Finanziamenti per l’internazionalizzazione delle pmi di Varese

Lunedì 6 marzo si aprirà il bando proposto dalla Giunta della Camera di Commercio di Varese, che stanzierà 250mila euro alle micro, piccole e medie imprese per agevolare la loro partecipazione alle rassegne fieristiche internazionali di spicco.

Il Bando Fiere Internazionali 2017 elargisce alle aziende un contributo pari al 30% delle spese di locazione e di allestimento degli spazi espositivi, fino a un massimo comunque, di 2.000 euro per le fiere internazionali ospitate in Italia e comprese nei Paesi dell’Unione Europea, inclusa la Svizzera, e di 2.500 euro per le fiere nel resto del mondo.

La novità più evidente del 2017 è che, nel finanziare le imprese, verranno favorite quelle che negli ultimi cinque anni non hanno beneficiato del contributo camerale o ne hanno usufruito solo per due annualità.

Durante il 2016 sono stati 223 gli eventi fieristici per i quali le realtà imprenditoriali varesine hanno ricevuto questo particolare contributo, che è stato utilizzato per partecipare a rassegne negli Stati Uniti e Cina, due destinazioni però in calo rispetto al 2015, ma anche negli Emirati Arabi Uniti e in Russia.
Rimane comunque la Germania la meta più gettonata, scelta nel 34% dei casi, e anche la Francia, forse anche grazie alla sua vicinanza.

Vera MORETTI

 

Le conseguenze, positive, di Expo su Milano

Nei mesi in cui a Milano è attivo Expo sono stati organizzati dalla Camera di Commercio attraverso l’azienda speciale Promos diecimila incontri B2B che metteranno in contatto mille imprenditori stranieri con mille imprenditori milanesi e lombardi, che spesso porteranno alla firma di nuovi contratti.

Tra le delegazioni straniere che approderanno sotto la Madonnina fino ad ottobre ci sono Cina, Giappone, America Latina, Turchia, Polonia, che si sommano a incontri con Birmania, Francia, Austria tra i diversi interlocutori.

E’ ancora possibile prenotare gli incontri, tramite accesso ad una pagina dedicata al business internazionale per Expo: Promos-milano.it/Promos-Per-Expo2015/.

Bruno Ermolli, presidente di Promos, ha dichiarato: “Milano rappresenta quasi un settimo dell’interscambio nazionale col 9% delle esportazioni italiane nel 2014 (37 miliardi su 398) e il 16% dell’import (57 miliardi su 355). Ecco perché la Camera di commercio ha voluto creare una nuova figura di mediatore non solo degli affari, ma anche culturale, specializzata negli scambi con l’estero. Nell’anno di Expo arriviamo a quota 150 di questi esperti, che possono aiutare a far crescere le imprese grazie allo sviluppo del business estero. Operatori pronti ad affrontare le sfide internazionali che quest’anno vedono un picco, grazie anche agli incontri promossi da Camera di commercio e Promos, che saranno circa diecimila tra circa mille operatori esteri e altrettanti imprenditori del nostro territorio”.

Ma le iniziative non sono tutte qui, perché, grazie al master Made in Milan, sono state sviluppate venti nuove idee di export nel mondo:

  • la comparazione tra strategia di internazionalizzazione fra Stati Uniti ed Africa Sub Sahariana;
  • la strategia di ingresso in un nuovo mercato africano;
  • la distribuzione del toiletry “made in italy” nella grande distribuzione messicana per le famiglie messicane;
  • l’offerta di prodotti petroliferi in America Latina;
  • le strategie di internazionalizzazione verso l’America Latina e il caso Ecuador;
  • il consolidamento della presenza in Cina e lo sviluppo di una rete commerciale;
  • un nuovo brand internazionale per il Montefeltro;
  • l’attrattività dei mercati della zootecnia in Africa;
  • la consulenza con necessità finanziarie per lo sviluppo internazionale;
  • una joint venture con un partner locale nell’ASEAN;
  • caffè o Çay per entrare sul mercato turco;
  • un progetto di Export in Malesia;
  • lo scambio di innovazione tra Milano e il Maghreb;
  • il design con pietra naturale in Brasile;
  • l’e-commerce all’estero nel settore alimentare.

