Venditore porta a porta senza partita Iva per redditi fino a 5mila euro

Il venditore porta a porta può svolgere la propria attività senza partita Iva se il suo reddito non supera i 5mila euro all’anno. Entro tale limite, infatti, il venditore è considerato operatore economico occasioale e pertanto non è obbligato ad aprire la partiva Iva. Nel caso di venditore con partita Iva, con redditi sopra i 5mila euro, scatta l’obbligo alle regole Iva ordinarie. Tra gli obblighi si comprende anche il diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti dei beni e dei servizi riguardanti l’attività svolta.

Chi è il venditore porta a porta?

Sul punto è intervenuta anche l’Agenzia delle entrate con la risoluzione numero 18/E/2006. L’Agenzia è stata chiamata a espireme il proprio parere in merito al trattamento fiscale da riservare, ai fini Iva, alle provvigioni erogate agli incaricati alla vendita diretta a domicilio. Secondo le novità introdotte dalla legge numero 173 del 17 agosto 2005, l’incaricato alla vendita diretta a domicilio è “colui che, con o senza vincolo di subordinazione, promuove, direttametne o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisti presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio”.

Venditore a domicilio con redditi sotto i 5.000 euro annui

Il comma 4 dell’articolo 3, della legge numero 173 del 2005 qualifica come occasionale l’attività dell’addetto alla vendita diretta a domicilio, senza vincolo di subordinazione e senza contratto di agenzia, fino a conseguire un reddito all’anno non superiore ai 5.000 euro. L’Associazione scrivente che ha chiesto il parere dell’Agenzia delle entrate intende la norma nel senso che fino al raggiungimento del reddito annuo di 5.000 euro, il soggetto addetto ad attività di vendita diretta a domicilio non si debba considerare passivo ai fini Iva.

Venditori porta a porta, il limite si intende come reddito e non come volume di affari

Il limite individuato dall’articolo in questione comporta, per i soggetti addetti alle vendite a domicilio, l’assoggettamento ad Iva delle provvigioni percepite nell’esercizio della propria attività. Dalla norma ne consegue che il limite dei 5.000 euro si intende come reddito e non come volume d’affari. Pertanto, nel verificare il superamento del tetto, si vanno a verificare anche le eventuali spese collegate con lo svolgimento dell’attività porta a porta.

Determinazione delle spese del venditore a domicilio

Per la determinazione delle spese del venditore porta a porta si fa riferimento al comma 6 dell’articolo 25 bis, del Decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973.  L’articolo prende in considerazione proprio i venditori a domicilio. Infatti stabilisce che “i compensi siano assoggettati a imposizione attraverso l’applicazione di una ritenuta alla fonte con l’aliquota applicabile al primo scaglione di reddito commisurata all’ammontare delle provvigioni percepite ridotto del 22% a titolo di deduzione forfetaria delle spese di produzione del reddito”. Pertanto, l’attività dei venditori porta a porta si intende abituale, e dunque rilevante ai fini Iva, se nell’anno solare si percepisce un reddito, al netto della deduzione forfettaria delle spese indicata dall’articolo 25 bis, superiore a 5.000 euro.

Quando il venditore porta a porta deve aprire la partita Iva?

Si può ben definire anche il momento in cui il venditore porta a porta deve aprire la partita Iva. L’obbligo all’Iva scatta alla prima operazione che comporta il superamento della soglia dei 5.000 euro. Questa interpretazione è coerente con l’orientamento espresso dall’Inps nella circolare numero 103 del 2004. L’Inps ha esprsso il chiarimento in merito all’obbligo di iscrizione alla gestione separata per gli incaricati alla vendita diretta. Nel dettaglio, l’articolo 44 del decreto legge numero 269 d del 2003 dispone proprio che “a decorrere dal 1° gennaio 2004 gli incaricati alle vendite dirette a domicilio sono iscritti alla Gestione separata Inps solo qualora il reddito annuo derivante da detta attività sia superiore a euro 5mila”.

E se il venditore porta a porta con partita Iva non raggiunge il tetto dei 5.000 euro?

Da ultimo è necessario prendere in considerazione l’ipotesi che il venditore porta a porta con partita Iva non raggiunga il tetto dei 5.000 euro annui. In questa fattispecie non si può parlare di perdita della soggettività ai fini Iva del venditore. Infatti, con l’apertura della partita Iva, l’addetto alla vendita diretta si presume che svolgerà la propria attivià in forma abituale e non occasionale. Appare ragionevole sostenere che, i venditori porta a porta titolari di partita Iva non possono più considerarsi occasionali. E, nell’esercizio della propria attività, possano individuarsi i caratteri della continuità e della sistematicità propri dell’abitualità della professione.

 

Aiuti Covid, reddito di ultima istanza fuori dalla base imponibile del professionista

Il reddito di ultima istanza, misura adottata per gli aiuti nell’emergenza Covid, non rientra nella formazione della base imponibile ai fini fiscali. Il caso più comune che può presentarsi è quello del libero professionista, con partita Iva a regime forfettario, che ha ricevuto l’indennità del mese di marzo del 2020 dalla propria Cassa previdenziale.

Il reddito di ultima istanza a favore dei professionisti del mese di marzo 2020

E’ importante rilevare che il reddito di ultima istanza, differentemente dalle indennità corrisposte dall’Inps, non comporta, da parte della Cassa previdenziele che l’ha corrisposto, l’obbligo di rilasciare la certificazione unica (Cu). Ciò implica l’insorgenza di due dubbi in sede di dichiarazione dei redditi 2021: il primo riguarda proprio la formazione del reddito ai fini fiscali. Il secondo è inerente a dove devono essere indicati gli aiuti ricevuti nel modello Reddti Pf 2021.

Indennità di 600 euro ai professionisti iscritti alle Casse previdenziali

Innanzitutto, per capire come funziona il “Fondo per il reddito di ultima istanza” è necessario risalire al decreto legge numero 18 del 2020 che l’ha istituto. Secondo quanto prevede l’articolo 44 del provvedimento, l’indennità prevista una tantum dal decreto per il mese di marzo 2020 ammontava a 600 euro e andava a favore dei liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. I beneficiari, per rientrare nei requisiti previsti, dovevano essere iscritti alla Cassa di appartenenza alla data della richista o al 23 febbraio 2020, data a partire dalla quale i provvedimenti restrittivi per la pandemia da coronavirus sono stati attivati.

