Contributi emergenza Covid: quadro RF per contabilità ordinaria e RG per contabilità semplificata

I contributi per la pandemia passano dai quadri RF e RG della dichiarazione dei redditi 2021. Anche se non imponibili, dunque, i contributi che le imprese e i lavoratori autonomi hanno ricevuto per l’emergenza sanitaria nell’anno 2020 vanno riportati nei due quadri della dichiarazione dei redditi. Le erogazioni legate all’emergenza Covid non generano, tuttavia, reddito imponibile anche quando la legge non le detassa in modo esplicito.

Riportare gli aiuti ricevuti nei quadri RF e RG per finalità informative

Nel caso del quadro RF legato agli aiuti alle imprese per l’emergenza Covid l’iscrizione serve a evitare proprio l’imposizione. Nel caso, invece, del quadro RG della dichiarazione dei redditi serve solo a titolo informativo o segnaletico. L’utilizzo dei due quadri deriva dalla risposta del ministero dell’Economia e delle Finanze alla  commissione Finanze della Camera durante il question time del 23 giugno 2021.

Dichiarazione redditi 2021: il chiarimento del ministero dell’Economia

Nella risposta al question time, il ministero dell’Economia ha chiarito che l’indicazione dei contributi Covid ricevuti devono essere inseriti nei quadri per la necessità di evitare che gli aiuti possano essere assoggettati a tassazione. L’indicazione dei contributi ricevuti nei quadri RF e RG, in realtà, hanno diversa destinazione: solo il quadro RF potrebbe presentare il rischio della tassazione, mentre nei quadri RG, ma anche RE, LM, questo problema non sussiste.

Il quadro RF della dichiarazione dei redditi

Nel dettaglio del quadro RF relativo ai soggetti in contabilità ordinaria, il rigo RF 55 relativo alle variazioni in diminuzioni nel 2021 ha due nuovi codici:

  • codice 83 per gli aiuti a fondo perduto previsti dai decreti “Rilancio”, “Agosto” e “Ristori”;
  • codice 84 per l’ammontare delle varie indennità di qualsiasi natura che non concorrono alla formazione del reddito.

I contributi del codice 84 sono stati erogati eccezionalmente per l’emergenza coronavirus e sono diversi dagli aiuti esistenti prima, indipendentemente da chi li ha erogati e dalla modalità di utilizzo e contabilizzazione.

Aiuti Covid alle imprese, cosa dice l’articolo 10 bis del Dl 137 del 2020 sulla detassazione

L’interpretazione della detassazione degli aiuti Covid deriva, altresì, proprio dall’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. L’articolo sulla detassazione dei contributi, delle indennità e di ogni altra misura in conseguenza dell’emergenza coronavirus, specifica che:

  • i contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza Covid-19 non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione per l’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap);
  • tale detassazione spetta ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, e ai lavoratori autonomi.

La specifica del Dl 137  si è resa necessaria mancando espressamente una normativa sulla detassazione degli aiuti eccezionali per via del Covid. Proprio in virtù del vuoto legislativo, gli aiuti si ritenevano soggette a imposte sui redditi ed Irap.

Come ottenere la detassazione degli aiuti Covid nella dichiarazione dei redditi 2021

Per ottenere la detassazione dei contributi ottenuti per l’emergenza Covid, le imprese dovranno apportare, in sede di dichiarazione dei redditi 2021, una corrispondente variazione in diminuzione. Per tale variazione, dovranno essere utilizzati i codici 83 e 84, ai quali seguirà l’indicazione a quadro RS.

Quadro RG per la contabilità semplificata sugli aiuti statali Covid

Il quadro RG relativo ai soggetti a contabilità semplificata presenta delle divergenze. Proprio il regime di contabilità semplificata fa in modo che i contribuenti non debbano riportare nei registri Iva l’incasso del contributo. Pertanto, i contributi a fondo perduto dovranno essere simultaneamente indicati nel seguente modo:

  • nel rigo RG 10, corrispondente ad “Altri componenti positivi” è da indicare il codice 27;
  • nel RG 22 riportante “Altri componenti negativi”, si riporta il codice 47.

Pertanto, le istruzioni prevedono l’indicazione delle somme, sia in aumento che in diminuzione, del reddito imponibile.

Quadro RG dichiarazione redditi degli autonomi: altri aiuti diversi dal fondo perduto

Per gli altri aiuti erogati a soggetti in contabilità semplificata diversi dai contributi a fondo perduto si applicano altri codici. In particolare i codici da utilizzare sono il 28 e il 48. Uno dei casi di aiuti non a fondo perduto riguarda, ad esempio, il credito d’imposta sulle locazioni.

Omessa indicazione degli aiuti ricevuti per Covid nella dichiarazione dei redditi

L’indicazione dei codici, in ogni modo, non va a incidere sull’imponibile e, pertanto, sull’imposta. Dunque, la non indicazione degli aiuti stessi nei quadri corrispondenti non dovrebbe portare a delle sanzioni, come spiegato dallo stesso ministero dell’Economia nel question time di fine giugno.

Auto aziendale, cosa paga il dipendente?

L’utilizzo dell’auto aziendale da parte dei collaboratori dell’impresa (intesi come dipendenti o collaboratori) è un fenomeno diffuso nelle realtà aziendali e, pertanto, deve essere gestito per le varie ricadute fiscali e contabili che può determinare.

Auto aziendale per il solo uso lavorativo e per utilizzo promiscuo

È di fondamentale importanza chiarire che l’uso dell’auto aziendale può essere:

  • per utilizzo esclusivamente aziendale. In tal caso l’auto deve essere utilizzata solo per finalità di lavoro e non private. La vettura dove essere lasciata in azienda al termine della giornata lavorativa e non può essere utilizzata per il tragitto casa-lavoro;
  • per utilizzo promiscuo. In tal caso si concede l’utilizzo della vettura aziendale anche per le finalità private, oltre alle missioni lavorative. È permesso, pertanto, percorrere il tragitto casa-lavoro, ma anche l’uscita domenicale e le vacanze estive.

Auto aziendale: chi paga il carburante?

Normalmente i costi di acquisto e di manutenzione dell’auto aziendale sono a carico dell’azienda. Per l’acquisto del carburante, invece, bisogna far riferimento agli accordi stipulati tra il datore di lavoro e l’utilizzatore della vettura. La prassi più comune vuole che per il pagamento del carburante si faccia riferimento alle tabelle Aci, annualmente determinate, e alle percentuali indicate dall’Agenzia delle entrate per il rimborso chilometrico.

Rimborso chilometrico per auto intestata ad azienda o utilizzatore

È differente il rimborso chilometrico in base al fatto che l’auto sia intestata all’azienda o all’utilizzatore. In quest’ultimo caso, il collaboratore mette a disposizione la propria auto personale per le trasferte di lavoro, sostenendo i costi in anticipo e chiedendo un rimborso chilometrico. A tal proposito, la legge di Bilancio 2018 (legge numero 205/2017) ha previsto che, a partire dal 1° luglio 2018, per il pagamento delle spese del carburante per esigenze aziendale siano utilizzati mezzi di pagamento tracciabili. La norma è riferita sia ai fini della deduzione del costo che della detrazione dell’Iva. Di conseguenza, dal 1° gennaio 2019 sono state abrogate le schede carburanti, in ottemperanza all’obbligo generalizzato di utilizzo della fattura elettronica.