E’ inoltre previsto che per il periodo 2012-2020 la produzione aggiuntiva dovuta a Expo come legacy dell’evento sarà di 6,2 miliardi di euro, come è emerso da una ricerca effettuata dalla Camera di Commercio di Milano e dalla Società Expo 2015 e affidata a un team di analisti economici coordinati da Alberto Dell’Acqua professore SDA Bocconi.

Vera MORETTI

Vinitaly 2015 scalda i motori

Mancano ormai pochi giorni all’apertura di Vinitaly 2015 (Fiera di Verona, 22-25 marzo) e l’appuntamento più importante d’Europa per l’enologia italiana è da sempre il momento per analisi e riflessioni su una delle più grandi ricchezze del made in Italy, il vino.

Del resto, lo stesso ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, in occasione della conferenza stampa di presentazione di Vinitaly 2015 (la 49esima edizione della fiera) è stato chiaro: “Oggi – ha affermato – possiamo presentare insieme un appuntamento fondamentale per il sistema italiano, perché Vinitaly rappresenta nel mondo tutta l’esperienza vitivinicola nazionale. A Verona sarà l’occasione per fare insieme il punto delle cose fatte dal Governo per la semplificazione burocratica e l’internazionalizzazione delle nostre aziende e per lanciare i nuovi obiettivi oltre l’Expo 2015, tra questi il Testo Unico sul vino, per la riorganizzazione e il riordino del comparto”.

Un impegno chiaro da parte del Governo a supporto del vino italiano, grazie alla validità della collaborazione con Veronafiere per l’attuazione di politiche di sviluppo economico e di promozione del made in Italy sui mercati internazionali, tra le quali Vinitaly 2015 assume il ruolo principale.

Come detto, Vinitaly 2015 è l’occasione per analizzare trend e andamenti del mercato enologico italiano. In questo senso, il 2014 è stato difficile per varie congiunture internazionali, ma il sentiment delle aziende è positivo, come risulta da un’indagine di Vinitaly su 30 tra le realtà enologiche più importanti. Si tratta di un panel “scientificamente non rappresentativo”, ma certamente significativo per il volume d’affari espresso, complessivamente circa 2 miliardi di fatturato, e per la dinamicità imprenditoriale.

Ne è emerso che nel 2014 si è registrata una crescita del fatturato delle cantine italiane pari al 5% rispetto al 2013 e, dato importante, il 55% di queste esprime fiducia per il 2015; il 35% in questi primi due mesi ha già avuto riscontri positivi e il 5% prevede un anno molto positivo: «Abbiamo imparato che di questi tempi è difficile fare previsioni e che i numeri cambiano velocemente, specie alla luce dei repentini e imprevedibili cambi negli assetti geopolitici internazionali che possono avere effetti diretti sul comparto, ma è indiscutibile – ha detto Giovanni Mantovani, Direttore Generale di Veronafiere – che il settore vitivinicolo italiano mostra la sua vivacità e capacità di crescita».

Vinitaly 2015 è stata proprio pensata per permettere a produttori e operatori di amplificare al massimo le opportunità che si stanno delineando e per crearne di nuove. Incontri b2b sono stati organizzati tra i buyer delle delegazioni ospitate e le aziende espositrici all’interno dell’International Buyer Lounge. Un grande convegno, richiesto da consorzi di tutela, aziende vitivinicole e altre realtà del settore, approfondirà invece il tema delle trattative ITTP (Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti con gli Usa). A questo, si aggiungono i focus su Hong Kong, Cina, USA, Russia, Brasile, Australia.