Requisiti delle partite Iva per il bonus 600 euro di ultima istanza

I requisiti richiesti ai professionisti per poter beneficiare dei 600 euro del reddito di ultima istanza erano:

  • aver maturato, nel 2018, un reddito complessivo non superiore ai 35mila euro. Era altresì necessario che l’attività fosse stata limitata dai provvedimenti restrittivi anti-coronavirus;
  • un reddito complessivo nel 2018 tra i 35mila e i 50mila euro. In tal caso era richiesa la cessazione, la riduzione o la sospensione dell’attività autonoma o da libero professionista in conseguenza dell’emergenza sanitaria.

Riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per Covid

Conseguentemente alle misure restrittive dovute all’emergenza sanitaria, per cessazione dell’attività il provvedimento intendeva la chiusura della partita Iva. Tale chiusura doveva essere avvenuta tra il 23 febbraio 2020 e il 31 marzo 2020. Per riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, invece, il decreto fissata nel 33% la percentuale di abbassamento del reddito. La perdita doveva essere comprovata dal raffronto tra il primo trimestre del 2020 con lo stesso periodo del 2019.

Indennità agli autonomi dell’emergenza Covid non concorrono alla base imponibile

I professionisti che hanno ricevuto l’indennità di 600 euro come reddito di ultima istanza devono considerare che il sussidio non concorre alla frmazione del reddito ai fini fiscali. In generale, i contributi di qualsiasi natura, ricevuti come indennizzo durante l’emergenza da coronavirus a chi svolge attività di impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, costituiscono un aiuto economico eccezionale. Dunque, indennità e bonus percepiti non concorrono a formare la base imponibile.

L’interpello dell’Agenzia delle entrate sulla tassazione dei contributi Covid

L’Agenzia delle entrate ha recentemente confermato questo principio nell’interpello numero 84 del 2021. Le indennità, si legge nell’interpello, non formano il reddito imponibile ai fini Irpef. L’Agenzia, nel suo intervento, si rifà all’articolo 10-bis del decreto legge numero 137 del 28 ottobre 2020, cosiddetto “decreto Ristori“.

Il decreto Ristori sulla detassazione dei contributi ricevuti per il coronavirus

L’articolo, ribricato in “Detassazione dei contributi, delle indennità e di ogni altra misura a favore delle imprese e dei lavoratori autonomi, relativi all’emergenza Covid-19”, prevede infatti che “i contributi e le indennità di qualsiasi natura per la Covid-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917″.

Dichiarazione dei redditi 2021, dove si devono indicare le indennità ricevute per il Covid?

In sede di dichiarazione dei redditi 2021, i titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo devono trascrivere nella dichiarazione gli aiuti ricevuti. Tale trascrizione deve essere fatta nel quadro di pertinenza individuato in base al proprio regime di  fiscalità di appartenenza. Pertanto, si procede con:

  • il quadro RG per le imprese in regime di contabilità semplificata;
  • il quadro RF per le imprese in regime di contabilità ordinaria;
  • quadro LM per i contribuenti in regime forfettario;
  • quadro RE per i professionisti e per gli autonomi.

 

Riscatto laurea agevolato: quanto conviene per la pensione?

Quali sono i vantaggi o gli svantaggi, sia per l’età di pensionamento che per l’importo della pensione, con il riscatto della laurea? In particolare, ci si riferisce al riscatto degli anni universitari con pagamento agevolato e a chi convenga questa operazione. Innanzitutto è importante determinare il costo del riscatto della laurea.

Riscatto della laurea per la futura pensione, quanto costa?

Il regime agevolato del costo inerente al riscatto della laurea deriva dal decreto numero 4 del 2019. Con il sistema agevolato si pagano, nel 2021, 5.264,49 euro per ogni anno di laurea da riscattare. Non sono da conteggiare gli anni di “fuori corso”. Dunque il massimo costo che si deve sostenere, nel 2021, per riscattare la propria laurea è di 26.322,45 euro per corsi di 5 anni e 21.057,96 per corsi di 4 anni.

Rateizzazione del costo del riscatto di laurea

Le cifre indicate per riscattare gli anni universitari possono essere rateizzate, senza l’applicazione degli interessi, fino a un massimo di dieci anni. Da un rapido costo, preferendo la rateizzazione dell’importo per tutti e dieci gli anni, il riscatto della laurea ai fini della futura pensione costerebbe 220 euro al mese per le lauree di cinque anni e 175 euro mensili per quelle di quattro anni. Il contributo annuale, tuttavia, può essere dedotto al 100% dall’imponibile fiscale. Se non si riuscisse più a pagare o si volesse interrompere il pagamento, la quota maturata fino a quel momento rimarrebbe valida ai fini dello sconto sull’età della pensione.

Riscatto agevolato della laurea, chi può richiederlo?

Il riscatto agevolato della laurea (con i calcoli tradizionali si potrebbe arrivare anche a cifre di 80mila euro), secondo quanto prevede il comma 6 dell’articolo 20, del decreto-legge numero 4 del 28 gennaio 2019, è un sistema riservato ai lavoratori che si collocano nel sistema contributivo della pensione. Si tratta, nello specifico, di chi abbia iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996.

Il riscatto agevolato della laurea per la pensione anche ai lavoratori pre 1996

Successive modifiche e interpretazioni del decreto 4 del 2019 hanno allargato la possibilità di riscatto agevolato della laurea anche a chi abbia contributi entro il 31 dicembre 1995. In questo caso, però, è necessario optare per il ricalcolo con il metodo contributivo degli anni di contributi previdenziali. È in ogni modo necessario che gli anni di contributi versati prima del 1996 siano:

  • meno di 18 anni;
  • che almeno 15 anni di contributi siano stati già versati alla data di richiesta del riscatto laurea;
  • che almeno cinque anni di contributi siano stati versati a partire dal 1996.

Pensione con riscatto laurea, cosa non vale?

I periodi universitari che non possono essere riscattati consistono in due tipologie:

  • gli anni di iscrizione fuori corso;
  • i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa.

Come si richiede il riscatto agevolato della laurea?

La richiesta di riscatto della laurea può essere fatta online. Nello specifico è necessario accedere con il Pin del sito dell’Inps o rivolgersi al Caf per inoltrare la pratica. Dopo la presentazione della domanda, l’Inps verifica i documenti depositati e i requisiti vantati. L’Istituto previdenziale accerta anche il versamento di almeno un contributo previdenziale obbligatorio. Al termine delle verifiche, l’Inps invia i bollettini Mav da pagare insieme al provvedimento di accoglimento della domanda.

Come si paga il riscatto agevolato della laurea

Il pagamento dell’onere del riscatto della laurea avviene con l’utilizzo dell’Avviso di pagamento pagoPa. Per accedere al portale dei pagamenti è possibile utilizzare il proprio codice fiscale con il numero della pratica indicato nel provvedimento inviato dall’Inps.

