e quali vantaggi offre

Senza spreco di carta, e senza scaricare alcun software, l’Agenzia delle Entrate permette di pagare le imposte con il modello F24 online ed in tutta sicurezza grazie ad un applicativo che, peraltro, è di facile utilizzo. Si tratta, nello specifico, di F24 Web, il servizio dell’Agenzia delle Entrate che è accessibile dal portale del Fisco accedendo con le proprie credenziali. Vediamo allora, per i pagamenti con F24 Web, come si usa il servizio delle Entrate e quali vantaggi offre al contribuente.

Come si accede al servizio online F24 Web dell’Agenzia delle Entrate

L’accesso al servizio online F24 Web dell’Agenzia delle Entrate, come sopra accennato, è subordinato alla registrazione ai servizi telematici del Fisco. Quindi, F24 Web è accessibile solo via Fisconline o via Entratel con accesso tramite le credenziali.

E quindi con autenticazione utilizzando SPID – il Sistema Pubblico di Identità Digitale, la Carta d’identità elettronica (CIE) o la Carta nazionale dei servizi (CNS). Le imprese ed i professionisti, inoltre, possono utilizzare per l’autenticazione pure le credenziali dell’Agenzia delle Entrate che invece, per i cittadini, sono state dismesse dallo scorso 1 ottobre del 2021.

A cosa serve il servizio F24 Web e quali vantaggi offre al contribuente

Dal portale dell’Agenzia delle Entrate, attraverso i servizi telematici, F24 Web è un servizio che permette al contribuente, direttamente via Internet, di compilare e di trasmettere il modello di versamento F24. Ed il tutto con il vantaggio di pagare il dovuto senza l’applicazione di spese di versamento di natura bancaria o postale.

Come funziona F24 Web, dall’addebito sul conto corrente alla possibilità di annullare il pagamento

F24 Web è un servizio online per il versamento delle imposte che è sicuro. In quanto la trasmissione dei dati è cifrata. Inoltre, per pagare con il servizio F24 Web occorre indicare il codice IBAN. In quanto l’addebito delle tasse da pagare avviene su conto corrente bancario o postale del contribuente. E quindi non su altri strumenti di pagamento come la carta di credito.

I pagamenti F24 Web, inoltre, possono essere inseriti a sistema in anticipo rispetto alla scadenza. Così come il pagamento F24 Web inserito può essere annullato fino al penultimo giorno lavorativo antecedente la data di versamento che è stata indicata dal contribuente.

In alternativa al servizio F24 Web c’è pure il software, ecco come e dove si scarica

In alternativa al servizio online F24 Web, sempre per il pagamenti con il modello unificato, c’è pure il software che si può scaricare per l’installazione dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate. Si tratta, nello specifico, del pacchetto software che è composto da due applicativi. Ovverosia, dal software di compilazione F24 e dal software di controllo.

Banda ultralarga alle micro e Pmi: chi può avere il voucher fino a 2000 euro?

Con la firma del ministro per lo Sviluppo Economico (Mise), Giancarlo Giorgetti, prende il via la messa a disposizione delle micro e piccole e medie imprese dei voucher per la banda ultralarga. Gli incentivi erano stati ideati dal Comitato governativo per la banda ultralarga a maggio del 2020. Con la firma del ministro viene di fatto sbloccato il fondo di circa 610 milioni di euro per la connettività delle imprese più piccole. La misura entra dunque nella dimensione degli aiuti alle imprese dopo aver assicurato i voucher alle famiglie fino allo scorso novembre.

Decreto dei voucher per la banda ultralarga alle imprese: per quali imprese?

Il contributo previsto dal decreto del ministero per lo Sviluppo Economico fissa come obiettivo, a fronte del voucher erogato, il “salto tecnologico” delle connessioni delle micro, piccole e medie imprese. Delle risorse messe a disposizione (608,2 milioni di euro), 9 milioni di euro andranno alla comunicazione e al monitoraggio della misura. I voucher saranno messi a disposizione di un numero variabile di micro e piccole e medie imprese da 850 mila a 1,4 milioni.