La fiducia sulla qualità delle iniziative di Vinitaly 2015 è confermata dal consolidamento oltre quota 4mila del numero di espositori e della superficie occupata sopra i 91mila metri quadrati, che diventano 100mila con Sol&Agrifood ed Enolitech, i saloni dell’agroalimentare di qualità e dei mezzi tecnici per la filiera del vino e dell’olio che si svolgono in contemporanea.

A Vinitaly 2015 ci sarà anche la presentazione ufficiale di “Vino – A taste of Italy”, il padiglione del vino all’interno del Padiglione Italia di Expo2015, realizzato da Veronafiere-Vinitaly su incarico del ministero delle Politiche Agricole, Padiglione Italia ed Expo 2015 SpA.

Federlegno Arredo punta all’Africa

La lavorazione del legno e l’interior design sono due eccellenze dell’impresa italiana ben valorizzate da Federlegno Arredo. I mercati mondiali in cui si esportano i prodotti del settore sono svariati e uno di questi è l’Africa sub sahariana. Per dare un’ulteriore spinta alla diffusione delle nostre eccellenze in quell’area, è stata costituita la prima rete di imprese per la diffusione di interior design in Africa sub sahariana, da Federlegno Arredo Eventi, in collaborazione con Rödl & Partner, società di consulenza sui mercati internazionali.

Come comunica Federlegno Arredo, al progetto partecipano cinque aziende del settore legno arredo: Gibus spa (tende per esterno), Carpanelli spa (mobili classici), Colombo Mobili srl (mobili classici), Siloma srl (arredamento moderno) e Arcari Arredamenti snc (cucine e bagno new classic).

Da qualche anno l’Africa sub sahariana è oggetto di interesse da parte di molte imprese italiane. Federlegno Arredo Eventi si è già attivata per promuovere le aziende del settore presso gli addetti ai lavori locali attraverso l’organizzazione di missioni e incontri B2B, che hanno consentito di penetrare in aree caratterizzate da una crescita insospettabilmente forte. La rete ha quindi l’obiettivo di favorire l’ingresso delle aziende aderenti nell’area sub sahariana, in particolare sul mercato nigeriano, mediante il supporto di un manager di rete e un presidio diretto in loco.

Che questo mercato sia tenuto sotto stretta osservazione è testimoniato dal fatto che nel solo 2014 un quinto di tutte le missioni B2B organizzate da Federlegno Arredo Eventi ha avuto come meta l’Africa sub sahariana, in particolare Kenya, Nigeria e Ghana.

Secondo i consuntivi elaborati dal Centro Studi Federlegno Arredo Eventi, nel primo semestre del 2014 le esportazioni in quest’area del macrosistema arredamento hanno raggiunto i 62,87 milioni di euro, con un incremento del +29,7% rispetto al corrispondente periodo del 2013. Le stime segnalano che nel 2030 la popolazione urbana dell’Africa arriverà ai 748 milioni di persone, superando quella europea che si fermerà a 685 milioni. Un mercato potenzialmente sconfinato.

“Dalle più recenti stime – ha commentato Roberto Snaidero, Presidente di Federlegno Arredo Eventi – il settore dell’arredo e del design di interni in Africa è cresciuto esponenzialmente. Con la creazione della rete vogliamo rendere più accessibile alle aziende una tale opportunità, e siamo convinti che sarà un successo perché il made in Italy non ha eguali nel mondo”.

Imprese femminili, c’è ancora molta strada da fare

Quando si parla di pari opportunità, parità di genere e imprese femminili, spesso il mondo dell’imprenditoria, ancor più se piccola o media, ha ancora parecchia strada da fare. Una conferma arriva dai dati dell’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere – aggiornati a fine giugno 2014 – e dalle indicazioni del Sistema informativo Excelsior, di Unioncamere e ministero del Lavoro. Dallo studio appare chiaro che a pesare maggiormente sulle prospettive delle imprese femminili, restano le difficoltà legate alla solitudine decisionale in cui spesso le imprenditrici si trovano a operare, insieme alla frequente insostituibilità della figura dell’imprenditrice stessa nei processi di lavoro e nei rapporti con il mercato.

