Imprese: ne ammazza di più l’incertezza o la pressione fiscale?

di Davide PASSONI

Lo dicono tutti, non solo le statistiche: la pressione fiscale in Italia è a livelli vergognosi. Se nel 1960, in pieno boom economico, si attestava intorno al 23% e non è mai salita oltre il 30% fino al 1980, ormai viaggiamo abbondantemente oltre il 50% e le cose non sono destinate a migliorare.

Uno stillicidio, una crescita ininterrotta che è la pietra tombale sopra a consumi, famiglie e, soprattutto, imprese. Per queste ultime, poi, c’è il cocktail mortale che mixa insieme tasse e burocrazia. I due nemici del fare impresa in Italia sono due mostri sempre più forti che fanno chiudere le aziende e fanno terra bruciata intorno al sistema produttivo italiano.

Però, sul fronte delle imposte, c’è un altro aspetto che, a nostro avviso, è altrettanto deleterio se non ancora più mortale della pressione fiscale: l’incertezza fiscale. In Italia non si sa mai se si pagherà una tassa, quando la si pagherà, come la si pagherà. Un’impresa non può redigere un bilancio sensato e coerente perché le regole cambiano in corso d’opera, si introducono nuovi adempimenti, scattano proditorie retroattività che violano qualsiasi regola del fare impresa e del vivere civile, con un’unica certezza: le tasse aumentano.

Diteci voi, in questo quadro fiscale come è possibile fare impresa e, soprattutto, come è possibile attirare investitori stranieri in un Paese nel quale l’incertezza è la regola e l’impresa è vista come una vacca da mungere anziché un toro da addestrare ad andare alla carica degli altri mercati.

Questa settimana Infoiva cercherà di analizzare questa crescita della pressione fiscale ascoltando più voci e, soprattutto, tentando di non farsi deprimere più del lecito. Perché, comunque, fare impresa resta una missione e se si soccombe la missione è fallita in partenza.

Istat su Commercio: a giugno -3% le vendite

Rispetto a giugno 2012, l’indice grezzo del totale delle vendite segna una flessione del 3,0%, a rilevarlo l’Istat che registra una diminuzione dello 0,3% nella media del trimestre aprile-giugno.

Le vendite per forma distributiva mostrano, nel confronto con il mese di giugno 2012, un calo sia per la grande distribuzione (-2,3%) sia per le imprese operanti su piccole superfici (-3,6%). Si rileva inoltre una variazione tendenziale negativa per gli esercizi non specializzati (-2,8%) e un aumento per quelli specializzati (+0,4%). tra gli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare, le vendite dei discount registrano la flessione più contenuta (-1,3%), mentre quelle degli ipermercati e dei supermercati segnano variazioni negative più sostenute (rispettivamente -2,6% e -3,2%)

“Nel confronto con il primo semestre del 2012, – rileva ancora l’Istituto nazionale di statistica – le vendite di prodotti alimentari segnano una flessione dell’1,8% e quelle di prodotti non alimentari del 3,5%, per una diminuzione complessiva del 3%. Tra i prodotti non alimentari le flessioni di maggiore entità riguardano i gruppi Elettrodomestici, radio, tv e registratori (-5,9%) e Prodotti farmaceutici (-4,6%); quelle più contenute riguardano i gruppi Utensileria per la casa e ferramenta (-0,6%) e Dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia (-1,3%)“.

I milanesi non rinunciano a farsi belli, i servizi alla persona aumentano del 1,3%

I milanesi alla propria bellezza e al lusso del prendersi cura di se. Crescono dell’1,3% in un anno le imprese dei servizi alla persona, e non era un dato per nulla scontato, tra cui centri benessere, palestre, discoteche e ristoranti.

In un anno crescono soprattutto le imprese di alloggio e ristorazione, +3,2%, in particolare i campeggi e gli alloggi per soggiorni brevi (+13,7%), le attività di mense e catering (+9,1%) e quelle di ristorazione (+3,5%). Bene anche i bar (+3,1%), le discoteche (+2,6%), le palestre (+2,4%) e le attività di registrazioni ed edizioni musicali (+1,9%). Arretra invece il noleggio di beni per uso personale e per la casa (-8%), soprattutto il noleggio di videocassette, dvd e cd (-16,2%). Nonostante la crisi, prendersi cura di se a Milano rimane una priorità…

Nel governo si litiga sulla pelle degli italiani

Nel governo litigano e si fanno le ripicche come i bambini dell’asilo e intanto i rischi che imprese e famiglie corrono se dovesse cadere l’esecutivo per qualche inutile dispetto e sgambetto sono alti, altissimi.

