Dichiarazione Iva 2024 entro il 30 aprile, a cosa fare attenzione

Entro il 30 aprile 2024 i titolari di partita Iva devono presentare la dichiarazione Iva 2024 relativa alle operazioni effettuate nel 2024.  Nel modello vengono riportate tutte le entrate e le uscite avvenute nell’anno precedente a quello in cui si presenta il modello.

Chi deve presentare la dichiarazione Iva 2024

Sono obbligati a presentare la dichiarazione annuale Iva i contribuenti che svolgono attività di impresa, professionali o artistiche. Inoltre, devono presentare la dichiarazione Iva le organizzazioni di soggetti non residenti, aziende estere che operano in Italia.

Non vi è l’obbligo di presentazione diretta da parte del contribuente, la dichiarazione annuale Iva 2024, oltre a poter essere presentata direttamente dal titolare della partita Iva, può essere presentata da:

  • intermediario;
  • soggetti incaricati, nel caso in cui la dichiarazione debba essere presentata da Amministrazioni dello Stato;
  • tramite società appartenenti al gruppo.

La dichiarazione si intende presentata nel giorno in cui termina la ricezione telematica, ne è prova la comunicazione attestante l’avvenuto ricevimento dei dati, rilasciata sempre per via telematica.

Come esercitare le opzioni Iva nella dichiarazione Iva 2024

Per la dichiarazione Iva sono possibili due opzioni, cioè è possibile presentare in modo autonomo la dichiarazione Lipe relativa al 4° trimestre dell’anno precedente e in questo caso la dichiarazione Iva può essere presentata entro il 30 aprile oppure si può optare per la presentazione della Lipe nel Quadro VP della dichiarazione annuale dove è possibile inserire i dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche dei mesi di ottobre, novembre e dicembre. In questo caso la dichiarazione Iva deve comunque essere presentata entro il 28 febbraio.

È bene ricordare che non la dichiarazione Iva in scadenza al 30 aprile è possibile anche esercitare le opzioni per il passaggio dal regime ordinario al regime forfetario e viceversa. L’articolo 1 del Dpr 442 del 1997 stabilisce che l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. L’opzione e la sua revoca è generalmente valida per un triennio. Vi sono però dei casi in cui è necessario esercitare l’opzione per il passaggio da un regime fiscale all’altro. Si tratta di un’operazione molto semplice che comporta pochissimi passaggi.

Devono compilare il Quadro VO della dichiarazione Iva anche coloro che pur potendo restare nel regime forfetario perché ne mantengono i requisiti, decidono di passare al regime ordinario. Ricordiamo che l’opzione esercitata ha valenza per il triennio.

Chi ha adottato per la prima volta il regime forfetario nel 2024, nella dichiarazione Iva 2024 relativa al periodo di imposta 2023 deve barrare la casella VA14 per indicare che si tratta dell’ultima dichiarazione Iva presentata, infatti nel 2025 saranno esonerati dalla presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2024.

Leggi anche: Occhi puntati sugli Isa, pubblicate le nuove regole

Imprenditoria femminile 2024, tutti gli aiuti richiedibili

Imprenditoria femminile 2024 è una spinta per l’economia italiana in cui protagoniste sono le donne, ma quali sono gli aiuti richiedibili?

Imprenditoria femminile 2024, il fondo di Invitalia

Un dei fondi più conosciuti è probabilmente il progetto di Invitalia. Gli incentivi finanziano programmi di investimento per l’avvio o lo sviluppo delle imprese femminili da realizzare in 24 mesi. Il Fondo mette a disposizione un contributo a fondo perduto che varia in funzione della dimensione del progetto:

  • per progetti fino a € 100.000, l’agevolazione copre fino all’80% delle spese (o fino al 90% per donne disoccupate) entro un tetto massimo di € 50.000
  • per progetti fino a € 250.000, l’agevolazione copre il 50% delle spese, fino a un massimo di € 125.000

Possono accedere al fondo sia le nuove aziende che quelle costituite da meno di 12 mesi. In quest’ultimo caso si possono presentare progetti d’investimento fino a € 400.000. Tuttavia il Fondo prevede un mix di contributo a fondo perduto e finanziamento a tasso zero, con una copertura fino all’80% delle spese ammissibili, per un massimo di € 320.000.  Il finanziamento a tasso zero è da rimborsare in otto anni.