Convenienza del riscatto laurea per la futura pensione

Ammettiamo che un contribuente, nato a febbraio del 1979, abbia conseguito una laurea di quattro anni nel 2004 e voglia riscattare il titolo di studio. Inoltre, il contribuente lavora dal 2006 in maniera continuativa. Sulla base dei dati in possesso, il lavoratore andrebbe in pensione con la vecchiaia nel 2048. Con gli aumenti previsti nel tempo dell’aspettativa di vita, l’età pensionabile slitterebbe a 69 anni.

Pensione anticipata contributiva con il riscatto laurea

Per un contribuente del sistema contributivo (con inizio dei versamenti dal 1° gennaio 1996 in poi) l’alternativa alla pensione di vecchiaia è la pensione anticipata contributiva. Si raggiunge a 64 anni di età (salvo gli adeguamenti della speranza di vita nel tempo) e con 20 anni minimi di contributi versati. Inoltre, il primo importo della futura pensione deve essere di 2,8 volte quello della pensione sociale. Nel caso preso in esame, il lavoratore andrebbe in pensione con questo meccanismo nel 2045.

Pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero

Con i requisiti della riforma Fornero per la pensione anticipata mediante versamento di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) la prima data utile per il pensionamento risulterebbe più avanti rispetto alla pensione di vecchiaia. Pertanto, questa possibilità non sarebbe conveniente. Anche riscattando la laurea, la prima data utile sarebbe nel 2046, meno conveniente della pensione anticipata contributiva a 64 anni che rimarrebbe la soluzione più praticabile per l’uscita prima da lavoro.

Importo della futura pensione con il riscatto della laurea

In merito all’importo della futura pensione, poiché il contribuente versa un onere per il riscatto della laurea, l’importo previdenziale futuro risulterebbe più elevato rispetto a quello di una pensione senza riscatto. Questo risultato deriva dal fatto che l’onere per riscattare la laurea va a determinare un incremento del montante contributivo della vita lavorativa del contribuente.

Partite Iva forfettarie: la verifica del limite dei 30mila euro coincide con la fine del periodo di preavviso

Per le partite Iva ricadenti nel regime forfettario, la cessazione del lavoro coincide con il momento in cui termina il periodo di preavviso e non con il momento effettivo delle dimissioni. L’importante specifica, contenuta nell’interpello numero 268 del 2021 dell’Agenzia delle entrate, è utile ai fini della verifica del tetto dei 30mila euro di reddito. Il superamento della soglia rappresenta, infatti, una causa ostativa proprio al regime forfettario.

Il limite dei 30mila euro di reddito per il regime forfettario

Il caso sul quale l’Agenzia delle entrate è stata chiamata a esprimersi riguarda un lavoratore dipendente che, nel 2020, aveva presentato le proprie dimissioni. Le dimissioni rappresentano un atto unilaterale recettizio per la cui efficacia non è richiesta l’accettazione da parte del datore di lavoro. Lo slittamento della cessazione del lavoro alla fine del periodo di preavviso e non al momento delle dimissioni impone di verificare, nel caso del lavoratore, i redditi del 2020.

Richiesta di apertura partita Iva con regime forfettario

Nel quesito posto all’Agenzia delle entrate si legge che il contribuente ha rassegnato le dimissioni volontarie in una data dell’anno 2020, e di aver proseguito il rapporto di lavoro sino a inizio del 2021 per il periodo di preavviso. Il lavoratore, nel periodo di imposta del 2020, ha ottenuto un reddito da lavoro alle dipendenze superiore ai 30mila euro. Lo stesso intende fare richiesta di attribuzione di partita Iva per esercitare l’attività di lavoratore autonomo a regime forfettario.

Limite di reddito per la partita Iva a regime forfettario

Considerando, dunque, il limite dei 30mila euro di reddito da lavoro dipendente ostativo ai sensi del comma 57, lettera d-ter, dell’articolo 1 della legge numero 190 del 2014, il lavoratore chiede se potrà avvalersi del regime forfettario. In particolare, il richiedete vorrebbe sapere se il superamento della soglia di reddito per l’anno 2020 rappresenti una condizione ostativa per l’apertura della partita Iva forfettaria nel 2021.

Partite Iva forfettarie, il limite del reddito si riferisce all’anno precedente

I chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate, nell’interpello numero 368 del 2021, evidenziano che il limite dei 30mila euro di reddito non opera se il rapporto di lavoro alle dipendenze è cessato nel corso dell’anno precedente. La ragione di questo chiarimento consiste nel favorire il lavoratore, rimasto senza impiego, a iniziare una nuova attività.

Chiarimenti Agenzia delle entrate sul regime forfettario

Tuttavia, il richiedente ritiene di rientrare nel regime forfettario nel 2021. La sua convinzione risiede nel fatto che le dimissioni siano state presentate nel 2020, anno precedente a quello di apertura della partita Iva. La risposta dell’Agenzia delle entrate, in ogni modo, parte da quanto specificato dalla legge numero 190 del 2014. All’articolo 57, infatti, si precisa che non possono avvalersi del regime forfettario i soggetti che “nell’anno precedente hanno percepito redditi da lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, eccedenti l’importo di 30mila euro”. Inoltre, “la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”. Altrimenti è dovuta, essendo il rapporto di lavoro cessato nel 2021 e non nel 2020.

Cessazione del lavoro da dipendente e apertura partita Iva a regime forfettario

E, pertanto, ai fini della non applicabilità della causa di esclusione rilevano “solo le cessazioni di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfettario”. Nel caso del lavoratore, il rapporto di lavoro si è protratto fino al 2021 per il rispetto del periodo di preavviso. Ed è solo a partire dalla data di effettiva cessazione del lavoro che vengono meno le retribuzioni e gli altri diritti connessi al rapporto di lavoro. Quindi il rapporto è in essere fino al termine del preavviso.

Per l’Agenzia delle entrate il richiedente potrà avvalersi del forfettario solo nel 2022

Pertanto, l’anno effettivo di cessazione del lavoro, il 2021, coincide con l’anno di apertura della partita Iva beneficiando del regime forfettario. Il richiedente potrà dunque aprire la partita Iva nel 2021 con la quale avviare la propria attività. Ma solo a partire dal 2022 potrà beneficiare del regime forfettario avendo superato nel 2020 il tetto dei 30mila euro. E la verifica, essendo il rapporto terminato a inizio anno, è dovuta per i redditi del 2020, essendo nel 2021 ancora in essere il rapporto di lavoro.