Secondo quanto emerge da questi dati, ancora a metà del 2014 le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (sono circa 1,3 milioni su un totale di poco più di 6) e danno lavoro al 45,23% degli occupati dipendenti, 7,6 milioni sul 16,6.

La notizia incoraggiante, invece, è che le imprese femminili stanno affrontando la crisi con decisione e creatività. Intanto, creano nuove imprese a un ritmo superiore alla media: +0,73% l’aumento del numero di imprese femminili registrato nel periodo aprile-giugno 2014, contro una variazione media complessiva dello 0,42%.

Inoltre, nel 2014 si è ampliata la quota di assunzioni per le quali i datori di lavoro considerano irrilevante il genere del candidato: 52,8% rispetto al 48,5% del 2010. Questo significa che le donne lottano ad armi pari con gli uomini per entrare nel mercato del lavoro.

Il 70,5% delle imprese femminili (912.664 su 1.294.880) si concentra nei settori dei servizi alla persona, sanità, istruzione, agricoltura, commercio e turismo, intrattenimento. Costruzioni, fornitura di energia elettrica, trasporti ed estrazione di minerali fanno registrare invece un tasso di femminilizzazioni inferiore al 10%.

Parlando di territorio, le imprese femminili si concentrano prevalentemente al Sud: Molise, Basilicata e Abruzzo hanno un tasso di femminilizzazione superiore al 25%, mentre i valori più bassi si registrano in quattro regioni del Centro-Nord (meno del 20% del totale). La provincia più rosa è quella di Benevento, con il 30,52% di imprese guidato da donne, quella meno rosa è Milano (16,3%).

Parlando di età delle imprese femminili, il 65,7% di loro è nato dopo il 2000 (contro il 60,3% della media complessiva), e solo il 12,4% è nato prima del 1990 (contro il 16,6% della media). Il 65,5% delle attività è impresa individuale e il 69,5% conta unicamente sulla titolare o al massimo un addetto e il 94,2% non supera la soglia dei 5 addetti.

Secondo il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “l’impresa femminile si conferma meno strutturata e più sottodimensionata rispetto alla media, e per questo ha ampi margini di sviluppo che vanno colti per ridare slancio all’occupazione e alla crescita. Va sostenuto e promosso il desiderio di tante donne, capaci e qualificate, che guardano all’impresa e al mercato come un’opportunità per essere protagoniste del proprio progetto di vita. Il sistema camerale mette a disposizione strumenti mirati allo sviluppo di questi progetti con iniziative per la formazione, l’accesso al credito, l’internazionalizzazione”.

Fatturazione elettronica, chi la deve fare

Indicata da molti come una delle strade possibili per fare chiarezza nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e imprese fornitrici, la fatturazione elettronica è ora una realtà. In questo modo, come detto, dovrebbero diventare più chiari i flussi di fornitura verso la Pa e, forse, potrebbero trarre beneficio anche i tempi di pagamento nei confronti delle imprese private, che nello Stato hanno oggi il loro maggior creditore.

La decorrenza per le nuove modalità di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica Amministrazione era il 6 giugno scorso per ministeri, agenzie fiscali ed enti previdenziali e assistenziali. Per gli altri Enti della Pa l’obbligo sarebbe dovuto decorrere un anno dopo, dal 6 giugno 2015, ma l’art. 25 del D.L. 24 aprile 2014 n. 66 ne ha anticipato l’adempimento di 3 mesi, al 31 marzo 2015.

Secondo quanto riporta la Circolare 1/DF diffusa il 31 marzo 2014 dal ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, pur esistendo uno specifico divieto di pagamento dei fornitori in assenza di fatturazione elettronica, è tuttavia previsto un periodo transitorio in cui la Pa potrà accettare fatture cartacee. Amministrazioni ed Enti pubblici nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore del nuovo adempimento potranno accettare fatture cartacee emesse antecedentemente a tale data.