Metodi di pagamento idonei per il pagamento del carburante

In conseguenza delle disposizioni della legge di Bilancio 2018, l’Agenzia delle entrate è intervenuta con il provvedimento numero 73203 del 2018, per individuare i mezzi di pagamento ritenuti idonei per l’acquisto del carburante. Vi rientrano:

  • le carte di credito;
  • le carte di debito;
  • il bonifico bancario o postale;
  • l’addebito diretto;
  • le carte prepagate;
  • il bollettino postale;
  • altri metodi di pagamento elettronico che consentano l’addebito in conto corrente;
  • le carte carburante e i buoni carburante con pagamento elettronico;
  • le carte utilizzate nei contratti di netting con pagamento elettronico.

I benefit legati all’utilizzo dell’auto aziendale

L’auto aziendale a uso promiscuo è la tipologia di utilizzo più tipica per il fringe benefit del collaboratore. L’assegnazione dell’auto e il relativo utilizzo segue delle regole ben precise, contenute nel contratto individuale che l’azienda stipula con l’utilizzatore. Le aziende che offrono l’utilizzo della vettura aziendale come benefit ai propri collaboratori stipulano, di norma, un contratto di noleggio o di leasing con un concessionario per ottenere l’auto da fornire al dipendente.

Auto aziendale a uso promiscuo: chi può usarla e per cosa

L’assegnazione dell’auto al collaboratore avviene mediante un contratto individuale tra datore di lavoro e dipendente. Nel contratto di assegnazione si possono trovare tutte o solo alcune delle seguenti possibilità:

  • l’indicazione che l’auto è assegnata al collaboratore per lo svolgimento del suo lavoro e per l’uso personale;
  • le altre persone, oltre al dipendente, che possono utilizzare la vettura;
  • quali sono gli obblighi che il conduttore deve rispettare;
  • se il collaboratore debba o meno versare una quota al datore di lavoro per l’utilizzo dell’auto.

Tassazione dell’auto aziendale per uso promiscuo

L’utilizzo dell’auto in modo promiscuo, configurandosi come benefit concesso al dipendente in aggiunta alla normale retribuzione, è soggetto a parziale tassazione. Per il calcolo della quota di benefit che andrà a comporre il reddito imponibile assoggettabile a Irpef del collaboratore, si utilizzano le tabelle dell’Aci che vengono aggiornate ogni anno con la legge di Bilancio. La tassazione normale è pari al 30% dell’importo corrispondente a una percorrenza di 15.000 chilometri. L’importo è variabile a seconda del modello dell’auto e di altri fattori riportati nelle tabelle Aci. In queste tabelle, dunque, vengono riportati i costi medi a chilometro a seconda del modello di auto. Per un calcolo corretto, il datore di lavoro deve ripartire l’importo previsto dalle tabelle Aci per il numero di giorni in cui il collaboratore ha utilizzato effettivamente l’auto.

Tassazione fringe benefit auto aziendale: un caso concreto

Facendo un esempio pratico sulla tassazione del fringe benefit legata all’utilizzo promiscuo di un’auto aziendale, si può prendere in considerazione l’uso di una Jeep Renegade 1300 da 150 cavalli. Per ogni modello esatto, le tabelle Aci riportano il costo chilometrico convenzionale, pari a poco più di 50 centesimi per questo modello di vettura.  I 50 centesimi vanno moltiplicati per 15.000, per un totale di circa 8.000 euro. Di questi, il 30%, cioè 2.400 euro, finiscono nella busta paga del lavoratore. Se il lavoratore dovesse utilizzare l’auto solo per 25 giorni al mese, occorre quantificare l’uso effettivo, pari a circa 200 euro al mese di benefit. Mensilmente, dunque, il collaboratore vedrà questo l’importo nel suo cedolino.

Auto aziendale a uso promiscuo: chi paga la benzina?

I costi sostenuti per il carburante dell’auto aziendale per uso promiscuo spettano in parte al collaboratore e in parte al datore di lavoro. Nell’utilizzo della vettura aziendale durante il lavoro, il collaboratore ha diritto a ottenere il rimborso delle spese sostenute per la benzina. Tale rimborso non viene riconosciuto in base alle ricevute che certificano la spesa del collaboratore, ma da calcoli su ulteriori tabelle Aci, stavolta riguardanti i costi chilometrici. Grazie a queste tabelle, i datori di lavoro calcolano la quota convenzionale che costituisce il rimborso spettante al collaboratore.

Auto aziendale: chi la sceglie?

Soprattutto in determinati settori, l’auto aziendale è fondamentale per poter svolgere il proprio lavoro. Questa tipologia soluzione è utilizzata dalle aziende che mettono a disposizione dei propri dipendenti o collaboratori un’auto aziendale per i loro impegni di lavoro. Può trattarsi, ad esempio, di lavoratori addetti alle vendite o di collaboratori che percorrano ogni anno migliaia di chilometri per esigenze di lavoro.

Auto aziendale: che cos’è?

Ottenere una vettura aziendale significa poterla utilizzare per esigenze di lavoro ma la proprietà rimane al datore di lavoro. Di solito, il datore preferisce ottenere l’auto aziendale con la stipula di un contratto di noleggio o di leasing. Se le esigenze lavorative del dipendente o del  collaboratore si riducono a sporadici viaggi, spesso il datore di lavoro preferisce la formula del rimborso delle spese sostenute per lo spostamento effettuato con la vettura privata del dipendente stesso. Ma quando i chilometri sono tanti, la preferenza cade sull’attribuzione del benefit dell’auto aziendale.

Chi sceglie l’auto aziendale?

Solitamente la scelta dell’auto aziendale è concordata tra il datore di lavoro e il dipendente o collaboratore. A influire sulla scelta, oltre alle preferenze, al prezzo, alle caratteristiche tecniche dell’auto, alla sicurezza e ai costi di gestione, possono concorrere vari fattori. Ad esempio, l’auto aziendale che si sceglie dovrà essere a utilizzo esclusivo lavorativo oppure promiscuo? In quest’ultimo caso, è necessario tener presente della tassazione alla quale è soggetto l’utilizzatore. Inoltre, proprio negli ultimi due anni si è assistito a una tassazione meno incisiva sui veicoli “green”, con particolari vantaggi per le auto meno inquinanti.

Auto aziendale per uso lavorativo o promiscuo

L’auto aziendale può essere attribuita in due modalità:

  • a uso lavorativo. Il lavoratore la può utilizzare solo per le necessità lavorative e non per quelle private;
  • a utilizzo promiscuo: il collaboratore o dipendente può utilizzare l’auto aziendale sia per esigenze lavorative che personali.

In questa ultima ipotesi, il collaboratore riceve un vero e proprio benefit che, ovviamente, ha un proprio valore economico. Tale valore può essere misurato nella spesa annua che una famiglia spende per l’auto, come l’assicurazione, il bollo, la manutenzione o la rata di acquisto. Nell’utilizzo promiscuo il dipendente utilizza la vettura senza sostenerne le spese, ad eccezione del costo del carburante.