Nuove imprese a tasso zero

La misura “Nuove imprese a tasso zero” ha l’obiettivo di sostenere, su tutto il territorio nazionale, la creazione e lo sviluppo di micro e piccole imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile. Sono ammissibili le iniziative, realizzabili su tutto il territorio nazionale, promosse nei seguenti settori:

  • produzione di beni nei settori industria, artigianato e trasformazione dei prodotti agricoli;
  • fornitura di servizi alle imprese e alle persone ivi compresi quelli afferenti all’innovazione sociale;
  • commercio di beni e servizi;
  • turismo ivi incluse le attività turistico-culturali finalizzate alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico, nonché’ le attività volte al miglioramento dei servizi per la ricettività e l’accoglienza.

I programmi di investimento proposti dalle imprese costituite da non più di 36 mesi possono prevedere spese ammissibili non superiori a euro 1.500.000. Mentre per le imprese costituite da più di 36 mesi e da non più di 60 mesi, l’importo delle spese ammissibili non può essere superiore a euro 3.000.000.

Imprenditoria femminile 2024, altri contributi richiedibili

Ci sono poi diversi fondi che hanno carattere Regionale. Cioè le Regioni si impegna a riconoscere dei contributi per la nascita, crescita e sviluppo di attività che hanno una forte presente femminile. Per questo motivo, si invita a consultare i siti internet delle regioni in cui dovrebbe avere sede l’azienda.

Esiste poi anche il Microcredito di libertà. Si tratta di è un finanziamento a tasso 0 per la nascita e lo sviluppo di attività imprenditoriali delle donne che hanno subito violenza. Un finanziamento a tasso 0, fino ad un importo massimo di 50.000 euro per avviare o sviluppare attività d’impresa. La misura prevede l’assistenza gratuita di un tutor di microcredito sia nella fase di definizione del progetto imprenditoriale che in quella della restituzione del finanziamento.

Impresa agricola, arrivano bonus e contributi per i giovani

Impresa agricola arrivano bonus e contributi per i più giovani che decidono di avviarne una e di farlo puntando sull’innovazione.

Impresa agricola, innovazione e rispetto dell’ambiente

Agricoltura, innovazione e rispetto dell’ambiente sono i tre elementi cardine per ricevere contributi e bonus se si vuole avviare un’attività di questo tipo. Le novità grazie alla legge 36/2024Disposizioni per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile nel settore agricolo“, in vigore dall’8 aprile.

Come sottolineato dall’art 1. la legge è volta alla promozione e al sostegno dell’imprenditoria giovanile nel settore agricolo. Ma anche al rilancio del sistema produttivo agricolo mediante interventi per favorire l’insediamento e la permanenza dei giovani. Ed infine per favorire il ricambio generazionale nel settore agricolo, nel rispetto della normativa dell’Unione europea.

I contributi nel dettaglio e la risorsa finanziaria disponibile

A disposizione un fondo di 15 milioni di euro all’anno. Le risorse del fondo sono destinate prioritariamente a interventi finalizzati:

a) all’acquisto di terreni e strutture necessari per l’avvio dell’attività imprenditoriale agricola;

b) all’acquisto di beni strumentali, con priorità per quelli destinati ad accrescere l’efficienza aziendale e a introdurre innovazioni relative al prodotto, alle pratiche di coltivazione e di manutenzione naturale dei terreni e al processo di coltivazione dei prodotti attraverso tecniche di precisione;

c) all’ampliamento dell’unità minima produttiva, definita secondo la localizzazione, l’indirizzo colturale e l’impiego di mano d’opera, al fine di promuovere l’efficienza aziendale; d) all’acquisto di complessi aziendali già operativi.

In particolare nel caso di acquisto di terreni  lo sconto è pari al 40% per cui le imposte  dovute al rogito dovranno essere versate in misura pari al 60% rispetto a quelle ordinarie. A questa agevolazione si aggiunge il taglio del 50% dell’onorario del notaio per gli atti di compravendita di terreni entro il valore massimo di 200.000 euro.