Tax credit vacanze ad agenzie e tour operator fino al 31 dicembre 2021

Il decreto Sostegni bis ha aperto ad agenzie di viaggio e a tour operato per la tax credit sulle vacanze. In particolare, si tratta dei pacchetti con destinazione delle vacanze in Italia. Il maggior numero dei beneficiari della tax credit è assicurato dal comma 3, dell’articolo 7, del decreto legge numero 73 del 2021. Il decreto Sostegni bis va dunque a modificare il comma 1 dell’articolo 176 del decreto legge numero 34 del 2020.

Agenzie di viaggi e tour operator si aggiungono alle strutture per l’utilizzo del bonus vacanze

Con la variazione introdotta dal decreto Sostegni bis, il governo ha inteso dare un “maggiore contributo all’obiettivo di rivitalizzare la domanda dei viaggi“. Infatti, le misure limitative introdotte per l’emergenza Covid hanno determinato un impatto al ribasso su tutto il turismo. Il settore comprende, da quanto si legge nella Relazione illustrative, oltre alle strutture ricettive, agli agriturismi e ai bed and breakfast, anche i tour operator e le agenzie di viaggio. Queste ultime due categorie hanno registrato riduzioni di oltre l’80% dei ricavi dall’inizio dell’emergenza Covid.

Bonus vacanze: da chi è stato richiesto dall’introduzione del Dl 34 del 2020

Nei numeri, alla fine del 2020 sono state 1.886.000 le famiglie che hanno prenotato il bonus vacanze per un impiego complessivo delle risorse pari a 820 milioni di euro. Ma meno della metà lo hanno effettivamente usato, per un numero di famiglie pari a 788mila.

Risorse del bonus vacanze nel 2020 e 2021: ancora 500 milioni da utilizzare

Le famiglie che non hanno ancora utilizzato il bonus vacanze (pari a circa 1,1 milioni) sono attese per l’utilizzo delle risorse pari a circa 500 milioni di euro. Potranno farlo entro il 31 dicembre 2021. In totale, i fondi stanziati dal decreto legge numero 34 del 2020 sono pari a 2,5 miliardi di euro, dei quali 1,67 miliardi per il 2020 e 733,8 per l’anno in corso. L’estensione della tax credit ai tour operator e alle agenzie di viaggi mira, pertanto, ad agevolare l’utilizzo delle risorse stanziate.

Chi può richiedere il bonus vacanze e con quali requisiti?

La domanda per l’utilizzo del bonus vacanze doveva essere presentata entro il 31 dicembre 2020. Il bonus, invece, può essere utilizzabile fino al 31 dicembre prossimo. L’inizio dell’utilizzo del bonus da parte di chi ha presentato domanda era fissato al  1° luglio del 2020. È necessario, per usufruire dello sconto, che almeno un giorno delle vacanze rientri tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021: ciò in vista delle vacanze natalizie con le quali si concluderà la possibilità di utilizzare il bonus. Il credito,  utilizzabile da uno solo dei componenti di un nucleo familiare, è determinato in:

  • 500 euro per ogni famiglia con un figlio a carico;
  • 300 euro per le famiglie composte da 2 persone;
  • 150 euro per le famiglie di una sola persona.

Chi paga deve essere lo stesso soggetto che utilizza il bonus vacanze?

È importante sottolineare che il componente del nucleo familiare Isee che paga può anche non coincidere con chi intende utilizzare il bonus vacanze. Il codice fiscale dell’utilizzatore, in ogni modo, deve essere riportato sulla fattura, sul documento commerciale, sullo scontrino o sulla ricevuta fiscale. Per la presentazione della domanda del bonus vacanze, scaduta a fine 2020 il valore dell’Isee non doveva superare i 40mila euro. La domanda si presentava in modalità telematica, utilizzando le credenziali Spid o Cie (Carta d’identità elettronica).

Detrazione del bonus vacanze nella dichiarazione dei redditi

La tax credit del bonus vacanze va utilizzato nella misura dell’80% come sconto e, per il restante 20%, come detrazione d’imposta nella dichiarazione dei redditi. La detrazione vale per il periodo d’imposta 2020 o 2021 a seconda dell’anno di utilizzo del bonus. Ciò significa che, per la detrazione da indicare nella dichiarazione dei redditi da parte della persona fisica che ha utilizzato il bonus vacanze (pari al 20% del bonus massimo), è necessario far riferimento alla data del pagamento. Se questa non supera il 31 dicembre 2020, la detrazione va effettuata nella dichiarazione dei redditi da presentare nel 2021 per l’anno di imposta 2020. Per i soggiorni pagati a partire dal 1° gennaio 2021, la detrazione d’imposta dovrà essere indicata nella dichiarazione dei redditi del 2022 per l’anno di imposta 2021.

Utilizzo del bonus vacanze: cosa c’è da sapere

Il bonus è utilizzabile dalle sole persone fisiche per il pagamento dei servizi di turistici usufruiti in Italia. I servizi devono essere resi da imprese del turismo e ricettive, da agriturismi, da bed and breakfast e, da ultimo, da tour operator e agenzie di viaggio.

Bonus vacanze, cosa deve fare l’esercente

Il fornitore del servizio turistico, che può essere la struttura ricettiva, l’agenzia di viaggio o il tour operator, per applicare lo sconto al momento dell’incasso, deve accedere all’area riservata del sito dell’Agenzia delle entrate con le credenziali di Fisconline o Entratel, oppure con lo Spid, Carta di identità elettronica o la Carta nazionale dei servizi. Il fornitore dovrà inserire:

  • il Qr Code o il codice univoco associato al bonus vacanze che viene fornito dal cliente;
  • il codice fiscale del beneficiario (cliente) che deve essere indicato anche nella fattura, nel documento commerciale, nello scontrino o nella ricevuta fiscale;
  • l’importo totale del corrispettivo dovuto al lordo dello sconto da applicare.

Bonus affitti, il quadro RU per indicare gli aiuti ricevuti nel 2020

Con l’emergenza sanitaria, il legislatore ha previsto delle agevolazioni per sostenere autonomi e imprese dai danni causati dalla crisi. Una delle varie misure è stata il credito di imposta per i canoni di locazione pagati nell’esercizio dell’attività. Anche per il bonus affitti, dunque, è necessario indicare gli aiuti ricevuti nel quadro RU del modello.