Tassazione del benefit delle auto aziendali

Il beneficio ricevuto dall’utilizzatore dell’auto aziendale è soggetto a tassazione Irpef, in quanto si configura come una formula di retribuzione indiretta. Il valore che è soggetto a tassazione dipende da vari fattori, come il modello, i cavalli, la cilindrata dell’auto. Annualmente, la Gazzetta Ufficiale pubblica le tabelle Aci che contengono, in base alla tipologia di auto, il valore del benefit da inserire in busta paga e sul quale si andranno a calcolare le tasse e i contributi previdenziali. In generale, la tassazione applicata è del 30% del costo corrispondente alla percorrenza di 15mila chilometri all’anno.

Come si calcola la tassazione sulle auto aziendali

Il calcolo della tassazione delle auto aziendali, dunque, deriva dal valore del fringe benefit, ovvero dal costo per chilometro moltiplicato per i 15.000 chilometri all’anno, dall’imponibile fiscale del 30% e dall’imponibile fiscale mensile. Pertanto, considerando il modello Giulietta dell’Alfa Romeo, di cilindrata 1.4 con 150 cavalli, il valore del fringe benefit sarà dato dal costo per chilometro, pari circa 52 centesimi, da moltiplicare per i 15.000 km annui, per un risultato di circa 7.800 euro. Applicando il 30% si ottiene 2.340 euro circa (imponibile fiscale) e dividendo per 12 si arriva all’imponibile fiscale mensile pari a circa 195 euro.

Auto aziendali: la convenienza dei veicoli green per il fringe benefit

Recentemente la normativa sta andando incontro alle auto aziendali poco inquinanti. Infatti, a decorrere dal 1° gennaio 2020, i contratti fringe benefit stipulati con decorrenza dal 1° luglio 2020 hanno un diverso e più conveniente calcolo della base imponibile che sarà soggetta a tassazione. Il fattore decisivo è costituito dalle emissioni prodotte dall’auto aziendale che si sceglie. Meno l’auto inquina e meno tasse si pagano.

Vantaggi tassazione auto green dal 1° gennaio 2020

Infatti, sulle auto meno inquinanti, fino a 60 g/km di Co2, la percentuale di tassazione del 30% per 15.000 chilometri annuali scende al 25%. Rimane invariata al 30%, invece, la percentuale per auto con emissioni da 61 a 160 g/km di Co2. Più penalizzate le auto da 161 a 190 g/km di Co2 per le quali è prevista la percentuale del 50% a partire proprio dal 2021. Infine per le auto più inquinanti, con oltre 190 g/km di Co2, la percentuale è salita a partire dal 1° gennaio 2021 al 60%.

Come chiudere l’attività di agente di commercio?

La chiusura dell’attività di agente di commercio necessita di alcuni passaggi indispensabili per la cancellazione presso la Camera di Commercio e la relativa chiusura della propria posizione al Registro delle imprese.  Cessando completamente la propria attività, infatti, l’agente andrà a cancellare definitivamente l’impresa dalla CCIAA.

Cessazione alla Camera di Commercio e chiusura partita Iva

La chiusura dell’attività di agente di commercio, e la relativa cancellazione, necessita della pratica da avviare all’Agenzia delle Entrate relativa alla chiusura della partita Iva. Ovvero, si chiude dapprima la partita Iva per allegare alla pratica della Camera di Commercio la ricevuta dell’Agenzia delle Entrate riguardante la chiusura dell’attività.

Invio della pratica di chiusura al Registro Imprese

Pertanto, la chiusura dell’attività deve essere inoltrata in modalità telematica al Registro Imprese della competente Camera di Commercio, predisponendo la pratica di Comunicazione Unica che concerne:

  • il modello di Comunicazione Unica;
  • il modello per il Registro delle Imprese.

Cancellazione imprese individuali: comunicazione al Registro Imprese

Normalmente, la chiusura dell’attività di agente di commercio coinvolge anche altri Enti e, dunque, va integrata. Oltre al modello per l’Agenzia delle Entrate, si presenta il modello per l’Inps (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) e quello per l’Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro). Ulteriori comunicazioni interessano la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per il SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive).

Documenti necessari per la cancellazione alla Camera di Commercio

I documenti e gli strumenti necessari per la cancellazione alla Camera di Commercio sono di tre tipologie. Vi rientrano:

  • il dispositivo di Firma digitale;
  • la casella di Posta elettronica;
  • il software di compilazione e invio.

In alternativo al software, possono essere utilizzati:

  • Dire, ovvero il servizio delle Camere di Commercio per compilare le pratiche telematicamente;
  • Comunica Starweb, ovvero il servizio per la compilazione della comunicazione unica;
  • Pratica semplice per Impresa individuale, che può essere utilizzato solo dal titolare dell’impresa;
  • altre soluzioni offerte dal mercato.

Utilizzo servizi del mercato per la cancellazione della CCIAA

Nel caso in cui si volesse utilizzare i servizi offerti da professionisti in soluzioni aziendali, è necessario presentare tutta la documentazione necessaria. In particolare servono:

  • la richiesta di cessazione dell’attività e la cancellazione dalla Camera di commercio, da inviare tramite fax o posta elettronica certificata. Il servizio normalmente ha un costo di 50 euro oltre Iva;
  • la copia della cessazione attività e chiusura della partita Iva all’Agenzia delle Entrate in Pdf con firma digitale. A questo documento può pensarci lo stesso professionista con un costo stimato di circa 70 euro oltre Iva;
  • i costi da anticipare alla Camera di Commercio tra bolli, diritti e tariffe sono di 36 euro.

Agenti, in caso di cessazione dell’attività come mantenere i requisiti professionali

Può capitare che i soggetti, ovvero le persone fisiche, che cessino di svolgere l’attività all’interno di un’impresa, vogliano mantenere i requisiti professionali. In questo caso è necessaria l’iscrizione nell’apposita sezione a regime. Ovvero, gli interessati hanno di tempo 90 giorni, a pena di decadenza, per iscriversi nell’apposita sezione del Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative (REA) per mantenere nel tempo il proprio requisito professionale.

Che cos’è il numero REA di un’impresa?

Presso l’Ufficio del Registro Imprese della Camera di Commercio competente, tutti gli iscritti, compresi i soggetti collettivi e le imprese, individuali o societarie, hanno un numero REA con il quale la Camera di Commercio stessa acquisisce e utilizza tutte le notizie riguardanti:

  • sia la natura economica;
  • sia la parte statistica e amministrativa.

Iscrizione agenti che vogliano mantenere i requisiti professionali

La richiesta di iscrizione per mantenere i requisiti professionali si compila nella sezione “Iscrizione nell’apposita sezione (a regime)”, utilizzando il modello “ARC”. Nel modello deve essere indicato il motivo per il quale è cessato il rapporto con l’impresa di agenzia o di rappresentanza. Il modello va presentato utilizzando l’applicativo telematico “Comunica al Registro delle Imprese” di competenza nella residenza del richiedente.