Impresa agricola, i requisiti per accedere ai contributi

I bonus e contributi sono rivolti a imprese giovanili in qualsiasi forma costituite, che esercitano esclusivamente attività agricola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile. Inoltre occorre che:

a) il titolare sia un imprenditore agricolo di età compresa tra i 18 e 41 anni compiuti;

b) nel caso di società di persone e di società cooperative, almeno la metà dei soci sia costituita da imprenditori agricoli di età 18 e 41 anni compiuti;

c) nel caso di società di capitali, almeno la metà del capitale sociale sia sottoscritta da imprenditori agricoli di età superiore a diciotto e inferiore a quarantuno anni compiuti e gli organi di amministrazione siano composti, per almeno la metà, dai medesimi soggetti.

 

 

Addio smart working, sono ufficialmente cambiate le regole

Addio smart working, bocciato l’emendamento che ne prevedeva la proroga, ecco quindi come sono cambiate le regole.

Addio smart working, bocciato l’emendamento

Non ci resta che dire addio lo smart working, così come lo abbiamo conosciuto in questi ultimi anni. Una misura quanto mai amata durante il periodo delle restrizioni da covid-19, ma che ormai sempre più bandita. Infatti è anche stato bocciato l’emendamento del decreto milleproroghe per spostare in avanti il termine della sospensione. Non ne potranno usufruire neanche i lavoratori con figli sotto i 14 anni e coloro che sono definiti lavoratori fragili.

Pertanto la materia torna ad essere regolata delle norme ordinarie, sul lavoro agile che danno priorità ad alcune categorie di lavoratori:

  • lavoratori e lavoratrici con figli di età inferiore ai 12 anni;
  • senza alcun limite di età nel caso in cui ci siano figli con disabilità;
  • lavoratori  caregivers;
  • lavoratori con grave disabilità;
  • anziani da 65 anni in su.

Addio smart working, cosa devono fare le imprese?

Durante il periodo della pandemia molte imprese hanno trovato nello smart working la possibilità di continuare a lavorare senza diminuire il personale. Tanto che molte aziende hanno disciplinato questo tipo di lavoro all’interno dei propri contratti aziendali. Indicando in modo chiaro al nuovo assunto la tipologia di contratto in sottoscrizione, purché in linea con le norme vigenti.

Pertanto gli accordi tra imprese e lavoratore possono essere fatti sia per contratti a tempo indeterminato che per contratti a tempo determinato. Nel primo caso basta rispettare le regole sul lavoro agile, e le novità introdotte. Nel caso invece di contratti a termine, alla scadenza è prevista la possibilità di rinnovo. Per le aziende che non lo prevedono è possibile introdurlo rispettando le norme di legge e gli accordi relativi ai contratti collettivi nazionali.

Cosa deve contenere l’accordo individuale

Come già anticipato è previsto un accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro sullo smart working. La durata deve essere uno degli elementi ben indicati in qualsiasi tipologia contrattuale. Inoltre occorre:

  • Le modalità di alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali;
  • Il periodo di riposo;
  • Definire i mezzi necessari allo svolgimento dell’attività comprese le strutture elettroniche e le modalità di disconnessione;
  • luoghi in cui può essere svolta l’attività o meno;
  • Gli aspetti relativi all’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, inclusi i poteri direttivi del datore di lavoro e le possibili sanzioni disciplinari nel rispetto delle normative contrattuali.
  • Le forme e le modalità di controllo della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali;
  • Le modalità di esercizio dei diritti sindacali.

Fondo Nuove Competenze, a breve nuove opportunità

In attesa del decreto attuativo, ecco i requisiti per accedere al fondo nuove competenze. Il mondo del lavoro è in continua trasformazione. L’avvento dell’era digitale ha completamente innovatoil modo di lavorare, ma uno dei problemi più rilevanti è avere del personale con una formazione adeguata ai nuovi sistemi produttivi.