Nel documento di prassi è anche spiegato il perché si è scelto di concedere un periodo transitorio alla fatturazione elettronica. Infatti, la trasmissione della fattura in formato cartaceo non può essere istantanea, ragion per cui dal momento della spedizione al momento della ricezione passano spesso diversi giorni. In ogni caso, terminato il trimestre di transizione, le vecchie fatture non saranno più accettate e i fornitori non potranno più essere pagati.

Turisti stranieri, in Italia resta solo la metà di quanto spendono

Quando ci mettiamo d’impegno, noi italiani siamo un popolo straordinario. Sia nel fare le migliori cose, sia nel rovinarci con le nostre stesse mani, riuscendo a dissipare il patrimonio di creatività, arte, voglia di fare e natura che il buon Dio ci ha dato. Ma noi di INFOIVA non smettiamo di credere nelle capacità delle parti sane che compongono il tessuto produttivo del nostro Paese di cambiare le cose, a dispetto di una politica sorda, aliena, lontana. E non smettiamo di farlo neanche quando ci imbattiamo in questi dati, affrontando questa settimana il tema dell’industria turistica italiana, facendo il punto su quanto emerso dalla Bit, la Borsa Internazionale del Turismo che si è tenuta la scorsa settimana a Milano.

Secondo quanto emerge dalla ricerca realizzata da Confturismo – Confcommercio in collaborazione con il CISET (Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, meno della metà della spesa dei turisti stranieri arriva in Italia, mentre il rimanente arricchisce le economie estere. Dei 5,7 miliardi di euro di fatturato generato dalla vendita di pacchetti ai turisti stranieri, solo 2,7 miliardi (il 47,1%) rimane in Italia, mentre i restanti 3 miliardi (52,9%) vanno a remunerare la filiera estera.

I 5,7 miliardi di euro vengono innanzitutto depurati dal costo del trasporto effettuato da vettori internazionali (che pesa per il 39% sul costo finale del pacchetto). Poi, dal prezzo depurato viene detratto il mark up del Tour operator estero e la remunerazione del canale distributivo collegato (12,2% del costo finale). Il totale delle detrazioni ammonta così al 52,9% del fatturato totale.

A fronte di un turismo incoming organizzato che nel 2012 ha registrato un andamento migliore rispetto all’incoming totale, sia in termini di arrivi sia di spesa (+7,2% e +12,5%, rispettivamente, contro +0,6% e +3,8% per l’incoming totale) la filiera italiana cattura meno del 50% dei ricavi totali (47,1%). Ma il contributo che il turismo incoming dà all’economia italiana è molto superiore a quanto deriva dalla vendita dei pacchetti. In particolare, un turista internazionale che sceglie di acquistare un pacchetto per un soggiorno o un tour in Italia spende, in media, 1.054 euro per il pacchetto, ma lascia sul territorio altri 388 euro a testa di spesa extra. Un capitale letteralmente dissipato.

Turismo, che Natale è stato? Siamo ancora fermi a 20 anni fa?

di Davide PASSONI

Tante volte dalle pagine di INFOIVA ci siamo occupati dell’industria italiana del turismo, sottolineando quanto sia vitale per l’economia del nostro Paese e quanto, come spesso accade per le eccellenze e le “filiere” del made in Italy, chi ne fa parte soffra di un male pericoloso: quello di ragionare, muoversi e decidere in ordine sparso.

Si fa sempre un gran parlare dipingendo la nostra industria turistica come il “petrolio” d’Italia, l’immensa ricchezza da valorizzare ecc.., ma poi le politiche latitano o si dimostrano insufficienti. I nodi, tipicamente, vengono al pettine nei periodi di maggior movimento e afflusso verso il nostro Paese: i ponti di primavera, le vacanze estive, il periodo natalizio, quello appena trascorso.