I conti li ha fatti, in questo senso, la Cgia di Mestre: “Nella malaugurata ipotesi che il Premier Letta fosse costretto a rassegnare le dimissioni – dichiara il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – gli italiani subirebbero una vera e propria stangata concentrata soprattutto nell’ultimo quadrimestre di quest’anno. Tra il pagamento dell’Imu sulla prima casa, l’aumento dell’Iva e l’applicazione della Tares si troverebbero a pagare oltre 7 miliardi di euro in più. In una fase economica così difficile e con il tasso di disoccupazione destinato a crescere ulteriormente, molte famiglie non sarebbero in grado di reggere questo choc fiscale”.

Considerando che entro la fine di quest’estate il Governo Letta deve definire l’applicazione di Imu, Iva e Tares, nel caso la maggioranza di Governo non dovesse reggere ecco il rischio che si corre:

IMU: i proprietari della prima casa dovranno versare entro il 16 settembre la prima rata IMU e a dicembre il saldo. Anche i proprietari di terreni, fabbricati rurali e alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale saranno chiamati al pagamento dell’imposta. Pertanto, ai 4 miliardi di Imu relativi all’abitazione principale se ne aggiungono altri 770,6 milioni di euro;

IVA: dal 1° ottobre è previsto l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva che salirà dal 21 al 22%. Per i soli tre mesi di quest’anno saremmo chiamati a pagare un miliardo di euro in più;

TARES: è previsto che la nuova imposta sull’asporto rifiuti dia un maggior gettito, rispetto al 2012, di 1,94 miliardi di euro. Un miliardo è dovuto dalla maggiorazione prevista dalla nuova tassa per la copertura dei servizi indivisibili dei Comuni: pertanto, i contribuenti pagheranno 0,3 euro al metro quadrato. I restanti 943 milioni di euro sono stati da noi stimati quale aggravio minimo corrispondente alla differenza tra il costo del servizio di smaltimento rifiuti (derivante dal bilanci dei Comuni) e il gettito Tia/Tarsu contabilizzato l’anno scorso. Si ricorda che il gettito della Tares deve assicurare l’integrale copertura del costo di asporto e smaltimento dei rifiuti, obbligo che la Tarsu non prevedeva.

Santi, navigatori e burocrati

All’ultima assemblea generale di Confartigianato il presidente Giorgio Merletti è stato chiaro: “Le imprese italiane corrono contromano e a occhi bendati e sembra si faccia di tutto per spingerci oltre confine per trovare condizioni normali per fare impresa: il fisco italiano tassa il 68,3% degli utili lordi d’impresa, in Svizzera appena il 30,2%“.

Un’accusa durissima e circonstanziata, basata su cifre reali. Secondo Merletti, chi dovrebbe determinare le sorti dell’Italia “non comprende che l’artigianato e le piccole imprese sono il cuore, le mani e l’intelligenza del made in Italy” e che tasse e burocrazia le stanno uccidendo.

Dall’inizio della legislatura tecnica a oggi, il Parlamento ha approvato ben 491 norme a contenuto fiscale, ciascuna corredata da decreti attuativi e circolari esplicative. Una zavorra che, secondo Merletti, “non possiamo più permetterci il lusso di indossare la maglia nera in Europa per la pressione fiscale e burocratica. Vorremmo cominciare a scalare la classifica. E non diteci che non ci sono risorse per cambiare le cose. Molti interventi si possono fare a costo zero. Però bisogna volerlo“.

Sul fronte della burocrazia, nell’ultimo anno le Pmi italiane hanno buttato in oneri amministrativi la bella cifra di 31 miliardi e l’ultimo anno e mezzo è stato particolarmente difficili per le imprese e per il Paese. Da metà novembre 2011 a giugno 2013 il numero delle aziende italiane è calato dell’1%, pari a circa 60mila imprese, 44mila delle quali artigiane per un calo pari al 3%. Un calo che, secondo Confartigianato, è legato a quello del Pil (-3,4%), del credito alle imprese (-6,4%) e inversamente proporzionale (guarda un po’…) all’incremento del debito pubblico (+6,4%).