Cos’è il Fondo Nuove Competenze

Spesso le aziende hanno bisogno di riqualificare il personale per riuscire ad avere livelli di produzione adeguati al mercato. Purtroppo però se si hanno dipendenti che magari hanno un’età importante, non ci sono le competenze adeguate. Il rischio è non essere competitivi, oppure dover licenziare personale per assumere nuove professionalità. Il Fondo Nuove Competenze mira a evitare tali distorsioni nel mercato del lavoro.

Il Fondo Nuove Competenze nasce proprio con l’obiettivo di aiutare le imprese a formare il personale in modo da essere in grado di mantenere competitività nel mondo del lavoro.

Il Fondo Nuove Competenze ha l’obiettivo di offrire incentivi alle imprese che mettono a disposizione dei dipendenti la formazione.

È introdotto con l’articolo 88 del decreto Rilancio, è gestito dall’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) e l’erogazione avviene in favore delle imprese che forniscono a lavoratori e lavoratrici corsi di formazione interni al fine di dare maggiori competenze e adattarsi alle mutate esigenze del mondo del lavoro.

Come funziona il Fondo Nuove Competenze

Con l’accesso ai fondi le aziende possono ottenere fino al 60% dell’importo speso per la formazione. Al fine di ottenere il contributo è necessario che l’azienda stipuli accordi sindacali preventivi inerenti i progetti di formazione professionale per i dipendenti da mettere in campo.

Gli accordi devono indicare:

  • se i progetti sono finalizzati a una trasformazione dell’azienda, ad esempio a immettere nuove tipologie di produzione;
  • se sono destinati a promuovere l’occupabilità.

Il decreto attuativo, che dovrebbe essere pubblicato a breve, dovrà indicare i requisiti di accesso al Fondo, ad esempio se i contributi sono legati a una formazione minima oraria, nell’ultima versione la durata minima prevista era di 40 ore, mentre la durata massima di 200 ore.

Nel decreto attuativo sarà anche indicato se il contributo viene erogato al termine del corso come rimborso, oppure se viene erogato un anticipo.

Leggi anche: Smart working 2024, cambiano le regole dal primo aprile

Smart working 2024, cambiano le regole dal primo aprile

Smart working 2024 a partire dal primo aprile cambiano le regole per questa tipologia di lavoro, non rinnovato dal Milleproroghe.

Smart working 2024, addio a partire dal primo aprile

Dal primo aprile dovrebbero cambiare le regole per lo smart working. E’ la forma di telelavoro definito dall’ordinamento italiano come: «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa

A partire dall’emergenza Covid il lavoro di questo tipo ha trovato moltissimo utilizzo. E a fine emergenza molti lavoratori sono tornati nei propri posti di lavoro. Anche se qualche azienda ha mantenuto questo tipo di lavoro in quanto economicamente più conveniente. Ma a partire dal prossimo mese le cose potrebbero essere diverse.

Smart working 2024, quali sono le modifiche?

Con l’arrivo del primo del mese successivo scadono le procedure semplificate per il lavoro agile, indirizzate ai lavoratori fragili e a coloro che hanno figli sotto i 14 anni. Pertanto si torna agli accordi individuali. Secondo quanto previsto dalla legge 81/2017 e dal Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile sarà regolato secondo gli accordi individuali nel rispetto delle norme. Ad esempio come recita la legge: “ Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato“.

E se non vengono applicati i contratti individuali sullo smart working che tutelino lavoratori e datori, questi ultimi rischiano di essere multati. Infatti  le sanzioni possono andare dai 100 ai 500 euro. Gli accordi valgono sia per i contratti a tempo indeterminato che per quelli a tempo determinato.

Alcuni consigli per l’accordo individuale

All’interno dell’accordo individuale deve essere indicato il luogo in cui il lavoratore deve prestare la sua opera. Ma anche la mansione che deve svolgere. Nonché tutti gli strumenti da utilizzare in smart working, con le relative modalità di controllo. Tuttavia rimane il diritto alla disconnessione, pertanto deve essere ben definito anche l’orario di lavoro, come in un qualsiasi contratto di lavoro. Anche perché il lavoratore ha una vita che va al di fuori del proprio lavoro.