Nodi grossi, inestricabili che la crisi ha avuto il merito, diciamo noi, di portare in evidenza. Fino a quando la gente aveva di che spendere e spandere, anche quando l’offerta turistica italiana era nel complesso mediocre o comunque non all’altezza di quella di altri Paesi europei o del Mediterraneo, le magagne potevano essere nascoste serenamente sotto al tappeto. Ora non più. I soldi sono pochi, la voglia di avere servizi di livello spendendo, se non poco, quantomeno il giusto è sempre più evidente, le arretratezze o le fregature non passano più. Ecco perché, poi, italiani e stranieri preferiscono passare le proprie vacanze lontano dall’Italia.

Sarà successo così anche in queste ultime festività natalizie? INFOIVA cercherà di capirlo in questa settimana anche perché, se i dati sono negativi, il tempo per recuperare è sempre meno. Passate le Feste, ormai Pasqua e la primavera sono dietro all’angolo. Esagerati? Forse, ma il turismo e il turista non sono più quelli di 20 anni fa: assurdo gestirli o attirarli con politiche vecchie e poco integrate.

Microimprese, vero motore dell’Italia

Un rapporto appena presentato da Istat ha confermato che sono le microimprese, in Italia, a rappresentare il valore aggiunto dell’economia nazionale.

I dati, a questo proposito, sono piuttosto eloquenti: nel 2011 le imprese attive dell’industria e dei servizi di mercato erano 4,4 milioni e occupavano circa 16,3 milioni di addetti (11,1 milioni i dipendenti).
La dimensione media delle imprese era di 3,7 addetti e realizzavano un valore aggiunto di circa 721 miliardi di euro (+1,9% rispetto al 2011).

Ad oggi, le microimprese, ovvero con meno di 10 addetti, rappresentano il 95,1% delle imprese attive, il 47,2% degli addetti e il 31,4% del valore aggiunto realizzato.

Nel settore dell’industria le imprese attive sono circa 443 mila; assorbono 4,2 milioni di addetti e realizzano circa 249 miliardi di euro di valore aggiunto (+4,6 miliardi di euro rispetto al 2010).
Nei servizi sono attive 3,3 milioni di imprese con 10,4 milioni di addetti (il 37,5% indipendenti) e 413 miliardi di euro di valore aggiunto (+10,6 miliardi di euro rispetto al 2010).
Le micro imprese dei servizi contribuiscono per il 23,1% alla produzione di valore aggiunto complessivo, seguite dalle grandi imprese dei servizi (17,3%) e dalle grandi imprese dell’industria in senso stretto (13,3%).

Vera MORETTI

Anche le aziende scoprono i social


Ormai da qualche anno i social sono entrati stabilmente nelle case e nelle vite delle famiglie italiane, ma solo ultimamente le aziende sembrano averne compreso le grandi potenzialità in ambito professionale. Non solo distrazioni e svago quindi, ma anche utili piattaforme per generare business.

Condividere documenti, collaborare e comunicare con clienti e colleghi sparsi per il mondo, promuovere qualunque iniziativa aziendale con un semplice click, sono solo alcune delle attività che si possono svolgere, sempre comodamente dalla scrivania del proprio ufficio, con il supporto dei nuovi strumenti social.

Tra i social, ancora quello più apprezzato risulta essere Facebook, con il quale le aziende, tramite un semplicissima Fan Page, possono diffondere velocemente  il brand nell’immenso mondo virtuale creato dal genio di Mark Zuckemberg.

Nei mesi scorsi 1&1, azienda leader del web hosting, ha dato alla luce il nuovo  Social Media Center che permette alle PMI di accrescere la propria brand awareness e potenziare la relazione con i propri clienti attraverso i principali social network, permettendo di creare una fan page professionale a partire dagli stessi contenuti del sito aziendale.

 Jacopo MARCHESANO