Grandi alleate della burocrazia sono le tasse. Secondo un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato, nel 2013 gli italiani ne pagheranno 38 miliardi in più, vale a dire 639 euro di maggiori imposte pro capite, rispetto alla media dei cittadini dell’eurozona. Il divario tra Italia ed Europa è dato dall’aumento della pressione fiscale che quest’anno in Italia raggiungerà il 44,6% del Pil: 2,4 punti in più rispetto al 42,1% registrato nella media dei Paesi dell’eurozona. Ma c’è dell’altro. Secondo il rapporto, se si considera il mancato gettito dell’economia sommersa, la pressione fiscale effettiva sale al 53,4% del sempre peggio. Torniamo a dire: come si fa a fare impresa così?

“Sostenere il coworking per sostenere le idee”

di Davide PASSONI

Lo abbiamo scritto lunedì: la Camera di commercio di Ferrara si è dimostrata subito molto ricettiva nei confronti del fenomeno coworking, tanto da prevedere delle sovvenzioni ad hoc. Siccome a noi di Infoiva non piace limitarci a leggere e riferire ma vogliamo capire dalle persone il perché delle loro scelte e delle loro decisioni, abbiamo intervistato il Segretario Generale della Camera di commercio estense, Mauro Giannattasio, per entrare più nel dettaglio della questione.

Come Camera di commercio siete stati tra i primi in Italia a intuire le potenzialità del coworking: perché?
Quello riguardante il coworking non è un progetto a sé stante, ma si inserisce nel piano generale a sostegno dell’occupazione giovanile, avviato tre anni fa dalla Camera di commercio di Ferrara, e che segue tre direttrici fondamentali. La prima è il sostegno alle imprese che assumono o stabilizzano a tempo indeterminato giovani under 35: con questo strumento, in tre anni abbiamo avuto 206 tra stabilizzazioni e nuove assunzioni. Si tratta di 5mila euro a fondo perduto, che corrispondono grosso modo a un anno di contributi previdenziali che, di fatto, paghiamo noi al posto delle imprese; imprese che hanno risposto positivamente all’iniziativa.

Poi?
La seconda è la creazione di nuove imprese da parte di giovani under 35: sono 46 le start up nate in due anni con il nostro sostegno. Infine, la terza, è il consolidamento attraverso i Confidi delle imprese giovani già esistenti che, più delle altre, soffrono per la pesante contingenza economica. All’interno del primo e secondo punto abbiamo inserito il sostegno al coworking perché, verificando “sul campo” abbiamo constatato che sia tra gli imprenditori sia tra i giovani c’era molta attesa nei confronti di questa nuova tipologia di lavoro.

Di che cifre parliamo per il sostegno alle iniziative di coworking?
Si tratta di un contributo di circa 2mila euro a fondo perduto per ogni persona che abbia i requisiti per richiederlo: più o meno il costo annuo di una postazione. In questo modo il giovane si copre per il primo anno almeno i costi per “l’ufficio”.

Spesso questa formula di lavoro è associata a un’imprenditoria giovane: qual è, sul vostro territorio, la situazione dell’occupazione giovanile? E dell’imprenditoria giovanile?
Tra terremoto e crisi, nel nostro territorio ce n’è per tutti… Al 30 giugno 2012 la disoccupazione generale era cresciuta del 14,5% rispetto al 30 giugno 2011; del totale dei disoccupati il 48% era under 40 e il 57% donne. Al 30 settembre 2012, erano 3380 le imprese condotte da giovani, la maggior parte nel settore del turismo.

Non pensate che restringere i destinatari dei finanziamenti agli under 35 sia limitante? La crisi ha espulso dal mercato del lavoro molti over 40 che con il coworking potrebbero rimettersi in pista più facilmente…
Sì, ma era necessario che ci dessimo delle priorità. Con le risorse a disposizione, la giunta ha dovuto scegliere e ha scelto i giovani. Però, come ha sottolineato anche il presidente Roncarati, la giunta si è riservata di aprire i finanziamenti alle attività di coworking anche ai meno giovani, a seconda della risposta che avremo a questa prima iniziativa.