Infine, nell’accordo che definisce il rapporto di smart working devono essere specificati anche i termini di recesso. Per quanto riguarda i lavori a tempo indeterminato, in ogni caso, il preavviso non può essere inferiore ai 30 giorni, con la sola eccezione del recesso con giustificato motivo.

 

Concordato preventivo biennale, reddito alto per chi ha un Isa basso

Procedono i lavori per stabilire le norme per determinare il reddito per il biennio per il concordato preventivo, naturalmente queste norme non trovano applicazione per i forfettari perché per loro, in via sperimentale, l’accordo avrà validità di 1 anno. Ecco le prime indicazioni sul concordato preventivo e il reddito dell’accordo proposto.

Concordato preventivo biennale con reddito diverso per i due anni

Fulcro centrale del concordato preventivo biennale è la determinazione della base imponibile e quindi della tassazione applicabile per due anni.

Fin dalle prime note sul concordato preventivo biennale molti esponenti politici hanno parlato di un sistema volto ad agevolare l’evasione fiscale, man mano però si stanno delineando i tratti di questo metodo fiscale di calcolo delle imposte che dovrebbe in realtà portare all’emergere dell’evasione fiscale.

Nelle prime formulazioni, il concordato preventivo biennale era accessibile solo a coloro che avevano un punteggio Isa almeno pari a 8. Si è poi passati a una formulazione più ampia in cui non serve un’elevata affidabilità fiscale, ma ovviamente la proposta di imponibile e quindi di tassazione tiene conto anche dell’indice di affidabilità fiscale e non solo dei redditi dichiarati negli anni precedenti.

C’è però ora un ulteriore dettaglio, infatti sembra che il concordato preventivo biennale debba portare a un aumento dell’imponibile dichiarato e per i due anni di imposta, 2024 e 2025, l’imponibile base dell’accordo non sarà uguale ma incrementato, cioè l’imponibile proposto per il 2025 sarà più elevato rispetto all’imponibile del 2024. Inoltre la proposta sarà strettamente correlata all’affidabilità fiscale, al punto che l’obiettivo del governo è far arrivare i contribuenti a un punteggio Isa pari a 10.

In poche parole il Fisco calcola il reddito necessario per avere un punteggio isa 10 e lo spalma su due anni.

Regole severe per chi ha un punteggio Isa basso

Ovvio che l’impatto maggiore sarà per coloro che hanno un punteggio Isa attuale particolarmente basso.

Coloro che hanno un punteggio Isa inferiore a 6 dovranno pagare il costo dell’adeguamento del reddito imponibile ai singoli indicatori elementari ISA, sia quelli di affidabilità che di anomalia come i ricavi per addetto o la durata delle scorte, che daranno risultati non sufficienti (di non affidabilità fiscale) .

Si continuerà a tenere inoltre in considerazione la redditività del settore.

Naturalmente questi sono i primi dettagli che emergono dai lavori che sta portando avanti il comitato degli esperti.

Leggi anche: Concordato preventivo biennale, approvato il modello di adesione

Bonus colonnine di ricarica, dal 15 marzo 2024 al via le domande

Dalle ore 12:00 del 15 marzo 2024 professionisti e imprese possono richiedere il bonus colonnine di ricarica. La piattaforma sarà aperta fino al 20 giugno 2024. Ecco cosa sapere.

Cos’è il bonus colonnine di ricarica 2024

Il bonus colonnine di ricarica 2024 è rivolto a professionisti e imprese, è gestito da Invitalia e promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Il fondo disponibile è di 87,5 milioni di euro. Il bonus può essere richiesto per l’installazione di colonnine di ricarica per auto elettriche avvenute successivamente al 4 novembre 2021. Non vi sono limiti rispetto alla dimensione dell’impresa e l’ammontare del bonus può ricoprire fino al 40% del costo sostenuto per l’installazione. Devono però essere rispettati i limiti previsti per gli aiuti de minimis.

Chi può ottenere il bonus colonnine di ricarica?

Affinché si possa accedere agli incentivi è necessario che l’impresa sia in regola con tutti gli adempimenti contributivi, previdenziali, in particolare è necessario avere il Durc (documento unico di regolarità contributiva). Inoltre possono accedere solo le imprese in regola con gli adempimenti fiscali.