Affitti, il primo bonus del 2020 da dichiarare nel quadro RU: il credito d’imposta per botteghe e negozi

Un primo aiuto sugli affitti, all’inizio della pandemia, è stato previsto dall’articolo 65 del decreto legge numero 18 del 2020. Il credito d’imposta per i canoni di locazione delle botteghe e dei negozi, è stato utilizzato dalle attività a partire dal 25 marzo 2020. Ai beneficiari è stato garantito un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al solo mese di marzo 2020. Da segnalare che il credito d’imposta era ammesso limitatamente agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

Attività che hanno beneficiato del credito di imposta sugli affitti a marzo 2020

Più nel dettaglio, il credito d’imposta è stato riconosciuto alle imprese che hanno dovuto chiudere l’attività per l’aggravarsi della situazione sanitaria in Italia. Il bonus, dunque, collegato al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, aveva sospeso le attività:

  • commerciali al dettaglio, a eccezione di quelle di generi alimentari;
  • ristorative;
  • dei servizi alla persona, come barbieri, parrucchieri, estetisti.

Il collegamento con il D.P.C.M. spiega anche l’esclusione di immobili di categoria catastale diversa dalla C/1, e dunque delle relative attività, al credito d’imposta sugli affitti.

Come si indica nel quadro RU il credito imposta affitti di marzo 2020

Chi ha percepito il credito d’imposta sugli affitti del mese di marzo 2020 adesso dovrà indicarlo nel quadro RU con il codice 11. L’importo da indicare nel rigo RU 5, alla colonna numero 3, è quello inerente alle spese sostenute nel corso del 2020. La compensazione si deve indicare nel rigo RU 6. Se è sopraggiunta la cessione del credito, va indicata nel rigo RU 9: in tal caso il cessionario non ha l’obbligo di compilare il quadro RU.

Bonus affitti 2020, il credito d’imposta istituito con il Dl 34 del 2020

I beneficiari del credito d’imposta istituito con il decreto legge numero 34 del 2020 sono stati sicuramente in numero più elevato. Il comma 1 dell’articolo 28 del provvedimento specifica che, al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza da Covid, ai soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione, con volume di ricavi o di compensi non oltre i 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto, è previsto un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili a uso non abitativo. L’immobile deve essere destinato allo svolgimento di attività industriali, commerciali, artigianali, agricole, turistiche oppure all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo.

Bonus affitti Dl 34, i periodi da considerare sono marzo, aprile e maggio 2020

Il credito d’imposta dell’articolo 28 del Dl 34/2020 spetta, altresì, alle strutture alberghiere e agrituristiche a prescindere dal volume di ricavi o compensi registrati nel periodo di imposta precedente. Ulteriori beneficiari del credito di imposta sono gli enti non commerciali e del terzo settore. Inoltre, rientrano anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti. Il periodo di imposta previsto dal Dl 34 del 2020 deve essere considerato in riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio. Le strutture turistiche ricettive con attività stagionali devono far riferimento ai mesi di aprile, maggio e giugno 2020.

Come si registra il bonus affitti 2020 nel quadro RU

Attività e autonomi che hanno beneficiato del bonus affitti di marzo, aprile e maggio 2020 devono indicarlo nel quadro Ru. Il rigo di riferimento è Ru 5 alla colonna 3: qui si deve indicare l’ammontare del credito d’imposta spettante in riferimento ai canoni di locazione o di affitto relativi al periodo d’imposta oggetto della dichiarazione. In caso di cessione del credito d’imposta si deve indicare, invece, il rigo RU 9. In tale ipotesi, deve essere riportato nella colonna l’importo ceduto e comunicato all’Agenzia delle entrate tramite la procedura prevista. Non si deve compilare, in caso di cessione del credito d’imposta, la sezione VI B.

Credito di imposta nel rigo RU 5 per bonus affitti 2020: prospetto Aiuti di Stato

A differenza del primo bonus relativo a “botteghe e negozi”, il credito d’imposta previsto dal decreto legge 34 deve rispettare i limiti e le condizioni previste dal “Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid”. Quindi, l’ammontare del credito indicato nel rigo RU 5 deve essere anche inserito nel prospetto “Aiuti di Stato” che si trova nel quadro RS. In questo caso, è necessario andare al rigo RS 401 e utilizzare il codice 60.

Bonus Covid versati dall’Inps ad autonomi e partite Iva da segnalare nei Redditi PF

I bonus di 600 euro dati agli autonomi e alle partite Iva per l’emergenza sanitaria ed economica legata al Covid vanno inserito nel modello PF per la dichiarazione dei redditi 2021. In particolare, in base alle istruzioni per comilare il modello Redditi PF 2021, i lavoratori autonomi e i titolari di reddito di impresa devono inserire nella dichiarazione tutti i contributi erogati durante l’emergenza Covid.

Indennità Covid da dichiarare nel Reddito Pf: il decreto di riferimento

La disciplina delle indennità alla quali si fa riferimento è quella contenuta nel decreto legge numero 18 del 17 marzo 2020, considdetto “Cura Italia”, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese connesse all’emergenza epidemiologica Covid-19. Si fa dunque riferimento alle indennità versate dall’Inps alle partite Iva e ai lavoratori autonomi dal valore dai 600 ai 1.000 euro, anche in base ai contributi versati nel corso di tutto l’anno.

Quadri LM, RE e RG: a quali contribuenti corrispondono?

Per i titolari di reddito di impresa o esercenti lavoro autonomi è necessario rilevare innanzituto il regime fiscale di appartenenza. Infatti, il quadro RG dovrà essere utilizzato dall’impresa in regime di contabilità semplificata, il quadro RF dall’impresa in contabilità ordinaria. I contribuenti ricadenti nel sistema forfettario dovranno far riferimento al quadro LM. Infine gli autonomi e i professionisti dovranno compilare il quadro RE.

Bonus ai contribuenti in contabilità semplificata: come si dichiara?

I conribuenti dovranno inserire nei quadri tutti gli aiuti a essi erogati nel contesto dell’emergenza sanitaria nel corso del 2020. Tuttavia, trattandosi di erogazioni prive di rilevanza redditutale, il loro importo deve essere neutralizzato. Per l’imprenditore individuale in regime di contabilità semplificata, il bonus versato dall’Inps deve essere trascritto specularmente tra le variazioni in diminuzione del rigo RG 22.

Quadro RF delle imprese: come dichiarare le indennità Covid?

In generale, le indennità ricevute per la pandemia devono essere riportati nei quadri RF e RG della dichiarazione dei redditi del 2021. Tuttavia, l’iscrizione delle indennità non concorre alla determinazione dell’imponibile ai fini dell’imposta da pagare. La loro iscrizione è, pertanto, giustificata solo da finlità informative. Più nello specifico, nel quadro RF delle imprese, l’iscrizione delle indennità evita proprio di sottoporre a imposizione il contributo ricevuto.