Certezza della cessazione attività richiedente

La cessazione dell’attività dell’agente di commercio deve essere sempre certa e comprovata da documentazione. In particolare, alla domanda deve essere allegata, nell’apposita sezione, ad esempi0 la lettera di licenziamento. In alternativa, queste notizie devono essere desumibili dalla posizione del registro imprese o dal numero REA dell’impresa presso la quale l’agente svolgeva l’attività.

Cessazione attività, cosa deve fare l’agenzia preponente?

L’agenzia preponente presso la quale svolgeva l’attività l’agente di commercio dovrà comunicare entro 30 giorni la modifica, ovvero la cessazione dell’attività da parte dell’agente stesso. La comunicazione deve essere inoltrata tramite le sezioni “Anagrafica impresa” e “Modifiche” presenti sul modello ARC. Il modello ARC deve essere già sottoscritto e allegato alla pratica telematica (modello S5) da inoltrare al Registro delle Imprese.

Agente di commercio, cosa avviene se ricomincia l’attività?

Nel caso in cui l’agente, che alla cessazione della precedente attività aveva chiesto di mantenere i requisiti professionali, voglia ricominciare l’attività deve:

  • chiedere la cancellazione dalla sezione REA qualora intenda svolgere l’attività presso un’impresa societaria;
  • denunciare l’inizio dell’attività contenente l’autocertificazione dei requisiti se intende iniziare un’impresa individuale. In tal caso, nell’autocertificazione, è necessario chiedere il passaggio di iscrizione dal Rea al Registro Imprese.

Cosa spetta all’agente in caso di risoluzione del contratto?

Come e quando si può recedere dal contratto di agenzia e quanto spetta all’agente in caso di risoluzione? Nel rapporto di agenzia, l’agente ricopre l’incarico professionale di promuovere contratti in una zona assegnata. Si tratta di un rapporto di lavoro autonomo, ma coadiuvato da particolari garanzie stabilite dalla legge. Proprio per questo si parla anche di rapporto parasubordinato nel quale si integrano le affinità con il lavoro alle dipendenze con l’organizzazione dei mezzi e l’assunzione dei rischi da parte dell’agente. L’agente è legato da un rapporto di collaborazione con l’agenzia preponente.

Risoluzione e recesso del contratto di agenzia

Il contratto di agenzia è a tempo determinato e si risolve in maniera automatica quando scade il termine pattuito. Può verificarsi che entrambe le parti continuino il rapporto anche dopo la scadenza: in questo caso il rapporto si trasforma a tempo indeterminato. Nel contratto a tempo indeterminato ciascuna parte (l’agente e l’agenzia preponente) possono recedere purché diano preavviso all’altra parte. Senza preavviso, si può recedere dal contratto solo in due casi:

  • per giusta causa;
  • per la presenza di una clausola risolutiva espressa nel contratto.

Recesso contratto agenzia: il preavviso

Il contratto a tempo indeterminato cessa solo con la scadenza del periodo di preavviso. Dunque il preavviso concerne il solo recesso dal contratto di agenzia a tempo indeterminato. Il preavviso, secondo quanto disposto dalla legge, non può essere inferiore a un mese per il primo anno di contratto. Nel secondo anno, invece, il preavviso deve essere di minimo due mesi, di tre mesi per il terzo anno e così a salire fino al limite dei sei mesi per il sesto anno e per tutti quelli successivi. È altresì possibile che le parti concordino termini di preavviso inferiori rispetto a quelli stabiliti per legge. Tuttavia, il preponente non può osservare un termine minore rispetto a quello che fa capo all’agente. La data del termine di preavviso coincide con l’ultimo giorno del mese, salvo che le parti dispongano diversamente.

Recesso per giusta causa

Agente e agenzia preponente possono recedere dal contratto per giusta causa e senza preavviso. Ciò avviene quando l’altra parte sia inadempiente ai propri doveri. L’inadempimento deve essere tale da far venir meno l’elemento della fiducia nel rapporto tra le due parti. Tra le cause di inadempimento dell’agente si segnalano, ad esempio:

  • il non rispetto del dovere di non concorrenza contrattuale;
  • la mancata segnalazione dell’impossibilità al lavoro;
  • l’appropriazione di valori o di beni dell’agenzia preponente.

Inadempienze dell’agenzia

Tra le inadempienze dell’agenzia preponente figurano:

  • l’inserimento di un altro agente nella zona di competenza assegnata, salvo diversamente concordato;
  • il mancato pagamento delle provvigioni dovute;
  • la variazione dei clienti o della zona non conformi;
  • vendite indirette nella zona affidata all’agente senza comunicazione.

Infine, agenzia e agente  possono inserire una clausola nel contratto che stabilisce che, al verificarsi di un determinato inadempimento o evento, il contratto possa legittimamente risolversi.

Le tre indennità che spettano all’agente alla fine del mandato

Il Codice civile, all’articolo 1751, e gli Accordi economici collettivi (Aec) stabiliscono che alla cessazione del rapporto di agenzia spettino all’agente tre indennità:

  • la prima, l’indennità di risoluzione del rapporto Firr Enasarco viene pagata indipendentemente dall’aver procurato, all’agenzia, un incremento della clientela oppure del fatturato. Il pagamento del Firr avviene mediate percentuali di accantonamento sulle provvigioni durante il rapporto di lavoro;
  • la seconda è l’indennità suppletiva di clientela, corrisposta all’agente secondo gli Accordi economici collettivi e calcolata su tutte le provvigioni percepite dall’inizio del mandato, inclusi eventuali incentivi, premi e affini. Non è dovuta solo nel caso in cui l’agente sciolga il contratto senza giusta causa;
  • l’indennità meritocratica, dovuta dall’agenzia solo nel caso in cui l’agente dimostri di aver procurato nuovi clienti oppure di aver aumentato sensibilmente gli affari.

Come si calcola l’indennità suppletiva di clientela?

L’indennità suppletiva di clientela, prevista dagli accordi Aec di settore, si calcola con le seguenti percentuali:

  • 3% per i primi tre anni di provvigioni;
  • 3,5% dal quarto al sesto anno;
  • 4% oltre il sesto anno e fino al termine del mandato.

L’indennità suppletiva è dovuta anche in caso di dimissioni dell’agente dovute all’invalidità permanente, alla malattia o infermità tale da non potergli permettere di proseguire il contratto, al conseguimento della pensione, alle circostanze dovute all’agenzia preponente, o al decesso con le indennità che verranno corrisposte agli eredi.

Come si calcola l’indennità meritocratica?

L’indennità meritocratica è dovuta all’agente solo nel caso in cui egli dimostri di aver aumentato gli affari o la clientela dell’agenzia preponente. Per il pagamento dell’indennità devono essere determinati un valore iniziale, pari al fatturato della zona o dei clienti affidati all’agente, e un valore finale, pari al fatturato di zona o dei clienti dell’agente alla fine del proprio mandato. L’indennità meritocratica non è dovuta in due casi:

  • se l’agente recede dal contratto, a meno che non dimostri il giustificato motivo attribuibile al preponente o a circostanze quali l’età, l’infermità o la malattia, tali da non poter far ragionevolmente proseguire il rapporto di lavoro;
  • se, ai sensi di un accordo con l’agenzia preponente, l’agente cede i sui diritti e gli obblighi a un terzo.

Come chiudere una posizione Enasarco?