Non possono accedere le imprese sottoposte a procedura concorsuale e non si trovano in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente ai sensi della normativa vigente.

Per ottenere il Bonus è necessario che le spese sostenute siano state oggetto di fatturazione elettronica.

Per i professionisti ci sono anche requisiti specifici, in particolare possono accedere solo coloro che hanno un volume d’affari superiore al valore delle infrastrutture per l’installazione delle colonnine di ricarica. Si deve fare riferimento ai dati contenuti nell’ultima dichiarazione IVA trasmessa all’Agenzia delle Entrate.

Per i professionisti che applicano il regime forfettario, il valore dell’infrastruttura di ricarica non può essere superiore a 20.000 euro.

A quanto ammontano gli incentivi per l’installazione di colonnine di ricarica?

Le spese possono riguardare l’acquisto e messa in opera di infrastrutture di ricarica, comprese le spese di installazione delle colonnine, gli impianti elettrici, le opere edili strettamente necessarie, gli impianti e i dispositivi per il monitoraggio. Infine, nel caso in cui ci siano stati provvedimenti precedenti di revoca di aiuti, gli stessi devono essere stati già restituiti.

Trattandosi di un contributo gestito da Invitalia, la domanda deve essere presentata attraverso il sito ufficiale.

Gli importi riconoscibili sono fino al 40% della spesa sostenuta e dimostrabile, sono però previsti dei limiti di spesa massima:

infrastrutture di ricarica in corrente alternata di potenza da 7,4 kW a 22kW inclusi:

  • wallbox con un solo punto di ricarica: 2.500 € per singolo dispositivo;
  • colonnine con due punti di ricarica: 8.000 € per singola colonnina.

infrastrutture di ricarica in corrente continua:

  • fino a 50 kW: 1000 €/kW;
  • oltre 50 kW: 50.000 € per singola colonnina;
  • oltre 100 kW: 75.000 € per singola colonnina.

Per ulteriori informazioni di dettaglio invitiamo a consultare la scheda dell’agevolazione sul sito Invitalia. Dallo stesso sito è possibile inoltrare la domanda.

Leggi anche: Workers buyout, le imprese rigenerate dai propri lavoratori

Workers buyout, le imprese rigenerate dai propri lavoratori

Workers buyout è il fenomeno sempre più crescente e che permette ai lavoratori di riprende in mano le redini dell’azienda.

Workers buyout, in che cosa consiste?

La crisi economica ha prese a dura prova diverse aziende che hanno dovuto chiudere battenti. Intere famiglie si sono trovare a terra, ma non hanno mollato. E così capita che i lavoratori si uniscano, mettano insieme le loro risorse finanziarie per riprendere la produzione. Ebbene i lavoratori passano a diventare imprenditori e spesso con risultati migliori dei precedenti.

Legalmente è possibile e prendere il nome di Workers buyout, cioè un’azione di salvataggio dell’azienda o di parte di essa, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà. Questi interventi sono resi possibili dal sostegno della Legge Marcora (L. 49/1985), efficacie strumento di politica attiva del lavoro, utilizzato per rigenerare un’impresa in crisi economica oppure nei casi in cui bisogna favorire un ricambio generazionale all’azienda senza eredi interessati a dare continuità all’attività imprenditoriale.

Workers buyout, un mercato in crescita

Il workers buyout nasce negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta. E’ stata la soluzione alla chiusura di numerose imprese americane chiuse a causa della recessione allora in atto. Ai lavoratori, ad esempio nel caso dell’acquisizione della Great Atlantic & Pacific Tea Company è stato chiesto, dal sindacato, di conferire un contributo iniziale pari a 5 mila dollari. Inoltre è anche chiesta una decurtazione in busta paga di 200 dollari per realizzare questo processo che li ha visti diventare anche imprenditori. Il WBO coinvolge sia grandi imprese che piccole realtà. Tra queste ci sono: la National Steel Mill in Virginia e i supermercati in Pennsylvania.  Il fenomeno sta crescendo anche in Argentina, Europa e nel nostro Paese.