Pensa che in una realtà produttiva come quella del Ferrarese, fatta di artigianato e manifattura, il coworking possa attecchire in modo efficace?
Il coworking, soprattutto per come lo vorremmo intendere noi, non è solo aiutare un giovane ad aprire una postazione di lavoro e a condividerla: in tutte queste esperienze quello che conta è lo sviluppo naturale dello scambio di idee. A noi interessa che circolino le idee, perché il fatto che non circolino capitali non deve essere un alibi per le persone e le aziende per smettere di pensare, innovare, creare e svilupparsi.

Il coworking diminuisce i costi e aumenta le idee: come Camera di commercio, quali altri strumenti mettere a disposizione dei vostri associati per ottimizzare tempo, risorse e creatività?
Abbiamo un’ampia offerta di servizi per le imprese, a seconda del loro ambito di attività: per accesso credito, innovazione, internazionalizzazione, startup, reti aziendali… Aggiungiamo poi la possibilità di informare aziende e professionisti su tutti i finanziamenti erogati dai sistemi camerali e delle associazioni e si renderà conto che gli strumenti per fare impresa non mancano.

Finanziamenti per le nuove attività a Bergamo

Nuove attività commerciali ed artigianali saranno finanziante dal Comune di Bergamo, a patto che sorgano in aree della città in cui risultino carenti o manchino del tutto.
Coloro, dunque, che sono interessati ad avviare una nuova attività, purché sia commerciale o artigianale, possono partecipare al bando, tenendo conto delle aree di interesse e delle attività richieste.

Deve necessariamente trattarsi di una nuova attività, perciò sono esclusi dal finanziamento coloro che subentrano nella gestione di un’attività già esistente.

Le tipologie di attività ammesse al bando sono:

  • Esercizi di vicinato alimentare multiprodotto (es. minimarket)
  • Esercizi di vicinato alimentare monoprodotto (es. panettiere, fruttivendolo, salumiere)
  • Attività artigianale alimentare con vendita di prodotti da forno, pasta fresca, raviolificio
  • Fiorista
  • Cartoleria
  • Rivendita di giornali
  • Ferramenta
  • Casalinghi
  • Merceria
  • Sartoria
  • Lavasecco
  • Negozi di antiquariato
  • Gallerie d’arte
  • Fashion design shop
  • Antichi mestieri

Escluse invece le attività automatizzate (es: distributori automatici o con gettone).

Il Comune ha anche disposto una sorta di mappa delle zone della città dove dovranno sorgere le nuove attività: via Bonomelli, via Paglia (tratto compreso tra le intersezioni con le vie Bonomelli e Paleocapa), via Pignolo, via Quarenghi, via S.Bernardino (tratto compreso tra le intersezioni con Largo Cinque Vie e via Previtali), via Moroni, via Broseta (tratto compreso tra le intersezioni con Largo Cinque Vie e via Palma il Vecchio).

Per beneficiare del bando, i diretti interessati devono impegnarsi a mantenere l’attività intrapresa per almeno tre anni, durante i quali, dunque, non possono cederla a terzi.

Sono ammessi alla selezione per l’erogazione del contributo coloro che:

  • non si trovano in una delle condizioni di incapacità a contrattare con la Pubblica Amministrazione di cui all’articolo 120 della legge n. 689/1981 e s.m.i.;
  • possiedono i requisiti morali e professionali per lo svolgimento di attività commerciali di cui all’art. 71 del D.Lgs. n. 59/2010 e all’art. 65 e 66 della L.R. n. 6/2010 e s.m.i.;
  • non si trovano nelle condizioni previste dall’art. 67 del D.Lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia);
  • non hanno ottenuto, nell’esercizio finanziario corrente e nei due esercizi finanziari precedenti, contributi pubblici percepiti in regime “de minimis” per un importo complessivo superiore a € 200.000 (regolamento CE 1998/2006).