Voucher banda ultralarga, le tre fasce di contributo alle micro e Pmi

Saranno tre le fasce di contributi messi a disposizione delle micro e piccole e medie imprese per la connettività ultralarga. La prima fascia garantisce un voucher di 300 euro per i contratti dai 18 ai 36 mesi e una connessione garantita alla velocità massima tra i 30 e i 300 megabit per secondo in download, oppure tra 300 megabit per secondo a un gigabit per secondo. In tutto, per la prima fascia, il governo ha stanziato 120 milioni di euro per la prima opzione e altrettanti per la velocità fino a un gigabit. In quest’ultimo caso, è previsto un ulteriore voucher di 500 euro per sostenere le spese di allaccio dell’infrastruttura. Per la prima fascia non sono previsti limiti minimi di banda garantita.

Voucher connessione ultralarga, la seconda fascia di contributi alle imprese

Per la seconda fascia di voucher connettività alle imprese il governo ha stanziato circa 300 milioni di euro. In questo caso, l’importo del contributo previsto è di 500 euro a fronte di un contratto dai 18 ai 36 mesi. Il servizio al quale la micro o piccola e media impresa aderisce deve garantire una connessione tra 300 megabit per secondo e un gigabit. È previsto un voucher aggiuntivo di 500 euro per le spese di installazione per le connessioni a un gigabit per secondo. La differenza con la prima fascia è che nella seconda è necessaria una banda minima garantita di 30 megabit per secondo.

Voucher banda ultralarga, la terza fascia: banda minima garantita di 100 megabit per secondo

La terza fascia del Voucher banda ultralarga prevede l’erogazione di contributi del governo per 60 milioni di euro. E, in questa categoria, i voucher sono più generosi. Infatti si possono ottenere 2 mila euro di contributi per i contratti dai 24 ai 36 mesi per velocità di connessione superiori a un gigabit per secondo. Inoltre è prevista la soglia minima di banda garantita a 100 megabit per secondo. Ai 2 mila euro può essere aggiunto anche il bonus di 500 euro per i costi di allaccio.

Quali sono i motivi per i quali non viene riconosciuto il voucher banda ultralarga?

I voucher banda ultralarga possono non essere riconosciuti per i seguenti motivi:

  • se si cambia operatori che assicurano servizi analoghi;
  • se si fa il cambio di intestazione del contratto presso la stessa sede della micro o piccola o media impresa.

Ogni impresa può presentare la richiesta di voucher solo una volta. Nel caso in cui si proceda con la portabilità del servizio, è possibile trasferire la quota del voucher residuo.

Voucher banda ultralarga, fino a quando si possono presentare le domande?

La domanda del voucher banda ultralarga può essere presentata fino al momento in cui termineranno le risorse stanziate dal governo. In ogni caso, la misura non potrà andare oltre i due anni. Durante questo periodo, in ogni modo, il ministero continuerà a monitorare la situazione della distribuzione dei voucher per evitare che i contributi alle imprese possano risultare poco utilizzati, come è successo per i voucher alle famiglie. Infatti, nella fase 1 del voucher, sono avanzati circa 93 milioni di euro (quasi la metà della dote della misura) che sono stati girati al fondo per le imprese. Per le famiglie dovrebbe riprendere il contributo per la banda ultralarga, ma con la novità dell’eliminazione dei vincoli dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Le precedenti risorse stanziate erano a favore delle famiglie con Isee fino a 20 mila euro.

Difetti di costruzione immobili: quando presentare la denuncia?

Cosa succede se dopo aver commissionato la costruzione di un edificio ti accorgi che questo ha dei difetti che lo rendono poco stabile o non funzionale? In questo caso puoi far valere la garanzia del costruttore. Gli edifici sono dei beni destinati a durare nel tempo, ma possono presentare dei difetti di costruzione che spesso non sono percepibili fin da subito. Per dare maggiore tutela al proprietario di un immobile sono previsti termini di prescrizione particolarmente lunghi per la denuncia di difetti di costruzione, diverso è invece il trattamento riservato a difformità della costruzione oppure vizi dell’opera. Ecco cosa rischia un’impresa edile.

I difetti di costruzione

Ad occuparsi dei termini per la denuncia dei difetti di costruzione è l’articolo 1669 del codice civile, questo prescrive che, nel caso in cui un bene immobile destinato a durare nel tempo dovesse manifestare dei problemi prima che siano trascorsi 10 anni dalla sua realizzazione, il costruttore è responsabile di tali difetti. Gli stessi devono però essere denunciati da chi ne ha diritto entro un anno dalla loro scoperta. Dal momento della denunzia di tali difetti di costruzione il committente deve iniziare un’eventuale azione contro l’appaltatore/costruttore, ciò a pena di decadenza.