Ma quali sono i passi per acquisire un’azienda in crisi?

Sono sette i passi da compiere per poter acquisire un’azienda in crisi secondo la metodologia del workers buyout:

1. un’impresa si trova in liquidazione o fallisce, oppure conosce un momento di difficoltà ad esempio per la mancanza di un successore naturale del titolare;

2. i dipendenti (tutti o soltanto alcuni) possono riunirsi in cooperativa e rilevare i beni aziendali per proseguire o riavviare la produzione;

3. il primo passo consiste nel prendere contatto con le strutture territoriali delle cooperative per valutare attentamente cosa è necessario fare per costituire una cooperativa;

4. devono poi essere valutate, insieme anche ai sindacati, le condizioni affinché l’operazione possa avere successo;

5. se l’esito di questa prima verifica è positivo, per mettere la cooperativa in condizione di avviare l’attività, i soci devono mettere a disposizione i propri risparmi personali e/o il TFR e/o l’anticipo dell’indennità di mobilità o della NASpI;

6. questo capitale può essere integrato dal sostegno degli appositi fondi mutualistici delle Associazioni di riferimento che possono intervenire concedendo un prestito o acquisendo pro tempore una partecipazione nella cooperativa;

7. i primi passi della nuova impresa possono essere inoltre integrati da finanziamenti agevolati erogati dalle finanziarie appositamente costituite dal Ministero dello sviluppo economico, sia mettendo a disposizione un sistema di relazioni con potenziali fornitori, partner e clienti e con il sistema creditizio.

Riscatto contributi con i premi di produttività, istruzioni

L’Agenzia delle Entrate con la circolare 5 del 7 marzo 2024 fa alcune precisazioni sul welfare aziendale e tra queste vi è la possibilità di riscattare i buchi contributivi con i premi di produttività.

Premi di Produttività: cosa sono

I premi di produttività sono incentivi riconosciuti a lavoratori che contribuiscono a un miglioramento di redditività dell’azienda, efficienza, qualità e innovazione, misurabili e verificabili sulla base dei criteri definiti nel contratto aziendale o territoriale.

Per questi premi è prevista un tassazione Irpef agevolata al 10%, aliquota ridotta al 5 % per gli anni di imposta 2023 e 2024.

Oltre a precisare ciò, l’Agenzia delle Entrate, nella circolare 5 ha specificato che il lavoratore può utilizzare i premi di produttività a copertura di buchi contributivi. Sappiamo tutti quanto sia importante, al fine di maturare un assegno pensionistico soddisfacente, maturare un elevato numero di settimane contributive. Purtroppo nel tempo il lavoro è diventato sempre più frammentario e soprattutto i più giovani si ritrovano con buchi nei contributi pensionistici. Al fine di evitare ciò, viene data la possibilità di versare i contributi volontari, sebbene con dei limiti. Specifica la circolare che “L’articolo 1, comma 126, della legge di bilancio 202428 prevede, per il solo biennio 2024-2025, la facoltà di riscattare, ai fini pensionistici, determinati periodi non coperti da contributi previdenziali”.

Come riscattare i contributi con i premi di produttività

La norma prevede che in via sperimentale, per il solo biennio 2023-2024, gli iscritti presso una delle gestioni previdenziali amministrate dall’INPS, privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 e non già titolari di pensione, possano riscattare, in tutto o in parte, i periodi antecedenti alla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2024. I buchi contributivi possono essere riscattati fino a un massimo di 5 anni anche non continuativi e comunque antecedenti rispetto alla legge di bilancio 2024.

Con la circolare si specifica che i lavoratori che hanno maturato tali buchi contributivi possono chiedere al datore di lavoro di coprirli con i premi di produttività. In questo caso l’importo corrispondente è portato in deduzione dal proprio reddito d’impresa o dal proprio reddito di lavoro autonomo. Le somme a loro volta non concorrono a determinare il reddito da lavoro dipendente.

Leggi anche: Bonus dipendenti e fringe benefit, le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate

Welfare aziendale 2024, la circolare dell’Agenzia delle entrate