Dichiarazione dei redditi: il quadro RF della contabilità ordinaria

I soggetti in contabilità ordinaria dovranno inserire gli aiuti ricevuti dall’Inps nel quadro RF. In particolare, dovranno tener conto del rigo RF 55 inerente alle variazione in diminuzione del 2021. I codici da utilizzare sono due:

  • il codice 83 per le indennità a fondo perduto inerenti ai decreti del 2020 “Rilancio”, “Agosto” e “Ristori”;
  • il codice 84 per tutte le indenità di qualsiasi natura che non determinano la formazione del reddito.

Dichiarazione dei redditi 2021: il quadro RG degli autonomi in contabilità semplificata

Nel caso, invece, del quadro RG della dichiarazione dei redditi l’iscrizione delle indennità ricevute serve solo a titolo segnaletico o informativo. Il rischio che le indennità ricevute possano finire tassate in realtà non sussiste, come per i quadri RE e LM.

Codici da utilizzare per i bonus Covid nel modello RG

Nel caso dei conribuenti soggetti a contabilità semplificata il qudro di riferimento è quello RG. I contributi ottenuti nel corso dello scorso anno in relazione all’emergenza sanitaria devono essere indicati in due modi:

  • immettere il codice 27 in corrispondenza del rigo rG 10 relativo agli “Altri componenti positivi”;
  • inserire il codice 47 nel rigo rG 22, in corrispondenza degli “Altri componenti negativi”.

In tal modo le somme ottenute per l’emergenza andranno a compoensarsi e a non influire nel reddito imponibile.

Aiuti Covid: come si dichiarano per partite Iva forfettarie, semplificate e dei minimi

Gli aiuti a fondo perduto ricevuti dallo Stato per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica dovranno essere dichiarati anche dalle partite Iva in regime forfettario, semplificato e dei minimi. Tuttavia, se è certo che bisogna indicare i contributi a fondo perduto, più dubbia è la segnalazione dei bonus, ad esempio quello di 600 euro.

Dove si indicano gli aiuti Covid nella dichiarazione dei redditi?

I lavoratori autonomi e i professionisti che hanno ricevuto i sostegni a fondo perduto per il Covid nel 2020 dovranno darne indicazione nel modello di dichiarazione dei redditi nel quadro RE. Per le partite Iva a regime forfettario o dei minimi, in sede di dichiarazione, il quadro di riferimento è quello LM.

Dichiarazione redditi 2021: quali sono gli aiuti che vanno indicati

Se gli aiuti a fondo perduto vanno indicati nella dichiarazione dei redditi, diverso è il caso delle indennità a importo fisso. Le istruzioni riguardanti l’indicazione degli aiuti Covid ai professionisti fanno riferimento, in particolare, al decreto legge numero 18 del 2020 e al successivo Dl numero 34 del 2020. Il primo provvedimento aveva previsto, per i contribuenti, l’indennità di 600 euro riferita al mese di marzo 2020 e destinata, tra le altre categorie, ai liberi professionisti che avevano la partita Iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e iscritti alla gestione separata dell’Inps.

L’indennità 600 euro del 2020

Il decreto 34 del 2020 aveva previsto, a favore degli stessi provvedimenti, un’altra indennità di 600 euro relativa al mese di aprile e una ulteriore, di mille euro, riferita a maggio. Tuttavia, per quest’ultima indennità, i professionisti, oltre all’iscrizione alla gestione separata Inps, dovevano dimostrare di aver subito una diminuzione del reddito di almeno il 33% del secondo bimestre 2020 rispetto al reddito dello stesso periodo del 2019.

Professionisti iscritti alle Casse

Anche ai professionisti iscritti alle Casse previdenziali hanno percepito un aiuto Covid. I provvedimenti di riferimento sono l’articolo 44 del decreto legge numero 18 del 2020 e il decreto ministeriale del 28 marzo 2020. L’indennità, tuttavia, è stata riconosciuta nel rispetto di precisi tetti di reddito e di condizioni di regolarità contributiva.

Dichiarazione redditi: il quadro RE degli aiuti ai professionisti

Dalle istruzioni ministeriali non sembrerebbe sussitere l’obbligo di dichiarazione delle indennità per i professionisti nella compilazione del quadro RE. Gli aiuti, tra l’altro, non potrebbero essere inseriti nella colonna 1 del rigo RE 3, quello destinato alle somme a fondo perduto. E nemmeno nella colonna 2 destinata ad altri proventi che non concorrono alla determinazione del reddito e, pertanto, non tassabili.

Il quadro LM della dichiarazione dei redditi: forfettari e minimi

Varia, invece, il il tipo di dichiarazione per gli autonomi che devono compilare il quadro LM. Questo quadro è riservato:

  • ai conribuenti cosiddetti minimi del regime di vantaggio ex articolo 27 del decreto legge 98 del 2011;
  • le persone fisiche rientranti nel forfettario della legge 190 del 2014.

I primi dovranno compilare la sezione I del quadro LM, nello specifico la colonna 2 del rigo LM 2. I forfettari, invece, dovranno comilare la sezione II del modello LM, precisamente la colonna 2 del rigo LM 33. Questo rigo indica le indennità e i conributi percepiti di qualsiasi natura in conseguenza dell’emergenza sanitaria. Nello stesso rigo non possono essere indicati i sostegni esistenti già prima della fase di emergenza da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione e di fruizione.

Indennità 600 e 1000 euro del 2020

Peraltro, le indennità di 600 e 1000 euro dovrebbero rientrare in quest’ultimo rigo. Tuttavia, si attendono maggiori chiarimenti ministeriali in merito all’inesistenza, nel quadro RE, di un rigo riservato a queste indennità. In entrambi i quadri, inoltre, non devono esssere indicati i crediti d’imposta accordati per le sanificazioni e l’adeguamento degli ambienti. Sul punto, gli autonomi non devono indicare neanche il bonus affitti. Tutti questi benefici vanno indicati nel quadro RU. Tuttavia il bonus sugli affitti e il credito per l’adeguamento degli ambienti vanno inseriti anche nle quadro RS.

Auto aziendale: come funziona per gli agenti di commercio?

Gli agenti e i rappresentanti di commercio sono le uniche categorie che non sono state interessate dalle strette sulle auto aziendali del decreto legge numero 262 del 2006. Anche con le modifiche introdotte dal quel decreto, infatti, gli agenti e i rappresentanti di commercio continuano a beneficiare de precedente sistema che accordava la deducibilità fino all’80% delle spese dell’auto aziendale.