La chiusura della posizione Enasarco deve essere fatta mediante comunicazione dell’agenzia mandante entro 30 giorni dalla fine del rapporto. In caso di comunicazione in ritardo od omessa, è prevista una sanzione di 250 euro. È importante sottolineare che per presentare richiesta di chiusura della posizione Enasarco non è necessario attendere che l’agente finisca di maturare le provvigioni.

Come si chiude la posizione Enasarco?

Entro i 30 giorni dalla cessazione del rapporto di agenzia, il proponente deve fornire comunicazione online alla Fondazione. Per poter inoltre la richiesta di chiusura è necessario collegarsi nell’area del sito corrispondente alla “Gestione mandati“. Con l’inoltro della richiesta, si innesca la domanda e il calcolo della liquidazione, ovvero la procedura Firr Web. L’agenzia preponente deve tener conto dell’eventuale preavviso e, dunque, indicare come data effettiva di cessazione, l’ultimo giorno di collaborazione effettiva con l’ex agente.

Cosa si intende per 30 giorni per la chiusura Enasarco?

Dunque, l’ultimo giorno di lavoro da parte dell’agente è quello cui far riferimento per la cessazione del contratto. Il termine dei 30 giorni per la chiusura della posizione Enasarco tuttavia può dar luogo a situazioni di non facile interpretazione. Può capitare, ad esempio, che l’agente continui a maturare provvigioni anche dopo la scadenza del preavviso e la chiusura del rapporto. Tale situazione può, infatti, innescare il dubbio su come debbano essere pagati i contributi sulle provvigioni residue.

Chiusura Enasarco, non bisogna attendere che l’agente finisca di maturare le provvigioni

Le due questioni, ovvero la chiusura della posizione Enasarco e il versamento dei contributi sulle provvigioni residue sono ben diverse tra loro, anche se strettamente collegate. La comunicazione di chiusura Enasarco è inerente alla sola data di cessazione del contratto di agenzia. Ciò a prescindere dalla circostanza che l’agente avrà ancora o meno delle provvigioni da maturare. In merito ai contributi sulle provvigioni residue, invece, la data di cessazione del contratto serve a interrompere il rapporto previdenziale nel trimestre nel quale si verifica la cessazione. In tal modo si evita che all’agente possano essere attribuiti trimestri di anzianità contributiva non spettanti.

Contributi su provvigioni residue dopo chiusura Enasarco

Per il versamento dei contributi sulle provvigioni residue dell’agente, e dunque maturate successivamente alla cessazione del rapporto, è necessario compilare la distinta ordinaria. Tale distinta va predisposta fino al momento in cui l’agente, ormai cessato, non compaia più nell’elenco. La distinta normale online contiene l’elenco di tutti i mandati cessati nell’anno in corso.

Versamento contributi Enasarco maturati l’anno dopo

Diverso è il caso in cui il trimestre di riferimento per il versamento dei contributi sulle provvigioni residue ricade nell’anno solare precedente a quello di maturazione del versamento. Ciò può avvenire, ad esempio, per un agente cessato a fine anno 2019 cui l’agenzia preponente debba versare contributi previdenziali maturati ad agosto 2020. In tal caso, è necessario tener conto di quanto già versato per l’agente nell’anno precedente (il 2019) e il relativo massimale.

Modello G14 online per i contributi agente maturati dopo cessazione contratto

In quest’ultimo caso, ovvero di cessazione del mandato avvenuta nell’anno precedente o ancora anteriore, è indispensabile compilare il modello G14 online. All’interno del modello deve essere indicato il trimestre solare nel quale la provvigione è effettivamente maturata e la data effettiva di cessazione del contratto. Queste indicazioni servono affinché si possa specificare che si tratta di contributi per affari le cui relative provvigioni sono maturate nel trimestre corrente e, pertanto, non sanzionabili, differentemente da contributi versati in ritardo. Inoltre, l’indicazione della data di cessazione del rapporto consente alla Fondazione Enasarco di imputare correttamente all’ultimo trimestre in cui il rapporto è stato attivo i contributi versati.

Chiusura Enasarco, come va considerato il preavviso?

La data da comunicare per la chiusura della posizione Enasarco è quella in cui si intende chiuso il contratto. Coincide con l’ultimo giorno di lavoro dell’agente, indipendentemente dal preavviso. Il preavviso può, pertanto, essere compreso nella data di effettiva chiusura del contratto.

Quanto tempo è necessario per ricevere la liquidazione del Firr?

Collegata alla chiusura Enasarco è la liquidazione del Fondo indennità di risoluzione del rapporto (Firr). La richiesta di liquidazione deve essere fatta online. L’agente ha la possibilità di monitorare lo stato di avanzamento della domanda dalla propria area riservata. Inoltre, l’agente può consultare il Disciplinare dei livelli di servizio indicante i tempi massimi di lavorazione delle diverse tipologie di domande.

Liquidazione Fondo indennità di risoluzione del rapporto: come avviene?

L’agente può ricevere la liquidazione del Firr in due modalità:

  • tramite la Banca Nazionale del Lavoro (Bnl);
  • mediante bonifico bancario.

Nel primo caso, l’agente può riscuotere la somma a disposizione presso la Bnl se l’importo non supera i 1.000 euro. Il pagamento avviene presso qualsiasi sportello: l’ex agente dovrà presentare documento di identità e lettera ricevuta dall’Enasarco. Per la seconda modalità è invece necessario che l’agenzia preponente debba inserire le coordinate bancarie (Iban) dell’agente.

Come si calcola l’indennità di fine mandato dell’agente di commercio?

Nel momento in cui si cessa il rapporto di agenzia, all’agente competono una serie di indennità, tra le quali quelle di cessazione del rapporto previste dall’articolo 1751 del Codice civile e dalla contrattazione collettiva. Le indennità sono dovute sia nel caso di rapporti di lavoro a tempo determinato che a tempo indeterminato.

Tre tipologie di indennità alla fine del rapporto di lavoro dell’agente di commercio

La determinazione di quanto dovuto alla fine del rapporto di lavoro si calcola su tre tipologie di indennità, così come previsto dalla contrattazione degli Accordi economici collettivi (Aec):

  • indennità, da versare all’Enasarco, di risoluzione del rapporto (Firr);
  • una indennità suppletiva di clientela, stabilita dalla contrattazione collettiva;
  • una componente dell’indennità suppletiva, ovvero l’indennità meritocratica.

Indennità di risoluzione del rapporto (Firr)

L’indennità di risoluzione del rapporto (Firr) è riconosciuta all’agente di commercio anche se quest’ultimo non ha concorso all’incremento del fatturato o della clientela. Il Firr, dunque, è dovuto in ogni caso ed è calcolato sulle provvigioni maturate e liquidate fino alla cessazione del rapporto. Gli accantonamenti si versano annualmente all’Enasarco e si calcolano mediante l’applicazione della percentuale del 3% al montante delle provvigioni liquidate all’agente nel corso del rapporto di lavoro.