I contributi ricevuti dovranno essere utilizzati per supportare le spese relative a costi della garanzia dei consorzi fidi acquisto di beni strumentali, macchinari, attrezzature, arredi, strutture non in muratura e rimovibili necessari all’attività impianti generali e opere edilizie quote del contratto di franchising acquisto e sviluppo di software gestionali, professionali e altre applicazioni aziendali inerenti l’attività dell’impresa registrazione e sviluppo di marchi e brevetti e relative spese per consulenze specialistiche, oppure spese per il piano di comunicazione.
Sono finanziabili gli interventi effettuati successivamente alla data di pubblicazione del bando.
Il contributo per ogni attività è pari al 50% degli investimenti previsti e documentati, fino ad un massimo di 15.000 € di contribuzione. In ogni caso sono ammesse richieste di contributo per investimenti il cui ammontare minimo non sia inferiore a 15.000 €.

La domanda di contributo deve pervenire entro e non oltre le ore 12,30 del giorno 10 dicembre 2012, presso l’Ufficio Protocollo del Servizio Gestione Documentale del Comune di Bergamo – Piazza Matteotti n. 3.

Per saperne di più, è possibile consultare il bando.

Vera MORETTI

Milano, la mazzata dell’energia

Che l’energia in Italia costi alle aziende più che in molte altre parti d’Europa è un dato di fatto. Risultato di tanti fattori, primo fra tutti un mixenergetico penalizzante e penalizzato dal no al nuclare. Ma quanto pagano realmente in più le imprese italiane rispetto a quelle europee?

I conti li ha fatti Confartigianato: 10,1 miliardi di euro in più all’anno rispetto alla media europea. L’analisi di Confartigianato ha misurato lo spread Italia-Ue per i costi dell’energia elettrica utilizzata dalle imprese e da questa analisti è risultato anche che la Lombardia e Milano sono in vetta alla classifica delle regioni e delle province italiane con la bolletta elettrica più costosa a carico delle aziende.

Se a livello nazionale, infatti, lo scorso anno gli imprenditori hanno pagato 10.077 milioni di euro in più rispetto alla media europea, il conto più salato tocca alle aziende del Nord, che complessivamente nel 2011 hanno sborsato per l’energia elettrica 5.848 milioni di euro in più rispetto ai loro colleghi dell’Ue. Il divario con l’Europa è di 2.492 milioni di euro per le imprese del Mezzogiorno e di 1.737 milioni di euro per le aziende del Centro. La regione più penalizzata è, appunto, la Lombardia, con 2.289 milioni di euro di maggiori costi rispetto alla media Ue, seguita dal Veneto con un gap di 1.007 milioni di euro, dall’Emilia Romagna con 904 milioni e dal Piemonte con 851 milioni.

La classifica per provincia vede al primo posto per il più ampio divario di oneri per le imprese rispetto all’Europa Milano (555 milioni di euro), seguita da Brescia (467 milioni), Roma (447 milioni), Torino (343 milioni), Bergamo (293 milioni).

Se, in media, ogni azienda italiana paga l’energia elettrica 2.259 euro all’anno in più rispetto agli imprenditori europei, questo gap si allarga a 4.108 euro per ogni impresa del Friuli Venezia Giulia, a 3.471 euro per ciascuna impresa della Sardegna, a 2.791 euro per ogni azienda della Lombardia, a 2.752 euro per ciascuna impresa della Valle d’Aosta. A seguire, per un imprenditore dell’Umbria il divario è di 2.654 euro l’anno, mentre per ogni impresa del Trentino Alto Adige il gap annuo è di 2.601 euro.

Indovinate un po’ che cosa fa gonfiare ulteriormente la bolletta energetica delle imprese? Naturalmente la pressione fiscale, che incide per il 21,1% sul prezzo finale dell’elettricità.

“Il costo dell’energia elettrica per uso industriale – conclude il Presidente di Confartigianato Giorgio Guerriniè una delle tante zavorre che frenano la corsa delle imprese italiane, uno dei tanti oneri che riducono la nostra competitività rispetto ai competitor europei. Anche su questo fronte chiediamo al Governo di agire in fretta per cominciare ad avvicinarci agli standards degli altri Paesi dell’Ue“.