La Corte di Cassazione in merito ha stabilito che il termine per la denuncia comincia a decorrere dal momento in cui i difetti della costruzione acquisiscono un apprezzabile grado di conoscenza, ma la stessa Corte ha precisato che, se per valutare correttamente il vizio e la sua entità, dovesse essere necessaria una perizia, il termine di un anno per presentare la denuncia inizia a decorrere dal momento in cui la perizia è nella disponibilità del committente.

Quali difetti di costruzione possono essere denunciati?

L’articolo 1669 del codice civile prevede che possano essere denunciati difetti dovuti a vizi del suolo o difetti di costruzione. Appare fin da subito evidente che può essere difficile determinare i vizi del suolo che potrebbero portare a una responsabilità del costruttore. La giurisprudenza afferma che si tratta del caso in cui il terreno su cui si edifica sia franoso e il costruttore non abbia adottato i giusti accorgimenti idonei a rendere stabile l’edificio, oppure il costruttore non abbia rilevato che il terreno non era adatto a supportare tale tipologia di edificio.

Per quanto riguarda invece i difetti di costruzione, questi possono essere inerenti sia alla staticità sia alla durata e conservazione dell’edificio, inoltre possono essere riconosciuti come difetti di costruzione anche quelli che, pur non riguardando parti essenziali dell’edificio, ne alterano gli elementi accessori, ad esempio un difetto nella installazione della canna fumaria o nella posa in opera dei pavimenti o dei rivestimenti, si deve trattare di difetti che vanno a incidere sulla durata dell’intervento stesso e incidono in modo negativo e considerevole sul godimento del bene. Ad esempio la giurisprudenza ha considerato come difetti di costruzione la presenza di gravi crepe sui muri, cedimento di solai e pavimenti e tutti i difetti che in genere vanno a incidere sulla funzionalità dell’edificio e riducono in modo apprezzabile il godimento del bene.

Cosa si intende per difformità dell’opera e quando va denunciata

La denuncia può essere fatta anche al verificarsi di una difformità dell’opera, per tale si intende ogni differenza tra gli accordi fatti in sede contratto e l’opera realizzata. In questo caso deve però essere sottolineato che se la difformità è palese, conoscibile ed evidente, il termine per la denuncia comincia a decorrere dal momento della consegna dell’opera. Ad esempio se nel progetto c’erano 10 finestre e il committente si ritrova un edificio con 9 finestre, la difformità è evidente e se non si procede subito alla denuncia si ritiene che tale difformità sia accettata, se non addirittura concordata. I termini per la denuncia della difformità sono però diversi, infatti in questo caso trova applicazione all’articolo 1667 del codice civile il quale stabilisce che le difformità devono essere denunciate entro 60 giorni dalla scoperta. L’azione invece si prescrive dopo due anni dalla consegna dell’opera.

Il committente in seguito alla prova della difformità dell’opera può chiedere che le difformità e i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore oppure che sia dato un congruo risarcimento e, infine, una riduzione del prezzo concordato.

Chi deve provare i difetti di costruzione?

Il regime probato per i difetti di costruzione è lo stesso che si applica in linea generale e quindi spetta a chi afferma un fatto, cioè al committente, dimostrare i difetti di costruzione e i vizi del suolo. Se non riesce a provarlo in modo adeguato, la domanda viene rigettata anche se il costruttore in un eventuale giudizio fosse contumace. Resta naturalmente la facoltà del costruttore provare che in realtà il vizio non esiste o che lo stesso non è dovuto a una sua imperizia, negligenza o colpa, ma a un fatto del committente, ad esempio la cattiva manutenzione dell’opera, un cattivo uso della cosa. Inoltre il costruttore può liberarsi anche provando che in realtà il difetto di costruzione o vizio del suolo è dovuto a un’azione o omissione di terzi soggetti.

Superbonus 110%, come funzionerà la detrazione fiscale sugli interventi dal 2022 al 2025?