Fine mandato agente di commercio: l’indennità suppletiva di clientela

L’indennità suppletiva di clientela deve essere corrisposta all’agente di commercio senza alcuna condizione, salvo nei casi in cui il rapporto di lavoro sia terminato per fatto imputabile all’agente stesso. In altre parole, l’indennità è dovuta se il contratto si scioglie su iniziativa dell’agenzia preponente. L’indennità è dovuta all’agente anche nei casi in cui quest’ultimo rassegni le dimissioni per:

  • invalidità permanente e totale;
  • infermità o malattie per le quali non è possibile, ragionevolmente, continuare il rapporto di lavoro;
  • maturazione della pensione di vecchiaia, della pensione anticipata, dell’anticipo pensionistico Ape Enasarco o Ape Inps;
  • circostanze attribuibili al preponente;
  • gli eredi, nel caso di decesso.

Come si calcola l’indennità suppletiva di clientela

L’indennità suppletiva di clientela si calcola con l’applicazione di tre percentuali sulle provvigioni maturate. Nel dettaglio:

  • il 3% sulle provvigioni maturate nei primi 3 anni di rapporto di lavoro;
  • l’aliquota sale al 3,5% per le provvigioni rientranti tra il quarto e il sesto anno di rapporto;
  • il 4% sulle provvigioni corrisposte negli anni successivi.

Indennità meritocratica

La terza formula di indennità di fine rapporto dell’agente riguarda quella meritocratica. È riconosciuta e pagata solo quando l’attività dell’agente abbia portato l’agenzia a un aumento di fatturato con la clientela esistente o con quella acquisita. Inoltre, l’indennità è dovuta anche qualcosa l’importo complessivo dell’indennità di risoluzione e indennità suppletiva sia inferiore all’importo massimo previsto dall’articolo 1751 del Codice civile. L’articolo, al terzo comma, prevede che “l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente a un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi 5 anni e, nel caso in cui il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione”.

Indennità di fine rapporto agenti per il Codice civile

Diverse dalla contrattazione collettiva sono le indicazioni sull’indennità di fine rapporto degli agenti enunciate dall’articolo 1751 del Codice civile. L’indennità di legge è un obbligo per l’agenzia preponente per la cessazione del rapporto quando:

  • dall’operato dell’agente, il preponente ne abbia ricavato nuovi clienti o abbia sviluppato in maniera consistente gli affari con i clienti esistenti e l’agenzia ne ricavi ancora vantaggi derivanti dagli affari con questi clienti;
  • dall’equità del pagamento dell’indennità. In particolare, occorre tener conto dalle provvigioni che l’agente perde dallo sviluppo degli affari dell’agenzia preponente con i clienti.

Di conseguenza, affinché all’agente venga riconosciuto il diritto all’indennità di scioglimento del rapporto, sempre dovuta nel caso della Firr, dovranno essere presi in considerazione sia l’accresciuto portafoglio clienti per l’operato dell’agente, sia la perdita in capo all’agente stesso per le mancate provvigioni sui clienti acquisiti.

Indennità di fine rapporto agenti, quando non è dovuta

I casi nei quali l’indennità di fine rapporto dell’agenzia non è dovuto all’agente sono elencati dallo stesso articolo 1751 del Codice civile. In particolare, l’indennità non si paga se:

  • il contratto di agenzia è stato risolto su iniziativa dell’agenzia preponente per un’inadempienza imputabile all’agente. In tal caso, per la gravità dell’inadempienza, non è possibile proseguire il contratto, anche temporaneamente;
  • l’agente recede dal contratto, ad esclusione dei casi in cui il recesso non sia giustificato. Tali circostanze devono essere imputabili all’agenzia preponente. Non possono essere imputabili all’agente circostanze nelle quali non sia ragionevolmente possibile proseguire il contratto di agenzia, come malattia o infermità;
  • l’agente ceda a un terzo i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto con l’agenzia in accordo con il proponente.

Misura indennità agenti fine rapporto per il Codice civile

La misura dell’indennità agli agenti per la fine del mandato, erogata nei casi enunciati dall’articolo 1751 del Codice civile, si determina nel limite massimo di un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente di commercio negli ultimi 5 anni e, nel caso in cui il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione. Il diritto all’indennità decade se non viene esercitato dall’agente nel limite temporale di un anno.

Quando matura il diritto alla provvigione dell’agente di commercio?

Quando matura il diritto dell’agente di commercio a percepire la provvigione? Per rispondere a questa domanda è necessario rifarsi all’articolo 1748 del Codice civile che disciplina: “Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”.

Provvigioni agenti anche per affari conclusi precedentemente con terzi

Inoltre, lo stesso articolo precisa che “la provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente, salvo che sia diversamente pattuito”. La ratio del riconoscimento delle provvigioni all’agente in questi casi si ravvisa nell’esigenza di tutela dell’agente da ogni invasione del preponente, traducibile nella sottrazione degli affari e nell’indebita appropriazione dei risultati dell’operato dell’agente stesso.

Agenti di commercio, quando matura il diritto alle provvigioni?

Dunque, seguendo quanto spiegato dal Codice civile, il diritto alle provvigioni spetta all’agente per gli affari conclusi durante il contratto di agenzia per il suo intervento. Da una prima lettura, le provvigioni maturano per i contratti conclusi entro la zona o per i clienti affidati all’agente. Sono altresì valide due clausole. La prima che riserva all’agente i clienti di una determinata zona. La seconda, molto simile, riserva all’agente determinate categorie di clienti.

Affari dell’agente conclusi nella zona assegnata

In mancanza di queste clausole, l’agente avrà diritto alle provvigioni per tutti gli affari conclusi nella zona che gli è stata assegnata. Sul concetto di zona, è interessante rilevare che fa fede il luogo dove deve essere conclusa l’operazione. Non si tiene conto, invece, del luogo dove la prestazione prevista dal contratto deve essere eseguita.

Agenti di commercio, quando non è dovuta la provvigione

In ogni caso, resta fermo il punto che l’affare debba essere riconducibile all’intervento dell’agente affinché maturino delle provvigioni. Conseguentemente, se l’affare si conclude senza l’intervento dell’agente, non matureranno provvigioni in suo favore. Un caso si riscontra nelle vendite passive effettuate tramite un magazzino o un punto vendita di zona dell’agente. Se gli acquisti sono conclusi direttamente dai clienti nel punto vendita, all’agente non spettano le provvigioni. A meno che, come ovvio, le vendite stesse non siano riconducibili ad attività di promozione da parte dell’agente.

Clausole che differiscono la maturazione delle provvigioni

Ulteriori clausole sono possibili per differire la maturazione delle provvigioni dell’agente di commercio. Ad esempio, posticipare il pagamento delle provvigioni al momento in cui il terzo abbia eseguito la prestazione. È possibile anche la clausola “salvo buon fine” che sposta il pagamento della provvigione al momento in cui il terzo svolga l’adempimento previsto nel contratto stipulato mediante l’intervento dell’agente. È altresì possibile, per l’agente, richiedere il pagamento parziale della provvigione sulla eventuale relativa controprestazione parziale fornita dal terzo.

Provvigioni spettanti anche dopo lo scioglimento del contratto di agenzia

L’agente di commercio matura le provvigioni sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto di agenzia in due casi. Il primo è che la proposta deve pervenire al proponente o all’agente prima della data dello scioglimento del contratto stesso. Il secondo caso è che l’affare deve essere stato concluso entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento, fermo restante che la conclusione dello stesso deve essere ricondotta prevalentemente all’operato dell’agente.