Auto agenti: la disciplina dell’articolo 164 del Tuir

La disciplina delle auto aziendali degli agenti e rappresentanti di commercio è contenuta nell’articolo 164 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Nell’articolo si fa riferimento ai limiti delle deduzioni delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ai mezzi di trasporto a motore, per l’esercizio di imprese, arti e professioni.

Auto agenti e rappresentanti di commercio: deducibilità 80% dei costi

In particolare, sia agli agenti e rappresentanti di commercio, che agli agenti di assicurazione e ai promotori finanziari (a esclusione degli agenti immobiliari) si applica il regime favorevole della deducibilità fino all’80% delle spese. La norma mira a stabilire particolari vantaggi in virtù del fatto che l’acquisto e l’uso dell’auto rappresenti il principale strumento per l’esercizio della propria attività.

Veicoli utilizzati da agenti

Dunque, gli agenti beneficiano delle regole più vantaggiose ai fini della deducibilità dei costi previsti dal comma 1, lettera b ultimo periodo, dell’articolo 164 del Tuir. Tali vantaggi si concretizzano nei seguenti tre limiti:

  • nella percentuale di deducibilità che è fissata all’80% anziché al 20% (spettante alle imprese e agli agenti immobiliari);
  • nel costo di acquisto o di leasing delle auto (e degli autocaravan) che è pari a 25.822,84 euro (anziché 18.075,99 euro);
  • nel costo di noleggio all’anno che è pari a 5.164,57 euro (anziché 3.615,20 euro).

Agenti, acquisto, leasing o noleggio di ciclomotori e motocicli

Per l’acquisto di ciclomotori e motocicli, invece, le regole sono identiche a quelle previste per le imprese e i professionisti. Pertanto, il limite dei motocicli è fissato a 4.131,66 euro per la proprietà o il leasing. Per i ciclomotori, invece, è di 2.065,83 euro. Per il noleggio, invece, i limiti sono rispettivamente di 413,17 e 774,69 euro.

Auto agenti: spese deducibili per carburante, pedaggi e manutenzione

Nell’attuale disciplina delle auto agli agenti e rappresentanti non rileva più la distinzione tra auto di lusso e auto non di lusso, come avveniva in passato. Le uniche due variabili ai fini dell’individuazione dei costi deducibili per le auto sono il tetto massimo di spesa e il limite percentuale di deducibilità. Per i costi di impiego delle auto, come ad esempio, i pedaggi, la manutenzione, il carburante, assume rilevanza solo il limite percentuale dell’80%. Non si fa riferimento, invece, ad alcun tetto di importo.

Auto aziendali di agenti e professionisti: il super ammortamento

Le auto delle categorie contenute nell’articolo 164 del Tuir, acquistate in proprietà o in leasing dagli agenti e dai professionisti tra il 15 ottobre 2015 e il 31 dicembre 2016, avevano beneficiato del super ammortamento introdotto dalla legge di Bilancio 2016. La disciplina prevedeva di maggiorare del 40% il costo di acquisto, lasciando inalterata la percentuale di deducibilità. Tuttavia, le successive proroghe del super ammortamento hanno escluso gli agenti e i rappresentanti dal super ammortamento. E nemmeno l’introduzione del credito d’imposta per i beni strumentali ordinari della legge di Bilancio 2020, ha compreso le auto delle categorie dell’articolo 164, tra le quali proprio quelle degli agenti e dei rappresentanti.

Calcolo del super ammortamento auto aziendali

Nella fase dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016 nella quale il super ammortamento era previsto anche per gli agenti e i rappresentanti, è stato possibile applicare l’agevolazione:

  • ai veicoli strumentali (come auto delle società di noleggio) o adibiti all’uso pubblico, come i taxi;
  • ai veicoli non assegnati, come autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli;
  • auto assegnate per utilizzo promiscuo ai dipendenti.

La legge di Bilancio 2017 esclude gli agenti dal super ammortamento

Tutti questi veicoli hanno beneficiato dell’agevolazione consistente nella maggiorazione del 40% del costo di acquisto e percentuale di deducibilità invariata. Per il 2017 tale agevolazione è stata prevista solo per i veicoli compresi nel comma 1 della lettera a) dell’articolo 164 del Tuir, ovvero:

  • le auto utilizzate solo come beni strumentali, ovvero senza le quali lo svolgimento dell’attività non è neppure configurabile, come le auto per le imprese di autonoleggio o quelle per le autoscuole;
  • le auto adibite a uso pubblico, come i taxi;
  • i veicoli strumentali per natura, come gli autocarri.

Esclusione agenti e rappresentanti dal super ammortamento auto

L’esclusione degli agenti e dei rappresentanti dal super ammortamento è proseguita anche per tutto il 2018 con l’esclusione, operata dalla legge di Bilancio del 2018, di tutte le tipologie di veicoli previste dall’articolo 164. Di conseguenza, restarono in regime agevolato di deducibilità solo i veicoli strumentali per natura, a una maggiorazione più bassa (del 30 anziché del 40%).

Credito d’imposta auto dal 2020: come funziona?

La legge di Bilancio 2020 ha sostituito il super ammortamento con il credito d’imposta per i beni strumentali. Il credito, applicabile agli investimenti fatti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2020, con estensione al 30 giugno 2021 per i veicoli prenotati al 31 dicembre 2020, prevede:

  • un credito d’imposta del 6% del costo di acquisto con limite massimo dei costi ammissibili fino a 2 milioni di euro;
  • l’utilizzo del credito d’imposta in cinque quote annuali di pari importo, a partire dall’anno successivo a quello di entrata in funzione del veicolo.

Dall’agevolazione, tuttavia, rimangono esclusi tutti i veicoli compresi nell’articolo 164. Tale esclusione è stata confermata anche dal Dl 34 del 2020, cosiddetto “Decreto Rilancio”. Conseguentemente rimangono agevolabili solo i veicoli strumentali.

Credito d’imposta per le auto aziendali della legge di Bilancio 2021: acquisti fino al 31 dicembre 2022

Da ultima, la legge di Bilancio 2021 ha stabilito la proroga del credito d’imposta, escludendo ancora le auto e i mezzi di trasporto dell’articolo 164 del Tuir dalle agevolazioni. Rimangono, pertanto, confermate le agevolazioni ai soli veicoli strumentali con nuovi limiti e massimali di costi ammissibili. In particolare:

  • il 10% di credito d’imposta del costo per veicoli acquistati tra il 16 novembre 2020 e il 31 dicembre 2021, con estensione al 30 giugno 2022 per i veicoli prenotati entro la fine del 2021;
  • il 6% del costo dei veicoli acquistati dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022, con estensione al 30 giugno 2023 per i veicoli prenotati entro la fine del 2022.