Con le modifiche definitive della legge di Bilancio 2022, le agevolazioni fiscali legate al superbonus 110% avranno una diversa disciplina a seconda degli immobili sui quali effettuare i lavori. Per le villette unifamiliari la Manovra ha previsto la proroga del superbonus 110% fino al 31 dicembre 2022. Ma al 30 giugno 2022 dovrà essere raggiunto almeno il 30% dello stato di avanzamento dei lavori (Sal). Il 30% dei lavori deve essere calcolato sull’intervento complessivo. Per gli immobili plurifamiliari il superbonus varrà fino al 2025. Ma la legge di Bilancio 2022 ha anche previsto la riduzione della percentuale di agevolazione fiscale nei prossimi anni. Nel 2024, infatti, il beneficio scenderà al 70% e nel 2025 al 65%.

Superbonus 110% nelle villette unifamiliari: lo stato di avanzamento dei lavori al 30 giugno 2022

Nelle cosiddette villette unifamiliari, si potrà beneficiare del superbonus 110% sulle spese relative agli interventi sostenute entro il 31 dicembre 2022. La legge di Bilancio 2022 ha dunque ampliato l’arco temporale delle spese ammesse al superbonus 110% che, nella precedente disciplina, dovevano essere state effettuate tra il 1° luglio 2020 e il 30 giugno 2022. La condizione essenziale per l’allungamento delle spese al 31 dicembre 2022 è che entro il 30 giugno prossimo gli interessati abbiano effettuato lavori per non meno del 30% rispetto all’intervento complessivo. La verifica deve essere effettuata sullo stato di avanzamento dei lavoro, a prescindere dal relativo pagamento.

Superbonus 110%, il 30% di Sal previsto per il 2022: su cosa?

In attesa di ulteriori chiarimenti dell’Agenzia delle entrate, nella legge di Bilancio 2022 non si parla del 30% di Sal del complessivo intervento agevolato. L’interpretazione dovrebbe portare, dunque, al 30% del totale delle spese riferito all’intero intervento. E non pertanto all’importo limite di spesa ammesso in detrazione in corrispondenza del 30% dello stato di avanzamento dei lavori occorrente per beneficiare dello sconto in fattura oppure della cessione del credito ddi imposta. Tale interpretazione si ritiene essere quella più corretta seguendo le risposte dell’Agenzia delle entrate agli interpelli numero 791 del 24 novembre 2021 e 538 del 9 novembre 2020.

Superbonus 110% per condomini e per i proprietari unici dal 2022

Il superbonus spetterà nella misura del 110% per le spese sostenute sugli interventi effettuati dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2023 per i condomini e i proprietari unici. L’importo della detrazione scenderà al 70% nel 2024 per terminare al 65% nel 2025. Le detrazioni spetteranno per l’esecuzione dei seguenti interventi:

  • per i lavori fatti dai condomini inerenti le parti comuni condominiali;
  • i lavori fatti dal proprietario unico su un edificio che va dalle due alle quattro unità;
  • per gli interventi trainati (e anche trainanti, sicuramente in numero minore) fatti dalle persone fisiche sulle singole unità abitative di un condominio. Ovvero dell’immobile del proprietario unico. Rientrano tra gli interventi le sostituzioni della caldaia autonoma e delle finestre delle singole unità abitative;
  • gli interventi fatti effettuare dalle Onlus, dalle organizzazioni di volontariato (Odv) e dalle associazioni di promozione sociale (Aps);
  • gli interventi relativi alla demolizione e alla ricostruzione degli immobili secondo quanto prevede il Testo unico dell’edilizia alla lettera d) del comma 1, dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica numero 380 del 6 giugno 2001.

Superbonus 2022, le altre novità della legge di Bilancio 2022

Rispetto alla prima bozza della legge di Bilancio 2022, la versione finale ha apportato varie novità sul superbonus 110%. In particolare, la proroga delle spese ammesse al superbonus 110% entro il 31 dicembre 2022 poteva avvenire nel caso in cui la Cila o la Cilas fossero state presentate prima del 1° ottobre 2021. La versione finale della legge di Bilancio 2022 ha superato questo vecchio limite. Un ulteriore limite prevedeva che l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) non superasse i 25 mila euro all’anno e l’unità abitativa fosse come abitazione principale del richiedente il beneficio. Infine, la versione definitiva della legge di Bilancio 2022 ha rimosso i precedenti limiti relativi al caso di demolizione e ricostruzione dell’edificio. La prima versione prevedeva che le formalità amministrative per acquisire il titolo abilitative avrebbero dovuto essere state già avviate entro il 30 settembre scorso.