Onere della prova per contenziosi sulle provvigioni

Per contenziosi sulle provvigioni eventualmente maturati dall’agente, spetterà a quest’ultimo l’onere di dimostrare i fatti costitutivi del diritto alla provvigione. L’agente, in altre parole, dovrà dimostrare:

  • la conclusione dell’affare;
  • il pagamento della controprestazione da parte del terzo, a meno che non ci sia la clausola salvo buon fine.

Tuttavia, la prova potrebbe risultare molto difficoltosa. Per questo motivo, la legge va incontro all’agente prevedendo specifici diritti di informazione. In primo luogo, il preponente deve informare l’agente in tempi ragionevoli dell’accettazione o del rifiuto dell’affare da parte del terzo. Ciò vale anche nel caso della mancata esecuzione dell’affare procurato dall’agente.

Estratto conto delle provvigioni tra gli obblighi di informazione del preponente

In secondo luogo, vige in capo gli obblighi di informazione delle provvigioni maturate. In particolare, entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre di maturazione delle provvigioni, il proponente dovrà consegnare all’agente l’estratto conto delle provvigioni stesse.

Cosa deve indicare l’estratto conto delle provvigioni?

L’estratto conto delle provvigioni maturate dall’agente deve indicare gli elementi essenziali sulla base dei quali è stato calcolato il compenso. L’agente ha altresì diritto a ottenere tutte le informazioni idonee a permettergli di verificare l’importo di quanto liquidato. In tal senso, all’agente dovrà essere fornito un estratto dei libri contabili della preponente.

 

 

Come calcolare il contributo FIRR Enasarco?

Il Fondo indennità di risoluzione del rapporto (Firr) comprende i contributi che vengono accantonati dalle imprese mandanti a favore dei propri agenti di commercio. I contributi Firr vengono versati all’Enasarco. Nel momento in cui cessa il mandato di agenzia, l’Enasarco liquida all’agente i contributi accantonati. Se il mandato di un agente cessa nell’arco dell’anno solare ancora in corso, il Fondo indennità di risoluzione rapporto deve essere liquidato dall’impresa stessa direttamente all’agente.

I requisiti delle aziende e degli agenti per il contributo Firr

I requisiti previsti per le aziende in merito al contributo Firr consistono:

  • nell’effettuare la prima iscrizione a Enasarco. L’iscrizione fa ottenere all’azienda il “numero di posizione” che identifica proprio le aziende mandanti;
  • nell’aver conferito minimo un mandato di rappresentanza commerciale o di agenzia.

Gli agenti destinatari dei contributi Firr, invece, possono operare in forma individuale, in forma di società di persone (come società in accomandita semplice o società in nome collettivo) o in forma di società di capitale (società per azione, società a responsabilità limitata).

Pagamento annuale del Firr

Gli importi da versare a titolo di contributi Firr vengono calcolati in funzione delle provvigioni liquidate nell’anno solare precedente, del tipo di mandato con il quale lavora l’agente (monomandatario o plurimandatario) e della durata del mandato in mesi. Il calcolo, dunque, deve essere fatto sulla base di determinati scaglioni e il pagamento avviene annualmente. Le imprese, infatti, versano il Firr alla Fondazione Enasarco alla scadenza del 31 marzo dell’anno successivo. Ad esempio, entro il 31 marzo 2021 dovrà essere pagato il Firr del 2020.

Aliquote Firr

Le aliquote del Firr sono stabilite anno per anno nelle seguenti percentuali e per i seguenti scaglioni:

  • per i monomandatari, il 4% sulle provvigioni fino a 12,400 euro all’anno. La stessa percentuale è pagata dai plurimandatari sulle provvigioni fino a 6.200 euro all’anno;
  • per i monomandatari l’aliquota è del 2% per la quota delle provvigioni tra i 12.400,01 e i 18.600 euro all’anno. La stessa percentuale è pagata dai plurimandatari per le quote delle provvigioni tra i 6.200,01 e 9.300 euro all’anno;
  • l’aliquota dell’1% è pagata dai monomandatari sulle provvigioni oltre i 18.600,01 euro all’anno. La stessa percentuale è pagata dai plurimandatari per le quote di provvigioni al di sopra dei 9.300,01 euro all’anno.

Calcolo delle quote del Firr

Volendo calcolare quale sarà la quota del Firr per un agente plurimandatario che abbia lavorato continuativamente dal 1° gennaio al 31 dicembre e con un totale di provvigioni nell’anno pari a 7.800 euro occorrerà considerare percentuali e scaglioni. Dunque, la quota che ricade nel primo scaglione fino a 6.200 euro dovrà essere moltiplicata per il 4% con risultato pari a 248 euro. La quota in questo caso è totale perché le provvigioni superano il limite della quota stessa. La quota che eccede il primo scaglione (ovvero 7.800 – 6.200 = 1.600 euro) dovrà essere moltiplicata per la relativa percentuale, ovvero il 2%. Dunque 1.600 x 2% = 32 euro. Pertanto, il contributo totale Firr dovuto è pari a 248 + 32 euro = 280 euro.

Calcolo Firr per mandato inferiore all’anno solare

Se il rapporto tra l’azienda e l’agente non inizia il 1° gennaio, ma nel corso dell’anno, occorre ridurre gli scaglioni in proporzione ai mesi di durata del rapporto nell’anno solare. Ad esempio, se un agente plurimandatario inizia il mandato il 31 agosto e nell’anno solare percepisce un totale provvigioni pari a 6.000 euro, è necessario considerare solo i mesi effettivi, ovvero agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre. Il mese va considerato per intero anche se si lavora un solo giorno. Quindi gli scaglioni si calcolo per i 5 dodicesimi dell’anno solare e diventano:

  • 6.200 euro per 5/12 = 2.583,34  euro, scaglione sul quale si applica il 4%;
  • lo scaglione da 6.200,01 e 9.300,00 diventa da 2.583,35 a 3.875,00 euro applicando i 5/12. Lo scaglione è moltiplicato per la percentuale del 2%;
  • il successivo scaglione delle provvigioni da 9.300,01 euro si riduce a partire da 3.875,01 sul quale si applica l’1%.

Caso di agente con mandato conferito nel corso dell’anno solare

Nel caso in esame, dunque, sui 6.000 euro delle provvigioni guadagnate nei 5 mesi verranno applicate le seguenti percentuali:

  • fino a 2.583,34 euro il 4% = 103,34 euro. Il primo scaglione si prende per intero essendo il totale delle provvigioni maggiore al limite dello scaglione stesso;
  • secondo scaglione, 3.875,00 – 2.583,34 = 1291,66 euro. La percentuale del 2% fa 25,83 euro. Anche il secondo scaglione si calcola per intero;
  • terzo scaglione, 6.000 – 3.875,00 = 2.125 euro x 1% = 21,25 euro;
  • sommando i tre risultati (103,34 + 25,83 + 21,25) si ottiene il contributo totale, pari a 150,42 euro.

Come si versa il contributo Firr?