Già abbiamo il fisco più vorace del mondo (lo dicono le statistiche, mica noi…) e una burocrazia nemica dell’impresa; se ci si mette anche il costo dell’energia salito a prezzi imbarazzanti, come diavolo faranno le nostre imprese (per lo più piccole e piccolissime) a stare sul mercato? Se lo chiedono gli imprenditori, ce lo chiediamo noi, ma la risposta sembra tristemente scontata…

Laura LESEVRE

Moda, Milano veste l’Europa

Scatta oggi l’ennesima edizione di Milano Moda Donna e, ora più che mai, la Lombardia si conferma la regione che, nel vero senso della parola, veste l’Europa. È infatti prima con circa 28mila imprese nei settori abbigliamento, tessile e moda, il 6,2% del totale continentale; una cifra che la mette al pari di interi Paesi, tanto che in una classifica nazionale si posizionerebbe al sesto posto, dopo Italia, Francia, Polonia, Spagna, Portogallo. In Italia ha sede un’impresa su tre di quelle europee del settore: circa 140mila su 450mila. Sono numeri che emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Eurostat 2010 su oltre 200 regioni europee.

Per lo shopping al femminile, solo New York risulta più conveniente di Milano, mentre Parigi risulta sullo stesso livello (596 euro). Più costose le altre città: in Europa si passa ai 688 euro di Londra, ai 727 euro di Berlino e ai 788 euro di Madrid.

E vale un miliardo all’anno l’indotto dal turismo per shopping a Milano, grazie a una competitività sui prezzi e sulla qualità che paga.

L’intero comparto della moda e del design (che comprende l’industria del tessile, dell’abbigliamento, concerie, gioielleria e bigiotteria, commercio al dettaglio di abbigliamento, studi di architetti e attività di design legato alla moda) è costituito a Milano e provincia da quasi 15mila imprese, pari al 4,7% del totale nazionale. Il solo settore “industriale” della moda a Milano è costituito da 495 imprese di gioielleria, 270 di bigiotteria, 1.031 di industria tessile, 2.649 di articoli di abbigliamento, 971 di pelletteria.

Il settore del commercio al dettaglio arriva a 3.383 negozi di abbigliamento, 774 di calzature, 2.600 di ambulanti. Se si considerano gli studi di architetti (e ingegneri) e quelli di design, il peso di Milano sul dato nazionale cresce ancora di più: a Milano e provincia ci sono quasi 1.700 studi di architetti e tecnici (il 13,3% del totale italiano) e circa 550 attività di design, oltre una su 8 in Italia.

Laura LESEVRE

Milano vista dai blog

Milano vista dai blog? Promossa per qualità della vita, bocciata per smog e traffico. Un risultato che emerge da una analisi su oltre 5.300 blog apparsi in rete nei mesi di agosto e settembre, condotta dalla Camera di Commercio di Milano in collaborazione con Voices from the Blogs (http://voicesfromtheblogs.com/).

Prevalgono i giudizi positivi: nell’82% dei casi la parola che meglio riassume Milano è “lusinghiera”. La città è vista soprattutto come una metropoli alla e della moda (per il 42,4% dei blogger) e cosmopolita (20,1%). Significativa la quota di chi considera Milano la città dello sport (9,3%). Pochi (il 17,8% del totale) scelgono una sintesi negativa (città infelice, inquinata, complessa nell’amministrazione), anche se va sottolineato che chi pensa che Milano non sia una città per le donne (3,1%).

Di Milano piacciono la vita sociale e i divertimenti che offre (35,1%), le opportunità economiche (19,1%), ma anche i cittadini (10,4%), l’architettura (9,3%). Per la rete i punti di forza di Milano sono rappresentati dalle imprese (per il 16%), ma anche dalla qualità dei servizi pubblici e di trasporto (15,8%), dalle condizioni di vita (12,6%), dalla società civile (9,7%).

Il 3,6% considera invece Expo 2015 come il vero punto di forza di Milano. E così non è un caso che prevalgano i pareri positivi sulla qualità della vita a Milano: circa la metà delle opinioni indica infatti una qualità della vita alta o molto alta, mentre i giudizi estremi raccolgono il 29% dei blogger nel caso positivo e solo il 10,4% nel caso negativo.

Una situazione che contagia anche le previsioni sul futuro di Milano: il 41% delle opinioni dei blogger è ottimista riguardo al futuro della città rispetto al 37,8% che si mostra al contrario più tiepido, mentre un quinto dei blogger rimane indeciso.

Un giudizio sostanzialmente positivo, dunque, ma che può ancora migliorare se si affrontassero con successo le criticità principali di Milano: inquinamento (il problema principale di Milano per il 28% dei blogger), ambiente (9%), traffico (17,2%) , abitazione (13,2%).

Laura LESEVRE