Il credito d’imposta è usufruibile in tre quote annuali di pari importo e per intero per i veicoli acquistati nella prima finestra temporale prevista dalla legge di Bilancio, ovvero dal 16 novembre 2020 al 31 dicembre 2021, purché l’impresa abbia ricavi inferiori a 5 milioni di euro.

 

 

Auto aziendale come benefit, quello che c’è da sapere

La modalità dell’assegnazione dell’auto aziendale ai dipendenti o collaboratori da parte del datore di lavoro per uso promiscuo ha importanti implicazione sulla sfera reddituale del dipendente, soprattutto di natura fiscale. Infatti, la legge di Bilancio 2020 ha modificato l’utilizzo promiscuo delle vetture aziendali, prevedendo, peraltro, anche incentivi fiscali per l’utilizzo delle auto meno inquinanti.

Auto aziendale assegnata al collaboratore per uso promiscuo

Nell’uso promiscuo il dipendente può utilizzare l’auto aziendale sia per esigenze lavorative che personali. L’assegnazione dell’auto aziendale al collaboratore per un utilizzo promiscuo genera pertanto un compenso in natura che necessità di essere valorizzato utilizzando un criterio di tipo forfettario. Tale criterio si basa sul costo a chilometro desumibile dalle tabelle nazionali dell’Aut0mobile Club Italia (Aci). Il calcolo del vantaggio per l’utilizzatore dell’auto, conosciuto come fringe benefit, si può applicare, oltre alle vetture, anche agli autocaravan, ai motocicli e ai ciclomotori.

Benefit auto aziendale prima e dopo la legge di Bilancio 2020

Prima della legge di Bilancio 2020, il benefit era calcolato nella misura fissa del 30% dell’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale annua di 15mila chilometri. Il calcolo si basava sui costi chilometri fissati dalle tabelle annuali dell’Aci, al netto degli eventuali importi trattenuti al dipendente come contributo per l’auto stessa. L’eventuale contributo deve essere pattuito tra il datore di lavoro e il collaboratore nel contratto di assegnazione della vettura. In ogni modo, la formula per il calcolo del benefit auto prima della legge di Bilancio 2020 era costituita dal 30% sul costo Aci per 15mila chilometri meno l’eventuale contributo del dipendente.

Le novità della legge di bilancio 2020 sulle auto aziendali

La novità più importante introdotta dalla legge di Bilancio 2020 sulle auto aziendali riguarda la diminuzione della percentuale del 30% per le auto meno inquinanti. Più nel dettaglio, la percentuale è ridotta dal 30 al 25%, con decorrenza dal 1° luglio 2020, per le auto che abbiano una quantità di anidride carbonica (CO2) inferiore o uguale a 60 grammi per chilometro. Si tratta di un vantaggio nel calcolo del benefit che determina anche la revisione dei criteri di scelta dei datori sul parco auto aziendale. Di seguito, la formula per il calcolo del benefit per le auto meno inquinanti diventa: 25% per costo Aci per 15mila chilometri meno l’eventuale contributo del dipendente.

Calcolo benefit a seconda delle emissioni CO2 delle auto aziendali

La percentuale di calcolo del benefit legato alle auto aziendale rimane del 30% per le auto con emissioni da 60 a 160 CO2. Più alte, invece le percentuali per le auto maggiormente inquinanti:

  • percentuale del 40% per emissioni CO2 da 160 g/km a 190 g/km (50% dal 1° gennaio 2021);
  • aumento al 50% per emissioni CO2 maggiori di 190 g/km (60% dal 1° gennaio 2021).

Tabelle Aci per il calcolo dei benefit auto

Tra gli elementi chiave per il calcolo del benefit derivante dall’auto aziendale rientrano le tabelle Aci, pubblicate entro il 31 dicembre di ogni anno nella Gazzetta Ufficiale. Quelle in vigore nel 2021 sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale numero 317 del 22 dicembre 2020. Sul sito Aci, le tabelle sono consultabili nella sezione “Servizi”, “Servizi online”, “Fringe benefit”. Le tariffe stabilite dall’Aci comprendono:

  • il carburante;
  • riparazioni, manutenzioni e pneumatici;
  • la quota di ammortamento del capitale;
  • la tassa automobilistica;
  • la quota interessi sul capitale investito;
  • l’assicurazione Rca.

Auto aziendale: il contributo del dipendente riduce il benefit

Un ulteriore fattore di calcolo del benefit legato all’uso dell’auto aziendale è rappresentato dal contributo del dipendente. Il datore di lavoro può addebitare al dipendente un corrispettivo, mediante metodo di pagamento o trattenuta, proprio correlato alla possibilità di utilizzare l’auto anche per le motivazioni personali. Il contributo, da considerarsi al lordo dell’Iva, abbassa il valore forfettario del benefit imponibile.

Caratteristiche del fringe benefit auto

Il fringe benefit sulle auto aziendali ha le caratteristiche riportate di seguito:

  • è forfettario. Cioè si prescinde dai chilometri realmente percorsi, dalle spese effettivamente sostenute e da quelle riaddebitate al collaboratore, come ad esempio quelle della benzina;
  • si calcola su base annua;
  • deve essere riportato sul cedolino della busta paga e assoggettato a tassazione ordinaria ogni mese;
  • rientra nella franchigia dei 258,23 euro prevista dal comma 3 dell’articolo 51,  ultimo periodo, del Tuir.

Esempio di calcolo del fringe benefit auto assegnate prima e dopo il 1° luglio 2020

Utilizzando le relative tabelle Aci per il calcolo del fringe benefit delle auto aziendali, si può considerare un’Audi Q7 4.0 V8 TDI con 435 cavalli ed emissione di CO2 pari a 190 g/km, assegnata prima del 1° luglio 2020. Dalle tabelle emerge un costo di 0,974 euro a chilometro (poco meno di un euro) da moltiplicare per 15mila chilometri annui. Dalla formula di calcolo, applicando la percentuale fissa del 30% valida per fino al 30 giugno 2020,  il benefit imponibile complessivo per il 2021 sarà pari a 4.385 euro circa. Se al dipendente viene addebitato un corrispettivo mensile di 100 euro, pari a 1.200 euro annui, il valore imponibile sarà di 4.385 euro – 1.200 = 3.185 euro. Se la stessa auto venisse assegnata dal 1° luglio 2020, la percentuale sarebbe pari al 40% per classe di emissioni CO2 da 160 g/km a 190 g/km e al 50% dal 1° gennaio 2021.