Il sito Enasarco offre la possibilità di utilizzare anche un calcolatore per determinare quale sia l’importo Firr da versare entro il 31 marzo di ogni anno. Per versare il contributo Firr è necessario entrare nell’area riservata dello stesso sito, all’interno della quale l’impresa preponente compila la distinta on line. Inserendo le provvigioni guadagnate dagli agenti, il sistema restituirà in automatico il calcolo dei contributi dovuti. Per il versamento si può scegliere di:

  • pagare con bollettino bancario Mav. È questo il pagamento classico che il sistema propone;
  • utilizzare in alternativa l’addebito su conto corrente bancario.

Contributo Enasarco, cos’è e come si calcola

Il contributo Enasarco rappresenta una percentuale sulle provvigioni degli agenti di commercio e dei rappresentanti utile a raggiungere il massimale o, almeno, il minimo della contribuzione. L’importo calcolato come contributo Enasarco deve essere inserito nella fattura e sottratto all’imponibile.

Elementi del contributo Enasarco: aliquota contributiva 2021

Per determinare i contributi Enasarco è necessario essere a conoscenza di almeno tre elementi, ovvero l’aliquota contributiva, il massimale e il minimale. Questi ultimi due elementi rappresentano i contributi annui massimi e minimi che gli agenti di commercio versano. L’aliquota contributiva è fissata al 17% e deve essere pagata dal mandante e dall’agente in pari misura, all’8,5% da ciascuno.

Massimali e minimali contributivi annui per agenti monomandatari e plurimandatari

A decorrere dal 1° gennaio 2021 gli importi dei minimali e dei massimali contributivi sono determinati:

  • per l’agente plurimandatario, il massimale annuo per ogni rapporto di agenzia è di 25.682 euro. Al massimale corrisponde un contributo massimo di 4.365,94 euro;
  • il minimale contributivo per l’agente plurimandatario per ogni rapporto di agenzia è di 431 euro, pari a 107,75 euro a trimestre;
  • per l’agente monomandatario, il massimale per ogni rapporto di agenzia è di 38.523 euro, con un contributo massimo pari a 6.548,91 euro;
  • il minimale di un agente monomandatario annuo per ogni rapporto di agenzia è di 861 euro, pari a 215,25 euro a trimestre.

Contributo da determinare per ogni trimestre dell’anno

Il contributo di un monomandatario va calcolato, per ciascun trimestre dell’anno, fino a raggiungere il tetto massimo che è pari a 38.523 euro all’anno. Alle provvigioni che superano questo tetto non si dovrà applicare alcuna aliquota, ma l’eccedenza deve essere sempre dichiarata. Ad esempio, se le provvigioni sono pari a:

  • 15.000 euro per il primo trimestre;
  • 20.000 euro per il secondo;
  • 30.000 euro per il terzo;
  • 20.000 euro per il quarto.

Calcolo massimale per un monomandatario

Il contributo Enasarco da pagare si calcola nel modo seguente:

  • per il primo trimestre, 15.000 x 17% = 2.550 euro;
  • nel secondo trimestre, 20.000 x 17% = 3.400 euro;
  • per il terzo trimestre è necessario considerare come base imponibile solo la differenza tra il massimale e quanto già guadagnato, ovvero 38.523 – 35.000. Alla differenza (3.523 euro) si applica l’aliquota contributiva del 17%, pari a 598,91 euro. Ai restanti 26.477 euro delle provvigioni del terzo trimestre non si applica alcuna aliquota, ma vanno ugualmente dichiarati;
  • per il quarto trimestre non vi sono calcoli da fare con l’aliquota contributiva, ma le provvigioni devono essere ugualmente dichiarate.

Massimale dell’agente plurimandatario

Il calcolo del massimale nel caso di un agente plurimandatario è uguale a quello dell’agente monomandatario. È necessario tener conto solo del limite del massimale, fissato per il 2021 a 25.682 euro annui. Pertanto, prendiamo in esame un agente che maturi provvigioni per:

  • primo trimestre 13.000 euro;
  • secondo trimestre 23.000 euro;
  • terzo trimestre 35.000 euro;
  • quarto trimestre 49.000 euro.

Calcolo massimale per agente plurimandatario

Il calcolo dovrà effettuarsi per ogni trimestre, ovvero:

  • per il primo trimestre: 13.000 euro x 17% = 2.210 euro;
  • nel secondo trimestre si fa la differenza tra il massimale e le provvigioni già pagate nel primo trimestre, dunque 25.682 euro – 13.000 euro. Sulla differenza, pari a 12.682, dovrà essere applicato il 17%, pari a 2.156 euro. Ai rimanenti 10.318 euro non dovrà essere applicata l’aliquota contributiva, ma le provvigioni dovranno essere dichiarati;
  • sia nel terzo che nel quarto trimestre le provvigioni dovranno essere dichiarate ma non dovrà essere applicata alcuna aliquota contributiva perché il massimale è stato raggiunto già nel secondo trimestre.

Versamento trimestrale dei minimali

I minimali dei contributi Enasarco, differentemente dai massimali, si calcolano frazionandoli per trimestri. I minimali sono dovuti se il rapporto di agenzia produce provvigioni nel corso dell’anno, ancorché in minima parte. Dunque, se almeno in un trimestre dell’anno si maturano provvigioni dovranno essere pagate anche le quote dei minimali previsti per i restanti trimestri dell’anno, anche se il rapporto è improduttivo. Il minimale non è dovuto solo se tutto l’anno è stato nella globalità improduttivo.

Come si calcola il minimale per i monomandatari e i plurimandatari?

Pertanto, in caso di inizio di attività o di cessazione della stessa nel corso dell’anno, l’importo minimale deve essere frazionato in quote trimestrali e versato per tutti i trimestri dell’anno in ragione della durata del rapporto di agenzia. Analogamente, la differenza tra l’importo minimale e l’entità dei contributi deve essere versata dall’agenzia mandate. Anche per i minimali è possibile utilizzare il calcolatore che il sito ufficiale Enasarco mette a disposizione.

Pagamento dei minimale, un caso concreto di agente monomandatario

Prendendo in esame il caso di un agente monomandatario e considerando che l’importo minimale annuo è di 861 euro, pari a 215,25 euro per ogni trimestre, è possibile calcolare quanto dovuto dall’agente.

  • Se nel primo trimestre, l’agente matura 250 euro di provvigioni, il contributo teorico sarebbe pari a 250 euro per il 17%, pari a 42,50 euro. Tale importo è inferiore al minimale riferito al trimestre (215,25 euro), pertanto è dovuta l’integrazione al minimale a totale carico dell’agenzia mandante. L’integrazione a carico dell’agenzia è pari a 215,25 euro – 42,50 euro = 172,75 euro;
  • per il secondo trimestre, l’agente matura 350 euro di provvigioni. Anche in questo caso si applica l’aliquota contributiva del 17%, generando una contribuzione da pagare pari a 59,50 euro. La differenza per arrivare a 215.25 è versata dall’agenzia mandataria;
  • nel terzo trimestre l’agente non matura contributi, dunque dovrà pagare il contributo minimo di 215,25 euro;
  • se nel quarto trimestre non matura provvigioni, dovrà ugualmente versare la quota minima.